Dal tempo dei banchi del liceo ho imparato a considerare la tragedia come la massima espressione della poesia: l'Agamennone di Eschilo, l'Antigone di Sofocle, la Medea di Euripide, e poi Racine e Shakespeare fino al Pirandello dei Sei personaggi, senza dimenticare Paolo e Francesa e il Conte Ugolino del Ghibellin fuggiasco.
Ma non è solamente la poesia ad essere elevata nella tragedia, ciò che conta è la drammaturgia, l'arte cioè della rappresentazione scenica, sia essa definita nei limiti del proscenio di un teatro, oppure lasciata libera di trovarsi tutto lo spazio che le occorre nei campi sterminati della fantasia.
Mi sono ritrovato, io quasi miscredente cronico dichiarato, a cercare nel Nuovo Testamento una delle massime drammaturgie, delle più emozionanti e tragiche rappresentazioni sceniche. Sto parlando dell'episodio dell'adultera, Giovanni, 8, 1-12.
Consideratela come una messa in scena: Gesù viene fermato e condotto in un cortile dai Farisei, che vogliono incastrarlo e metterlo alla prova. In un angolo, sotto un immaginario faretto, sta una donna.
"Costei è un'adultera, dicono i Farisei; secondo la nostra legge deve essere uccisa. Cosa ci proponi di fare?"
E cosa fa il protagonista del dramma? Si china a terra e scrive col dito sulla sabbia. Cosa scriva nessuno sa, e questo è il dramma nel dramma. Non solleva la testa, non risponde, scrive. E tace.
Qui è il massimo della rappresentazione drammatica: la vittima predestinata in un angolo, appena illuminata perché tutti la vedano; il protagonista al centro, nel fiato sospeso di tutti che sono in attesa di una sua parola, di un suo gesto, sono cioè tutti in attesa di un evento risolutore che consenta la conclusione della rappresentazione.
Ed ecco che il protagonista parla e pronuncia la frase storica: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra".
L'umile evangelista Giovanni ignora di avere scritto la pagina più alta della tragedia moderna. Né Eschilo, né Sofocle, né Shakespeare né altri, nemmeno il sommo Dante avevano e avrebbero poi raggiunto questo livello di pathos.
La scena lentamente si svuota, il dramma è finito, l'autore ha toccato il massimo vertice possibile della drammaticità.
È una riflessione che ho fatto stanotte, mi è sembrato utile riferirvela qui oggi.
A quanto pare l'argomento non interessa nessuno.
RispondiEliminaNon era teocratico gente, ma letterario; parlava di drammaturgia, di poesia della tragedia.
Boh.
Facce ride, Vincenzo, ti prego! Chè di drammi qui in Italia abbondiamo! Posta qualche tuo bel pezzo umoristico, i miei preferiti in assoluto! :-)
EliminaStanotte me lo penso e poi ti faccio sapere, ok?
EliminaCi conto! :-D
Elimina