Sì! Ho il morale jo-jo: con un salto se ne va in mezzo alle stelle; dieci minuti dopo sbracamento e me lo ritrovo dentro le mutande.
Non chiedetemi perché: non lo so nemmeno io. Non lo so.
Ottimo per concentrarmi su uno dei personaggi più ricchi del romanzo.
Christine Schwarz è una tedesca di bellissimo aspetto, che il protagonista incontra per caso casaccio in un locale crucco che più crucco non si può, una birreria, dove se si vuole si danza (non si balla, si danza, capita la differenza? La musica moderna e il rock sono banditi), e se si ha voglia si incontra la ragazza per il fine settimana. Così la pensa lui, che nemmeno conosce dieci parole di quella lingua ingrata, perché a senso non ti lascia capire niente. Ma Christine s'è immediatamente presa la cotta per quello spilungone. Se lo porta in giro per tutta Sachsenhausen (il quartiere dei gozzovigliamenti di Francoforte, con più di tremila locali ininterrottamente aperti dal giovedì sera alle sei del lunedì mattina successivo). Lei si trascina il suo pezzo d'uomo di locale in locale; gli si strofina addosso come una gatta, lo fa ingrifare come un porcospino ingrifato lasciandogli scolare dentro il gargarozzo una buona quantità di pils, così, tanto perché impari come si fa a non bagnarsi il gozzo bevendone una con una sola sorsata; alla fine, quando lo vede bello maturo e pronto, gli infila sul pisellone un preservativo di ottima marca tedesca (quindi sicurissimo) e fa all'amore con lui sulla riva del Meno, sotto le stelle.
Nata così per caso, una relazione di poche ore si trasformerà per via degli eventi successivi in un grande amore, che finirà solo con la morte di lei. Dalla produzione di coppia nascerà un figlio.
Per agevolare la vita del suo uomo e per legarlo ancora di più a sé lei ritorna al paese natio, nella Renania Palatinato, dove ha una bellissima casa, nella cui soffitta lascerà che suo marito allestisca un'atelier di pittura.
Christine è un controsenso vivente, secondo me, piena di impeti e di entusiasmi, ma anche frenata da una specie di saggezza contadina, che è nel suo DNA. Non cercherà mai di interferire nell'attività artistica del marito, pur apprezzandone i valori, e si guarderà bene dall'aiutarlo nella ricerca di gallerie disposte ad esporre i suoi quadri.
"Ti dovevi sposare una russa, gli dice alludendo alla moglie di De Chirico, ma tu hai sposato una tedesca e le donne tedesche quando capiscono che il proprio uomo è un genio si tirano da parte".
Alla fine per cercare, proprio lei, un'alternativa all'attività di pittore e dare così uno scossone a un rapporto di coppia che stava intorpidendosi, combina un pasticciaccio brutto mettendo il marito in una situazione indifendibile.
Lui va in galera per un anno e mezzo, e lì incomincia la fine imprevedibile della loro storia.
Che Christine mi sia subito piaciuta lo indica anche la scelta del nome: mia nipote si chiama Cristina, un'altra nipote acquisita pure.
Christine si chiamava la prima ragazza che ho conosciuto arrivando a Francoforte: era la figlia del proprietario dell'officina automobilistica, con annesso distributore di benzina, dove io ho lavorato per quasi un anno, il mio primo lavoro in Germany; insomma era la mia "sceffina", come dicono tutti gli italiani che lavorano qui alludendo alla moglie o alla figlia del principale, dello Chef.
Mi ha aiutato a trovare un alloggio, mi ha preparato tutti i documenti che mi occorrevano, ha fatto da garante per l'acquisto della mia prima macchina, un VW maggiolino color crema; mi ha insegnato i rudimenti della sua lingua e mi ha convinto a frequentare una scuola per impararla a dovere. Non siamo mai stati a letto insieme, né abbiamo flirtato mai. È stata una vera amica. Era alta quanto me e assai ben fatta; portava spesso i capelli, che aveva lunghissimi e scuri, raccolti in una crocchia nella parte sinistra della testa, una cosa buffa, ma a lei stavano bene.
La mia Christine, quella del romanzo, fisicamente l'ho copiata da lei di sana pianta. Il carattere mi è venuto fuori dalla penna paginetta dopo paginetta, e mi è piaciuto assai.
Credo di avere creato un personaggio positivo nel bene e nel male, che i lettori, maschi e femmine, per motivi contrapposti possano apprezzare. Non cambierei una virgola di quello che ho scritto su di lei, di ciò che le ho fatto fare, di quel che le ho fatto dire. Christine mi piace anche quando sbaglia, anche quando fa fesserie, e ne fa un paio.
Anche lei doveva morire, come Marò, perché il mio libro potesse esistere così come è.
La verità è che il protagonista e narratore in prima persona della storia ed il suo amico Terenzio Mauteri erano nei miei intenti iniziali l'uno l'alter ego dell'altro, per cui le loro storie dovevano avere una sorta di parallelismo, almeno nel dolore e nella sfortuna.
Questo era nelle mie intenzioni, ma poi mi sono lasciato trascinare dal mio stesso entusiasmo e dalle mie emozioni entrando calzato e vestito dentro la mia storia, e non mi sono più curato di certi parallelismi. Per fortuna, perché odio i romanzi a tesi. Non avevo niente da dimostrare: è la vita nella sua crudezza ad esporre i suoi teoremi e a dimostrarli.
Così è e così deve essere.
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