giovedì 28 giugno 2012

GOOGLE : CASE EDITRICI ITALIANE - WUZ

-Come va quel tuo libro in Italia?
Mio figlio Alessandro quando è sazio fa domande improvvise e strane. Ieri è venuto a trovarci, combinazione all'ora di pranzo, e ha mangiato insieme a noi.
-Quale libro?
-Il tuo ultimo, Francoforte sul Meno. Come va?
-Non troppo bene.
-E perché?
-Se non fai pubblicità.
-E perché non la si fa?
Ho incominciato a spiegarglielo e ci ho messo del tempo perché non mi seguiva molto. E come poteva poverino? Adesso lo spiego a voi, così lo chiarisco per bene anche a me stesso, perché forse c'è ancora qualcosa che devo capire.

Tutto incomincia quando inizio a cercare un Editore su Google. Vado su "Case editrici italiane - Wuz" e ne trovo una trentina ad hoc. Mail a tutti. Incredibile, ma rispondono tutti entro una decina di giorni.
Tutti chiedono il testo via mail; qualcuno si loda e si sbroda per l'attività svolta sul mercato; un editore mi spedisce un romanzo con una serie di locandine. Leggo il romanzo a mo' di lettore "scrematore" editoriale, mestieraccio che ho fatto decenni or sono durante il mio periodo universitario, che consiste nel leggere dall'incipit per 20/30 pagine, poi ad apertura di libro circa alla metà del testo altre 20 pagine e le 15/20 conclusive. Leggo le mie 60/70 pagine e scarto l'editore: una serie di melensaggini degne del miglior premio Strega di Mondadori.
Nessuno parla di contributi.
Dopo una ventina di giorni mi arriva tutta una serie di lodi e di belle espressioni di compiacimento per il testo che ho scritto.
Tutti, ripeto tutti, sarebbero disposti a pubblicare l'opera -e qui una lunga serie di promesse sulla distribuzione, le recensioni e la pubblicità del libro.
Tutti, ripeto tutti, mi chiedono però un contributo, sotto forma di acquisto di 100/200 copie o altre forme, per una cifra che oscilla dai 1200 ai 3400 euro (sic!).
Inaccettabile per immoralità. Uno scrittore non deve pagare, ma essere pagato. Punto.
Per ultimo risponde un editore, che mi invia un fac-simile di contratto. In grandi caratteri e in grassetto sta scritto:
"Informiamo i lettori e gli autori che la nostra casa editrice non usufruisce né di finanziamenti pubblici né di finanziamenti da parte degli autori. Ci autofinanziamo con la nostra capacità di stare sul mercato"
Mi invitano a chiamarli al telefono per prendere accordi.
Esplicata la formalità richiesta mi ritrovo con nessuna promessa nelle mani, ma solo una serie di informazioni e un appuntamento a Roma a inizio dicembre. Devo fare l'editing da solo; devo raccogliere tutto in un CD che mi porterò dietro; non ci sarà correzione delle bozze. Tutto per risparmiare, mi dicono.
Nel contratto che controfirmo ed invio per raccomandata sta scritto in calce che viene invitato a non firmare chi ritiene di aver scritto un capolavoro immortale e chi pensa "che l'editore debba sobbarcarsi da solo l'onere della diffusione. Anche l'autore deve collaborare coi suoi mezzi per la diffusione ed il successo dell'opera".
Il 2 dicembre dello scorso anno, un venerdì, dalle 10 alle 16 viene stampato il libro, fatta la copertina e rilegato. Dal mio CD con una delle 12 stampanti elettroniche, viene prima formattato, penso in pdf, poi vengono stampate due copie.
Il tempo di mangiare un boccone e ritornare e il libro è pronto, anzi le due copie del libro, che sono di mia proprietà come da contratto.
-Quante ne stampate ancora? Chiedo pensando alle solite 300 copie.
-Aspettiamo la richiesta delle librerie. Qui non abbiamo posto per il deposito, mi risponde uno dei due soci. L'altro non l'ho mai incontrato, ma esiste: ha chiamato una decina di volte al telefono e qualcuno si è anche rotto.
In sostanza stampate solo copie due.
Ordino altre sei copie, che pago con lo sconto del 25% e do loro l'indirizzo di mia nipote a Ostia come recapito, perché le stamperanno lunedì 5 dicembre, quando sarò già rientrato a casa mia.
Dal momento che esco dai loro locali non ho più alcuna notizia del mio libro né dei suoi editori. Le sei copie arrivano come promesso, ma tutti quelli che hanno cercato di procurarsi il mio libro hanno dovuto sudare sette camice.
Un professore universitario di letteratura italiana, che mi segue da anni, mi manda via mail una splendida recensione, che immediatamente inoltro per la stessa via all'editore, pregandolo di inserirla nella presentazione del libro sul proprio sito web, come si conviene. A tutt'oggi non l'ho vista né ricevuto riscontro alcuno.
Il libro da solo non si muove, anzi in questo caso non si auto stampa. 
Mi sono posto una domanda: ma come campano questi qua? Costo del materiale, affitto di un locale, quattro stipendi da pagare, tasse da pagare, se non vendono copie come tirano avanti?
Poi mi si è accesa una lampadina nella testa, complice una frase di Mia Euridice.
"Se non ci sono bollini della SIAE significa che costoro non ti pagheranno mai un centesimo  dei tuoi diritti". E io bollini SIAE non ne ho visti.
Eppure è tutto molto semplice, amici miei, un gioco per bambini. Si chiama: 
"CACCIA ALL'ALLOCCO".
Funziona così.
Lo specchietto per le allodole di varia età, dalle più giovani alle meglio stagionate, consiste in quella pomposa dichiarazione di intenti: noi stampiamo le vostre opere gratis. Nel mare di sanguisughe che sono a caccia dei tuoi soldi ti appare come un faro luminosissimo posto su una placida plaga di sicurezza e tranquillità. E tu abbocchi.
Il lavoro di editing e di correzione però è tutto a tuo carico, loro impaginano nel formato 21  per 13 due sole copie, che sono un omaggio all'autore, come da contratto. Le altre eventuali le producono solo a richiesta delle librerie, non ci sono resti di magazzino ma solo copie sicuramente vendute.
*) Considerato che sulle prime 200 copie non pagano diritti ritenendole "rimborso per le spese effettuate";
*) considerato che ogni autore porta in media un seguito di circa 100 compratori, tra parenti amici e conoscenti, e che questa è in fin dei conti l'unica azione promozionale del libro;
*) considerato che la casa editrice in questione ha stampato negli ultimi 24 mesi ben 762 titoli, quindi più di uno al giorno;
*) considerato che il prezzo di copertina è altissimo (per esempio per 272 pagine 19,90 euro, per 104 pagine 12,90 euro, per 301 pagine 21,90 euro) e configurandosi una media approssimativa per difetto di 15 euro a volume per 100 copie vendute, si possono fare alcuni conti.
762 x 100 = 76.200 copie vendute in due anni
76.200 x 15 = 1.143.000 euro incassati in 24 mesi, che fanno 570.000 circa in un anno
Spese:
materiali 5% = 28.500 euro
affitto di un locale modesto in una zona di periferia 600 al mese = 7.200 euro
diritti di autore corrisposti = 0,00 euro
stipendi lordi per 4 persone a 2500 per 13 mensilità = 130.000
tasse pagate su un massimo del 50% del fatturato effettivo e cioè
285.000 x 30% = 75.500
fanno un esborso finale annuo di 240.000 euro circa
e pertanto 570.000 - 240.000 = 330.000 al netto delle tasse e delle spese.
Calcoliamo ancora 30.000 di uscite pro bono malum come spese varie e perdite accidentali, rimangono 300.000 annui di euro netti, puliti da dividersi tra due soci.
150.000 netti all'anno per uno, solamente accalappiando allodole e gonzi mi sembra un gran bel vivere.
Questa coppia di Hurensöhne hanno avuta la pensata del secolo, altro che storie. Io, merlo del cacchio, l'ho capito troppo tardi, ma avrei dovuto immaginarlo subito: come può mai venire qualcosa di buono e di pulito da un'intrapresa residente a Roma? E pensare che sono nato a Civitavecchia e a Roma ho vissuto una vita.
Imperdonabile.
Posso solo impugnare il contratto alla scadenza dell'anno per inadempienza e passare tutti gli elementi al mio ex compagno di banco e amico per cinque anni di liceo, andato in congedo col grado di generale di corpo d'armata della Guardia di Finanza.
Che se la veda lui.
Che questa moderna coppia del Gatto e la Volpe la smettano almeno dei scrivere di "autofinanziarsi solamente con la loro capacità di stare sul mercato"!


12 commenti:

  1. ok...ho capito...i miei post rimarranno solo post...e non diverranno mai libri, racconti o quant'altro. Grazie Vincè...prima de imbarcamme ce voleva...

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  2. Prima de imbarcatte ce devi da pensà bene e sapette sceje la casa editrice giusta, quella seria che nun te chiede li sordi prima de legge quello che hai scritto. Pe fa n'esempio: quer raccontino carinello che m'è piaciuto tanto dovresti da chiede a Sirvia indove manna lei le cose sue e come ha fatto, che dev'esse na cosa semprice semprice, me pare che se deve solo comprà un francobbollo annà a la posta a spedì. Ma indove? Ce so riviste peddonne che pubbricheno ste cose carinelle e intime e so riviste de Mondadori mica de nissuno, ha capito?
    Nun fa la stronza che ciai la stoffa e la ficozza ar punto giusto. Puro Sirvia fa la scontrosa quanno che je dico che sa scrive, ma in fonno penso che ce crede; ce devi da crede puro tu. Eppoi sei donna e questo ne sto monno der c**** conta e come si lo sai sfruttà.
    Approposito tu quer post chai detto ch'è troppo lungo prima lo scrivi poi vedemo si è troppo lungo.
    Ciao Mariagrà.

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  3. Dovremmo fare tutti un salto di qualità: nel senso che alla sacrosanta repulsione che proviamo per l’editoria a pagamento deve unirsi un’altrettanto sacrosanta repulsione per editori che non stampano se non su ordinazione, che non distribuiscono, che non promuovono, che non ti pagano diritti su un primo tot di opere perché devono rifarsi delle spese (Ma quando mai? Ma quali spese? E le spese dell’ARTISTA? Chi gliele paga a lui, mio nonno?) e soprattutto CHE NON FANNO EDITING.
    Dobbiamo capire che anche i Premi Nobel hanno bisogno di editing! È un supporto professionale irrinunciabile! Un libro senza editing è come un film senza montaggio, è come spacciare per film una webcam in presa diretta, un autoreality girato a casa propria!
    Hai voglia essere bravo, ma un romanzo, un film, non possono essere bricolage!
    Ora capisci perché, pur conoscendo il tuo Valore di Artista, ero restio a parlare di recensioni sul mio blog? Perché io a gente che lavora così non voglio contribuire a far incassare un solo centesimo.

    Un grande abbraccio, amico mio.

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    1. Inizio dalla fine come Alessandro Dumás padre.
      Lo so quello che pensi e perché non fai una certa recensione, e ti do ragione al mille per mille.
      Questione editing.
      Io posso saper scrivere da dio, ma sono il solo che conosce i motivi profondi, i movimenti dell'anima mia che mi hanno portato alla creazione del mio testo. Pertanto se faccio l'editing da solo non riesco a liberarmene e rimango dentro questo magma magico, per cui vedo tutto "alla mia maniera", e l'eventuale variazione e correzione che un bravo editore dall'esterno vedrebbe e farebbe mi verrà a mancare.
      Io questi editori che non vogliono soldi ma nemmeno te ne daranno mai NON li conoscevo e non ne sospettavo l'esistenza.
      Posso dirti che li considero anche peggiori di quelli a pagamento, perché sono più subdoli e perché ti pigliano per il culo. Tu hai lavorato un anno o forse più e questi in quattro, cinque ore ti spiattellano un testo che è il tuo, ma ti lascia l'amaro in bocca.
      Sono uscito da quel posto con l'amaro in bocca e non capivo il perché. Mia nipote, che era venuta a Roma insieme a me (faceva da badante, penso) mi chiese cosa avessi, perché mi leggeva l'insoddisfazione sul viso.
      "Sono stanco, cocca, le dissi; è da stamattina alle sei che sto in piedi e ho mangiato male".
      Bugia. Io posso ancora restare alzato tutta la notte, come ai bei vecchi tempi delle pokerate con mille sigarette fumate in una stanza 4 x 4, e posso anche digiunare senza per questo avere la luna storta.
      Sentivo che qualcosa non andava bene. Adesso so cosa fosse: mi sentivo turlupinato.

      P.S. Hai visto che trionfo ieri sera? Abbiamo fatto casino fino a notte in una città abbandonata dai tedeschi. A Karlsruhe ci sono solamente quattromila italiani, in un popolazione di 350.000 anime per l'ottanta per cento tedeschi di razza.
      Ieri erano morti, c'eravamo solo noi e un mare di poliziotti in silenzioso silenzio.
      Quattro date: 17 giugno 1970, Città del Messico; luglio 1982, Madrid; 4 luglio 2006, Dortmund; 28 giugno 2012, Varsavia.
      Non le dimenticheranno mai: sono le stazioni della loro via crucis.
      Un fortissimo abbraccio, amico mio.

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  4. Ho saltato tutta la parte di conti, sono allergica alla matematica.
    D'istinto mi viene una domanda: quanto ti ha insultato tua moglie quando le hai confessato di essere stato turlupinato? :)

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    1. Lei si è letta il libro e l'ha trovato bello. Quando abbiamo capito la turlupinatura ha detto: "Peccato, quel tuo libro meritava di essere letto da tanti e non da pochi eletti". Lei sa cosa significa per me scrivere, e vede che non è un passatempo, ma a volte un lavoro duro e misconosciuto.
      Rileggi la parte dei conti così capisci perché sono tanto incazzato. Veramente, Silvia, non capisco come si possa leggere qualcosa e saltare una parte, quella più importante soprattutto.

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  5. io invece guarda un po' te non capisco come ci si possa entusiasmare per un business sporco come quello del calcio
    come vedi siamo pari, uno a uno :)

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    1. Quello non è entusiasmo è tifo impastato in questo caso di sano patriottismo di chi vive in un paese, dove tutti, dalla Merkel all'ultimo barbone, a ogni inizio di torneo internazionale cantano vittoria prima che cominci. Come se dice a Roma: "ar comincio tutti campioni, a la fine tutti cojoni". Eppure i crucchi stessi dicono "Nicht die Pelze des Bär verkaufen bevor dass er aus der Höhle kommt",. che vuol dire non vendere la pelle dell'orso prima ancora che sia uscito dalla tana.
      Vinco io, due a uno:))

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  6. Non è vero, non farla passare per una "rivincita" da emigrante frustrato.
    Tu saresti un tifoso sfegatato anche se non avessi mai messo piede in cruccolandia.
    Non c'è niente di male.
    Tuttavia, ribadisco che io non vi capisco, amen.

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    1. Certo, e chi te lo contesta: io sono, non sarei, un tifoso sfegatato e non mi vergogno, perché il calcio è una passione e la maglia azzurra un sogno, una religione, come la maglia della mia squadra di club.
      Ho aggiunto, e lo ribadisco, che stando da emigrato in una nazione che ha una squadra fortissima, da sempre in competizione e da sempre perdente con la nostra, questo sentimento si raddoppia.
      Certo che non c'è niente di male.
      Ci sono cose che tu fai che io non farei nemmeno con un mitra nemico puntato addosso, tipo scarpinare sui bordi di una strada a rischio di venire travolta dai soliti immaturi e imbecilli, con a tracolla uno zaino. Ma io TI capisco: è una passione, è bello avere passioni, bello difenderle contro tutti.
      Visto? Io ti capisco, tu non capisci me: 3 a 1 per me.:)))

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  7. Veramente il giochino del "non capisco" l'hai iniziato tu.

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    1. Vero, allora spetta a me concluderlo. Però il primo "non capisco", non voleva essere irritante come l'ortica, tutt'altro. Intendeva dire "ma guarda un po', dopo tre anni che ci scambiamo opinioni questa brianzola riesce ancora a sorprendermi".
      Me paresse 'n comprimento, me paresse:)))

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