Sono due le cose che non ho mai fatto in Cruccolandia: non ho mai lavorato in una fabbrica e non ho mai dormito in una baracca. Le fabbriche allora assumevano cani e porci, senza distinzione di nazionalità, di colore della pelle e di colore della coscienza, bastava respirare e rimanere in piedi; nemmeno ti annusavano il fiato per sentire se puzzavi di alcool.
"Hast du deine Papier dabei?", chiedevano, hai i tuoi documenti con te? Li avevi, eri assunto, avanti un altro.
Le baracche erano esattamente uguali a quelle che usavano i nazi per gli ebrei a Tiblinka, Dacau, Auschwitz, tali e quali. C'erano in giro solamente baracche e carri armati americani, infilati in ogni area libera. Erano lì dalla fine della guerra, non li hanno più mossi, solo rottamati sul posto, viva l'America.
Io nelle baracche sono andato a prelevare qualche amico che ivi alloggiava, superando il mal di stomaco per le varie puzze che emanavano, mai mangiato lì dentro, mai dormito, nemmeno una pennica, niente.
Quindi riepilogando: mai faticato (per usare il termine comune tra i Gastarbeiter, lavoratori ospiti, cioè stranieri) in una fabbrica crucca e mai avuto residenza in una baracca crucca. Tutto il resto, ma proprio tutto compreso guidare un camion della nettezza urbana, l'ho fatto.
Ma, come si dice, quando uno nasce con la puzza sotto il naso lo puoi obbligare a stare senza mangiare, a dormire per terra, ma non a rinnegare quello in cui crede, cioè che un uomo merita una casa, una camera, una soffitta, un sottoscala, ma che ci sia un letto, un cesso e un posto dove cuocere due uova. E possibilmente un lavabo dove lavarsi la faccia, le mani e tutto il resto.
Io avevo trovato una stanza a Francoforte, a Bornheim, un quartiere a nord est della città. Mi ci volevano dieci minuti di tram per arrivare al centro dove avevo trovato un lavoro come Lagerist, magazziniere. Era uno dei magazzini del Frankfurter Rundschau, il secondo giornale di Francoforte, dopo il molto più noto e diffuso nel mondo Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Coi primi soldi acquistai una vecchia VW Käfer, il famosissimo Maggiolino della Volkswagen, la macchina più venduta nel mondo. Aveva quasi dieci anni, ma quelle non morivano mai. Con la macchina decisi di spostarmi, cercando possibilmente un atelier, dove svolgere la mia attività di pittore. Gira che ti gira, finalmente qualcuno mi diede un indirizzo ad Offenbach, una città di circa 80.000 abitanti sulla riva ovest del Meno, praticamente ammazzata da Francoforte che si trova sull'altra riva, separata da un unico ponte di un centinaio di metri. Insomma a Est la bella gente, i bei negozi, la bella vita diurna e notturna; a Ovest la tetraggine di una città decisamente poco bella, piena di musi lunghi e con negozi ogni trecento metri. Ma la vita costava la metà e anche gli affitti.
Mi recai all'indirizzo avuto, proprio vicino alla stazione, una via larga e tetra come il resto. La persona si doveva chiamare R. Ranicki, sesso ignoto, età variabile dai trenta ai novanta, religione non pagana.
Si trattava di una Rosi, femmina, bianca, cinquantanni portati male, da tenere a debita distanza data la zaffata di birra mal digerita che ti fiatava sul muso ogni volta che apriva bocca. Dato che non la teneva mai chiusa il rischio di crollare al suolo era notevole. Ma aveva un cuore grande e mi mostrò subito il locale: un piano rialzato con un lucernario immenso, favoloso sette metri per quattro, con una stanza enorme come base, una stanzetta, un cucinino, un ripostiglio capace da usare come magazzino per i miei materiali e, udite udite un bagno con vasca e posto doccia!!! Il cesso era separato.
La panzona (avevo dimenticato di dirlo, ma da una bevitrice di birra non si poteva pretendere la linea di una indossatrice) mi fa:
-Vuole questo divano? Non saprei dove metterlo e glielo lascio gratis.
Era in ottime condizioni, perfetto per me.
-Vuole anche questo tavolino? È troppo grande per portarmelo a casa. Glielo lascio gratis.
Oddio, che orgasmo! Un tavolo antico con piano ricoperto di pelle scura, lavorato a mano, con zampe grandi come cosce di vacca e un poggiapiedi centrale che univa le due coppie di zampe, un tavolone lungo almeno tre metri e largo quasi due: una manna e a costo zero.
Giuro che se non avesse puzzato così l'avrei abbracciata e perfino baciata.
Insomma avevo il mio atelier per soli 200 marchi al mese, senza cauzione.
-Ich liebe die Kunstler, mi fa io amo gli artisti. Wenn sie so nett sind mir ein Bild zu machen, wäre ich froh. Se lei è così gentile da farmi un ritratto ne sarei felice.
Come modella non era un gran che, ma che volete, sarà stata l'euforia del momento, sarà stato che mi aveva fiatato un po' più vicino e mi aveva ubriacato, ma io le dissi di sì e non me la tolsi più dai piedi finché non le feci un 70 x 50 a olio mentre stava seduta sul mio sofà.
Mi trasferii immediatamente nel mio atelier, così ogni sera lavoravo nel mio orto e risparmiavo anche quattrini di benzina non consumata e di inutili giri per discoteche e locali più o meno accoglienti.
Ma non osavo nemmeno esporre uno dei miei quadri, anche perché non mi sentivo ancora padrone della lingua come volevo esserlo io, perché fare due chiacchiere potevo già, intrattenermi con chiunque su diversi argomenti pure, ma intrattenere gli ospiti di una galleria spiegando i miei lavori lo consideravo un livello di eloquio troppo superiore. Anche per quello mi iscrissi alla Berlitz Schule, dove insegnavano col metodo natura, immersione totale per quattro ore, tre volte alla settimana. Sei mesi dopo mi sentivo in grado di affrontare chiunque.
Ma non lo feci. Non mi sentivo sufficientemente a posto coi miei lavori.
Sono arrogante, ma non presuntuoso e soprattutto estremamente critico sulle mie opere. Finché non mi fu chiesto un favore dal proprietario di un locale italiano, gelateria molto conosciuta.
-Ho una parete spoglia, perché non mi fai un quadro? Non te lo compro ma le gente lo vede e ti conosce.
Furbo il tizio, ma mi conveniva e accettai.
Avevo finito da poco un quadro cui tenevo molto, perché lo consideravo riuscito secondo quello che mi ero riproposto di fare; lo avevo intitolato "Die Trinker", i bevitori, due uomini nudi, rosso vermiglione in una stanza con un nudo tavolo davanti. Un'espressione di totale solitudine, un quadro triste, ma vivo, un 120 x 120. Glielo portai e a lui piacque.
Quando si dice fortuna: proprio quella sera capitò in quel locale a prendere un gelato una comitiva tra cui Frau Doktor S.F. di Mannheim, direttrice della famosa galleria P4 di Mannheim, appunto.
Anche a lei piacque, così quella sera mi trovai lei e tutta la comitiva nel mio atelier, che distava poche centinaia di metri dal locale, incuriosita e piena di entusiasmo.
Vide anche gli altri quadri che avevo dipinto, una quarantina e ne scelse diciotto. Io non avevo capito che fosse una direttrice di galleria, ma pensavo che fosse una matta che voleva comperarmi diciotto quadri.
Si raffreddò un poco quando le dissi che non ero un accademico, avendo abbandonato spontaneamente l'Accademia di Belle arti di Venezia per protesta. Non ero diplomato. Fece la faccia brutta, ma poi mi disse:
-Ci proviamo lo stesso, lei è un artista e io voglio aiutarla, ma si iscriva immediatamente all'Accademia di Francoforte o di Mannheim, o di Heidelberg, così i suoi quadri varranno dieci volte tanto.
Facemmo l'esposizione a Mannheim nella P4 e fu un successo. I quadri erano ventiquattro in tutto, compreso "Die Trinker" , che la dottoressa aveva ad ogni costo voluto.
Fu un successo: li vendemmo tutti e io vidi tutti insieme i miei primi diecimila marchi.
-Se tu fossi stato un accademico, mi disse S.F., adesso ti metterei in mano un assegno di almeno duecentomila marchi.
Era il 1973, ci si compravano due ville sontuose in Germany.
Non so ancora perché non le abbia dato retta, ma io volevo la mia famiglia in Cruccolandia e mi occorrevano soldi per mantenerla. Pensai che avrei poi fatto, poi,poi, poi e non l'ho fatto mai. Certi errori si pagano cari.
Ma desso voglio raccontarvi il mio vernissage a Mannheim, perché lo merita.
Io avevo un'idea di quel che fosse l'inaugurazione in Germania, qui fanno tutto così seriosamente che quasi ti scannano.
Innanzi tutto c'è il duo musicale -non può mancare- generalmente un flauto e un violencello, o una pianola e un violino, che fa stacchetti classici, Mozart, Berliotz, Monteverdi, roba così. La gente ascolta religiosamente attenta e in silenzio. Applaude alla fine. Qui entra in ballo la direttrice della Galleria, che presenta il Laudator, colui cioè che fa la laudatio dell'artista, generalmente un critico d'arte. Poi un nuovo brano classico molto più intenso e lungo del primo. Quindi si affaccia al proscenio la gallerista, che muovendo armoniosamente ambe le braccia verso la sua destra -sempre a destra perché l'artista deve stare solo alla sua destra- dice : "Und Jetz stelle ich Ihnen den Kunstler vor" ,e adesso presento loro l'artista.
Quello è il momento topico della serata, perché lì puoi veramente perdere la testa e dire una marea di stronzate. Vai in tilt. Perché?
Ma perché davanti a te c'è una platea di almeno duecento persone, meravigliosamente vestute e profumate e agghindate, il fior fiore della città.
C'è il sindaco della città, alla sua destra la moglie del sindaco della città, alla sua sinistra l'amante del sindaco della città, dopo un po' defilato l'amante della moglie del sindaco della città; poi c'è l'assessore alle arti della città, alla sua destra la moglie dell'assessore alle arti della città, alla sua sinistra l'amante dell'assessore alle arti della città e insomma tra autorità, le loro mogli, le loro amanti e gli amanti delle loro mogli ce n'è per tutti e guai lasciarsi abbindolare dai gioielli delle dame, dai colori e dai profumi: si corre il rischio come detto di andare in tilt e allora, aperta la bocca, uno tsunami di cazzate a gogò rischia di travolgere il bel mondo della città con catastrofe finale assicurata.
Io me l'ero studiata bene bene bene.
Feci un passetto in avanti. Ero vestito da dio: avevo comperato un vestito dal miglior negozio di Francoforte, vestito di Armani costatomi 700 marchi, che pareva fatto su misura per me. Avevo la faccia delle grandi occasioni, quando mi guardo intorno e mi dico la tengo in pugno sta manica de stronzi, sfoggiavo il mio sorriso da tombé de femme in forma smagliante, tipo toccatemi, provare per credere. Ero in uno stato euforico, ma abbastanza intelligente da capire di stare zitto il più a lungo possibile, onde far salire le loro pulsazioni al massimo.
Mi avvicinai al microfono e dissi le parole più belle che io abbia mai detto:
-Signori, un pittore dipinge da solo e in silenzio; si esprime col gesto, coi colori e coi segni; non c'è nulla che egli possa dire, sono i suoi quadri che devono parlare per lui. Andate nelle sale, osservate i miei quadri e se avrete domande da fare sono a vostra completa disposizione.
Così salvai NIk e partita, come se dice a Roma.
È stato uno dei momenti più belli ed emozionanti della mia vita.
Che belli i tuoi racconti di vita.
RispondiEliminaChe culo che ho avuto a pescarti in questo mare di blog.
Vincè perchè non posti le foto di qualche tuo quadro?
Questo l'ho scritto a braccio, riesumando grumi di sangue di memorie lontane. Lo avevo promesso a Zio Scriba, che ha scritto un capolavoro su di me.
EliminaHo avuto culo io a trovare in rete gente di grande interesse, e piene di vita, a scapito di chi dice che sul blog tutto è falso. È falso sul blog chi è falso nella cosiddetta vita reale, ma poi ognuno se la canta come vuole.
Quando imparerò come diavolo si fa, prometto che metterò in rete non solo quadri ma anche foto personali. Ce ne sono carinissime, ma qualcuno mi dovrebbe dire come si fa.
Lo aspettavo questo racconto.
RispondiEliminaAvevo bisogno di scoprire qualcosa di più dei tuoi inizi in quel di Germania.
Mi ha dato i brividi la similitudine delle baracche degli operai stranieri (carne non più da macello ma da sfruttamento) con quelle dei campi di concentramento. Potrei dire una cosa troppo facile, ma la risparmio. Tanto ormai mi conosci e capisci anche senza che io te lo scriva.
Quasi ti ho visto, bello,giovane, affascinante e sicuro ti te. Che li guardavi dall'alto in basso e godevi nel riconoscere che eri di gran lunga migliore di loro.
Anche un po' sbruffone.
Er mejo...
Lo dovevo per il bellissimo post di Zio Scriba, glielo avevo promesso. Quando sono arrivato io la Germania non aveva ancora ratificato il trattato di pace, e le truppe americane erano truppe di occupazione. I tedeschi ci giocavano con il loro acronimo B.D.R., che significa Bundes deutsche Republik, cioè repubblica federale tedesca, sostituendo al Bundes la parola besetz, che significa occupata.
EliminaOvunque ci fossero zone industriali sorgevano baracche, piene di stranieri, uomini senza donne e bambini che non potevano portare qui. Una tristezza infinita.
"Bello, giovane, affascinante e sicuro di te", ciai azzeccato Mariè, ciai propio còrto. E arrogante come la peste.
Sbruffone? Come no!
Er mejo? E tu come fai a sapello?
:)))
PS. de quell'altra cosa che tu sai non parlo per pietà cristiana. Stendiamo un velo pietoso su tutto ciò che è nero e azzurro.
E ce lo so!( grazie a te sto ricordando qualche frase sepolta nella mia infanzia).
EliminaCome potrebbe essere stato mai altrimenti, questo burbero,arrogante,presuntuoso e incredibilmente onesto, intelligente,brillante,geniale, sulfureo amico di blog che ho, da giovane?
Per forza così.
E' la legge del 9 amico, non sbaglia mai.
Di quale altra questione stai parlando? Io sono in pieno oblio. Se mi ricordo vomito.
BAACIOOO
Te se riaffiora er dialetto nostro? Che piacere!
EliminaAnvedi questa: "burbero, arrogante, presuntuoso e incredibilmente onesto, intelligente, brillante, geniale, sulfureo", mamma mia, ma che è robba che se magna?
Voi sapé com'ero? Un gran fjo de na mignotta.
La legge der 9? Meno male che nun era quella der Menga.:DDD
Fai mejo a dormì, ma sta attenta er peggio ancora deve da arrivà.
Famme grattà, nun se sa mai.
E' oltre mezzanotte, e mi son detto:
RispondiEliminaMò lo frego, di sicuro penza "ma chi cazzo vuoi che mi legga tutto a quest'ora".
Er cazzo non so, io l'ho letto, e ditte quant'è bello me sembra de bestemmià.
E due 'pischelle' (detto con tutto l'affetto che 'pischelle' qui rappresenta) m'hanno preceduto.
Beh, so' contento d'esse 'rivato terzo. Mannaggia!
Ciao.
Un ber gattone tutto nero doppo a du pischelle ce sta bene, ammettemolo. Ammazza te lo sei letto tutto dopo la mezzanotte. Meriteresti di più di una semplce medaglia di bronzo.
EliminaMa che non si fa per gli amici?
Ciao micione.
A gattonero, grazie per la pischella"!
EliminaTutto questo racconto, dall'inizio alla fine, ha l'eleganza del tuo vestito di Armani costatoti 700 marchi. Anche nelle cose più crude.
RispondiEliminaE' un piacere leggerlo.
La bimba sta benissimo, grazie. Si sveglia ogni mattina sorridendo e cantando.
Buona giornata, carissimo Vincenzo.
Teresa
Era proprio un gran bel vestito. Il venditore guardò la giacca e disse: "Forse è troppo stretta e attillata."
EliminaLa infilai, mi stava cucita addosso. E lui ci rimase male.
Che bello che la tua bimba canta svegliandosi alla mattina, una gioia per te e per tutti noi.
Buona giornata anche alla mamma Teresa.
Ciao
Bello ed emozionante anche questo racconto, e pure divertente (si spera che Frau Rosi non abbia preteso di posare nuda... :D)
RispondiEliminaCerto lascia sconcertati l'accenno a tutto quell'inutile scorreggiume accademico: ma non avevano la capacità e l'onestà (e il coraggio?) di dar valore all'Artista e alla sua Arte semplicemente per quello che erano?
Grazie per queste splendide emozioni!
Era dedicato a te e qui confermo la dedica.
EliminaCredimi sulla parola ma se glielo avessi chiesto Frau Rosi si sarebbe subito spogliata.
Chiariamo un concetto. In letteratura non ti chiedono la laurea in lettere o la frequenza ad una scuola di componimento per pubblicarti un libro.
Diverso per quanto riguarda un pittore o uno scultore.
C'è una vera e propria mafia. Devi frequentare un'accademia, legarti ad un maestro che ti aprirà la strada, se tu lo seguirai pedissequamente, ecco perché i più talentuosi rimangono a sedere e i leccaculo vanno avanti. Non si tratta di avere miglioramenti accademici per questi signori maestri, ma di avere tangenti per dieci anni, tanto dura il contratto che ti fanno, dove sta scritto che tu darai a loro il 25% dei tuoi guadagni mentre loro ti faranno salire nella scala, aprendoti gallerie e mostre. Poi la storia delle critiche, secondo il motto "io ti faccio una bella critica per il tuo allievo e tu poi farai altrettanto col mio" tutto viene sistemato in famiglia. Di lì non scappi. E adesso fatti un paio di conti. Poste al 10% le spese vive che un artista sostiene per produrre, affitto dell'atelier e materiali; posto al 50% la percentuale che si prende la galleria; aggiungi il 25% tassa insegnante come da contratto; togli le tasse e vedrai che un pittore che vende un quadro per 10.000 euro se ne ritrova in tasca non più di 800.
Se non entri in accademia, o ne esci come ho fatto io, non trovi un cane che voglia occuparsi di te; non avrai mai una critica onesta; non avrai mai un gallerista disposto a giocarsi la reputazione per aiutarti.
Questo è quanto e anche peggio, su cui sorvolo.
Grazie Nik per la tua preziosa amicizia.
In italiA è quasi sempre così anche per la letteratura (anzi, forse pure peggio)... Forse anche perché è dura, per certa gente, ammettere che da autodidatta puoi dare la merda a tanti pupillozzi accademici lecchini...
EliminaGrazie per la dedica!!
Nik o sei uno scrittore o non lo sei, o sei un pittore o non lo diventi nemmeno dopo trenta anni di accademia.
EliminaAutodidatta: sapessi quanto ho studiato e sperimentato io, arrivando a usare tutte le tecniche e ad inventarmene di personali, da dirti che all'accademia studiano e sperimentano meno.
Prego, è stato un piacere.
Che merda di mondo.
EliminaSi può dire vero?
Abbraccio a tutti e due.
Il post di Nicola è incredibile, come lo "scriba".
Fortuna mia averlo incontrato per caso.
E avere potuto finalmente dare uno sguardo ad alcuni tuoi quadri.
Che sono esattamente come mi immaginavo fossero.
"Annamaria seduta" il mio preferito.
Lo sai che preferisco i ritratti.
Bacio.
Nicola è unico, inimitabile, da prendere a piccole dosi, da centellinare insomma. Io pure, sinnò te ingozzi.
EliminaAnche a me piace tantissimo Annamaria seduta, però pure in piedi, quarche vorta puro corcata...
Ciao Mariè, te resstituisco er bacio.
Che bel racconto! Mi ci sono tuffata dentro vestita e con tutte le scarpe.
RispondiEliminaNon so che cosa darei per esserci stata anch'io in quell'atelier magico, con quegli oggetti speciali illuminati dal lucernario (che tra parentesi è una parola che proprio mi piace )a respirare la bohème e la magia delle opportunità, con "La vita davanti a sé"...
ciao!
Ci saresti potuta entrare benissimo, perché ho saltato per non gigioneggiare tutte le visite ricevute da parte di aspiranti modelle, o semplici amiche che volevano un ritratto. L'anno scorso ho scritto un racconto, che ho postato qui, il 4 dicembre 2012, "Quaranta pezzi da cinquecento". L'ho modificato perché la storia è vera ma accaduta tanti anni addietro e non adesso.
EliminaSe sei capace di trovarla leggi e capirai alcune cose, che succedono agli artisti. Non si vive di solo denaro, ma anche di un bel sorriso e di qualcosa di caldo accanto al cuore.
Ciao.
Si, l'ho letto il tuo racconto, e mi ha confermato il fascino di quel luogo in cui succedevano cose interessanti e incontri speciali.
EliminaLa signora col cagnolino, la strana richiesta, le preplessità dell'artista... Stupore, ammirazione, contentezza e, all'epilogo della vicenda, un'emozione intensa colorata di malinconia e immedesimazione.
Ciao Vincenzo, oltre che pittore, sei un narratore di prim'ordine e sono felice di conoscerti!
Mi fa piacere che ti sia piaciuto il clima di quel racconto. Storia vera, successa però tanti anni fa, quando imperava ancora il marco. Erano 40 pezzi da mille. Una cifra enorme. Poi il quadro ha fatto la fine che ha fatto. Tanto non erano soldi suoi, cioè sudati voglio dire.
EliminaCiao Vincè!
RispondiEliminaHo visto i tuoi dipinti….Annamaria seduta e vestita di rosso è meraviglioso,vivo …ma allora è proprio vero che quando un'artista dipinge ama avere il silenzio intorno per poter esprimere l'emozione interiore e trasmetterla su tela
Quando vuoi indicazioni per postare immagini nel blog sono disponibilissima..se ti fa piacere nèèè
Buona serata :))
Allora famme una descrizione dettagliata di come fare, perché io ho due mani sinistre.
EliminaIo quando dipingo parlo con uno dei miei alter ego, almeno uno e lui mi risponde.
Non sono matto, funziona così da me.
Buona serata anche a te.:)))
Ciao Enzo!
RispondiEliminaTi spiego subito come postare immagini
In alto a dx del blog trovi la scritta Design,clicca e si apre la pagina di amministra,in alto vicino al logo di Blogger trovi la matita,clicca e si apre una nuova pagina dove solitamente posti…
Vicino alla scritta inserisci link c'e un quadratino azzurro cliccandoci sopra ti appare la scritta scegli file e hai la possibilità'di scegliere una o più'immagini che hai nel tuo pc..ok? dopo averla scelta clicca su aggiungi selezionate ed è fatto!
Per la barra laterale destra se vuoi aggiungere immagini in altro a destra del Blog clicca su Layout,poi sempre a dx su aggiungi gadget ,scorri pagina che si apre e vai su immagine,clicca e da scegli file carichi l'immagine che vuoi,la salvi dalla scritta arancione e di seguito clicchii su salva disposizione che trovi in alto sempre a destra del monitor
Spero di non averti stordito nèèè
Buona serata :)))
Caro Enzo.
RispondiEliminaAllora come è andata? Che novità ci sono?
Facci sapere.
Un bacio.
Il Cielo
RispondiEliminaDa qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un'apertura e nulla più,
ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n'è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.
(Wislawa Szymborska)
Ciao Enzo!
RispondiEliminaTutto bene?…:)))
@CLAUDIA. Grazie cercherò di capirci, poi ti dico.
RispondiEliminaTutto bene, sembra, comunque ci scrivo un post, perché lo merita.
@MARIELLA.è andata liscia, sono fuori dopo tre giorni di analisi. Scrivo un post per spiegare e farci su due risate.
La Wislawa Szymborska la conoscevo per via che mia nuora è polacca. Avrei anche potuto leggerne alcune poesie se avessi capito una parola di quella lingua impossibile.
Vedessi come sta scritta!!!
Comunque grazie, capito il messaggio.
Bene Enzo..sono contenta che sembra tutto a posto..
RispondiEliminaBuona Domenica :)))
Grazie, buona domenica anche a te.
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