Ippolito nella sua vita aveva seminato cazzate da tutte le parti al punto di non capire più se fosse nato sfigato o appena appena stupido. Era un impasto mal riuscito di genio, incoscienza, sregolatezza e idiozia con l'aggiunta di un pizzico di infantilismo. Quando gli andava di giustificarsi faceva di colpo diventare pregi i suoi difetti capitali: "sono un genio che si ciba del suo infinito talento, diceva a se stesso; di tutto il resto non mi può e non mi deve fregare di meno. Chi mi rimprovera e mi disprezza lo fa perché quando alza gli occhi al cielo vede le suole delle mie scarpe". In parte era vero, lui camminava una diecina di passi sopra il cielo, mai sfiorando il suolo sudicio per non inzaccherarsi. Per la maggior parte però il suo comportamento era dovuto al non sapersi adattare al tran-tran del resto della gente, all'ovvio, al quotidiano che aborriva, viziato da una madre tenerissima e protettiva che da sempre gli aveva ripetuto che lui dovesse essere il numero uno nella vita.
Ippolito quella madre l'aveva amata e odiata, un sentimento strano che non era riuscito a governare, ma era convinto che almeno qui avesse avuto ragione: lui era un numero uno e questo gli imponeva di marciare alla testa del gruppone distaccandosene a ogni passo, Jack Frusciante ante litteram. Un sentimento ambiguo di sudditanza da sua madre e di dominanza sulla stessa, che lo aveva condotto a trovarsi sempre di fronte a un bivio quando si trattava di donne, con lui che di istinto imboccava la strada sbagliata, tanto da convincerlo di essere sfortunato nelle scelte, tutto qui, perché cadeva sempre sulle mele marce.
Aveva però avuto il gran culo di incontrare Maria Grazia e di farsi sposare da lei. Maria Grazia era mite e tenera, creta da manipolare a piacimento, assorbiva tutti i continui sbalzi di umore di Ippolito, le sue lune, i suoi tormentoni, lasciandolo libero di cercare sempre nuovi traguardi al suo immenso ego, alla sua incontenibile enorme ambizione. Perché Ippolito era un artista, un pittore dell'ultima avanguardia che ambiva ai massimi vertici, lassù, in vetta al suo cielo, irraggiungibile da tutti gli altri.
Però col tempo il suo rapporto con Maria Grazia si era irrigidito, più da parte di lui che da parte di lei, perché secondo Ippolito sua moglie non lo seguiva, non lo sapeva coadiuvare nei suoi tentativi di decollo, non gli dava il contributo che lui si aspettava. Non si era mai chiesto se fosse possibile a una persona normale sostenere quei ritmi spirituali e intellettivi e nello stesso tempo essere una perfetta moglie, un'eccellente madre della loro figlia e di notte una focosa amante.
"Io riesco ad essere marito, padre e amante, nonché artista. Allora dov'è il problema?"
Ma oramai la loro unione si era sfilacciata e mostrava strappi qua e là, tendendo verso una monotona e relativamente pacifica routine, verso quello che Ippolito detestava: il grigiore della normalità, del déjà vu. Si sentiva oramai solo di fronte alla montagna che intendeva scalare per appagare la sua smisurata ambizione e lasciare libero sfogo al suo talento.
A ricontarli adesso si accorgeva che erano trascorsi in quel limbo anni senza scatti, senza precipitare di colpo, ma nemmeno senza arrampicate eccellenti. Inorridì quando si rese conto di avere preso un modus vivendi nuovo e inatteso: lasciava passare giorno dopo giorno senza incazzarsi più per la noia, per la contezza dell'inutilità dei suoi sforzi, e questo sapeva che sarebbe stato un pericolo mortale. Avrebbe significato la rinuncia alla realizzazione del sogno della sua vita; avrebbe significato il mesto riassorbimento del fuggitivo nel ventre del gruppone, che ti risucchia e ti ingoia, ti digerisce e ti deposita ai bordi della strada come fetido letame. Una morte da vivo.
Scivolava sempre più in basso Ippolito e non si accorgeva di non stare muovendosi affatto: uno strappacore giornaliero ormai indolore e invisibile, di cui si accorgeva lui solo, ma il suo maledetto orgoglio gli impediva di chiedere aiuto, il suo stramaledetto ego gli vietava di venire a patti con la realtà.
La modernità gli venne incontro come una locomotiva in piena corsa. Si trovò nel mondo dei blogger e ne aprì uno tutto suo per sfogare le proprie ansie e le ambizioni frustrate, badando a non lasciar trapelare la crisi esistenziale che lo stava ingoiando.
Scoprì di avere uno stile piacevole che attirava commentatori e commentatrici. Dapprima solo curiosi, perditempo e cacasentenze, ma una fresca mattina di un novembre Ippolito lesse un commento arguto e succulento scritto in punta di lapis da una donna, che aveva l'agilità mentale di una gatta selvaggia e la saggezza di un elefante indiano.
Si firmava Hera, come la mitica madre degli dei, la padrona di casa dell'Olimpo, la gelosissima sposa di Zeus.
"Sei una scrittrice?", le chiese Ippolito nell'immediato controcommento.
"Ho pubblicato qualcosa, ma lo faccio per hobby", fu la risposta.
Ippolito era in fibrillazione: il suo istinto, il suo fiuto di randagio gli aveva messo in agitazione tutte le cellule più nascoste e più in tranquillità del suo spirito, che credeva perdute per sempre nella nebbia della monotonia quotidiana. Di colpo era tornato uccello da preda in caccia di sensazioni nuove, era tornato caterpillar, era tornato a vivere.
La sua produzione artistica ebbe una vigorosa impennata: era di nuovo uscito dal gruppo e scalava in solitudine la vetta del suo Izoard.
Anche Hera da parte sua aveva qualcosa di speciale, era un bulldozer e glielo disse subito: "Ti sta arrivando addosso una slavina e non so se ti salverai", gli scrisse.
Nessun pericolo di innamoramento per entrambi: quasi il doppio degli anni da parte di Ippolito; migliaia di chilometri di distanza, nemmeno uno di quei fremiti che lui ben conosceva. Nacque un profondo legame di amicizia, dove nessuno dei due sapeva quando fosse iniziato. Ippolito trattava Hera come una nuova figlia e le voleva bene.
Ma era pur sempre un numero primo, tormentato dalla solitudine, che contagiava tutto e tutti quelli che si avventuravano nei suoi paraggi, anche Hera, che non sopportava certi suoi atteggiamenti gigioneschi.
Adesso c'erano a commentare sul suo blog altre belle persone e Ippolito, senza nemmeno accorgersene, faceva il gallo del pollaio. Un po' puttana era sempre stato per indole, dai tempi della sua infanzia, per attirare l'attenzione di sua madre prima e di qualche ragazza poi, fino a farlo con Maria Grazia all'inizio della loro relazione d'amore. Però non era mai stato un paraculo, come lo definiva senza mezzi termini Hera. No, paraculo non era mai stato. Forse solamente autolesionista per eccesso. Adesso però la stava provocando e deludendo, incapace di smetterla, nemmeno lui ne capiva il perché. Eppure vedeva che Hera si stava inesorabilmente allontanando da lui.
Una notte, nel chiuso del suo studio, Ippolito riprese le fila dei corsi e ricorsi storici della sua vita strapazzata. Da quando per orgoglio e stupida incoscienza aveva distrutto la grande amicizia con Rosalba P., la sua dolce e bellissima compagna di infanzia, di giochi e di studi, fino alla maturità e dopo all'Università. Per una banalissima ripicca l'aveva spinta fra le braccia di Eros, il bullo che l'aveva usata e mollata distruggendone l'anima.
Lentamente Rosalba si era rifatta una vita, ma non aveva dimenticato, anche se era stata capace di perdonarlo. A 54 anni un male incurabile se l'era portata via. Al funerale Ippolito piangeva. Pensava che avrebbe dovuto essere lui il vedovo inconsolabile, lo stupido che non aveva capito allora quanto Rosalba lo amasse.
E ricordò la breve, brevissima tragica poesia, l'ultima che lei gli aveva mandato, le cui parole erano impresse a fuoco nella sua mente:
"Sono venuta alla tua porta, era chiusa;
ho bussato e non hai aperto.
Adesso sto sola nella bufera"
Ora Ippolito stava nuovamente rischiando di divorare un'amicizia, per non avere il coraggio di ammettere di essere debole e bisognoso di aiuto, dell'aiuto di Hera, che glielo aveva offerto sponte sua, con quel suo modo un po' scontroso e ruvido.
Quella notte, la notte del ricordo doloroso di Rosalba, Ippolito aveva gli occhi umidi, stringendo nella mani un foglio aperto davanti al viso: una poesia che Hera gli aveva inviato.
"Leggila e dimmi se ti piace", le aveva detto con nonchalance. Non avrebbe mai ammesso di averla scritta per lui, ma Ippolito lo aveva immediatamente saputo. Non aveva bisogno di leggere, la sapeva a memoria.
"Non stai per arrivare.
Scostare la tendina con il tocco leggero di un gesto inutile
gettando lo sguardo alla cieca
con l'illusione di mandarlo lontano
-arco lanciato nel folto di una radura,
lenza gettata nel fiume, sasso scagliato nel pozzo-
Ma niente!
La visuale si arresta subito, all'inizio della salita.......
..............
Ippolito non riuscì ad andare oltre. Strinse il foglio tra le dita e se lo portò sul cuore.
No, non ti lascerò sparire nel folto di una radura, pensò; non ti scaglierò nel pozzo; non ti lascerò morire all'inizio della salita.
No, tu no.
La seconda opportunità...bella cosa. Nella vita vera è rara, quasi unica. Sto racconto..che ne so me pare porti na briciola de autobiografia..che dichi? Comunque la cosa che me piace più de tutto è er nome della moje..chissà come mai!!;-)
RispondiEliminaChe te pare de la seconna opportunità? Bigna dalla nun se convinta? Bigna puro pialla, sempre, dico l'opportunità nun capimme male.
EliminaAutobiografico? In fonno puro Dante Alighiero quello de Firenze era autobiografico, puro se descrivi un cielo te capita de descrive un cielo cai già visto in quarche posto. Si parli de na donna pensia na donna precisa, che esiste, mica te la poi inventà de sana pianta, no?
Lo sapevo che te sarebbe piaciuto er nome de la moje, ma er tuo è un ber nome.
Mo te devo da dì che propio mo mai fatto penzà a namico mio che aspettava la pischella che nun arivava mai, che se chiamava come a te. Doppo du ore jè scappato "ave Maria piena de Grazzia, te piasse un corpo" e noi già a pisciacce addosso pe le risate.
Ciao Mariagrà!
Hera m'incuriosice...mi chiedo se è veramente esistita!
RispondiEliminaPerché usi il passato?
EliminaIppolito allora? È mai esistito?
"Madame Bovary c'est moi!"
RispondiEliminaPeccato che io non senta alcuna affinità con Gustave Flaubert.
EliminaVincè. Sei sempre il solito gigione.
RispondiEliminaBello sto Ippolito. Capace di comprendere alla fine che l'amicizia può essere più importante dell'amore.
E che gli amori vanno, tra dolori e sofferenze. Anche indifferenza, a volte.
Ma l'amicizia quella vera, quella non cercata, ma capitata, va coltivata.
Curata,coccolata. In amicizia l'egoismo non esiste.
In questo modo non si spegnerà mai.
Cuore e mente libera.
Ciao Vince'.
Sapevo che tu avresti data l'interpretazione esatta del post. Lo diceva anche mio padre bella anima: gli amori nascono e muoiono, l'amicizia vera non muore mai. Che poi quella vera è sempre casuale, mai cercata, perché si cerca una compagnia, mentre l'amicizia è frutto di un casuale incontro di due indole simili, di due sensibilità affini, che non si possono cercare ma solo incontrare per caso, sbattendosi addosso come quando si infrocia l'un l'altro voltando l'angolo di un muro.
Elimina"In amicizia l'egoismo non esiste". Brava Mariella! Nell'amore è tutto egoismo: prima di dare si vuole ricevere e si dà in proporzione di quel che si riceve.
In amicizia non si pensa a ricevere ma a dare, sempre, anche sbagliando a volte grossolanamente.
Bel commento, mi sei piaciuta proprio. Mi ci voleva stasera, ero un po' in picchiata e tu mi hai dato la spallata per rimettermi in piedi. Grazie.
Ciao Marié.
Non me ne meraviglio.
RispondiEliminaCerto che no! Mi ci vedi a concepire un romanzo come quello che ha scritto lui? Fossi vissuto nel suo secolo avrei scritto sicuramente qualcosa di diverso.
EliminaAnche se è più recente mi sarebbe piaciuto scrivere "Les fleurs du mal".
Ci sarei potuta arrivare... a "Les fleurs du mal", che anch'io amo. Ce n'è una che parla di un incontro fuggevole per strada con una donna misteriosa e affascinante che avrei voluto rileggere stamattina ma non sono riuscita a trovarla.
RispondiEliminaE Rimbaud?
Rimbaud l'ho letto troppo tempo fa; ricordo che mi colpirono le sue assonanze assai misteriose, naturalmente in lingua originale. Ho sentito molto Paul Eluard.
EliminaLa poesia di cui parli non è facilmente raggiungibile nel testo. A me è sempre starodinariamente piaciuta "Don Juan aux Enfers":
"...Montrant leurs seins pendants et leurs robes ouvertes,
des femmes se tordaient sous le noir firmament,
et, comme un grand troupeau de victimes offertes,
derrière lui traînaient un long mugissement..."
E il finale:
"Tout droit dans son armure, un grand homme de pierre
se tenait à la barre et coupait le flot noir;
mais le calme héros, courbé sur sa rapière,
regardait le sillage et ne daignait rien voir."
Semplicemente sublime: dipinge un quadro.
Splendida, davvero.
RispondiEliminaQuella a cui mi riferivo è "A une passante"
Finalmente l'ho trovata è l'ho postata sul mio blog.
P. S. ho trovato anche quella di Rimbaud che ho recitato anni fa in uno spettacolo teatrale, si intitola "Le coeur volé"
Credo che posterò anche quella, prossimamente, con più calma. Ciao!
Sì, splendida.
EliminaCercherò "à une passante" sul libro e sul tuo blog. Adesso no ch´ho fretta, ma stasera.
Posta anche Rimbaud.
Ciao!
Io questo Ippolito in crisi esistenziale non riesco a vederlo. Ma come proprio lui che aveva sempre l’ultima parola in tasca su tutto e non permetteva a nessuno di pestargli i piedi ha avuto un momento di cedimento?..
RispondiEliminaQuel famoso dì fece bene ad aprire un blog altrimenti come avrei trovato questa personcina tanto interessante?
Spero di non essere catalogata fra le caca sentenze, e ribadisco..ma chi è Hera?..persona alquanto più unica che rara visto e considerato che aveva l'agilità mentale di una gatta selvaggia, la saggezza di un elefante indiano, e ha saputo conquistare la tua attenzione a tal punto da venerarla.
Quasi sono gelosa di quell' affetto che hai provato per lei…
Ma come io che ti vedo come Zeus sull’Olimpo!!!!!!^__^
Buon Sabato..un sorriso per te
Ippolito aveva una corazza addosso per non lasciar vedere le sue debolezze. La sua arroganza, la sua aggressività erano la sua corazza, la sua mimetizzazione.
EliminaAprì un blog per propagandare il suo primo romanzo, seguendo il consiglio della sua editrice e poi ci prese gusto, ma per lungo tempo rimase a fondo pagina la dicitura "nessun commento".
Assolutamente u non fa parte della cacasentenze, tranquilla.
Hera? Si può possedere l'agilità mentale di una gatta selvaggia e la saggezza di un elefante indiano ed essere donna, anche fragile, anche umana, soprattutto umana.
Forse anche Hera adotta una corazza e questo ha favorito la simbiosi spirituale tra lei ed Ippolito.
Hera ha la stessa capacità che ha Ippolito: sa sfruttare la sua debolezza per farne la sua forza, non è da tutti.
Venerarla...non direi: amarla come si può amare una figlia, questo certamente, da parte di Ippolito, che una figlia aveva perduto, appunto, e il cui ricordo premeva nelle sue fibre.
Le difficoltà hanno inizio proprio qui: Ippolito può sostituire Hera alla figlia perduta, mentre Hera non ha bisogno di un padre, avendone già uno che ama a modo suo.
Quindi rimane una grande amicizia, che è una cosa sublime quanto e più dell'amore. L'amore a volte non ha senso e dura quel che dura; l'amicizia è frutto di un incontro a volte assolutamente casuale e non voluto e per questo più autentico e duraturo.
Perché gelosa? Anche tu sei una buonissima amica.
Mi vedi come Zeus sull'Olimpo? Quando stava sull'Olimpo non faceva danni, era quando diventava pioggia, fuoco e si trasformava in bue che lasciava vittime lungo la strada.
Non sono mai riuscito a trasformarmi in una pioggia di fuoco. Avessi potuto avrei bruciato i coglioni di chi dicevo io!!!
Buona domenica a te.
Qui stiamo aspettando la nottata più calda dell'anno: 32°.
Oggi a Karlsruhe ha fatto 41° dalle 12,30 alle 14,30!
Record. Tutti a mollo come anatre.