L'uomo non più tanto giovane inspirò aria con forza a bocca spalancata, poi starnutì violentemente. Mentre si soffiava il naso guardava a terra intorno a sé per trovare tracce di muco espulso. Ne pulì via una con la suola di una scarpa.
Terminò alla svelta il suo sudoku di media difficoltà e si preparò ad uscire.
Di nuovo starnutì spruzzando muco tutto intorno; di nuovo si soffiò il naso; di nuovo imprecò pulendo qua e là il pavimento con la suola di una scarpa.
Prese da un cassetto il suo orologio e se lo sistemò al polso; era l'ora giusta per uscire.
Lungo le poche centinaia di metri che lo portavano alla fermata dell'autobus incontrò gente. Nessuno lo salutò. Sentiva i loro sguardi scorrergli addosso come acqua piovana su un tetto. Non suscitava simpatia negli altri, né la cercava. Sarebbe rimasto in quella città ormai ancora poco tempo: voleva finire il suo lavoro in fretta e poi squagliarsela, senza mettere più piede in mezzo a quella gente.
L'autobus arrivò col solito ritardo. Lo prendeva da una settimana tutte le mattine, variando sempre l'orario e non scendendo mai alla stessa fermata. Ne passava uno ogni ora, dalle 7 alle 14, e tutti portavano quattro minuti di ritardo. In fin dei conti quella si poteva definire puntualità.
La poca gente a bordo teneva il naso contro il finestrino, ma un attimo dopo essersi seduto l'uomo non più tanto giovane sentiva i loro sguardi muoversi lungo la sua schiena come chiodi arrugginiti. Gente sospettosa e diffidente; avrebbe dovuto tener presente che nessuno si sarebbe dimenticato di averlo visto parecchie volte su quel bus. Un rischio in più, ma lo aveva calcolato e volutamente ignorato. A lavoro finito sarebbe svanito nel nulla. Per sua fortuna aveva una faccia come tante, che si scorda un momento dopo averla vista, una faccia comunissima: niente barba, niente occhiali, niente cicatrici, capelli corti brizzolati, sguardo insignificante, naso un po' gobbo ma non tanto. Gli veniva da ridere nel pensare al casino che avrebbe combinato tutta quella gente se avessero dovuto collaborare a tirar fuori un suo identikit.
Intanto l'autobus era arrivato alla sua fermata, ma lui rimase seduto e scese non alla prossima, bensì a quella successiva.
Percorse lentamente i quasi tre chilometri di viale alberato in riva al mare, perché si era accorto di essere in notevole vantaggio sull'orario di entrata in quella scuola. Non gli era sembrato di essere uscito tanto presto quella mattina, segno che il suo nervosismo era aumentato e che doveva stare in guardia per non commettere errori.
Si concentrò sul mare, inspirando a fondo per calmarsi. Era diverso da quello della sua città natale, dall'altro lato della penisola: questo era più verde e l'odore meno penetrante, meno salmastro. Il mare era stato la sua vita e forse proprio per colpa sua si trovava lì quella mattina.
Quando aveva conosciuto Elvezia era un giovanotto senza arte né parte, uno squattrinato buono a nulla che aveva avuto la sorte di far innamorare di sé la più bella del paese. Adesso non doveva perderla, ma aveva bisogno di soldi per non sfigurare. A trovare un lavoro avrebbe pensato dopo, quello che gli occorreva subito era danaro facile e tanto
Un suo conoscente gli aveva trovato un job: fare da palo per un furto in un magazzino del porto, una cosa sicurissima, niente rischi, quella notte stessa.
Era rimasto tutto il tempo in un angolo buio, seduto in terra perché non si vedesse la sua figura alta quasi un metro e novanta sul livello del mare, e soprattutto rimanere immobile per non mostrare la sua andatura dinoccolata da albatros al suolo, che faceva ridere tutti.
Quanto tempo era rimasto nascosto in quel buco? Certo più di un'ora, e certo si era addormentato perché si era accorto dei carabinieri solo quando lo avevano tirato su per il bavero, ammanettato e impacchettato come un pollo.
L'avvocato di ufficio G. lo aveva consigliato di confessare e quella era stata la fesseria più grande che potesse fare, come gli avevano spiegato in galera i vecchi detenuti.
"Avresti dovuto dire che eri lì per una donna; non avevano nessuna prova contro di te. Il tuo avvocato ti ha fregato".
Gli avevano dato due anni senza condizionale e dopo dodici mesi lo avevano buttato fuori con le tasche vuote e con la fedina rovinata.
Di presentarsi da Elvezia non gli era nemmeno passato per la testa: lei non aveva risposto a nessuna delle sue lettere, di sicuro non lo avrebbe voluto vedere. Si era imbarcato a Livorno su un mercantile battente bandiera cilena come marinaio semplice. Aveva 29 anni e solo voglia di sparire.
Una vita a bordo, quasi 15 anni, da fuochista a macchinista a capo macchina. Mare e cielo tutto il tempo e donne a pagamento in ogni porto toccato. Una vita lontano dal suo paese per dimenticare ed essere dimenticato.
Poi l'incidente in fondo a una stiva durante una fase di scarico: una carrucola difettosa aveva ceduto e un carrello gli era piombato addosso. Era riuscito a saltare di lato per non prenderlo in pieno, ma il suo braccio sinistro era rimasto incastrato. Ore per liberarlo. Gli avevano salvato il braccio con due operazioni, ma i nervi della mano erano morti per sempre. Cosa se ne fa un armatore di un capo macchina con una mano sola? Niente. Era stato scaricato a terra nel porto di Bari come un attrezzo arrugginito e fuori uso.
Una discreta buona uscita, una pensione sufficiente e i soldi della sua assicurazione gli avrebbero consentito di campare decentemente.
Aveva trovato un modesto monolocale ammobiliato; passava il tempo davanti alla TV e leggendo giornali e libri gialli.
L'ultima porcata del destino gli aveva fatto leggere quel maledetto articolo nella pagina regionale della "Gazzetta del Mezzogiorno", e fatto vedere una fotografia su tre colonne: una bella ragazza radiosa in mezzo ai genitori sorridenti e orgogliosi della propria figlia.
Stava scritto tutto nell'articolo, che aveva letto e riletto un'infinità di volte. A.G., figlia del primo cittadino di una città molto vicina a Bari, aveva vinto un importante premio musicale internazionale in una competizione di giovani pianisti. Alla vincitrice, ai genitori e al corpo insegnante della scuola di musica "Gaetano Donizetti" le congratulazioni della Gazzetta.
La ragazza non l'aveva mai vista prima. Sembrava avere gli occhi chiari, non come quelli di sua madre, che erano neri come la notte e che lui ricordava benissimo, e nemmeno come quelli di suo padre, l'avvocato G., che così male lo aveva difeso al processo e che adesso era sindaco di una città importante.
Dunque se l'era sposata lui Elvezia. Ma che combinazione! Dunque l'aveva difeso così maldestramente per farlo chiudere in galera e soffiargli la donna.
Il desiderio di vendetta è un crampo che ti agguanta la pancia come il morso infuocato di un animale feroce. L'uomo non più giovane si sentì violentemente colpito negli intestini: Aveva la gola secca e sudava copiosamente. Doveva vendicarsi di quei due bastardi, ma più guardava quella foto di una famiglia felice, più sentiva che Elvezia e G. non dovevano morire, ma vivere invece con un dolore implacabile. Era la figlia che doveva ammazzargli.
Da una settimana non faceva altro che pensare dove e come far fuori quella ragazzina. Era il posto e l'ora che doveva scegliere, l'arma sapeva da chi procurarsela: un revolver Magnum 375 con canna prolungata e silenziatore, da trasportare in uno zainetto e da seppellire in mare a lavoro finito.
Il posto lo aveva trovato, a ridosso di un muretto un centinaio di passi dalla fermata d'autobus davanti alla scuola di musica "Gaetano Donizetti", in una piazza priva di ostacoli.
L'ora più adatta gli sembrava qualche minuto prima delle otto. La ragazza scendeva dal suo autobus e camminava sempre da sola, forse non aveva amiche oppure teneva la puzza sotto il naso dato il suo stato sociale.
Quella mattina l'uomo non più giovane voleva soltanto studiare l'angolo di tiro migliore, controllare alcuni dettagli e mettere insieme i particolari del suo piano, che riteneva perfetto. Colpire la ragazza pochi metri prima dell'ingresso nella sua scuola, mentre passava come sempre a ridosso di un muro. Poi allontanarsi camminando piano lungo la riva del mare.
Arrivato alla piazza si fermò a qualche metro dalla postazione che aveva già scelto. Di lì vedeva arrivare l'autobus. Non c'era anima viva a quell'ora.
Dall'autobus la ragazza non scese.
E questo adesso che vuole significare? Si chiese.
Niente: un'assenza dovuta a un raffreddore, forse. Questo lo avrebbe però costretto a tornare di nuovo a perdere altro tempo.
Si allontanò immediatamente, corrucciato. Alcune centinaia di metri distante c'era una scalinata che portava ad una strada fatta di lastroni di cemento quasi al livello del mare. Era bagnata di salsedine ma non ci fece alcun caso; per meglio dire se ne accorse ma era un uomo di mare, abituato a camminare su tolde bagnate di salsedine.
Intuì il pericolo troppo tardi e scalciò con le gambe in alto quando gli mancò il terreno sotto i piedi, planando sul cemento col dorso. Un dolore assassino al fondo schiena e al braccio sinistro, quello offeso, che gli era servito a ben poco.
Provò a tirarsi in piedi, ma il dolore era troppo. Si mise carponi stringendo i denti per non urlare.
Una mano lo afferrò saldamente.
-Si è fatto molto male?
La ragazza non doveva avere più di 16 anni. Stava china sopra di lui, gli occhi a un palmo dai suoi, azzurri e trasparenti come l'acqua dei torrenti di montagna.
Ed era lei, la figlia della sua ex; l'aveva subito riconosciuta come quella che sorrideva nella foto sul giornale.
-Si appoggi a me, l'aiuto a rialzarsi.
-Ma lei non dovrebbe stare a scuola?
Gli era sfuggita e si morsicò la lingua.
-Oggi inizio un'ora dopo; manca un insegnante e ho pensato di farmi una passeggiata. Meglio no? Così l'ho potuta aiutare.
L'uomo non riusciva a dirle più niente. Teneva i suoi occhi fissi nell'infinita trasparenza di quelli della ragazza.
-Grazie, ce la faccio. Vada pure, altrimenti fa tardi.
Tornò a casa zoppicando, ma il dolore era quasi diminuito del tutto e il calore che sentiva sulla schiena gli indicava che tutto stava tornando in ordine.
Ma niente era più come prima.
Si distese sul letto cogli occhi al soffitto.
Non riusciva a strapparsi dalla mente l'immagine di un viso da adolescente, levigato come alabastro, e di due occhi azzurri e trasparenti come un cielo limpido di primo mattino.
Non pranzò, non cenò e di notte non dormì che a strappi. All'alba aveva deciso: non poteva spegnere quello sguardo.
Il lavoro era finito, meglio nemmeno iniziato. Gli conveniva impaccare le sue cose e andarsene cercando di dimenticare tutto. Ma prima voleva dare a quella ragazza un'ultima occhiata, un addio.
Prese il primo autobus, che arrivò puntualissimo alle sette e quattro minuti. Una mezzora dopo scese alla fermata della scuola di musica, dove non era mai sceso, ma ormai non doveva più preoccuparsi di prendere precauzioni. Andò direttamente alla postazione scelta da tempo. Guardò l'orologio: ancora un paio di minuti poi l'avrebbe veduta, e sarebbe stata l'ultima volta.
Vide l'autobus arrivare e la ragazza già in piedi pronta per uscire.
Discese veloce. Indossava lo stesso vestitino a fiori del giorno prima, con un golfino bianco attillato, lo zainetto dietro la schiena.
L'uomo non più giovane la osservò sorridendo mentre saliva sul marciapiedi e si incamminava a ridosso del muro come era solita fare. Sembrava cercasse riparo da qualcuno.
L'uomo non più giovane celiando sollevò il braccio destro, strinse il pugno, alzò il pollice allungando l'indice. Mirò alla ragazza e fece "pum" con la bocca.
In quell'istante una fiammata immensa avviluppò la ragazza; poi l'orrenda esplosione, mentre lei, o quel che ne rimaneva, volava in alto, oltre il muro.
Un attimo di silenzio irreale, lungo quanto una vita, poi centinaia di rumori colmarono quel silenzio. Roba che cadeva tutto intorno: sassi, calcinacci, schegge di un ordigno misterioso, gente che accorreva urlando da ogni parte. Poi le prime sirene.
L'uomo non più giovane si mosse dalla sua postazione e si allontanò senza seguire una meta. Camminò a caso, un passo dopo l'altro e senza nemmeno accorgersene si ritrovò in casa dopo un tempo che gli sembrò infinito.
Rimase nella sua stanza ancora due settimane per non destare sospetti. Guardava tutti i programmi TV, che non parlavano d'altro.
La ragazza si era chiamata Agnese e aveva avuti gli occhi di un angelo. Gli occhi di sua madre Maddalena e di sua sorella Giulia, gli occhi di tutte le donne della sua famiglia.
Arrestarono finalmente il colpevole, un esaltato che ce l'aveva col mondo.
Allora l'uomo non più giovane riempì delle sue cose lo zaino e scomparve.
Non sono riuscito a leggerlo con la mente libera: il pensiero continuava a correre a quella povera ragazza di Brindisi. Una volta, nel codice penale, una delle aggravanti più tremende di un delitto erano, giustamente, i "futili motivi". Ecco, io credo che fare una cosa simile come protesta per la diminuzione del proprio straporco fatturato meriti come minimo 3000 anni ai lavori forzati. Altro che chiedere perdono.
RispondiEliminaÈ stato sulla profonda emozione di questo delitto che sfugge a qualsiasi spiegazione, che ho maturato questa ideuzza per un racconto. Mi sembrava di infangare la memoria di Melissa, che, come ricorderai, mi aveva ispirato a caldo un accorato commento, in quanto nelle foto somigliava a mia nipote. Poi ho pensato che invece tutto quello che si dice e si scrive su questa storia serva a darci un aiuto a comprendere quanto immensamente profondo sia il pozzo del male.
EliminaPerdono, mai, comunque vada a finire il processo. Temo che qualche attenuante nella psiche sballata di questo delinquente la vadano a cercare e forse a trovare.
Ho sentito odore di Brindisi fin dalle prime righe.
RispondiEliminaAvrei preferito che il racconto finisse col "lavoro finito, nemmeno iniziato", che finisse lì sia il racconto sia la realtà, come se il racconto potesse interferire con la vita vera schiacchiando il tasto "torna indietro" ... Tornare a quello che c'era prima che esplodesse l'assurdo ... sto dicendo una cosa assurda ma cosa c'è di più assurdo di quello che è successo?
Non credo al pentimento istantaneo di questi individui, e mi fa schifo perfino il giornalista che chiede all'avvocato " il suo assistito ha pianto?"
COSA CAMBIA, sapere se abbia pianto o se se l'è fatta addosso?
Come si può provare compassione per questo assassino?
Avverto, assai benevolo anche da te come da Nik, un rimbrotto sommesso: non dovevi scrivere di quella roba.
EliminaCi ho pensato su un sacco di tempo, poi ho deciso di scriverlo e di scriverlo così. Perché? Ma perché altrimenti dovremmo scrivere solo di amore e di delicate cose, e mai scrivere di guerre, di ammazzamenti, di turpitudini. Niente parlare di mafie, niente dei vari olocausti, antichi e recentissimi, che ogni giorno avvengono in Siria per esempio; mai raccontare di attentatori che si fanno saltare davanti alle moschee in Iraq, oppure davanti alla chiese cristiane in Nigeria, e poi non dovremmo nemmeno parlare del linciaggio che i cristiani per vendetta hanno fatto di musulmani probabilmente innocenti. E mai, dico mai, scrivere di questi assurdi mostri, che per un loro tornaconto personale distruggono vite di fanciulle in fiore, che hanno il viso sorridente per vocazione e perché sono buone e pulite dentro.
Invece no. Bisogna scriverne e condannare chi questi delitti cavalca per fare ascolti televisivi; quei giornalisti che vanno a chiedere agli avvocati se il maledetto abbia pianto. Dovrebbe piangere per un palo infilatogli dentro il culo, come venivano messi a morte una volta certi criminali.
Ma da noi c'è il diritto alla difesa, e va bene; ma non c'è il diritto al rispetto della dignità e del dolore di quei genitori orfani della figlia: che significa chiedere che il maledetto esca di carcere e vada a trascorrere l'attesa del processo ai domiciliari? Ma non si è vergognato quell'avvocato nell'avanzare quella richiesta?
Scusami Silvia, scusami Nik: forse ho travisato le vostre parole e le vostre intenzioni. Il fatto è che questa morte assurda mi ha violentemente colpito allo stomaco, come a voi e come a tutte le persone che hanno un cuore.
Mi sto godendo sotto l'ombrellone tutti i tuoi racconti che ho lasciato indietro... Grazie! A giorni da me ti mostrerò un posto che ho trovato incantevole. A presto Enzo. :)))
RispondiEliminaLeNny
Stai sotto l'ombrellone? Vuol dire che lì da te splende il sole, qui da me invece piove da venti giorni, un acquazzone ogni due ore o giù di lì, e non ti permette di programmare nulla e ti rovina i nervi.
EliminaMostrami il posto, ne sarò felice.
Ciao fratellino all'ombra.:)))
Enzo, qui il tempo è a dir poco favoloso... Ci sono sempre 35º gradi, è secco e si sopporta bene. :)
EliminaHo pubblicato un articoletto su un posto che ho visitato l'altro giorno.
Ciao. :)))
Beato te!
EliminaDopo mangiato vado a leggere il tuo preannunciato articoletto.
Ciao. :)))