L'orologio sul cruscotto segna le 17,02 e sul consuntivo giornaliero sono registrate soltanto sei corse, per un totale di centoundici chilometri. Una miseria. Chiamo Klaus in centrale: è lui che dirige il traffico di tutte le macchine e assegna le corse. Non uso la radio di bordo, ma il mio cellulare, non deve sentire nessuno quel che ho da dirgli.
-Lo so che oggi fai schifo.
Non mi ha lasciato nemmeno aprire bocca. Aspetto in silenzio.
-Fra dieci minuti vai nella York Strasse al numero 19. Suona tre volte da Benninghof e poi aspetta in macchina.
Chiudo.
Al 19 della York c'è il casino privato più di lusso di tutta Karlsruhe. Stasera le signore finiscono il turno settimanale e si fanno riportare a casa. Abitano tutte fuori città.
Aspetto solo qualche minuto e poi la vedo dentro lo specchietto retrovisore che esce dal portone: una canna tutta curve sistemate dopo brevi rettilinei. Siede accanto al posto di guida, venti centimetri da me. Insieme a lei è entrata un'ondata di buonissimo profumo.
-Ciao bello, mi chiamo Isa. Ho lasciato il portone aperto: ci sono due valige dentro, valle a prendere per favore.
Mi immagino due valigione e invece ci trovo due valigine eleganti e firmate "Goldpfeil Offenbach". Roba di gran lusso, di pelle bianca, raffinata; penso si tratti di pelle umana. Le sistemo con cura nel portabagagli.
-Dove andiamo? Le chiedo col mio sorriso di maggior effetto.
-Conosci Mannheim? Fa niente. Vai con la 66 ed esci a Mannheim-Mitte, poi ti dico io.
Inserisco la tariffa 4 e intanto faccio mentalmente un calcolo veloce: 70/80 chilometri, più 20 euro per il ritorno, più 4 euro per le valige. Questa non mi dà meno di 200 euro. Ho fatto giornata. Devo comperare almeno due pacchetti di Marlboro per Klaus.
Isa si accomoda meglio accavallando le gambe. Mi arriva una seconda ondata del suo profumo.
-Cabochard vintage, mormoro mentre ingrano la prima.
-Te ne intendi, però.
-Lo usa mia moglie, rispondo, e intanto penso a una mia amica a Milano che lo usava un secolo fa, ma me lo tengo per me.
Isa chiacchiera per tutto il viaggio spostando di continuo graziosamente il suo graziosissimo culo sul sedile. Cambio con nonchalance l'angolo di visuale dello specchietto retrovisore interno così non devo girare la testa per vederle le mutande: tutte un merletto, rosse, ben combinate al suo profumo.
A Mannheim, nella Lassalleplatz, mi fa fermare sotto un tiglio. Non guarda nemmeno il prezzo indicato; mi mette in mano due fogli da cento e uno da cinquanta.
-Il resto è tuo, ma tu mi porti le valige fino a casa, bitte.
Un bel portoncino in lacca rossa, un colore che deve amare. Lo apre e io metto dentro le valige. Mi schiocca due baci sulle guance.
-Sei molto carino. Da lunedì a venerdì sai dove trovarmi.
Sparisco prima che mi vengano strane idee.
Quando sono di nuovo nei pressi di Karlsruhe chiamo la centrale.
-Klaus, sono le sei passate, io chiudo qui.
-No. Vai sulla 36. A Neureut sulla strada principale sotto la chiesa ci sono due donne con vestiti lunghi a fiori e una bambina. Caricale tu perché non ho nessuno libero.
Le vedo da lontano che si sbracciano per attirare la mia attenzione. Non ne avevano bisogno: mai visto due alberi di Natale addobbati in pieno giugno.
Dal numero delle collane appese al collo, dai bracciali d'oro che le tintinnano ai polsi, dalle vesti sicuramente di seta purissima e dal colore dei capelli si vede benissimo che sono due "Zigeunerinne", due zingare.
Mi pagheranno in piastre d'oro zecchino.
Siedono dietro parlando nel loro idioma assai musicale. La bambina mi siede accanto. Mi da un foglietto con un indirizzo: la Lohwiesenweg, dall'altra parte della città .
La bambina sembra affascinata dalla mia mano destra, che tengo perennemente sul cambio.
-Non sai reggere quel coso con tutte e due?
-Basta una. Non aver paura, andrà tutto bene.
Sembra tranquillizzata. Spinge la testa in avanti e cerca di guardarmi in faccia.
-Ce l'hai un cavallo?
-No, mai avuto un cavallo.
-Davvero mai avuto?
-Mai avuto.
-Non te ne piacerebbe uno? Magari piccolo, te lo vendiamo noi.
-Non posso, non ho una stalla.
-Lo lasci da noi. Te l'affittiamo noi la stalla.
-Meglio di no.
-Allora tu non hai un cavallo perché non vuoi un cavallo.
Sembra molto delusa.
Stiamo per arrivare.
-Ma almeno ce l'hai una vacca?
-No, nemmeno una vacca.
Mi lancia uno sguardo disperato.
-Magari un vitello, se vuoi.
Le sorrido. Sta per mettersi a piangere. Non deve avere più di cinque anni ed è bellissima.
Una delle due mi paga, non in piastre d'oro ma in vile moneta cartacea.
10 euro di mancia per otto chilometri. Vorrei trovarla ogni giorno una cliente così.
Premo tre volte il pulsante di chiamata e stacco la radio. Adesso Klaus toglie il mio numero dal quadro luminoso. Manca una manciata di minuti alle 19. Ogni sera a quell'ora, terminato il turno, passo per una stradetta periferica dove incontro sempre un Penner, come qui chiamano i clochard. Anziano, sofferente e claudicante, con un cappottone nero e sandali -a giugno- trascina a fatica una specie di carretta con dentro uno zaino e un borsone. Passo per la stradetta anche questo venerdì sera per incontrarlo.
Rallento appena lo vedo e gli dico:
-Dai, sali, ti porto dove vuoi. Non ti costa niente.
A quella parola d'ordine si avvicina.
-E questa dove la metti? E mi indica la carretta.
-Nel portabagagli; non farti problemi.
Va in un boschetto lontano di lì una decina di chilometri. Ci ha montato una tenda canadese piccola, mi dice. Quella è la sua casa.
-Tu non sei tedesco, mi fa; quelli non si sarebbero fermati.
-Sono italiano.
-Di dove?
-Di Roma.
Mi guarda. Sorride e attacca:
-"...sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam receses, dum loquimur, fugerit invidia
aetas...".
E aspetta.
-"...carpe diem quam minimum credula postero", concludo.
Abbiamo recitato il finale dell'undicesimo carme del primo libro dei Carmina di Orazio, e lui ha pronunciato gli accenti della metrica in modo perfetto.
-Sai di latino. Sei mica un prete spretato?
-Guarda qui.
Mi mostra una sua tessera dell'Università di Colonia. è stato per anni Ordinario di Latino.
-Ma che ci fai mascherato da barbone?
-Punisco mia moglie che ha voluto il divorzio per andare con un altro. Così da me non becca un solo centesimo.
-Mi pare che punisci soltanto te.
-Io lì dentro ho tutti i miei libri, e mi indica la carriola; li leggo ogni notte.
-E come sbarchi il lunario?
-Scrivo note ogni tanto e faccio traduzioni. Le mando al mio editore, che le pubblica e poi mi spedisce i soldi nel giroconto che ho in una banca.
Siamo arrivati in una specie di accampamento: ci sono decine di tende.
-Quella rossa è la mia. Hic manebimus optime.
Mi offre un sorso di wodka polacca, fortissima.
-Se vuoi mangiare con me ti cucino una bistecca o una coppia di salsicce. Una cosa di pochi minuti.
Guardo l'ora: si son fatte quasi le otto. Alle 21 c'è un bel film sulla RTL e mia moglie lo vuole guardare insieme a me.
Mentre tentenno indeciso la spia rossa di allarme sul cruscotto comincia freneticamente a lampeggiare e a gracchiare.
Riaccendo la radio.
-Dove diavolo ti sei cacciato? Mi urla Klaus. Ci sono due macchine che ti stanno cercando: pensavo ti fosse capitato un guaio.
-Arrivo in cinque minuti.
Saluto il mio barbone. Mi regala una copia di un suo lavoro su Terenzio. Me la firma.
-Mi mancano i miei due figli, ma non voglio che sappiano come vivo.
*
Un paio di anni dopo ho smesso quel lavoro coi tassì e sono tornato in quel boschetto per incontrarlo. La tenda rossa non c'era più.
A fare il tassista non ti viene mai d'annoiarti!
RispondiEliminaPerò c'è anche d'aver paura, guarda cosa è successo poco tempo fa a quel povero taxista milanese ucciso da quei pazzi furiosi.
Questo penner colto è stato il cliente più strano della tua carriera?
No, non ci annoia mai. Poi io, che uso da sempre guidare quando ho qualche pensiero buono o cattivo in testa, che so una trama da sviluppare -pensiero buono- un guaio o un'arrabbiatura da seppellire -pensiero cattivo-, stavo così bene perché guidavo nel traffico senza dovermi incazzare, perché pagato per farlo, e per di più non consumavo la mia benzina ma quella della ditta, ti dico una guduria.
EliminaIo ho scelto di guidare solamente di giorno, perché per guidare di notte devi essere un "notturno". L'ho fatto una volta per sostituire un collega. Le stesse strade non le riconosci tanto bene di notte; i numeri non li vedi; il traffico non esiste in pratica, ma le auto arrivano a 100 all'ora e devi stare attento. Poi caricare gente che ti chiede di andare fuori città è un rischio pericolosissimo. Io ne ho presi due, che mi hanno dato l'indirizzo di un posto in cima alla luna, quindi bei soldi in vista, ma ho comunicato alla centrale dove ero diretto, poi ho marciato tutto il tempo con la mano sinistra bassa, accanto al bottone di chiamata S.O.S. che chiama contemporaneamente la centrale e la polizia, che ti localizza per via della radio che deve stare sempre accesa. Ma avevo un po' di strizza.Invece erano innocui.
Il Penner è stato di sicuro il cliente più bizzarro che ho incontrato, ma la bambina delle zingare era deliziosa.
Ho avuto pure la vecchia gallina di quasi 60 anni che mi voleva pagare perché salissi in casa sua.
Ma guarda un po': se fossero state due di 30 anni per una quasi quasi...:)))
Mi sento quasi come uno che ha ottenuto un Racconto su ordinazione... quale onore, quale regalo... :-)))
RispondiEliminaCerto che anche fare il tassista è una bella miniera d'oro, per conoscere tipi umani di cui poi scrivere.
Grazie.
Un abbraccio.
Su ordinazione? Beh, quasi. Diciamo che ci pensavo da tempo e che tu hai sollecitato con la tua acuta osservazione la mia fantasia e i miei ricordi.
EliminaÈ verissimo: ho conosciuto in due anni una quantità di tipi strani, stranissimi, umani e umanissimi. La gente quando entra in un tassì si divide in muti pensatori, che non gradiscono sentire nemmeno la musica, figurati la voce del conducente, e in loquacissimi parlatori che ti raccontano tutta la loro vita, soprattutto le loro vicissitudini, e vogliono che tu partecipi attivamente alla conversazione.
Un fiume di parole.
I pensatori siedono dietro, immusoniti; gli sproloquiatori siedono accanto al tassista.
Da dove va a sedersi sai già cosa ti aspetta.
Grazie? Sono io che ringrazio te.
Un caro abbraccio.