mercoledì 25 giugno 2014

MI RESTANO ANCORA SOLO DUE VITE

Artemisia dipingeva cavalli. Li dipingeva al pascolo e al galoppo; in gruppo e isolati; neri, bianchi, pezzati, puro sangue e no. Artemisia amava i cavalli.
Dipingeva anche uomini. Nudi e vestiti. Con vesti moderne di nobilissime sartorie e con abiti del seicento. Li dipingeva fermi come nelle vecchie fotografie oppure impegnati nella lotta uomo contro uomo. Dipingeva uomini bianchi e uomini di colore. Artemisia amava gli uomini.
Dipingeva anche spianate marine con pesci immensi che guizzavano in superficie: erano delfini, erano pesci spada, erano tonni, erano squali. Artemisia non amava quegli enormi pesci, amava il mare e scivolare sotto il pelo dell'acqua a due o tre metri di profondità con indosso una muta da subacqueo e impugnando un fucile con cui difendersi da eventuali squali. Possedeva una serie di mute, tra cui una bianca, che indossava nel Mar Rosso pieno di squali, perché il bianco li tiene lontani, dicono gli esperti.
Artemisia aveva il terrore degli squali.

*

Costantino guidava veloce sull'Autostrada del Sole la sua BMW decappottabile. Guidava sulla corsia di sorpasso come di solito perché Costantino amava la velocità e le macchine sportive. E pensava. La cosa che gli veniva di fare ogni volta che era al volante: guidare il più veloce possibile e pensare.
Questa volta pensava allo strano sogno che aveva fatto durante quella notte. Era venuta a casa sua la polizia ad arrestarlo perché lui aveva ucciso Artemisia, la pittrice famosa. Stava correndo da lei e si sarebbero fatte due risate insieme quando le avrebbe raccontato il sogno.
Riuscì ad evitare la sbandata di un camion che stava sorpassando, arrivando a sfiorare il guardrail. Sacramentò tra i denti e ridiede gas. Un incidente a tetto scoperto e a quella velocità poteva costargli la vita, e a lui ne rimanevano ancora solamente due.
Da quando aveva scoperto il suo segreto viveva nell'ansia. Scoprire di avere quattro vite a disposizione invece di tranquillizzarlo sul suo futuro lo aveva angosciato: aspettava sempre la prossima morte.
Si chiamava Anselmo Guidi quando era deceduto la prima volta. Ingegnere edile costruttore di ponti e di tunnel era rimasto sepolto da una frana. Si era scoperto vivo nel mucchio di gente che assisteva al recupero della sua salma. Senza porsi domande aveva preso un taxi e aveva dato all'autista l'indirizzo di un posto dove non era mai stato, sulla Via Tiburtina a Roma. Aveva chiavi in tasca mai viste prima, ma aprivano il portone e un appartamento del terzo piano. Sulla porta c'era scritto M. Maresca, avvocato.
Appena entrato aveva capito subito tutto. Misteriosamente. Una specie di fluido gli era penetrato sotto la pelle e si era sentito Marcello Maresca, con un altro passato. Non si era meravigliato nel vedere riflessa dallo specchio l'immagine di un giovanottone aitante e alquanto più giovane dell'ingegner Guidi, né di trovare una borsa con dentro i documenti della sua nuova identità. Poi aveva scoperto un documento che lo riguardava, dove era scritto che quella seconda vita precedeva altre due, soltanto due e che poi non ce ne sarebbero state più a sua disposizione.
L'incidente ferroviario avvenuto nei pressi di Firenze due anni dopo aveva coinvolto tra le vittime anche l'avvocato Marcello Maresca. Nel risentirsi vivo accanto ai soccorritori, che ormai estraevano dai rottami dei vagoni soltanto i morti non si era meravigliato. Non aveva aspettato di vedere la sua salma, la cosa era priva di interesse. Con un autobus aveva raggiunto Piazza Vittorio a Roma. Di lì a bordo di un taxi Via Monteforte Irpino. Ancora chiavi in tasca che aprivano un portone e poi salire direttamente al settimo piano e aprire la porta dell'appartamento numero 74, dove abitava un certo Costantino Cenci, fisioterapista. Lui per l'appunto.

Lasciò l'autostrada a Orte ed entrò nella E45 per Viterbo. Arrivato alla Cassia prese in direzione Nord. Un paio di chilometri dopo imboccò la provinciale per Capodimonte sul lago di Bolsena.
Sorrise compiaciuto: Artemisia lo stava aspettando sull'isola Martana, dove aveva una villa e il suo atelier. Costantino ci aveva già soggiornato due mesi prima, una vacanza di una settimana, conclusa con una cena luculliana e una bevuta colossale del buonissimo vino della cantina di Artemisia. Il vino gli scioglieva sempre la lingua, anche quella sera. Mamma mia quante ne aveva raccontate, anche la storia delle sue quattro vite. Per fortuna Artemisia era sbronza come un cammello e rideva beata. Di sicuro non ci aveva capito niente in quella storia sgangherata e al mattino successivo aveva dimenticato tutto perché non gliene aveva fatto alcun cenno. 
C'era però ancora qualcosa che Costantino aveva raccontato, ma non era in grado di ricordare cosa. Niente di importante comunque perché lei non gliene aveva più chiesto nulla. Rise: passata nel dimenticatoio tutta la faccenda. Ora doveva fare in fretta per arrivare all'isola prima di pranzo, cominciava ad avere una gran fame. Gli bastava giungere al porticciolo di Capodimonte e prendere il motoscafo di Artemisia, lì ancorato. Costantino aveva avuto da Artemisia la copia delle chiavi.

*  

Artemisia era già discesa nella piccola darsena. Si denudò e indossò la muta bianca, quella che usava nel Mar Rosso per tenere lontano gli squali. Controllò il livello dell'ossigeno nella bombola e la carica del suo fucile subacqueo.
Sul suo cellulare premette il tasto di chiamata sul nome di Costantino e attese.
-Dove sei adesso? Chiese.
-Sto parcheggiando. Tra cinque minuti metto in moto il motoscafo.
-Ti aspetto.
Artemisia sistemò la bombola sulla schiena e ne assicurò strettamente le cinghie sotto i suoi seni; calzò le pinne, raccolse il fucile ed entrò in acqua. Chiuse la maschera, mise in bocca il boccaglio del respiratore e iniziò a nuotare scendendo subito a cinque metri. Andava incontro al motoscafo e pensava.
Pensava ai racconti scalcagnati di un ubriaco, che ricordava parola per parola. Naturalmente lei quella cosa delle quattro vite l'aveva battezzata per autentica. Una cosa le era rimasta ben fissata in mente: al termine della quarta vita sarebbero scomparsi gli ultimi tre corpi e ne sarebbe rimasto solo uno, quello dell'ingegner Guidi, sepolto al Verano da parecchi anni ormai.
Pensava Artemisia a quell'altro racconto di Costantino, che riguardava una relazione vecchia ma ancora in atto con una certa Maria Elena, chiamata "Stella". Mentre Costantino dormiva, ubriaco fradicio, lei aveva controllato sul suo telefonino. Nessuna Maria Elena naturalmente, ma un numero che corrispondeva a una stellina.
L'aveva chiamata inventandosi una scusa e abilmente ne era diventata amica. Così si era fatta raccontare tutta la storia della sua relazione con questo ragazzone d'oro, che lei chiamava Tino.
Tutto vero: Costantino, o Tino, incontrava Maria Elena tutte le volte che il suo lavoro lo portava a Milano, cioè ogni due settimane.

Artemisia nuotava lentamente verso il largo, verso la direzione di arrivo del suo motoscafo. Sentì un rumore di eliche in avvicinamento e si fermò.
Vide lo scafo che procedeva lentamente. Costantino non era un esperto navigatore. riusciva appena a tenere dritta la prua del motoscafo.
Artemisia alzò il fucile e prese la mira. A dieci metri di distanza lasciò partire l'arpione a testa doppia.
Lo scafo fu perforato al centro. Artemisia tirò indietro con forza il cavetto di acciaio dell'arpione, che uscendo dallo scafo ne allargò il buco sul fondo. Il motoscafo iniziò subito a imbarcare acqua abbondantemente.
"Un paio di minuti e cola a picco", pensò Artemisia. In quel punto erano a circa duecento metri dalla riva e Costantino non sapeva nuotare.

*

Aveva sentito il colpo sotto lo scafo e l'imbarcazione aveva sussultato vistosamente. Costantino pensò di avere speronato uno scoglio, o un relitto. Si accorse in ritardo che stava imbarcando acqua, molta acqua. Volse uno sguardo disperato alla riva dell'isola. Lontanissima. Irraggiungibile. Costantino pensò di essere spacciato. Sperò che il motoscafo rimanesse a galla, ma si rese conto che una forza enorme lo stava risucchiando verso il fondo.
Si inabissò col motoscafo. " Questa è una brutta morte, pensò. Speriamo che il prossimo sappia nuotare".
Affogò dibattendosi con un immenso dolore in mezzo al petto. All'improvviso il dolore scomparve e Costantino vide come ultima cosa la superficie dell'acqua illuminata dal sole.

Un attimo dopo dava vigorose bracciate, battendo i piedi come due eliche. "Perfetto, pensò, il quarto sa nuotare". Guadagnò la superficie in un attimo e vide la riva dell'isola Martana distante appena un centinaio di metri. Cominciò a nuotare con forza a grandi bracciate veloci.
"Chissà che faccia farà Artemisia vedendo un uomo diverso da Costantino, pensava. Chissà poi chi sono io adesso". Ma quel problema lo avrebbe affrontato in un secondo momento, oramai era un esperto nelle resurrezioni.
Finalmente la vide, in piedi sulla darsena. Indossava una muta bianca e lo stava aspettando.
L'uomo emerse lentamente camminando sul fondo sabbioso.
-Non ci crederai Artemisia, ma io sono Costantino, o meglio il suo successore. Ora ti spiego.
In quel momento si accorse che lei stringeva un fucile subacqueo nella mano destra, con la fiocina già inserita.

*

Quando lo vide completamente emerso a non più di una quindicina di passi da lei Artemisia alzò il braccio armato, mirò al petto dell'uomo e premette il grilletto.
La fiocina sfondò il torace e penetrò profondamente. L'uomo crollò nell'acqua bassa senza un gemito. Si dibatté per un attimo poi restò immobile.
Qualche secondo dopo il cadavere scomparve e Artemisia cominciò a ritirare il cavetto d'acciaio della fiocina.

14 commenti:

  1. Ciao Vincenzo, ho letto più volte questo racconto prima di lasciarti un commento, è stato molto avvincente ed emozionante e non tanto per l'idea che il protagonista avesse più vite, ma per come hai giocato bene i sentimenti dei due protagonisti fino ad arrivare al finale inatteso.
    Artemisia (sarà un omaggio alla grande Gentileschi?) mi ha fatto venire in mente per associazione mentale "Anna bell'Anna" di Lucio Dalla, un gran bel personaggio.
    E del protagonista, cosa dire?
    Che si è giocato malissimo le sue vite, poteva fare qualcosa di buono e invece...
    Un abbraccio

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    1. Artemisia Gentileschi off course, come dice più sotto Mariella. Per come dipinse e per come visse.
      Questo racconto l'ho scritto come l'ho immaginato una sera. Non ho cambiato una virgola.
      Il protagonista maschile come la maggior parte degli uomini potrebbe vivere altre cento vite senza combinare niente di positivo.
      Capita spesso.
      Ciao Melinda

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  2. Artemisia (Gentileschi) off course. Bellissima la mostra che Palazzo Reale a Milano, le dedicò lo scorso anno.
    Il tuo racconto l'ho letto questa mattina. Ma ho aspettato questa sera.
    Come succede ogni volta che leggo qualcosa di tuo, cerco di arrivare al punto.
    E il punto è che non si è mai troppo al sicuro. E perdere tutto è questione di un solo attimo. Come il fidarsi della persona sbagliata al momento sbagliato.
    C'era un'eredità in ballo vero?
    Povero omicolo...

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    1. Mi piace il tuo ruminare di una giornata. A volte faccio così anche io, a volte rispondo al volo -il più delle volte- e sbaglio.
      Le tue osservazioni sono molto acute: si perde tutto in un attimo se ci si fida della persona sbagliata.
      C'era in eredità solamente la vita, buttata via per niente...
      Bravissima!
      Ciao sorella maggiore.

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  3. Vincenzoooo, ciao!
    Il tuo racconto ha un retrogusto di giallo e poliziesco, i miei preferiti.
    Molto bello e avvincente, ma finisce così?!?!
    OK, non sono stata profonda, ma oggi mi va in questo modo.
    Abbracciiiiii...

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    1. Ciao sorellina di Maria.
      Il mio racconto è un nero, sorellina, quelli che adoro scrivere e leggere.
      Finisce così perché il maschio non ha più vite.
      Tu sei sempre profonda, meno quando dormi: credo che tu abbia il sonno leggero, o sbaglio?
      Abbracci e baci, sorellina della sorellona.

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    2. Caspiterina, mi hai sgamato! :-D

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    3. Non è stato difficile per le mie capacità divinatorie :-D

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  4. Risposte
    1. Grazie, grazie. Mi sono divertito a scriverlo e quando questo succede vuol dire che piace anche agli altri.

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