lunedì 17 settembre 2012

SABRINA DEI MIRACOLI

Sedette rigidamente sulla sedia che l'altro gli stava indicando. Era madido di sudore.
-Mi dica la verità, professor Befani.
-Ci sono poche speranze per suo padre, ingegnere. Se non si trova un fegato entro sessanta ore sarà la fine. 
-Mio padre non può morire così, professore.
-Tutti i figli dicono questo, ma io e lei sappiamo che la vita spesso tradisce.
-Non parlo da figlio ma da scienziato: solo mio padre conosce i passaggi e i meccanismi per ultimare il suo studio. Sarà una scoperta essenziale per l'umanità. Non può morire adesso.

Quando l'ingegnere chimico Alberto Cotronei quel lunedì mattina uscì dalla stanza del primario di urologia era distrutto: anni di ricerche per nulla, una valanga di denaro della famiglia e dei soci buttata al vento e l'uomo più importante della sua vita arrivato alle ultime sessanta ore. 
Nemmeno si accorse della giovane dottoressa al suo fianco che gli parlava. Lei lo afferrò per un gomito.
-Cosa? L'apostrofò lui sgarbato.
-Si rivolga a Sabrina. Fa miracoli.
-Non ho bisogno di un miracolo, ma di un fegato buono da trapiantare.
-Appunto. Ci pensa Sabrina. Prenda, questo è il suo numero telefonico.
E gli mise in mano un cartoncino: "Sabrina, 0138773128".
-Non dimentichi di telefonare.
E se ne andò.
Ma lui telefonò a Londra, all'azionista di maggioranza, e poi a New York. Ma nessuno era in grado di risolvere il problema. Aspettò fino alle 22 passate la risposta da New York. Negativa.
Si prese la testa fra le mani. Tutto finiva così. Aprì il portafogli, non sapendo nemmeno cosa cercava. Gli capitò sotto le dita il cartoncino che gli aveva dato la giovane dottoressa.
"Perché no, pensò; cosa costa tentare?", e fece il numero sul suo cellulare.
Dopo tre squilli si attivò la segreteria telefonica. La solita comunicazione di sempre: "Dopo il segnale lasciate un messaggio".
Richiuse. Giornata assolutamente negativa.

All'una di notte squillò il cellulare, tre, quattro, cinque volte, finché l'ingegner Alberto Cotronei si decise ad aprire il contatto.
-Sono Sabrina Ferri, lei mi ha cercato.
-Non sono certo di avere fatto la cosa giusta.
-Che organo le occorre: un cuore? Un rene?
-Fegato.
-Allora dovrà spettare.
-Quanto?
-Minimo quattro mesi.
-Mio padre entro meno di sessanta ore morirà.
E chiuse rabbiosamente il contatto.

Il suo cellulare squillò di nuovo dopo due minuti.
Lesse sul display il numero di Sabrina Ferri.
-Cosa vuole ancora?
-Ci sono casi in cui si può fare tutto in fretta.
-E quanto costa questa velocità?
-Per un fegato non meno di trecentomila.
-E chi mi garantisce il buon esito dell'impresa?
-Io, Sabrina Ferri, personalmente.
L'ingegner Alberto Cotronei sparò una risata nel cellulare e chiuse il contatto. Per sempre, pensava, ma durante la notte non riuscì a chiudere occhio.
All'alba riaccese il cellulare e fece il numero della Ferri.
La donna rispose dopo qualche istante.
-Quando, dove e a chi consegno il denaro? 
Fu la domanda di Alberto.
-Prima è e prima si conclude, rispose la donna.
-Devo portarglieli a casa?
-No, ingegnere: io e lei non ci incontreremo mai.
-E allora come si fa?
-Li darà alla dottoressa con cui ha parlato ieri.
-È così che funziona?
-Sì, ingegnere: è così che funziona. Un ultima cosa, ingegnere.
-La ascolto.
-In contanti...
-Non sono un principiante Sabrina, la interruppe.
-...in fogli da 100 e 50 euro.
-E se dovesse andar male?
-Andrà tutto bene, ma lei si sbrighi, non c'è più tanto tempo.

Un quarto d'ora dopo l'ingegnere telefonò al maggior socio di minoranza. Erano amici d'infanzia, mezzo imparentati per via di un matrimonio.
-Mi occorrono entro stasera trecento mille in fogli da 50 e da 100. Non posso muovermi con la situazione che ho con la mia banca. 
-Chi ti ricatta?
-Nessuno. Mi serve il contante per un fegato nuovo per mio padre. Organizza con gli amici sicuri.
-Non c'è problema, purché funzioni.

Alle otto di sera del martedì l'ingegnere consegnava alla giovane dottoressa del reparto oncologia dell'Ospedale civico una borsa piena di soldi. Un'ora dopo in una clinica privata veniva portato a termine felicemente il trapianto.

Quasi alla stessa ora, a bordo di un aereo che sorvolava il Mediterraneo diretto a Genova, Filippo Noceroni si teneva la testa fra le mani. Sua moglie Miriam, che all'andata sedeva accanto a lui, adesso stava nel reparto bagagli chiusa in una cassa di mogano sigillata, e non c'era dubbio che la colpa fosse tutta sua, pensava Filippo. Aveva la bocca piena di saliva ma non poteva sputarsela in faccia.
Miriam odiava volare; Miriam soffriva d'asma fin da bambina e non sopportava il caldo afoso; Miriam aveva orrore degli insetti, soprattutto degli scarafaggi; Miriam aveva bisogno di quiete e di tranquillità.
E lui, per festeggiare il terzo anniversario di matrimonio, l'aveva costretta a volare in un aereo di una di quelle compagnie a basso costo che pullulano ormai nei cieli; l'aveva portata a Tunisi nel caldo torrido dell'estate africana; trascinata in strade e stradine maleodoranti, dove gli scarafaggi stavano sicuramente nascosti dietro ogni pietra; in mezzo a gente che non parlava mai ma gridava sempre.
Quattro giorni infernali finché le era esplosa quella schifosa malattia. Un'infezione irreversibile, mortale che l'aveva stroncata in meno di 24 ore.
Nell'ospedale gliel'avevano fatta vedere solo un attimo mentre la portavano via con tutto il lettino, spinto da due infermieri imbacuccati in tute bianche dalla testa al suolo, anche le scarpe dentro le tute, come si era dovuto imbacuccare Filippo per mettere piede nel reparto.
Miriam cogli occhi semichiusi affondati nel cranio; Miriam smunta e pallida come se non avesse mai mangiato; Miriam infinitamente immobile.
In meno di un mese avrebbe compiuto 25 anni.

Arrivato al Cristoforo Colombo, mentre firmava documenti alla dogana, Filippo riaccese il suo cellulare. C'erano alcuni messaggi, condoglianze per lo più. Gli ultimi due portavano solo un numero telefonico: 0138773128, e l'invito a mettersi subito in contatto.
Lo fece una volta giunto nella sua stanza d'albergo.
-Sono Sabrina Ferri; non ci conosciamo, ma io ho una brutta notizia da comunicarle.
-Dopo quello che è successo non può più addolorarmi niente. Spari pure la brutta notizia.
-Lei ha riportato in Italia una bara piena di sassi.
A Filippo occorse più di mezzo minuto per assorbire bene la notizia.
-Ma che cazzo dice?
-Quella che si appresta a tumulare al suo paese è una cassa piena di pietre.
-E mia moglie dove sarebbe, secondo lei?
-È rimasta nell'ospedale.
-L'ho vista morta.
-La sua salma non si è mai spostata da quell'ospedale.
Filippo non riusciva a capire il senso di quelle parole.
-E che se ne dovrebbero fare di un cadavere?
Sentì un lungo respiro dall'altra parte.
-Gli organi di una giovane donna di 25 anni sono un bene prezioso. Valgono un capitale.
-Non valgono niente, invece. Mia moglie è morta di una malattia infettiva fulminante.
-Questo è quello che hanno detto a lei. Non era morta quando gliel'hanno fatta vedere per l'ultima volta.
Filippo in un attimo la rivide lontana, lontanissima da lui, affondata in un lettino. Ma non voleva darsi per vinto. Sarebbe stato troppo.
-Non le credo, non credo nemmeno a una parola.
-Lei ha portato indietro una bara piena di sassi. Questa è la verità.
-Va all'inferno, strega!
Chiuse il contatto e sbatté il cellulare sul letto furiosamente. 
Ma quella notte non dormì.
Al mattino aveva gli occhi gonfi e rossi. Chi lo vide pensò che avesse pianto. Normale, se ti muore una moglie giovane e bella di cui sei innamorato matto.
Duecento chilometri accanto al guidatore del furgone funebre senza spiccicare parola. L'uomo c'era abituato e non disturbò il suo dolore con chiacchiere inutili.
Fino al cimitero del suo paese, dove c'era una folla ad aspettare.
Strilli e pianti, come Filippo si era aspettato. Condoglianze che nemmeno sentì e pacche sulla spalle che nemmeno avvertì.
E Andrea Squitteri, il custode del cimitero, vestito di nero. Era amico di Filippo. Stessa classe; giocava terzino nella squadra dove lui aveva giocato sette anni.
Andrea lo abbracciò, senza dire una parola e lo accompagnò alla camera ardente, dove il giorno dopo avrebbero fatto la funzione religiosa.
-Questa sera vengo a casa tua, gli disse Filippo. Ti devo chiedere un favore.

Andrea aveva appena finito di cenare quando Filippo suonò al citofono.
-Arrivo subito, gli gridò dalla finestra.
Scese e se lo trovò davanti coi vestiti strapazzati. "S'è buttato sul letto vestito, pensò Andrea. Devo fare qualcosa per tirarlo su".
-Prendi la macchina, gli disse Filippo.
-Da che parte vado? Gli chiese Andrea appena acceso il motore.
-Al cimitero.
Andrea lo capiva. Filippo giocava in porta e ogni gol che pigliava gli veniva da piangere. Non si incazzava come gli altri, lui piangeva e si dava la colpa di tutto.
"Come adesso, pensò Andrea. Si starà dando la croce addosso per la morte di Miriam, e chissà se troverà mai pace".
Mentre parcheggiava la macchina lo vide correre verso il cancello d'ingresso. Rimase lì impaziente. Andrea affrettò il passo.
-Alla camera ardente, gli disse Filippo.
-Lo avevo capito, ma adesso calmati.
La bara era lì, nuda; i ceri a quell'ora naturalmente spenti.
-Prendi un cacciavite e aprila.
"Oh Dio, pensò Andrea; gli ha dato di volta il cervello".
-Stammi a sentire, Filippo...
-Apri la cassa e non dirmi niente.
-È morta, Filippo! Non torna in vita.
-Apri Andrea!
-C'è l'involucro di zinco dentro...non la potrai rivedere.
-Apri sta cassa del cazzo!
Furioso contro se stesso per non riuscire a rifiutargli quella pazzia, Andrea prese da un armadio degli attrezzi un cacciavite elettrico e lo mise in moto. Svitò tutte le sedici viti e sollevò il coperchio.
-Che cazzo è questo? e guardò Filippo, che gli stava davanti a bocca spalancata.
-Dov'è Miriam? Che fine ha fatto? Filippo, questi sono sassi.
-Richiudila, riuscì a dire Filippo.
Piangeva a dirotto.
-Bisogna avvisare i carabinieri. Sai che casino.
Filippo gli afferrò le mani.
-Tu non dirai niente. Niente di niente, hai capito? Rimarrà una cosa tra me e te. Domani la mettiamo nella tomba di famiglia.
-Ma cosa ci mettiamo, le pietre? Che è successo a Tunisi?
-Mi hanno fregato. Se la sono tenuta per tirarle via gli organi e farci un pozzo di quattrini.
-Ma era una malattia infettiva. Che ci fanno con quegli organi? Sono marci.
-Non era vero niente, non capisci? Forse non era nemmeno morta a l'hanno ammazzata dopo che sono partito.
-E tu che vuoi fare adesso?
-Non lo so, ma c'è chi mi aiuterà.
-Torni laggiù?
-Non lo so, ma questa persona mi aiuterà.
-Vengo con te.
-Non se ne parla. Me la sbrigo da solo. Adesso chiudi sta cassa Andrea, e non dire mai cosa hai visto.

La sera del giorno dopo, con la cassa tumulata nella tomba, tenendo gli occhi a terra per non incontrare quelli di Andrea che lo cercavano disperatamente, quando l'ultimo dei soliti rompipalle si fu accomiatato, fece immediatamente il numero di Sabrina.
Rispose al terzo squillo.
-Cosa devo fare, Sabrina?
-Vuoi giustizia? Vuoi sapere la verità o cosa vuoi?
-Voglio i suoi resti.
-Allora devi tornare a Tunisi: sono lì, nell'ospedale dove è morta.
Filippo Noceroni aveva mille cose da chiedere. L'impresa gli sembrava impossibile. Sabrina capì al volo il suo disagio.
-I medici ti faranno vedere una serie di documenti dove sta scritto che la salma è stata cremata e le ceneri disperse in mare per via dell'infezione. Tutto falso.
-E come faccio allora? Non ho una chance. Forse all'Ambasciata...
-Non ti darà retta nessuno. Per loro la pratica è chiusa e tu oggi hai seppellito tua moglie.
-Allora?
-Al tuo arrivo all'aeroporto ti avvicinerà un giovane medico: è francese, si chiama Paul Silvestre. Ti dirà lui cosa devi fare.
-Grazie di tutto Sabrina.
-Figurati.
Sabrina chiuse il contatto e se ne andò a dormire.

Due giorni dopo, in un ristorante del centro all'ora di pranzo, il cellulare le vibrò in una tasca. Lesse sul display: "Paul". Aprì subito il contatto.
-Dimmi.
-Tutto sistemato.
Sabrina chiuse il contatto con un sorriso.
Fece immediatamente il numero di una clinica di Zurigo.
-Sono Sabrina, disse al suo interlocutore. Maschio bianco, sano, di 28 anni; organi perfetti. Saranno stasera al vostro aeroporto con un aereo taxi, come previsto.
Chiuse il contatto soddisfatta e ordinò una bistecca al sangue con patate al forno.









21 commenti:

  1. no dico...sparisci per più di un mese, e ci sta, ma se vede che te sei riposato per bene. M'hai fatto sta co l'occhi incollati allo schermo pe tutto er tempo de legge, er fiato corto e la fine...la fine bo manco le parole me sortono fora...a Vincè vaffanculo.:D

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    1. Er vaffa vor di che t'è piaciuto, no?
      Doveva da finì così, nun poteva aritrovalla magara sottobraccio cor dottore tunisino.
      Me fa piacere aritrovatte pimpante in pompa magna...
      Te saluto Mariagrà.

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  2. Ciao Vincè bentornato!
    Nemmeno io trovo le parole..sono basita
    Buona serata :D

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    1. Ciao Claudia.
      Vale per te quello che ho detto a Mariagrazia. Purtroppo le cose funzionano in questo modo. Non sarà mai capitato a gente del nostro paese, che io sappia, ma guarda che tanti poveri negretti e negrette finiscono sul tavolo del macellaio per i loro organi interni. È un commercio di tante centinaia di dollari all'anno, nessuno sa quanti.
      L'idea l'avevo da un pezzo, il sole de'agosto l'ha fatta maturare.
      Ciao.

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    2. Volevo dire centinaia di milioni di dollari, forse miliardi, ma qualcosa era rimasto nell'aria, anche se si capiva....

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  3. si il vaffa poteva solo di che m'era garbato assai...si no te dicevo: ma vedi de nattene a fan...:DDD

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    1. Appunto! Me stavo a di, ma a questa che jè preso tuttanbotto: nun la riagguanto più ner webbe, me s'ammucchia coll'americani, me manna affanculo così senza manco invitammece a annà affanculo. Mo che me l'ai detto me sento tanto mejo.
      Grazzie Mariagrà, sei sempre l'istesa e questo me da propio na gran consolazzione.:DDD

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    2. Vincè stai tranquillo che io sto bene. C'ho solo un po de cavoli da risorve, cose non facili, ma tanto io so nata pe sta n'salita. Si trovo na discesa magara precipito, che nun so abituata. E' stato un periodo difficile su parecchi fronti, ma tanto n'do te giri te giri tutti li stessi problemi c'avemo. Chi più chi meno. Io so na mamma sola, devo lavorà e m'arrabbatto pe arriva a fine mese...e tante vorte faccio fatica. Sto sempre alli comodi delli signori che me devono pagà...e vanno in vacanza sti stronzi co li sordi mia...ma triste chi c'ha bisogno, sinnò un vaffanculo, ma de quelli veri mica quello che t'ho detto a te, nu glielo levava nissuno. un abbraccio Vincè, che a te me pare de parla co mi padre che ho perso troppo presto...

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    3. bè certo che l'avevo capito che quarcosa te angustiava, magara robba de core, magara robba de quatrini, che poi gira gira sempre de quello se tratta. Io puro nun sto tanto a sguazzà nell'oro, manco ner bronzo si è pe quello. Che te devo da dì: tirete su er morale, che tanto più te ce ncazzi e peggio vanno le cose. L'unica è come cor mar de testa, piasse na pasticca e annà a dormì.
      Me fa piacere sentitte dì che te pare de parlà co tu padre, ma me dispiace che l'hai perso troppo presto.
      Me parerebbe che co li du ommini tua più vicini ciai avuto sfiga nera. Succede, voi dì che lassù quarcuno te vo bene forte e nun te perde d'occhio.
      Ciao Maragrà, me stai ner core.

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  4. Ciao Vincenzo!
    La tua idea maturata sotto il sole d'agosto si è realizzata al meglio,un racconto da gara!
    Buona serata ^ _^

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    1. Sapessi! Tenevo in macchina un libretto per scrivere appunti sui chilometri e ste cose così. Faccio benza e pio sto libretto pe scrivece quanti sordi e quanti chilometri m'ero già fatto. Nun te trovo n'appunto (chissà da quanto tempo stava lì)de sta Sabrina der cacchio!?
      Così sotto er sole d'agosto -pe la pricisione er 24 e 25 agosto- ho scritto sta robba.
      Dichi che è da gara? Sei troppo bbona, t'aringrazzio.
      Ciao bella, a la prossima.

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  5. Ciao Vincenzo.
    E questa è la verità.
    Racconto perfetto, amaro e reale come la vita.

    Solo che noi non ci vogliamo credere.

    Buona serata.

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    1. Non ci si riesce a credere. Forse io ho esagerato, come la gran parte di chi scrive, ma credo di non essere andato troppo lontano dalla realtà.
      È un commercio vastissimo quanto schifoso. C'è gente che si è svenata per trovare i soldi per salvare la vita di un congiunto.
      Dall'altra parte ci sono i delinquenti che diventano ricchissimi.
      Ungono a destra e a manca, così non vengono disturbati nella loro opera.
      Buona giornata.

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  6. Terrificante.
    Cose incredibilmente terribili di cui si parla pochissimo, perchè?
    Mi ha ricordato una storia d'altro genere ma altrettanto sconvolgente: "il mercante di fiori", sceneggiato trasmesso da radio due una decina d'anni orsono, scritto e diretto da Diego Cugia, sulla tratta delle bianche. Ricordo che lo ascoltavo mentre andavo al lavoro, talmente assorta che neanche vedevo la strada.
    Se lo trovi in streaming ascoltalo, è un lavoro notevole.

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    1. Proverò a cercarlo, se qualcuno mi aiuta a capire come posso trovarlo in "streaming".
      Mi ci stavo arrovellando da tempo su questo argomento e non credo di essere andato tanto lontano da una verità che scotta così tanto che nessuno vuole parlarne.
      Oppure il motivo è un altro? E se fosse, quale potrebbe essere? Semplice: che troppa gente ci mangia sopra, e che qualcuno ha interesse a che la cosa vada avanti.
      Questo lo trovo ancor più terrificante, Silvia.

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  7. Bentornato anche da parte mia, grande Enzo: decano dei blogger e degli Artisti... :)

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    1. Grazie, grazie. Bello quel decano, non so perché ma mi fa sentire tanto cardinalizio....che sia effetto del sole preso in spiaggia?...:)))

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  8. Un ritorno coi controcazzi, tanto per essere un signore!

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    1. Arrivo in ritardo Baol, ma mi piace la tua battuta. Grazie!

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