"Una moltitudine immensa. Più della metà certamente soltanto curiosi e sfaccendati, ma quelli appostati sui gradini della chiesa erano fotografi e giornalisti: anche da morto era riuscito a farli accorrere, anche da morto li aveva adunati in doppia fila al suo passaggio.
E da morto finalmente uscì, portato a spalla da otto volontari, mentre dietro di loro altri già tendevano le braccia pronti a ricevere quell'onore.
La moltitudine proruppe in un fragoroso applauso, come ormai era consuetudine: si applaudiva tutti, santi e impostori, galantuomini e delinquenti. Applaudirono anche questo morto e tanti ne scandirono il nome.
Nel momento più sonoro e compatto delle acclamazioni una risata sghignazzante piovve dall'alto dei cieli rendendo la folla all'istante muta e sgomenta. Chi si azzardava a dileggiare un defunto? Cosa c'era di tanto comico in quella dolente cerimonia? E poi, chi aveva tutto quel fiato in gola da sovrastare gli applausi di tutti loro? E già qualcuno preso dallo sdegno cominciava a inveire, ma non ebbe il tempo di organizzare una protesta collettiva perché la bara come rapita da un turbine, strappata dalle spalle dei bravi volontari, venne risucchiata verso l'alto e lasciata a mezz'aria a saltare e ballare, sembrando a volte precipitare al suolo, per poi riprendere slancio balzando verso le nuvole come fosse il rocchetto di un gigantesco diabolo sospeso sopra una invisibile corda.
Nessuno osava fiatare nella piazza, e c'era chi era pronto a giurare che si trattasse del miracolo di un santo protettore e chi invece era certo che il diavolo volesse in quel modo mostrare di aver preso possesso dell'anima del morto.
D'un tratto il furioso ballonzolare cessò: la bara partì verso l'alto come se un mastodontico pugno la serrasse e poi fu scaraventata sulla facciata della chiesa. Andò in pezzi, precipitando sul sagrato. Restò lì, spalancata e vuota; vuota, sicuro, perché del morto non c'era più alcuna traccia: scomparso o forse mai esistito.
A quel punto respirai (respirò) con forza, perché l'incubo era finito: non andava mai oltre e io (e lui) mi svegliavo (si svegliava) sempre quando la bara si spiaccicava sulla facciata della chiesa, e sapevo (e sapeva) che era vuota pur non avendoci mai messo il naso dentro. Facevo (faceva) quel sogno da un paio di anni, quasi all'arrivo dell'alba e mi ero (si era) messo in testa che c'entrava qualcosa con la mia (la sua) morte, col mio (col suo) funerale. Forse qualcuno mi (lo) stava avvisando in quel modo che anche dopo morto mi (lo) aspettava tutta una serie di peripezie e di violenze, come se non bastassero quelle che subivo (subiva) in vita, si può dire ogni giorno."
(Non ho ancora deciso se la narrazione avverrà in prima oppure in terza persona).
Questo sogno/incubo fa A, fratello gemello di F a l'inizio della storia, la notte prima di dover abbandonare la casa e la intera proprietà paterna, perduta da entrambi in una partita di poker probabilmente truccata.
L'attempato genitore si trova in viaggio di nozze. Ha sposato in seconde nozze una ragazza 35 anni più giovane e se la vuole godere. Ha lasciato i due figli a tirare avanti l'azienda agricola e loro in poche ore hanno dilapidato una mole di danaro, perdendo alla fine l'azienda, i poderi, le scuderie e la villa.
Vivono piantando una tenda in un pezzetto di terreno ancora in loro possesso, dove c'è l'imbarcadero di una barca a vela, che è tutto quel che gli è rimasto, che si trova su un fiume.
Ogni sera tentano l'avventura e riescono a volte a riconquistare qualcosa per una notte, spostando poi la canadese di un centinaio di metri, quasi a segnare il nuovo confine, per poi la sera successiva riperdere tutto e qualcosa di più. Continuano questo estenuante avanti e indietro finché non perdono anche l'imbarcadero e sono costretti e risiedere nella barca, legata con una gomena.
Cominciano a pensare seriamente all'ipotesi di eliminare il padre per non venire diseredati e per entrare in possesso dei soldi che il vecchio tiene in banche che lui solo conosce. Fanno mille progetti per un delitto perfetto.
Oramai dovrebbe essere vicino il giorno del ritorno, ma il vecchio se la sta spassando.
Intanto hanno perduto anche la gomena e sono costretti a governare una barca, che la corrente tende a far muovere verso il largo.
Il vecchio non rientra.
Il tempo è trascorso e loro perdono anche la barca e sono costretti a pernottare all'addiaccio nella sponda opposta.
Una mattina la barca prende il largo e torna dopo molte ore, che è quasi sera.
Ne discendono i nuovi proprietari insieme alla giovanissima moglie del vecchio.
Forse il padre è morto, forse ritornerà, forse la bella figliola era d'accordo coi biscazzieri. Ma un giorno il vecchio torna e i biscazzieri lo accolgono con tutti gli onori.
Un barchino con un rematore e la ragazza attraversa il fiume fino ai due gemelli.
"Vostro padre vi farà sapere quando vi riceverà -è il messaggio della bella- dovrete aspettarlo qui."
E inizia l'attesa.
FINE.
Che ve ne pare?
Capito 'na mazza.
RispondiEliminaMa forse ho solo bisogno di letargizzare per una intera settimana.
.. Dopo non aver capito il senso di nulla, sono tornata al titolo del post: incipit di nuovo romanzo con finale monco. Ah, ecco, il finale ancora manca. Ecco perchè non capivo.
Ma no che non manca, hai messo la parola fine. Ah, ho capito: è uno di quei libri senza finale. Tipologia di libri che aborro. Credo che il finale sia bestia grama, per lo scrittore, e credo che il volerlo evitare sia solo un espediente per evitare la fatica all'autore e la delusione al lettore. Comodo, ma insoddisfacente, come tutte le cose lasciate a metà.
Sei de coccio?
RispondiEliminaIl finale è MONCO, non manca: vale a dire non ci può essere una fine tra il sogno e la realtà.
Hai presente "An attendant Godot" ? di Samuel Becket?
Medita, piccolina, medita.
È la seconda volta in poco tempo che usi l'espressione "capito 'na mazza"
Ricaricare batterie. Iacoponi non scappa davanti ai finali, anche quelli più scomodi.
Quando avevo 16 anni ho visto aspettando godot rappresentato in uno spettacolo teatrale. Ho puntato i miei occhi su questi due attori fermi su una panchina, finchè essi si sono chiusi. gli occhi, non gli attori, che invece hanno continuato ad aspettare sto stronzo di godot. che noia! Preferisco ale e franz, almeno su quella benedetta panchina parlano.
RispondiEliminaVedi, Iacoponi, non capivo 'na mazza a 16 anni e ho proseguito su quella strada. Che testa! Mi conviene nascondermi sotto le coperte, a nanna, a ricaricare batterie (e se sifossero ossidate?) e a MEDITARE sulla mia incapacità cronica di comprendere le mazze.