venerdì 27 aprile 2012

TRE PARTI QUESTA NOTTE, MA NON TROPPO DOLOROSI

Questa notte il sonno non arrivava mai; poi, una volta giunto fin da me, deve aver annusato il suo inquilino, non deve averlo trovato di suo gradimento e se ne è di nuovo andato con modi sgarbati.
Ho approfittato di una buona vena e del silenzio di questo paese quando scende il sole per scrivere tre poesie.


TU  MI  CHIEDI  PERCHÉ


Tu mi chiedi perché non scrivo
mai d'amore; tu vuoi sapere perché
le mie storie finiscono nel pianto; perché
non credo che ci sia espiazione
anche per i delitti non commessi, sensi
di colpa per i dolori mai arrecati,
anche per quelli inferti
a noi stessi; tu mi chiedi perché io viva così,
chiuso nel globo di ghiaccio delle mie
idee, impenetrabile per gli altri;
tu vuoi sapere perché parlo solo con me stesso,
quando ho imparato a farlo
e quando penso di smettere di farlo.
Per tutte le tue domande non ho risposte
sicure, forse per una soltanto, più o meno:
ho imparato a ragionare tra me e me
appena ho iniziato a sillabare
il nome della mia mamma.
Adesso tu prova a indovinare
quando io smetterò di farlo.



AFFOLLARSI  ALLA  FINE  DI  UN  BINARIO


Affollarsi alla fine di un binario
in attesa di un treno che non arriverà.
Ma tu perché pensi che sia la fine, non potrebbe
essere l'inizio di un binario? Ogni treno
quando arriva riparte. Tutti? Chi lo dice? Questo no.
Però quando arriva -perché arriva, non è vero?-
noi saliremo sui vagoni e resteremo
immobili, in attesa, succeda quello che vuole 
succedere, e lì dentro la vita non avrà
mai fine, come un dannato sortilegio dove
tutti hanno capito cosa significa
questo rumore di fondo, sordo, monotono
e continuo come il battito di un'ora implacabile,
come il soffio del cuore grande del mondo,
come un segnale, la misura di un vuoto e di un
pieno, aria che esce ed entra nei polmoni,
aria che passa attraverso ognuno di noi,
che aspettiamo qui in piedi, in fila serrate,
un treno che non arriva mai.



LILA  E  BERT


Lei ha mollate le Barbie, una in moto l'altra
sul cavallo bianco, lui ha abbandonato sul pavimento
alla rinfusa le macchinette rosse di Mc Queen;
insieme rinunciano al cartone della
topolina danzatrice, a Pippi Calzelunghe,
alle streghe e ai mostri giapponesi invincibili
che esplodono per aria come fuochi di artificio;
stanno sdraiati e zitti sul divano dove
a gambe allungate c'è la nonna, che un po' legge
da un librettino e un po' si inventa
la favola della pesciolina blu e del cucciolo
di pantera. "Lila, grida Alessia; si chiama
Lila la pesciolina". "Bert, urla Fabio drizzandosi
a sedere; si chiama Bert il gatto nero".
"La pantera piccolina", lo corregge sua nonna.
"Sì, quello". E di nuovo s'acquieta Fabio
rinfilandosi un pollice tra i denti.
"Lila ha salvato Bert che annegava, racconta la nonna;
adesso nuota e nuota lungo la riva, badando
che non arrivi il coccodrillo che già lo tiene
d'occhio e vorrebbe mangiarselo per colazione".
"E Bert che fa?", chiede Fabio. "Tiene alla larga tutti
i pescatori pronti a tirar su Lila e friggerla in padella".
"E dove vanno adesso?". "Cercano l'uomo buono,
che li metterà insieme nel grande giardino a giocare
senza più pericoli. Ora tieni, dice la nonna
alzandosi e porgendomi il libretto; devo far 
cuocere la pasta, tocca a te spupazzarli".
"E adesso cosa fanno?", chiede Alessia. "Sì, che fanno,
ce lo dici tu?", insiste Fabio. La storia sul libretto
è già finita da un pezzo; Anna Maria ha tirato a lungo
e io adesso che m'invento? "Hanno incontrato
l'uomo buono?", chiedono due boccucce e quattro
occhioni spalancati. Ho deciso all'istante:
qualcuno ha detto che le favole insegnano la vita
ai bambini, allora adesso glielo dico.
"No, hanno incontrato gli uomini cattivi,
che sparano e sparano". "Sono morti?", con un filo
di voce. "No, ma non hanno più bisogno 
dell'acqua e della riva per rimanere insieme;
adesso vanno a spasso per il cielo
la pesciolina blu e il cucciolo
di pantera. "LIla e Bert", mi gridano. "Sì, Lila
e Bert, sempre insieme nel cielo pulito".

mercoledì 25 aprile 2012

NON C ' ERANO PIÙ SASSI

È il titolo dell'ultima nata, ieri notte, alle tre.
Sempre di notte? Sì, perché nel silenzio assoluto sento solo il rincorrersi delle parole dentro la mia mente e le posso carpire al volo mentre passano e metterle insieme.


Non c'erano più sassi sulla sponda
del Reno stamattina, risucchiati
sul fondo; il gruppo dei Germani reali
tutti intorno al vecchio tronco
incagliato da decenni, la femmina
di cigno a navigar contro corrente, che 
tuffa il collo ogni minuto in acqua
scandagliando il fondale, perché cerca
muta il compagno distrutto dalle
eliche di un battello olandese
tre giorni or sono.
Tu e io nel vento a risalire la riva
fino all'ingresso del porto,
in silenzio come ogni mattina:
a meditare, pensi tu; ad ascoltare 
il mormorio di queste vite assorte,
sostengo io, ritmate dai tonfi delle onde
sul pilone del ponte nuovo della ferrovia.
E poi sostare seduti sull'erba
cogli occhi chiusi e i nostri visi protesi
verso il sole appena rapido attraversa
due banchi di nuvole.
Mangeremo il nostro pranzo più tardi, 
tanto abbiamo già saltato il Frühstück per
nasconderci in questa immobile
eternità delle cose.

Buona giornata festiva, bella gente.

lunedì 23 aprile 2012

LA PRECARIETÀ DI UN ' IDEA

Ci sono idee che ti si conficcano nella testa e ti sembrano le più stabili e giuste. Per anni; poi in un attimo evaporano come acqua sul fuoco.
Per anni avevo pensato che mia figlia Stefania non avesse fortuna con gli uomini, specie dieci anni fa quando ha divorziato.
I suoi due figli Cristina e Alessandro erano allora due ragazzini di 14 e 12 anni, che avevano visto il padre piantare la madre per andarsene con un'altra. Al posto di crollare nella disperazione e sbandare per la tangente andando a finir male come la maggior parte dei figli di genitori separati, si erano rimboccate le maniche cercando di riesumare, raccogliendo con paletta e secchiello, l'anima materna liquefatta ed esondata sul pavimento di casa.
Per prima cosa Cristina si trovò uno job: distribuiva pubblicità nelle buche postali delle abitazioni del paese. L'aiutava suo fratello, cui dava un terzo del guadagno; il resto lo divideva con sua madre. Così cominciarono a finanziarsi, e da allora, di job in job, non sono più dipesi dall'economia materna.
Li guardavo ieri a Saarbrücken scherzare coi piccoli cugini per i festeggiamenti del 22° compleanno di Alessandro. Entrambi studenti universitari: Cristina pendolare a giorni alterni all'UNI di Landau, Alessandro residente stabilmente per nove mesi all'anno in un Wohnheim per soli studenti a Saarbrücken, dove si gestisce da solo, guadagnando i suoi soldi giocando a calcio per una squadra di semiprofessionisti del campionato regionale.
Come ho detto all'inizio mi ero messo in testa -non solo io a dire il vero, ma tutti in famiglia- che la loro madre Stefania non avesse avuto fortuna cogli uomini. Mi sbagliavo: con l'uomo che si è fabbricato in nove mesi ha avuto una gran fortuna, beata lei.
Ma anche con sua figlia, si capisce.

*
Lo so che non c'entra niente, ma questa notte ho scritto una poesia, di cui alla maggioranza dei miei lettori non importerà nulla, come sostiene l'anonimo Edoardo commentando il mio post precedente, ma che piace a me.
La dedico a tutti coloro che amano la poesia, e sono molti


Un soffio d'erba, un canto di cicale,
domani incomincia l'estate dentro me.
Si interromperà per un attimo il percorso
ossessivo del pensare ai fallimenti dell'essere,
all'ammucchiarsi di giornate spente,
arcigne e indeterminate; domani si rinasce
con schiocchi di suoni e botti colorati;
domani per un attimo -un'ora, un giorno,
una vita intera- ti sentirò ancora fra le braccia
così com'eri, così come sarai.

Buona settimana gente.

martedì 17 aprile 2012

GLI ORSETTI COLORATI DI HARIBO

Dopo la pausa di politichese, da abbandonare in fretta per il cattivo odore che ne proveniva, torno al mestiere antico del poeta non maledetto e tanto meno benedetto. Come da un po' di tempo mi capita questa l'ho buttata giù una parola dietro l'altra senza interpunzione questa notte dalle 02,40 alle 02,54.
Corrette due parole, tolto una ripetizione e aggiunto una traccia di punteggiatura, ma non troppo.


GLI  ORSETTI  COLORATI  DI  HARIBO

Difesa a oltranza del pacchetto
di orsetti colorati di Haribo,
io corro e tu mi insegui; poi finalmente
d'istinto la bambina divide:
due a te, due a me.
Dammi i rossi,
intima il bambino aggressivo
e lei glieli lascia prendere.
Va bene, Fabio, ma questi li mangio io,
ok? ok? e aspetta un consenso
che non arriva perché lui ha la bocca 
piena. Ok? lo aiuta lei guardandolo fisso,
piegando e ripiegando 
il mento sul petto, ma lui se ne frega,
guarda nel pacchetto nel caso ci fossero ancora
orsetti rossi; apre le manine che ne sono
piene, controlla ma non gli bastano. Prende un paio
di orsetti blu, un paio di gialli.
Ok, mangiateli. E se ne va
disinteressato, finalmente appagato.
La sua gemella, Alessia, stampa
un sorriso di vittoria in viso
perché ha salvato almeno la metà
del bottino. Infila tutto in bocca,
strabuzza gli occhi, un po' mastica
un po' ingoia, tra un colpo di tosse
e un filo di bava sul mento
tenendo d'occhio famelica il giocattolo
che il fratello ha trovato in un angolo,
non importa quale, ma adesso dovrà 
darlo un po' anche a me.
Così fino a stasera
quando crolleranno nel sonno in un secondo.

domenica 15 aprile 2012

TALK SHOW DI CASA NOSTRA E TALK SHOW CRUCCO

Stranamente l'altro ieri in prima serata su Mediaset e sulla ZDF in due talk show, diversissimi per temperamento e conduzione, un giornalista italiano e uno tedesco parlavano dello stesso argomento, la situazione economica in Italia, che preoccupa tantissimo anche in Cruccolandia.
Se è vero che i tedeschi, per quanti sforzi facciano, non riusciranno mai a capire la nostra mentalità e il nostro modo di affrontare i problemi "all'italiana", cioè in modo per loro niente affatto serio, è altrettanto vero che nessuno da noi è in grado di capire il modo di vivere dei tedeschi.
Trascuro volutamente di riferire il punto di vista dei crucchi, uscito fuori dalla discussione dell'altra sera -che è lo stesso che sento da 40 anni-, perché non interesserebbe nessuno giù nella Bella Italia e non è quello che mi ha indotto a scrivere questo post. Voglio invece soffermarmi sopra un concetto uscito fuori da Matrix. Un giornalista ha detto: "dobbiamo saper fare quello che fanno i tedeschi per uscire fuori da ogni crisi".
Bravissimo, sette più!
Ma per fare quello "che fanno i tedeschi" bisogna essere mentalmente tedesco e vivere in Germania.
Qui la corruzione è un fatto sporadico ad opera di qualche delinquente, non un sistema, una regola comune accettata da tutti e che non stupisce più nessuno. Basti pensare a quello che è successo in questi ultimi giorni: lo tsunami piombato sulla Lega per il mangia mangia e gli imbrogli amministrativi con cifre a sei zeri, che sembrava il prolungamento dello tsunami abbattutosi sulla Margherita.
Esplosione dello sdegno nazionale di destra, di sinistra e di centro: dagli all'untore!...al rogo!...niente più soldi pubblici ai partiti politici!...subito una legge incastra furbi e mascalzoni!...pulizia e rigore!
Che cosa poteva aspettarsi il povero Pantalone, che è quello che paga per tutti? Che questa volta si facesse sul serio. Invece i partiti si sono subito, subitissimo, messi d'accordo: il sovvenzionamento pubblico continuerà -e te pareva- solo verrà richiesta la massima trasparenza. Si tratta forse di bicchieri da tenere più puliti? O non vuol dire piuttosto che da adesso in poi si esigerà che i ladri siano più accorti e meno imbecilli del Trota?
A Rosi Mauro, attaccata da tutti, non passa nemmeno per la testona capelluta e nera di dimettersi da vice presidente del Senato. Accusata di avere preso un sacco di soldoni lei a "Porta a porta" ha dichiarato che quelli erano soldi che il partito le passava in quanto segretario della SIN.PA, il sindacato della Lega, e si è portata il solito avvocaticchio con carte -che nessuno ha potuto vedere- e documentazioni che Bruno Vespa si è guardato bene dal far vedere. Intanto dimettiti cara la mia Rosi, dico io, poi parli e ti difendi quanto vuoi.
Christian Wulff, presidente della Repubblica Federale, si è dimesso per avere accettato una vacanza per lui e sua moglie pagata da un industriale della Sassonia quando lui era presidente di quel Land.
Ma questi sono comportamenti personali, c'è chi ha dignità chi no. Basta guardarla in faccia la Rosi per capire di che pasta sia. Una meridionale ai vertici della Lega Nord, mamma mia che bella botta!
Ma torniamo al grido di speranza del giornalista italiano a Matrix: "dobbiamo saper fare quello che fanno i tedeschi per uscire fuori da ogni crisi".
Dopo la capitolazione la Germania era un cumulo di macerie, una nazione avvilita e tramortita, spaccata in due, occupata dagli eserciti dei vincitori, senza più onore né dignità.
Un popolo di donne, di ragazzini e di vecchi -gli uomini o morti, o feriti o in prigionia a milioni- cominciò a mani nude ad aprir strade nelle città, liberandole dalle macerie. Col piano Marshall iniziò la ricostruzione: prima le strade e le ferrovie, poi le fabbriche, per ultimo le case; non il contrario, come successe da noi. Nel 1947 un treno da Amburgo a Monaco, mille e più chilometri, impiegava 18 ore ed arrivava; da Milano a Roma, circa seicento chilometri, un treno -se arrivava- impiegava due giorni e mezzo.
La parola d'ordine era "arbeiten", lavorare, lavorare e lavorare. Una canzoncina famosa da queste parti dice:
"Wir haben weiter in die Hände gespukt
für unsere Brutto Sozialproduckt", 
cioè a dire, ci siamo continuamente sputati sul palmo delle mani per elevare il nostro prodotto sociale lordo. E senza recriminare, contentandosi del basso mensile di quegli anni, con sindacati coscienti e intelligenti che avevano sottoscritto un patto sociale con governo e industriali.
I tedeschi hanno lavorato e basta, mentre in Italia si buttavano milioni di ore lavorative al vento, e si inventava la "scala mobile", un orrendo meccanismo che inghiottiva tutte le risorse senza garantire nulla di concreto, se non un automatico aumento quadrimestrale -se non sbaglio- nella busta paga, che produceva una costante inflazione, mentre i tedeschi stringevano la cinghia rendendo il marco la moneta più solida del mondo. Ogni anno veniva contrattato dalle parti sociali un aumento: i sindacati chiedevano il 4 o il 5%; dopo un mese di trattative ottenevano lo 0,2% e non si stracciava le vesti nessuno.
Nel dopoguerra un solo sciopero generale, chiamato dalla IG Metall, forte allora di 15 milioni di iscritti. Lo sciopero finì dopo 22 giorni per il prosciugamento dei fondi della IG Metall, già...perché dimenticavo di dire che qui è il sindacato che paga le ore lavorative saltate, non gli industriali. Fa infatti parte del loro patto sociale, e i datori di lavoro e lo stato non subiscono salassi né collassi.
Ma qui nessuno si sogna di chiamare gli industriali "i padroni", nessuno li odia, perché sono quelli che creano posti di lavoro, quindi benessere.
Certo, nessun tedesco arriva agli estremi tipicamente orientali degli operai e degli impiegati giapponesi, che ogni sera fanno un'ora di straordinario non pagata per aiutare l'azienda a crescere. Qui si pretende il pagamento di ogni minuto, ma l'ora lavorativa è un'ora di lavoro non di chiacchiere.
Alla fine della giornata. come fosse un rituale, tutti vanno al Kiosk oppure nella più prossima birreria a farsi due chiacchiere davanti a un bicchierone di birra, e l'argomento dominante delle loro conversazioni è il lavoro che fanno, di cui vanno tutti orgogliosi.
È un antico modo di dire dei lavoratori italiani in Germania: "gli italiani lavorano per vivere, i tedeschi vivono per lavorare".
I risultati sono però sotto gli occhi di tutti: in Italia la recessione oramai impera quasi incontrastata; qui è stata dimezzata la disoccupazione che era già bassa, la più bassa d'Europa. In questi ultimi anni sono stati aperti decine di centri commerciali dove la gente entra in massa e compra di tutto. Da noi chiudono i negozi grazie a 252 gabelle differenti da pagare che strozzano il sistema paese.
Dati recenti:
in Italia disoccupazione generale in aumento, a doppia cifra da anni, quella giovanile tocca ormai il 30%. Qui si sta al 4,2%, tendenza verso il basso.
In Italia la produzione industriale è in calo vertiginoso: la FIAT accusa una diminuzione di vendite del 21% rispetto all'anno scorso; dico FIAT perché è il termometro della nazione.
In Germania la Mercedes sta a +9%; BMW +8,5%; Volkswagen +12%; Audi +13%; Opel +8% , dati sull'anno scorso dove erano già in forte ascesa, malgrado la crisi globale.
Un operaio italiano non arriva a 1100 euro netti al mese, per lo stesso lavoro un tedesco al secondo anno di attività porta a casa 1800 euro.
E i benefici? E il pacchetto sociale?
Asili e nidi d'infanzia per tutti, non solo per i ricchi, perché ci sono posti a basso e bassissimo costo mensile, gratuiti per madri che vivono sole.
Assegni famigliari: primo figlio 140 euro; secondo 250; dal terzo in poi 340 euro. Naturalmente ogni mese, per 12 mesi all'anno.
Ogni mese il lavoratore trova in busta paga una trattenuta dell'1,8% per la disoccupazione. Se perde il lavoro ha diritto a un minimo di sei mesi di "Arbeitenlosen Geld", soldi della disoccupazione, pari al 68% dell'ultimo stipendio percepito. Minimo sei mesi, massimo tre anni, tempo calcolato in base al periodo lavorativo precedente ininterrotto. 
Finito questo periodo non viene buttato in mezzo a una strada -qui nessuno è abbandonato al suo destino- ma riceve gli "Arbeitenlosen Hilfe", cioè aiuto per la disoccupazione, pari al 58% dell'ultimo stipendio preso. Questi soldi fino alla pensione.
Al di sotto dei 55 anni il lavoratore disoccupato e non, può fare un corso gratuito di almeno un anno per imparare un altro mestiere in un settore che offra più opportunità e migliore retribuzione. Paga L'Arbeitsamt, l'ufficio di collocamento.
Per quanto riguarda la tasse i crucchi hanno un sistema a mio giudizio esemplare: gli scapoli pagano la prima classe, dove la tassa sull'entrata -la Einkommensteuer- è la più alta, il 19%.
Appena sposato passa alla terza classe, con tassa ridotta del 35%; tre punto zero, se è senza figli; tre punto uno, due, tre e così via con una diminuzione dell'importo della tassa a scalare. In teoria un lavoratore con sei figli a carico non paga tasse, uno con cinque solamente il 2%, io che ne avevo quattro ho pagato il 4,5% sulle mie entrate.
Visto che facile?
Che ne pensano Monti e il suo governo di cervelloni?
Ladri ci sono anche qui, si capisce, ma vengono messi in galera e ivi trattenuti fino a scontare un minimo di quattro quinti della pena. Non per nulla le porte di ingresso di ogni casa rassomigliano tutte a porte finestre con vetri smerigliati e cristalli, come la mia, tanto i rumeni e i bastardi vanno a delinquere nella Bella Italia dove non li acchiappa nessuno, e nel caso li mandano ai domiciliari, come quel farabutto pieno di cocaina fino ai capelli che ammazzò col suo furgone quattro minorenni su un ponticello nelle Marche: fu mandato per quattro mesi a soggiornare in un albergo ancora chiuso per la stagione sulla riviera di Fano.

Quel giornalista di Matrix si metta l'anima in pace: gli italiani per colpa della loro mentalità e dei loro vizi congeniti non arriveranno mai al benessere tedesco. Prima dovrebbero imparare cosa significa lavorare e sacrificarsi; poi dovrebbero cambiare l'intera classe politica, da quella nazionale a quella locale; infine liberarsi della Mafia, della Camorra, della Ndrangheda e Sacra Corona.
Pensate che sia mai possibile ottenere tutto ciò?
Io no.

mercoledì 11 aprile 2012

IO STO CON GÜNTER GRASS

Alla fine di marzo 2012 lo Stato di Israele e la Repubblica Federale Tedesca hanno sottoscritto un accordo che prevede la consegna di un sommergibile -il sesto negli ultimi tre anni- adattato al lancio di missili di media e lunga gittata.
Alla notizia ha reagito il Nobel per la letteratura Günter Grass.
Il 4 aprile la "Süddeutsche Zeitung" ha pubblicato un suo testo poetico, in cui il Nobel espone alcuni dati di fatto sull'armamento nucleare dello Stato Sionista, e sui rapporti tesissimi tra Israele e la Repubblica Islamica dell'Iran, sostenendo semplicemente che l'arsenale atomico di Israele, realmente esistente, rappresenta una minaccia più seria per la pace mondiale della ipotizzata atomica iraniana.
Le sue considerazioni sono state gabellate e marchiate come "la esternazione antisemitica del giorno", perché in Germania e nel mondo occidentale il non incensare il governo di Israele e la sua politica equivale al delitto orrendo di antisemitismo.
Lo Stato di Israele ha definito Grass persona non gradita, impedendogli ogni futuro viaggio nei suoi territori; arrivando a dire che egli, oggi a 84 anni, continua a scrivere indossando ancora la divisa delle SS, dimenticando che alla fine della guerra Günter Grass aveva appena compiuto 17 anni e quindi faceva parte della Hitlers Jugend, come quei ragazzini di 14 anni che si sono fatti ammazzare dai sovietici a Berlino nel 1945 per il Führer e la Vaterland, con la divisa della Wehrmacht che gli andava troppo larga.
Purtroppo i morti dei vincitori sono martiri e santi; quelli dei vinti sangue sprecato di delinquenti comuni. Così è avvenuto per i giovanissimi partigiani italiani, tanti, morti per mano dei fascisti i cui nomi campeggiano su decine di steli, mentre dei ragazzini di 16 anni della Repubblica di Salò sono stati perfino cancellati i nomi sulle lapidi. Come se non si avesse il diritto a quell'età di seguire l'impulso del cuore, il diritto di credere -ognuno di loro,  bianchi, neri e rossi- nella santità della loro causa.
In Italia il Corriere della Sera ha riportato il titolo della poesia di Günter Grass e alcuni brani a sua scelta per dimostrare artatamente la lesa maestà del governo di Tel Aviv.
"La Repubblica" ha riportato il testo integrale con una traduzione indecente.
Questo è il testo tradotto alla lettera

Günter Grass - Was gesagt werden muss, Quello che va detto.

Perché taccio e passo sotto silenzio troppo a lungo
una cosa che è evidente e si è messa in pratica in giochi di guerra
alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo al massimo delle note a piè di pagina.

Il diritto affermato ad un decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano,
soggiogato da un fanfarone
e spinto alla gioia organizzata,
perché nella sfera di quanto gli è possibile realizzare
si sospetta la costruzione di una bomba atomica.

E allora perché proibisco a me stesso
di chiamare per nome l'altro paese,
in cui da anni -anche se si tratta di un segreto-
si dispone di crescenti capacità nucleari,
che rimangono fuori dal controllo perché mantenute
inaccessibili?

Un fatto tenuto genericamente nascosto:
a questo nascondere sottostà il mio silenzio.
Mi sento oppresso dal peso della menzogna
e costretto a sottostarvi, avendo ben presente la pena in cui si incorre
quando la si ignora:
il verdetto di "antisemitismo" è di uso normale.

Ora però, poiché da parte del mio paese,
un paese che di volta in volta ha l'esclusiva di certi crimini
che non hanno paragone, e di volta in volta è costretto a giustificarsi,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile
-di nuovo per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta si parla di "riparazione"-
in grado di dirigere testate devastanti laddove
non è provata l'esistenza di una sola bomba atomica,
una forza probatoria che funziona da spauracchio,
dico quello che deve essere detto.

Ma perché ho taciuto fino ad ora?
Perché pensavo che le mie origini,
stigmatizzate da una macchia indelebile,
impedissero di aspettarsi questo dato di fatto
come una verità dichiarata dallo Stato d'Israele;
Stato d'Israele al quale sono e voglio restare legato.

Perché dico solo adesso,
da vecchio e col mio ultimo inchiostro,
che le armi nucleari di Israele minacciano
una pace mondiale già fragile?
Perché deve essere detto
quello che domani potrebbe essere troppo tardi per dire;
anche perché noi -come tedeschi già con sufficienti colpe a carico-
potremmo diventare quelli che hanno fornito i mezzi necessari ad un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
varrebbe a cancellare questo.

E lo ammetto: non taccio più
perché sono stanco
dell'ipocrisia dell'Occidente; perché è auspicabile 
che molti vogliano uscire dal silenzio, 
che esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo che si va prospettando
ed insistano anche perché
un controllo libero e senza limiti di tempo
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
esercitato da una organizzazione internazionale
sia consentito dai governi di entrambi i paesi.

Solo in questo modo per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora per tutti gli uomini che vivono
da nemici confinati in quella regione
occupata dalla follia
ci sarà una via d'uscita,
e alla fine anche per noi.

Che ognuno dei miei lettori consideri quanto "antisemitismo" ci sia in questi versi.
E queste sono le mie personali considerazioni.
Era ora che un membro importante della Intellighentia tedesca uscisse allo scoperto: lo ha fatto Günter Grass, scusandosi di essere arrivato solo adesso "gealtert und mit letzter Tinte", ormai vecchio e con l'ultimo inchiostro, a dire ciò che da anni teneva nel gozzo.
Era ora che qualcuno dicesse a chiare note che la politica dello Stato Sionista fu aggressiva fin da prima della sua costituzione.
Begin, più tardi eletto Primo Ministro, era il capo di una banda di terroristi che mettevano bombe nelle caserme degli odiati occupanti inglesi provocando decine di morti.
Tutte le guerre condotte contro i suoi vicini, infinitamente inferiori per armamento e conduzione militare, si sono concluse con la vittoria di Israele e la conquista di territori mai abbandonati -le alture siriane del Golan- o restituiti dopo lunghi anni di laboriose trattative, come la penisola egizia del Sinai.
La creazione abusiva e contrastata invano da tutti i segretari dell'ONU -invano, perché puntuale come la morte arrivava il veto degli USA a bloccare qualsiasi risoluzione avversa a Israele- di insediamenti mai abbandonati in territori palestinesi mai restituiti.
L'erezione di un muro ai confini della ridottissima striscia di Gaza, che nessuno, NESSUNO, ha mai osato definire muro della vergogna, come veniva chiamato quello di Berlino.
La riduzione di ciò che resta dello Stato Palestinese a una strisciolina indifendibile, dove anche i cani randagi di Israele vanno a pisciare.
Il trattare un popolo sovrano che sta in quello che è sempre stato territorio della Palestina -leggi la Bibbia o vedi le carte dell'antico Impero Romano conservate nei Musei Vaticani- come uno stato vassallo e privo di diritti. Ma per loro va bene così visto che danno enorme valore al Talmud, che dice che i non-ebrei sono bestie da opprimere e sfruttare senza pietà (Baba Mzia 114 b), contravvenendo a Mosè, che raccomanda "Ama lo straniero, perché anche tu sei stato straniero in terra d'Egitto" (Esodo 12:49; Levitico 24:22; Numeri 9:14 eccetera).
Il fatto incontrovertibile è che l'Olocausto ha dato ai governanti di Israele una cambiale in bianco, e qualsiasi cosa facciano va bene a tutti. La scusa è il terrorismo islamico contro Sionne. Si dimentica troppo facilmente però che il terrorismo di Israele nasce per primo assoluto nel 1946 con gli attentati agli inglesi della banda Begin, mentre il terrorismo islamico nasce decine di anni dopo -"Settembre nero"- a causa delle stragi compiute dai soldati israeliani nei campi dei profughi palestinesi nel Libano.
Augusto Guerriero, in arte Ricciardetto, presidente di Corte d'Appello in pensione e squisito scrittore, sosteneva sulle pagine di Epoca negli anni 60 che la tragedia stava nel fatto che entrambi i contraenti, Israeliani e Palestinesi, avevano ragione e nessuno aveva torto.
50 anni dopo siamo ancora lì, e non per colpa dei Palestinesi, a mio modesto giudizio.
Firmerò il pezzo per esteso a significare che le idee ivi espresse sono esclusivamente mie, ed io ne assumo la completa responsabilità.

VINCENZO  IACOPONI




lunedì 9 aprile 2012

CONTATTO 3429

Il ragazzo avvicinò il pollice al medio della mano destra rivolgendo le due dita unite verso la finestra. Immediatamente la stanza si oscurò e la finestra sparì. Al suo posto apparve prima una massa ovale morbida e gelatinosa, che subito si illuminò lasciando spazio ai contorni di una testa femminile; un attimo dopo il volto di Gail, la sua amica designata, comparve in 4D nei dettagli di un bosco che le faceva da sfondo.
Il ragazzo unì anche pollice e medio della mano sinistra, puntandoli verso l'immagine apparsa e aprì le braccia. L'immagine si allargò riempiendo l'ambiente, e il ragazzo si trovò in quel bosco, ascoltandone i rumori, percependone gli infiniti odori, quasi a contatto fisico con Gail, che avrebbe anche potuto abbracciare.
-Ciao Bris. lo salutò lei; hai novità?
-Ieri sera è tornato mio padre dalla sua missione nel settore WZ20 del sud della Galassia, rispose il ragazzo.
-Ho ricevuto in diretta la notizia sul mio modem.
-Hai avuto la sua intervista e parte della sua relazione, come tutti; ma a noi ha raccontato cose incredibili.
-Cosa aspetti a dirmele?
-È stato di nuovo sul Pianeta blu.
-Quello che ha meno della metà dei nostri anni?
-Ti ho già spiegato che non è così: il loro anno ha 365 giorni perché si trovano più distanti dal loro sole, che è più grande del nostro. Noi abbiamo un anno di 132 giorni. In effetti abbiamo la stessa età: saremmo anche noi nel 2014 se il nostro pianeta avesse la stessa orbita.
-Lascia perdere, ché tanto non lo capirò mai. Che ha trovato stavolta? Fanno ancora guerre?
-Sembra che quello sia il gioco che gli riesce meglio. Questa volta mio padre ha soggiornato a lungo in quella penisola dalla forma di uno stivale da donna, dove la gente è sempre allegra e canta, suona e balla tutto il giorno.
-Che fanno adesso? Si divertono sempre così tanto?
-Macché! La bella vita è finita. Mio padre mi ha raccontato che tanti si suicidano e tutti girano armati. Per un nonnulla scoppiano tumulti con morti e feriti.
-Cosa gli sta capitando? Una malattia epidemica?
-Mio padre dice che non hanno il lavoro.
-E che roba è il lavoro?
-Sembra che su quel pianeta tutti debbano fare qualcosa di faticoso per avere cibo.
-Faticare per avere cibo? Mai sentito.
-Eppure è vero: loro non hanno le assegnazioni e per avere cibo devono faticare.
-Che schifo!
-Sì, uno schifo. Ma adesso anche faticando non ottengono il cibo necessario.
-E per questo si ammazzano?
-Per questo. Pensa che non hanno più case: la gente vive per strada. Di notte alzano tende nelle piazze e fanno fuochi come nei bivacchi per riscaldarsi.
-Una gran brutta storia mi stai raccontando.
-Mio padre dice che non durerà molto e che tutti saranno morti in poco tempo.
-Meno male che qui da noi questo non succederà mai.
-Perché siamo più intelligenti di loro.
-Devo lasciarti, Bris; ho una riunione del nostro collettivo.
-Alla prossima Gail.
Il ragazzo staccò pollice e medio di entrambe le mani e chiuse il contatto. Era felice: gli piaceva raccontare alla sua amica designata storie straordinarie e terribili come quella.

giovedì 5 aprile 2012

COME UCCIDERE UNA NEMICA

-Non vuole leggere le domande? Lo fanno tutti.
-Preferisco di no, ci rimetterebbe la spontaneità.
-Guardi che andiamo in diretta, non si può tagliare niente. Vuole ripensarci?
-Va bene così: lei mi fa le domande e io rispondo.
Dopo venticinque minuti dove la giornalista leggeva da una scaletta e l'intervistato rispondeva a braccio, arrivò l'ultima domanda: 
-Dove trova le trame dei suoi romanzi, con intrecci così complicati e suggestivi?
-Le trame me le sogno.
-Cosa?
-Mi vengono in sogno.
-È incredibile.
-Eppure è così. Fin da piccolo sognavo storie complicate, sogni a colori, bellissimi. Appena svegliato prendevo un quaderno e mi scrivevo il sogno. Così sono nati i miei primi racconti. Poi ho continuato a sognare e a trascrivere i miei sogni. Anche adesso è questo il mio metodo creativo.
-Vuol farmi credere che anche il suo più recente bestseller, "Ultima uscita per Calcutta", così complicato e con tantissimi personaggi lei lo abbia sognato in una notte?
-Non in una notte, in tante notti successive.
-Sempre lo stesso sogno?
-È un'altra mia caratteristica: sognare a rate, sempre a colori vivacissimi.
L'intervista terminò, ma la giornalista aveva il naso arricciato.
-Io gliela passo per buona, come un vezzo d'artista.
Ma non se lo era inventato per capriccio: Ino Pocai sognava le trame dei suoi romanzi.
-Quasi ogni notte mi tengono vivo i miei sogni colorati, aveva aggiunto fuori onda alla sua intervistatrice.

Non gli fu facile uscire dal parcheggio degli studi televisivi. Mentre si immetteva faticosamente nel traffico gli vibrò in una tasca il cellulare. Introdusse l'auricolare in un orecchio e aprì il contatto.
-Dimmi.
-Intelligenti le domande.
Poteva immaginarsela Gianna, sdraiata sul divano con le gambe accavallate e il sorriso misterioso della Gioconda in viso.
-E le risposte?
-Un po' meno.
Come aveva previsto.
-Cosa non ti è piaciuto?
-Potevi far a meno di raccontare la storia dei tuoi sogni in tecnicolor. La bella roscia non ha creduto una parola e il tuo pubblico, i tuoi amatissimi lettori, forse anche meno.
-Ho detto la verità, e tu lo sai.
-Io so quello che mi racconti tu. Te lo dico sempre: tu parli troppo, dovresti limitarti a scrivere.
Lei chiuse il contatto e lui rimase col fiele in bocca.
La solita Gianna di tutti i giorni, acre e repulsiva come un polo elettrico dello stesso segno.
Diede un colpo all'acceleratore che lo portò quasi a investire l'auto che lo precedeva. Chiese scusa con un gesto della mano. 
Non sarebbe mai venuto a capo di quella situazione: Gianna era ormai diventata un ostacolo insormontabile e la colpa era esclusivamente sua, per averle dato troppa importanza. A sua moglie interessava poco quello che lui scriveva, forse perché non ci capiva un'acca, ma lui l'aveva sempre consultata lasciandola sproloquiare per mezza giornata. Serviva a tenerla buona, si diceva, a farla sentire partecipe, a non intristirla in un isolamento intellettuale; ma lei non aveva le physique du rôle, e magari non era troppo intelligente come sempre Ino si era ostinato a credere, forse per convincere se stesso della felice scelta fatta e per non rassegnarsi all'idea di essersi portato in casa una nemica.
A casa un bacio di sfuggita, poche parole a cena, un programma musicale alla TV e niente altro.
Quella notte Ino sognò di alzarsi dal letto e di camminare per le stanze a piedi nudi in cerca di qualcosa. Non aveva idea di cosa fosse, ma aveva il sentore di un evento. 
In un istante, come accade nei sogni, dal buio estremo esplose la luce coi colori vivaci della loro cucina. 
A terra giaceva Gianna, immersa in una pozza di sangue senza confini, sgozzata da un coltello, lo stesso che teneva adesso lui con le sue mani lorde del sangue di sua moglie.
In quella fantasmagoria di colori luminosi gli accecava gli occhi il rubino violento del sangue allargato sull'ocra delle mattonelle. Poi il suono blu delle sirene della polizia gli lacerò le orecchie fino a svegliarlo.
Il respiro di Gianna accanto a lui era fievole e cadenzato.
Ino lasciò la stanza in punta di piedi riparando in bagno. Fissò il suo volto magro nello specchio.
Come idea non valeva niente, pensò: nessuno ammazza la moglie sbrodandosi del suo sangue, almeno non in un romanzo di uno scrittore capace.
Aprì comunque nel suo portatile una nuova cartellina per trascrivervi l'ultimo suo sogno; non si poteva mai sapere.
Per titolo scrisse: "come ammazzare una donna". Rimase un attimo assorto, poi cancellò "donna" e scrisse "signora".
Riassunse il sogno assai brevemente e chiuse la cartella. Ma non si decideva a togliere il programma. Aprì di nuovo la cartella e cambiò il titolo. "Come uccidere una nemica". Adesso gli suonava bene, poteva tornarsene a dormire.

Rientrato a casa per il pranzo trovò sulla tavola al posto delle stoviglie una serie di quotidiani. Stravaccata sul divano Gianna teneva in mano una copia del Corriere della sera.
-Ecco la recensione che mancava, quella del tuo grande amico.
-Che scrive?
-Cose fantastiche! Tanto per cominciare: "le descrizioni dei paesaggi sono assolutamente inverosimili". Ancora: "alcuni personaggi sono strapazzati, altri messi lì a caso; quelli del vescovo luterano e di sua moglie non sono affatto credibili, ma buttati giù con la zappa". Bell'amico!
-Strano. Gli telefonerò dopo mangiato.
-Lascia perdere. È tutta colpa di quella tua fantastica intervista alla TV. Leggi cosa ne scrivono sui giornali. Sei su tutte le terze pagine: il sognatore favoloso. Una bella figura di merda hai fatto alla TV, mio caro.

Alla notte Ino sognò Gianna affossata nella sabbia di un'isola tropicale. Enormi granchi dalla corazza rosso fuoco la attaccavano al collo con gigantesche chele.
Trascrisse tutto nella cartella perché c'era qualcosa di fresco e di originale nei granchi aggressori.
La notte successiva sognò una serie di topi morti, che teneva in una cella a temperatura costante per produrre cadaverina e putrescina. 
Non capiva bene il senso di quella coltura biochimica, ma trascrisse anche i topi nella cartellina del suo portatile. La notte dopo gli fu chiaro il significato: a piccolissime dosi nel caffè quelle due sostanze non davano cattivo sapore ed erano un veleno mortale e introvabile per gli esperti, dal momento che si formano in ogni cadavere dopo poche ore.
Decise di sopprimere la cartellina: il gusto era diventato eccessivamente macabro.
Per alcune settimane non sognò più nulla, né a colori né in bianco e nero.

Un sabato mattina si alzò presto e preparò la colazione per due: toast, burro, marmellata di albicocche e caffè nero poco zuccherato, come lo beveva Gianna. Mise tutto in un vassoio e lo depose sul lettone dove Gianna ancora dormiva.
Tirò giù le tapparelle a metà e lei aprì gli occhi. Annusò subito il buon odore del caffè. Sollevò la testa e vide il vassoio ricolmo.
-Che bravo! L'unica volta che lo hai fatto eravamo sposati da tre giorni.
-Voglio farlo adesso tutte le mattine. Sei contenta?
-Contentissima, direi. Così si comportano i bravi mariti.