Sarchione nacque in un afoso pomeriggio estivo in mezzo alle zolle di un campo di grano, che sua madre insieme ad altre contadine stava mietendo. Il tempo di pulirlo e si rimise al lavoro. A casa gli diede la prima poppata. Suo padre disse: "Un altro maschio, gli dei non ci amano." Meglio le femmine a quei tempi, rendevano di più a venderle; i maschi se li prendevano gratis per farne combattenti e lui già ne aveva sette e quest'ultimo gli sembrava proprio brutto, con le gambette secche e tozze. "Questo non lo vogliono nemmeno come soldato -bofonchiò- sta a vedere che lo dobbiamo mantenere anche da grande." Così quando furono passati tre volte cinque inverni lo sbatterono fuori di casa. Suo padre dovette rincorrerlo minacciandolo con la roncola perché Sarchione capisse e si allontanasse.
Era grosso modo l'anno 1000 avanti Cristo, ma Sarchione non lo sapeva, perché non aveva mai contato anni in vita sua; anzi non aveva mai contato nulla.
Era ancora più brutto di quando era nato, piccolo, nero e pelosissimo come solo i greci dell'interno dell'Attica possono essere, ma lui non sapeva di essere un greco, anzi un attico, perché piccolo com'era poteva al massimo sembrare un mezzanino.
Girovagò sconsolatamente per l'arida Ellade, sconfinando forse, ma lui andava dove il vento gli portava odore di cucina. Offriva le sue braccia per un pezzo di pane, e poiché era molto vigoroso, c'era sempre qualcuno che in mezzo al pane gli ci metteva un pezzo di montone arrosto.
Era brutto come più brutto non si può, col naso adunco e le narici pelosissime, gli occhi cisposi ed i capelli irsuti sul cranio a pizzo. In compenso era fortissimo, parlava poco e lavorava assai.
Un giorno che vangava un campo arrivò una pattuglia di otto soldati in cerca di uomini giovani e forti. Il capo pattuglia aveva sentito della potenza dei muscoli di quel tipo taciturno; voleva però saggiarne la forza, perché si sa che la gente spesso esagera e quello lì, a guardarlo, non ispirava grande fiducia. Fece cenno ad uno dei suoi uomini: questi si avvicinò a Sarchione e l'apostrofò in malo modo: "Non te l'hanno insegnato che si comincia a vangare da destra e si va a sinistra, pezzo di somaro?"
Sarchione si guardò le mani pensando: lui non lo sapeva qual'era la destra. Sicuramente una delle due; che importava da dove aveva cominciato?
"Mi hai capito, somaro -insistette il soldato- ricomincia da capo dall'altra parte"
Sarchione gettò allora la vanga e gli saltò addosso; mica perché l'altro gli aveva dato del somaro, bensì perché gli voleva far ricominciare il lavoro. Quando gli altri sette intervennero per salvare il loro commilitone da una brutta fine, Sarchione diede mazzate a tutti in parti uguali mettendoli in fuga pesti e sanguinanti. Si rivolse allora al capo pattuglia, che era rimasto a guardare, pronto a dargliene ancora di più.
"Fermati! -gli intimò quello- Sei ingaggiato"
E poiché Sarchione non capiva e continuava ad avanzare, aggiunse:
"Otto dracme al mese, più un coscio di montone e un moggio di grano."
Ma Sarchione avanzava ancora per sentire meglio, dato che non aveva afferrato bene il concetto, e il capo pattuglia, che si vedeva stretto ad un muro e senza via di fuga, gridò mettendo le mani avanti alla faccia:
"Nove dracme al mese, due cosce di montone e due moggi di grano."
E finalmente Sarchione si fermò e sorrise, perché di soldi non capiva niente per cui otto o nove faceva lo stesso, ma di montoni e di grano poteva dare lezioni.
"Allora, affare fatto?", chiese il capo pattuglia ancora non troppo sicuro.
"Affare fatto." gli rispose Sarchione, e riprese la vanga.
"Guarda che da adesso sarai un soldato -gli disse il capo pattuglia- molla la vanga e vieni via con noi."
"Sei matto? La vanga è mia e me la tengo." gli rispose Sarchione e si diede a seguirlo, mentre gli altri si tenevano a debita distanza.
Strada facendo il capo pattuglia fece una specie di relazione sul lavoro che lo attendeva, adesso che stavano per iniziare una guerra importante.
"Il nostro Re si chiama Menelao. Si è fatto portar via la moglie da uno sbarbatello tutto mosse adesso bisogna andarcela di nuovo a prendere quella poco di buono."
"Sta lontano?" chiese Sarchione.
"Dall'altra parte del mare, e quella è gente tosta, dovremo faticare assai per riportarci a casa la nostra regina."
E fu così che dopo un breve periodo di esecitazioni con la spada e con la lancia Sarchione salpò verso Troia.
Cominciò subito a menar fendenti, a mozzar teste e braccia, divenne in breve il terrore dei Troiani, che appena vedevano spuntare quel nanerottolo con le gambe tozze e pelose se la davano a gambe finché erano in tempo.
Sarchione fu alla difesa delle navi, salvando da solo la nave del suo Re Menelao; fu tra i primi all'assalto alle porte Scee coprendosi di gloria. Fu lui ad uscire per primo dal cavallo di legno, altro che quel contaballe di Ulisse, che sortì fuori per ultimo, guardandosi intorno morto di paura.
Ma quando ci fu la spartizione del bottino a Sarchione toccò ben poco, tanto a lui bastavano un paio di cosce di montone e due moggi di grano.
Al ritorno verso la Grecia una tempesta rovesciò la loro nave, e poiché Sarchione non aveva mai imparato a nuotare in pochi attimi affogò.
Disceso nell'Ade, dovette aspettare a lungo prima che fosse il suo turno per essere ascoltato.
"Chi sei? -gli chiese uno dei guardiani- Da dove vieni? Che cosa hai fatto di importante?"
"Mi chiamo Sarchione, il greco; vengo da una terra lontana da qui; sono un eroe, basta che tu chieda qui intorno, mi conoscono tutti almeno di fama."
"Se sei un eroe allora un poeta avrà cantato le tue imprese." -disse il guardiano consultando la nuova edizione dell'Iliade di Omero.
Consulta e consulta, ma il nome di Sarchione non saltava fuori. Omero se l'era proprio dimenticato
"Ma come ha potuto? -gridò Sarchione quasi piangendo dalla rabbia- L'ho anche aiutato quel vecchio scemo a risalire dal porto delle navi fino alle mura di Ilio. Mi ha chiesto un sacco di cose, perché aveva sentito di me dire mirabilie, e adesso nemmeno mi nomina"
Era disperato, ma non c'era niente da fare.
"Se nessun poeta ha cantato le tue gesta non puoi entrare nell'Ade degli eroi, anzi non puoi entrare da nessuna parte" gli rispose il guardiano, che un po' di compassione la provava.
"Cosa posso fare?" chiese Sarchione.
"Una scappatoia ci sarebbe. Devi aspettare da questa parte dello Stige per un po' di tempo, senza farti vedere da Caronte. Poi ti rimando indietro col primo blocco e tu cerchi di trovarti il tuo poeta."
"Quanto dovrò aspettare?" chiese Sarchione.
"Un cinquecento anni, giorno più, giorno meno."
Sarchione mantenne disciplinatamente la consegna e riuscì a non farsi mai vedere da Caronte e dai suoi assistenti. Finché il guardiano non lo chiamò.
"Su da voi stanno per combattere una guerra importante, e poi ce n'è quasi una ogni anno. Datti da fare e trovati subito il tuo poeta."
Così si ritrovò tra le truppe di Milziade schierate nella piana di Maratona a menar fendenti sulle teste dei persiani. Tre ore dopo, a vittoria ormai certa, Milziade chiamò un guerriero che non aveva fatto un granché ma era veloce e leggero.
"Filippide -gli disse- vai ad annunciare ad Atene che abbiamo vinto. Portati questo bravo fante che così bene ha combattuto oggi, di cui mi sfugge il nome."
Sarchione iniziò a correre insieme a Filippide, che ad un certo punto non ce la faceva più.
"Dammi il tuo scudo e la tua lancia -gli disse Sarchione- porto tutto io."
Arrivarono distrutti nella piazza principale.
Sarchione gridò: "Kaírete, kaírete, nikómen" che voleva dire esultate abbiamo vinto. Poi crollò morto.
Anche Filippide arrivò esausto e pronunciò una sola parola: "Nenikékamen", che significava vincemmo e cadde anche lui morto. Ma Filippide era ateniese da sette generazioni e lo conoscevano tutti, mentre nessuno sapeva il nome di quel soldato brutto e peloso.
Chissà da dove viene questo qui, forse è pure malato. Così lo seppellirono subito e quando Erotodo, lo storico famoso, venne a chiedere come effettivamente era andata, gli ateniesi gli parlarono di Filippide, tanto Milziade nemmeno si ricordava quanti messaggeri aveva inviato.
Nell'Ade il guardiano fece un cazziatone a Sarchione.
"Sei un grosso stupido! Quasi quasi non ti rimando più indietro."
Ma visto che l'altro incominciava a piangere, cercò di rincuorarlo.
"Fra più di mille anni ti darò un'altra possibilità. Tieniti pronto, e stai attento a Caronte."
Passati più di mille anni lo chiamò a sé.
"Ascoltami bene, che potrebbe essere la volta buona oppure l'ultima volta: adesso torni sulla terra in Italia, dove c'è una brutta guerra. Avrai trecento anni di tempo. Dovrai cambiarti nome, perché greci ed ebrei non li può vedere nessuno. Ti chiamerai Rascognacco. Vai e che gli Dei abbiano cura di te. Ma cercati un poeta, che decanti le tue gesta. Non ritornare se non lo hai trovato, ma non dimenticare di trovarlo entro trecento anni, non un giorno di più"
Quando Sarchione/Rascognacco fu di nuovo sulla terra, vide che il mondo era cambiato. Tutti indossavano strane brache, come quelle che avevano indosso i Persiani a Maratona. Tutti andavano a cavallo con armature che dovevano pesare chissà quanto.
Mentre se ne stava col naso in aria vide arrivare un gruppo di cavalieri, che dovettero fermarsi perché i loro cavalli erano stremati. Proseguirono a piedi e Rascognazzo si unì a loro.
"Non hai un cavallo?"-gli chiese quello più bello e ben armato.
"No, sono arrivato adesso."
"Sei un contadino?"
"Sono un guerriero, valoroso e forte."
"Lo vedremo subito -disse il bel cavaliere- ecco gli inseguitori. Prendi la mia spada, per lo scudo dovrai arrangiarti."
Rascognacco ripensò alle porte Scee, allo Scamandrio, a Maratona e si fece avanti, incontro alla squadra di cavalieri nemici. Senza dar loro il tempo di organizzarsi, già Rascognacco troncava teste e braccia e gambe e rincorreva veloce i pochi superstiti che cercavano nella fuga la salvezza.
"In fé di Dio mai vidi niente di simile in vita mia -disse il cavaliere giovane e bello- tu ci salvasti la vita. Vieni vicino a me. Io sono Adelchi, figlio di Desiderio, Re dei Longobardi. Quelli che tu massacrasti e mettesti in fuga erano cavalieri Franchi di Carlo di Francia. Io voglio ricompensarti. Mettiti in ginocchio di fronte a me."
E mentre Rascognacco eseguiva il suo ordine, Adelchi si volse intorno e chiese ai suoi che luogo fosse quello dove si trovavano.
"Non sappiamo, mio signore" rispose uno di loro.
Si volse allora Adelchi e vide poco distante un giovane pastore che badava alle sue pecore.
"Ehi, tu, giovane! -gridò Adelchi- Come son queste terre nomate?"
Dovette ripetere tre volte la domanda perché il pastorello non capiva un acca.
"Roccapisciola" rispose alla fine col primo nome che gli era capitato sulla lingua per togliersi dai piedi quella gente pericolosa per lui ed il suo gregge.
"Benissimo! -disse Adelchi, toccando con la punta della spada entrambe le spalle di Rascognacco- Coi poteri del mio rango io ti nomino Cavaliere e Signore di Roccapisciola e ti tutte le terre che dall'alto della torre più alta del tuo castello riuscirai a vedere. Ti conviene costruirtelo subito il tuo castello, e di qui farai la guardia e caccerai indietro tutti i Franchi ed i futuri nemici della mia corona."
Disse. Risalì a cavallo insieme alla sua scolta e spronò velocemente verso il mare.
Ci mise due soli inverni Rascognacco a costruire il suo bel castello con otto torri merlate, e da subito si pose sulla torre più alta scrutando l'orizzonte da dove sarebbero prima o poi spuntati copiosamente i nemici.
Una notte vide avvicinarsi delle fiaccole, tante fiaccole, troppe fiaccole.
"I nemici! " Urlò svegliando i suoi sessantasei uomini, tutta gente da lui scelta ed addestrata.
Discese Rascognacco a cavallo del suo destriero alla testa della sua truppa; uscì dal ponte levatoio ed attese, come aveva visto fare a Milziade a Maratona.
Man mano che il nemico avanzava sentiva Rascognacco canti e nenie.
"Che razza di guerrieri son costoro?"
Quando furono vicini vide che stranamente invece che armature indossavano una veste marrone e un cappuccio fin sopra gli occhi
"Siamo frati, servi del Dio vero, nostro Signore Gesù Cristo. Andiamo a liberarne il sacro sepolcro dalle mani degli infedeli."
"Dove?" chiese Rascognacco.
"In Terra Santa, in Palestina"
"Trovasi al di là del mare?" chiese ancora Rascognacco,
"Si, mio signore; oltre il mare."
"Una nuova guerra di Troia" concluse Rascognacco.
"Dite, buon uomo di Dio, havvi forse un poeta a decantar le vostre gesta in codesta guerra di liberazione?"
"Certamente, si chiama Torquato Tasso, e si dice che già ne abbia scritta la metà anche se non è ancora incominciata, ma si sa è meglio mettersi un po' in anticipo."
"Vengo anche io, allora. Questa sará la mia guerra gloriosa"
Partì Rascognacco da solo, perché i suoi sessantasei dovevano badare al castello.
Appena arrivato in Terra Santa fu condotto dal capo, un certo Goffredo di Buglione.
"Chi sei tu?" chiese Goffredo.
"Rascognacco, signore di Roccapisciola"
"Quante lance hai portato con te?"
"La mia"
"Non hai neanche uno scudiero?"
"Per fare che?"
Goffredo perse subito interesse per quel cavaliere isolato, senza una squadra, senza uno scudiero.
La guerra andava male e gli uomini del Saracino erano migliori, e già qualcuno parlava di farla finita e di tornarsene a casa.
"Fatemi provare da solo" disse Rascognacco durante una riunione.
"Che ci costa? -rispose Goffredo-forse avrai fortuna e riporterai qui la pelle. Per quel che mi riguarda puoi andare, anche subito"
Rascognacco, bardò il suo destriero ed uscì dal campo, galoppando verso l'accampamento dei maomettani.
Appena le guardie ebbero dato l'allarme tutti i guerrieri si precipitarono a vedere quanti crociati arrivavano in sortita. Ne videro solamente uno, piccolo, nero e brutto come uno scarafone.
"È questa l'arma segreta dei cristiani?"
"Ci vogliono far crepare dalle risate"
Ma mentre si sganasciavano dal gran ridere Rascognacco sguainata la spada incombeva su di loro come Achille sui Troiani, solo che i maomettani non lo sapevano.
Se ne accorsero ben presto, perché quelli che stavano dietro e cercavano di vedere la fonte di tanto ridere, cominciarono ad accorgersi che quelle che volavano in alto non erano boccali o borracce, ma le teste dei loro commilitoni delle prime file e rapidamente una spada mulinante seminava morte e distruzione fra di loro.
Quando Rascognacco rientrò al campo cristiano fu portato in trionfo. Goffredo di Buglione gli concesse di stargli al fianco mentre entravano in Gerusalemme.
"Avrai un terzo dell'intero bottino. Sei ricco Rascognacco."
"Scusatemi -gli rispose Rascognacco- ho una cosa urgentissima da fare"
Si precipitò indietro per tornare alla tenda di Torquato Tasso, il cantore della guerra.
Trovò la tenda vuota.
"Dov'è il poeta?" chiese Rascognacco.
"È già partito per Roma, ma se ti affretti lo trovi al porto che imbarca le sue cose."
Di nuovo una corsa disperata. Al porto la nave stava salpando col poeta, che a poppa declamava i suoi versi.
"Fermati! Torna indietro. Io sono Rascognacco, l'eroe che ha distrutto da solo l'esercito del Saracino."
"Si, lo so, me lo hanno detto -rispose Torquato- ma io il testo l'ho già inviato alle stampe un mese fa."
"Un mese fa stavamo perdendo, cosa cavolo ci hai scritto?"
"Che Goffredo entrava da vincitore, e come hai visto è capitato proprio come avevo scritto io."
"E il mio nome?"
"Vedremo quel che potremo fare nella seconda edizione. Abbi fede e non perdere la speranza Rascognacco Signore di Pisciarola."
"No! Roccapisciola! Rascognacco, Signore di Roccapisciola."
Ma già l'alltro non gli dava più ascolto.
Rascognacco allora discese da cavallo e tentò di raggiungere a nuoto la nave, che ormai veleggiava lontana. Ma non aveva ancora imparato a nuotare e morì affogato, per la seconda volta.
"Che cavolo hai combinato in trecento anni? -gli chiese il guardiano dell'Ade- Niente! Sei proprio negato per questo lavoro. Quale poeta ha cantato le tue gesta? Quale?"
"Ero così vicino alla gloria eterna, ma quel vecchio stronzo ha preso il mare prima di tutti. Che cosa devo fare? Mi nascondo ancora qui?"
"Non posso tenerti, sei un crociato, devi andare nel Paradiso cristiano."
Ma appena lo videro gli angeli che stavano sulla porta gli chiesero:
"Come si chiama il vescovo che ti ha battezzato e cresimato?"
"Che vuol dire battezzato e cresimato? Che è sta roba?"
"Da noi non entri. Prova dal Paradiso maomettano."
Da lontano gli fecero segno di andarsene.
"Tu sei quel delinquente che in un giorno ce ne hai mandati giù più di mille. Ci hai provocato un tale ingorgo che non sapevamo come uscirne fuori. Vattene lontano di qui."
Se ne tornò mogio mogio all'ingresso dell'Ade il povero Rascognacco.
"Lasciami qui per altri trecento anni, poi ci riprovo."
"Adesso hanno fatto un posto nuovo per quelli come te. Si chiama Limbo. Puoi starci tutto il tempo che vuoi. Se hai fortuna ti rimanderanno tra mille anni. Così non dovrai trovarti un poeta, visto che non ci azzecchi mai."
"Cosa dovrò cercarmi?"
"Brutto come sei dovrai solo aspettare un po' e qualcuno ti manderá in un reality."
"Che roba è questa?"
"Televisione, ma non ti preoccupare, prima o poi ci riesci a trovarlo qualcuno che esalterá le tue doti e le tue virtù. Resta come sei. Alla prossima fai centro"
Questo tuo Rascognacco sarà pure stato un "tutto muscoli e niente cervello", ma almeno alla fine della storia mi suscita simpatia, se non altro perchè viene venduto, nelle varie reincarnazioni, con attaccato il cartellino "PERDENTE", e i perdenti hanno tutta la mia simpatia.
RispondiEliminaNon ho mai guardato un reality, nemmeno per sbaglio, piuttosto mi metto a contare le gocce di un lampadario di cristallo, o a pensare al sesso degli angeli. I personaggi dei reality, sinceramente, non so chi siano, nè se possano in qualche modo rassomigliare al tuo rascognacco, ma ho l'impressione che se li conoscessi mi sarebbero molto meno simpatici: dei perdenti alle prese con la falsificazione dell'etichetta, o forse solo dei vincenti che non accettano il cruciale passaggio dal credersi un Dio al tornare coi piedi per terra, diventando così, fatalmente, dei "perdenti in dignità"