Vi ho già detto che il ritmo sta per me sul gradino più alto del podio. Parliamone quindi.
"Ritmo! Ritmo! Ritmo!" cantava Alberto Sordi al tempo della TV in bianco e nero in una sua indimenticabile gag. Non è, però, del ritmo musicale che voglio parlare, bensì di quello narrativo.
Io sono un lettore particolare (ma credo che come me ce ne siano parecchi), che quando apre un libro e inizia a leggerlo ha bisogno di entrare nella storia e viverla il più intensamente possibile, cioé immedesimandosi magari in un personaggio. Ma non mi basta: la narrazione deve fluire compatta, stringente, mi deve prendere e trascinare. Non ci devono quindi essere pause. Va bene in teoria, naturalmente, perché in pratica le pause occorrono: per fare riflessioni, commenti o introdurre nuovi elementi narrativi. Che siano comunque logiche e non spezzino in tanti tronconi il racconto.
Già sento qualcuno obiettare: ma anche il tuo "Martedì" ha lunghe pause, come la mettiamo?
La mettiamo che un romanzo psicologico non è un romanzo d'azione.
Però il racconto dell'esproprio dalla banca ha un ritmo martellante, "ti piglia al collo e non ti lascia il fiato" (citazione a memoria da un commento di un lettore). Il racconto di Marò, anche: direi un ritmo cinematografico. Anche il finale del romanzo ha il ritmo travolgente della catastrofe che incombe, e questo non è solo un mio personale giudizio.
Insomma "Martedì" non è un libro che pianti a metà per mancanza di voglia di leggere avanti.
Riassumendo i miei argomenti:la narrazione deve avvolgere il lettore e farlo sentire come dentro un gomitolo di idee e di avvenimenti. Ottenuto ciò l'autore ha dato il massimo. Questo è lo iacoponipensiero.
Se questa sera trovo un po' di tempo -sto vivendo le ore che preludono alla partenza per le ferie- vi trascrivo un raccontino per darvi un'idea di quel che io intendo per ritmo narrativo.
D'accordo: è un racconto brevissimo, ma rende chiaro il concetto.
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