Ieri sera sono andato a letto incazzato nero come una Foca Monaca. Tutta colpa della connessione vietata di Kabel Deutschland, che -ed è la terza volta in meno di un anno- quando meno te l'aspetti ti pianta nella merda e non ti passa più Internet con annessi e connessi. Si resta stronziti o stronzati, non ci si è ancora messi d'accordo tra romani e napoletani su quale sia la forma giusta del verbo stronzire di nuovo conio, che al passivo dovrebbe fare essere stronziti oppur stronzati, da qui la diatriba. Comunque niente da fare; ha da passà a nuttata, diceva Eduardo. Domani è un altro giorno, si vedrà, canzone degli anni ottanta di Ornella Vanoni; frase celeberrima con cui Vivien Leigh/Rossella O'Hara conclude il polpettone nato dalla pregiata ditta Victor Fleming-Margaret Mitchell nel lontanissimo 1939.
Ieri era stata, malgrado la mia incazzatura, una splendida giornata, con sole radioso tanto da costringermi a tirar fuori i miei Persol D19. Una giornata che suggellava una settimana di bel tempo che aveva fugato le ultime tracce delle nevicatone di febbraio. Avevo preso la macchina e portato Anna Maria a spasso. Avevamo scelto il parco sul Reno di Rappenwörth, dove sorge la piscina all'aperto che frequentiamo ogni anno nei mesi di giugno e luglio. Ad agosto siamo in Italia.
Vederla d'inverno e riconoscere i posti dove di solito ci si sofferma all'ombra per non venire arrostiti mentre adesso ci si crogiola a questo solicello da 7 gradi, forse 7,5 fa un po' tenerezza. Non c'eravamo mai stati nei mesi invernali ed era tutta una novitá quella che stava davanti ai nostri occhi. Innanzitutto solo coppie di vecchietti pensionati al sole come lucertole. I meno vestiti eravamo AnnaMaria ed io: avevamo lasciato i cappotti in macchina e ce ne andavamo in giro coi pullover di lana aperti fino allo sterno. Pensavamo già alla primavera, al sole estivo, alle vacanze a casa nostra. Beatamente.
Dimenticata per una sera la televisione -troppo melenso il programma di Pupo ed Emanuele Filiberto, toh chi si rivede, la strana coppia-; giocato a scala quaranta con Anna Maria, che ha più fortuna di una madre badessa, per cui spianata la strada alla seconda incazzatura della giornata dopo quella del mancato internet; deciso finalmente per mancanza di stimoli di andarcene a letto, si concludeva così in un buio soporoso ed accogliente una giornata così così.
Alle 02,34, ora tedesca e quindi di assoluta precisione ero in giro per l'appartamento, come mi capita da una diecina d'anni. Attraverso la finestra del corridoio, che non si può chiudere mai del tutto perché sul davanzale c'è la cassetta di coccio contenente la terra che attende in aprile i gerani di Anna Maria, ho intravisto la strada: mi è sembrata bianca. Cavolo, ho pensato, ha brinato. Ma non me la sono sentita di fare gli scarsi tre metri e di tirar un po' su la serranda, tornandomene a letto con l'amara consapevolezza che l'inverno, almeno di notte, non era ancora passato.
Dovevano essere le cinque quando mi sono risvegliato. Il silenzio infatti era assoluto e poi oggi era un sabato e qui lavorano in pochi. Non avevo nessuna intenzione di alzarmi e guardare se la brina fosse ancora distesa su prati, strade, alberi e case. Ho cominciato a fantasticare, un po' ad occhi chiusi un po' ad occhi aperti, che fa quasi lo stesso perché al buio non c'è poi tanta differenza.
Credo che si siano fatte le 7,30. Doveva essere quell'ora lì, perché Anna Maria si è alzata per andare in bagno. Lo fa tutte le mattine da una vita. E da una vita tutte le mattine tira su la serranda piccola, quella della porta che dà sul balcone. Ho sentito un "Ooooooooohhhhhhhhh!"; ha emesso un "Ooooooooohhhhhhhhh!". Ha trattenuto il respiro, poi mi ha detto: "Enzo, vieni a vedere."
Ma non ci penso proprio a quest'ora antelucana. "Che dovrei vedere?" Ma lei non molla: "Vieni a vedere, ti dico"
Quelle due stronze del piano di sopra hanno buttato giù un armadio, o un baule, oppure un amante poco esperto. Ma Anna Maria tieni i pugni sui fianchi e mi guarda con aria bellicosa; conviene alzarsi e vedere 'sto strazio che tanto l'ha colpita.
Arrivo alla finestra dove lei garbatamente mi fa posto e vedo pezzetti di carta che vengono giù dal balcone delle due stronze.
"Ma che ca...! Ma che fanno quelle di sopra?"
Hanno buttato giù un mare di carta, il prato ed il balcone ne sono pieni, e anche la strada che ci passa davanti ed i tetti delle case sono pieni e...ma questa...ma questa è neve!
Esco sparato sul balcone, mentre Anna Maria mi grida non so quale giaculatoria dietro. Affondo le mani sul piano del tavolino che sta all'angolo: la mia mano tocca il tavolo, ci si adagia e la neve mi arriva dieci centimetri sotto il gomito.
"Sono più di 30 centimetri!"
"Ma quando ha incominciato? Chiede lei. Dovresti saperlo tu che sei sempre in piedi a metà della notte."
Penso alla brina della 2,34.
"Alla faccia della brina! Esclamo. Era neve."
Le spiego quel che ho visto e torno a letto.
"Paese del cavolo, inverno del cavolo, mese del cavolo. Da noi non succederebbe una porcata così; e pensare che qui marzo è un paese normale ed aprile è quello matto, infatti loro cantano "april, april". Figuriamoci che sarà tra un mese."
Ma non mi sta a sentire: sta rovistando tra le sue cose, dove tiene anche le foto 13x9 della sua giovinezza, in bianco e nero, quelle dove io non sono mai, che da un po' di tempo guarda troppo, come se avesse nostalgia di qualcosa. Se scopro cosa!
"Ecco guarda queste due." Mi dice offrendomi due piccole foto dove sua zia Carmen l'ha ritratta assai dilettantescamente da troppo distante. Si vede Anna Maria a 17 anni, alta e magra, sorridente come sempre, ignara ancora dell'incontro fatale che avrebbe fatto di lì a cinque anni. È una ragazzina ben sviluppata che ride beata in mezzo alla neve. In fondo la sua casa di Cervignano.
"Leggi dietro la data". Mi fa.
Giro la due foto e leggo, scritto di sua mano: "5 marzo 1955". Cacchio e controcacchio. Guarda che coincidenza, cinquantacinque anni orsono quasi lo stesso giorno c'erano in un paese della Bassa Friulana più di trenta centimetri di neve, come da noi oggi.
E io che pensavo fossero scherzi tedeschi!
Ma avevo dimenticato una mia avventura.
Tanti anni fà, infatti, a Francoforte, il 27 dicembre 1978 -notare la data, giorno e mese por favor-
c'erano 25 gradi +. Una specie di estate postuma. La gente girava in maglietta. Io dovevo andare a visitare un cliente a Darmstadt. Allora ero un rappresentante di vini Bolla nell'Assia. Non misi la cravatta, ma indossai un vestito leggero, da mezza stagione come si diceva una volta, presi la mia 24 ore, salutai Anna Maria e i bambini, promettendo che sarei stato di ritorno con certezza per l'ora di pranzo. Erano da poco passate le 10. Decisi di evitare l'autostrada, troppo incasinata di sabato, e scelsi la strada provinciale: Sachsenhausen, Neu Isenburg, Sprendlingen, Langen e poi Darmstadt dal mio cliente. Mentre attraversavo uno dei ponti sul Meno vidi dalla parte di Darmstadt salire su un banco di nuvole livide come piombo fuso. Fra oggi e domani finisce la pacchia, pensai. A Neu Isenburg il cielo era completamente coperto e bisognava accendere i fari per vedere la strada, ma il caldo dentro la macchina era ancora soffocante. Appena lasciate le ultime case del paese di colpo venne giù il diluvio. I tergicristallo spinti al massimo non riuscivano a spazzar via la montagna d'acqua che si stava rovesciando a terra. A un certo punto si fermarono del tutto, mentre la macchina, che io tenevo a regimi bassissimi in seconda, fece due sussulti e si fermò.
Non vedevo assolutamente niente attraverso i finestrini. Nemmeno vedevo fari di altre macchine in avvicinamento, né sentivo motori di altre macchine approssimarsi, solamente lo scroscio violentissimo dell'acqua e il rumore del vento. Un Uragano! Pensai. Ne avevo già sentito parlare, ma mai mi ci ero trovato dentro. Inconcepibile per chi vive a sud delle Alpi credere che possano esistere uragani invernali, ma quello era uno ed io ci stavo dentro.
Di colpo cessò il rumore del vento, cessò la pioggia e fu tutto silenzio.
Provai a mettere in moto, inutilmente. Provai a far muovere i tergicristalli, ma non si mossero.
Allora decisi di vedere dove cavolo stavo; pensavo di trovarmi in mezzo alla strada e quindi tanto valeva uscire fuori e spingere la macchina a lato della strada. Provai ad aprire lo sportello dalla mia parte, ma non ce la feci. Dopo inutili tentativi riuscii solamente ad aprire lo sportello di destra, quello del passeggero, poggiandovi sopra i piedi e spingendo con le gambe fino a scoppiare.
Finalmente sentii un crock! come di un grosso ramo che si spezza. Pensai di saltare fuori, ma arrivato alla porta vidi quello che era successo. Non acqua era venuta giù, ma ghiaccio, a tonnellate: le ruote erano tenute bloccate dal ghiaccio fino ai mozzi, e come me altre trenta o quaranta macchine messe nelle posizioni più strane, così come erano finite erano rimaste.
Faceva un freddo boia e io ero coperto di niente. Il motore non partiva e quindi il riscaldaménto non poteva avviarsi. E non esistevano telefonini!
Dopo una mezzora, che mi sembrò eterna, arrivarono due gatti della neve della Polizei. Portavano caffè bollente e coperte. In un'ora tutti i pompieri di Neu Isenburg e di chissà quale paese erano impegnati a sbloccare ruote ed aprire una strada in mezzo al ghiaccio. C'era una macchina con una enorme cremagliera davanti che spaccava il ghiaccio e si doveva andare tutti dietro. Il problema fu di rimettere in moto il motore. Ci pensarono, nel mio caso, due giovani poliziotti, che sembrava fossero del mestiere. Non fui nemmeno in grado di dar loro un'occhiata di ringraziamento. Ero intirizzito, come se avessi soggiornato dentro una ghiacciaia per un giorno intero.
Tornai a casa alle 18,30 trovando delle faccette stravolte e terrorizzate.
Per fortuna ho il fisico di un elefante e non mi sono preso nemmeno un raffreddore. E quella è stata la mia avventura al Polo Nord.
*) Il termine "Cruccolandia" è ancora usato per gentile concessione di Fuma, che ne detiene sempre il Copyright.
Iaco, piantala con sta storia del copyright. Dato che io non posterò mai about cruccolandia , mentre presumo tu lo farai spesso, te la cedo sta cruccolandia, perchè tutte le volte che sono venuta da quelle parti mi sono trovata benissimo.
RispondiElimina