venerdì 7 maggio 2010

LA LENTA DOMENICA BRUTTA DI MIRKO SKOFIC

Leggendo e scrivendo di semafori rossi e sentendo di sogni di auto in corsa senza guidatore mi si è coagulato in testa un raccontino veloce.
Cotto e mangiato.
L'ho intitolato come sopra, ma sarebbe stato meglio intitolarlo
PICKA, MU MATRINA!


C'è un caldo che fa schifo in questa stanza senza finestre, e nessuno apre la porta, nessuno spegne la luce lassù in alto in mezzo al soffitto, un neon del cazzo che scalda ancor di più. Almeno potrei buttarmi sulla branda e cercare di dormire. Non posso dormire con la luce accesa, non ci sono mai riuscito.
Picka mu matrina, che caldo! E chissà quanto dovrò rimanere qui dentro.
Tutta colpa di una stronza. Una bella stronza. Una gran bella stronza.
Passava tutti i giorni davanti a casa mia; le prime volte sopra un motorino, finché le stavano costruendo il locale. Poi, quando avevano aperto il "NO NAME", un night a luci rosse, arrivava in sella di una Yamaha 500 rossa, fasciata dentro una tuta nera. Tutte le volte io stavo lì sulla porta e tutte le volte lei si fermava lì davanti, almeno un minuto, e si girava a guardarmi tutto il tempo. Si fermava ogni giorno perché c'era un incrocio e il semaforo sempre sul rosso, da dovunque si arrivava non si beccava mai il verde.
Poi un giorno mi fece un cenno. Mi chiamò e mi diede una carta di ingresso gratis; la tirò fuori da una tasca dietro la sella e me la diede. Così vidi i suoi occhi dietro il vetro del suo casco integrale da 600 euro. Un gran bel casco. Grandi occhi azzurri da favola e due labbra da esperimenti estremi.
Alle nove di quella sera ero già dentro. È arrivata senza tuta con un vestito lungo fino ai piedi scollato quel che bastava: bella; gran bella; proprio gran bella assai. Mi ha fatto sedere a uno dei tavoli. Tutto soffuso: luce, musica, voci dei clienti e la sua voce.
-Come ti chiami?
-Mirko, Mirko Skofic.
-Perché i tuoi amici ti chiamano Luigi?
-E tu come lo sai?
-Lo so. Allora perché?
-Perché mia madre è italiana, di Venezia, e mio nonno si chiama Luigi.
-E tuo padre è croato come te.
-Dalmata, di Spalato, e mio nonno si chiama Mirko, così adesso hai capito.
Feci una pausa.
-E tu come ti chiami?
-Renate Stoiber. Spero di rivederti spesso qui da me.
-Dipende dai prezzi.
-I prezzi non ti riguardano.
Rimase ancora un po', poi girò per i tavoli dagli altri clienti; però tornò assai spesso a sedersi accanto a me, a chiacchierare e a bere qualcosa insieme.
Alle due le chiesi il conto.
-Ti ho invitato io.
Mi strinse una mano.
-Torni domani?
Puoi scommetterci, pensai. Ma non potevo distogliere lo sguardo dal bestione, che da dietro il bancone ci lanciava occhiate torve.
-Chi è quell'orango? Il tuo buttafuori?
-Il mio compagno; ma non dartene pena.
Così era incominciata quella storia.
Dopo un paio di settimane mi diede un indirizzo, una strada in un paesetto del Taunus, sopra Wiesbaden. Lei era infatti di Wiesbaden.
-Domani alle quattro del pomeriggio. Suona tre volte. C'è una mia amica che ti apre.
Arrivai alle quattro meno un quarto. Pensavo di aspettare in macchina, ma la sua amica era uscita subito di casa e mi era venuta incontro fino alla macchina.
-Togliti di qui con quella targa di Francoforte; ti apro il garage.
Si chiamava Katrin, amica di infanzia di Renate.
-Non è felice Renate.
Mi disse dopo avermi fatto un caffè.
-E perché? È giovane, è bella, ha un locale che va come una bomba insieme a quel Karl Heinz della malora.
-Lui è solo un servo. Il locale è di Renate, ma ci sono dentro anche un bel po' di soldi miei.
Mi buttai a indovinare.
-È lui la causa della sua infelicità?
-Hai visto il tipo?
-Perché non lo sbatte fuori?
-Perché ha paura di lui.
Quando Renate arrivò con la Yamaha, inguainata nella tuta di pelle nera, Katrin se ne andò.
-Non dirle niente di Karl Heinz -mi mormorò in un orecchio- non dirle che te ne ho parlato.
Renate mi venne incontro e mi baciò sulla bocca a lungo.
-Non ho tanto tempo. Spogliati e sdraiati sul divano.
Si sfila gli stivaletti scalciandoli lontano; tira la cerniera della tuta e se la sfila di dosso: è completamente nuda sotto quella pelle nera, nemmeno gli slip.
Una fatica immensa a tenerle la bocca chiusa perché grida tutto il tempo: non posso baciarla per un quarto d'ora, devo rifiatare ogni tanto e se le tengo una mano sulla bocca pare che qualcuno la stia ammazzando.
Quando la smette sono sfinito: la scopata più combattuta della mia vita, e la donna era consenziente, pensa tu!
Due ore dopo un nuovo assalto, ma adesso ho capito che mi conviene lasciarla urlare quanto vuole.
-La casa più vicina è a cento metri, mi fa. E poi chi se ne frega.
Alle otto si è già rivestita della sua tuta. Nuda sotto la pelle.
Infila guanti e stivaletti,mette il casco sulla testa.
-Vieni anche stasera, sennò Karl Heinz si fa venire pensieri strani.
-Vengo verso le dieci.
Mette in moto e scappa via.
Ma perché non lo scarica quel bisonte, penso mentre richiudo il garage.


Un pomeriggio, sdraiati sul divano appena finito di far l'amore, mi racconta di come lo ha conosciuto. Karl Heinz l'ha liberata da suo marito, un violento che la gonfiava di schiaffoni. Karl Heinz lo ha afferrato per il collo e gli ha infilato la canna di una pistola in bocca.
Il marito aveva chiesto il divorzio in quattro e quattro fa otto e non si era fatto più vedere.
Ma Karl Heinz era ancora peggiore e nessuno era in grado di affrontarlo.
-Forse tu che sei cintura nera di Judo e te ne intendi di tante arti marziali.
-Non valgono le cinture contro una pistola.
-A quella penso io: gliela faccio sparire.
Non lo sapeva ma mi aveva eccitato al punto giusto, e poi l'idea di averla tutta per me cominciava ad esaltarmi.
Andammo avanti tutto l'inverno e tutta la primavera, vedendoci una o due volte alla settimana: io arrivavo sempre con la mia Alfa 2000, aprivo il garage e ce la nascondevo; poi entravo in casa e mi facevo un caffè nero. Ormai avevo le chiavi e l'amore lo facevamo nel lettone.
Renate arrivava rombando col Yamaha 500 rosso. Parcheggiava nel giardino. Entrava, scaraventava lontano gli stivaletti, tirava la cerniera della tuta nera e ne saltava fuori nuda, fresca e piena di voglie.
Sta arrivando l'estate; siamo ai primi di giugno e fa già un caldo schifoso in città, ma qui in mezzo ai monti si riesce a respirare ancora.
-Ho parlato con Karl Heinz, mi dice un giovedì; di te, di me, di tutto.
-Non ti ha sparato?
Sento uno strano formicolio lungo la schiena.
-Sono viva e sono qui insieme a te, come vedi.
-Accetta di andarsene?
-Vuole parlare con te.
Vorrei urlarle che non se ne fa proprio niente, ma l'orgoglio di maschio dalmata-veneziano mi tappa la bocca.
-Verrà qui domenica, aggiunge Renate.
-Questa domenica?
-Questa domenica.
Ci penso su un attimo. Non mi piace tanto 'sta storia; avrei preferito incontrarlo in un locale affollato del centro a Francoforte, e non in un paesetto del Taunus, dentro una casa isolata. Ma Renate ha deciso già tutto.
-OK. Vengo qui verso le due...
-No. Passo a prenderti io col Kombi alle tre di domenica. Veniamo insieme e lo aspettiamo qui.
Renate ha già fatto tutti i piani. Inutile parlarne più.

Passa da me col Mercedes 280 Kombi domenica alle tre come ha promesso. Appena un bacio veloce.
-Guida tu, ché io sono troppo nervosa -mi dice-; e si sposta sull'altro sedile.
Salgo, metto in moto e in mezzora siamo a casa.
-Lascia la macchina qui fuori, sulla strada -mi dice Renate- perché Karl Heinz non conosce sta casa, non c'è mai stato.
Entriamo.
-Prendi questa -mi fa.
E mi mette in mano una Beretta 7,65 avvolta in un foglio di plastica.
-Cosa diavolo ci faccio?
-È la sua pistola. Mettila in tasca. Se serve gliela sbatti sotto il naso e poi vedi come se la fa sotto.
Tiro fuori la Beretta e la soppeso. Non sparerò mai con quell'arma, succeda quel che succeda. Questo lo so già.
Faccio un caffè bollente, ma lei non beve. Prende la tazza e versa il caffè nel lavandino, poi lava la tazza e la rimette via.
-Se bevo un caffè esplodo -mi fa, vedendo che la osservo.
Dopo qualche minuto si alza di scatto.
-Io non ce la faccio. Dovrai vedertela da solo con lui.
-E come torno via di qui? -domando.
-La mercedes la tieni tu; io vado via con la moto. È nel garage.
Comincia a spogliarsi. Va in camera già nuda e torna con la tuta. La indossa rapidamente. Raccoglie i suoi indumenti da terra e li infila in un cestino per la roba sporca.
-Non voglio che veda che sono stata qui.
-Quando hai lasciato la moto?
-Ieri sera. Ho pensato che dovevo essere pronta per ogni evenienza.
-E come sei tornata a casa?
-Con Katrin.
Dovevo immaginarlo.
Tira la cerniera fino su in alto. Infila gli stivali, i guanti e prende il casco.
Andiamo fuori insieme. Apre il garage. Sale sulla Yamaha e la mette in moto. Da una tasca sotto la sella toglie un foglietto piegato in quattro. C'è un indirizzo di Colonia, Moninger Strasse 124 e un numero di telefono.
-Quando hai sistemato le cose con Karl Heinz telefonami e vieni a Köln. Lì saremo al sicuro.
Mi bacia a lungo, poi stacca il cavalletto e parte senza più voltarsi.


E adesso che gli dico a 'sto stronzo? La tua donna se l'è squagliata e noi ce la giochiamo ai dadi.
Che situazione di merda! Come sono stato coglione a farmici mettere dentro! Ma poi ripenso a Renate, al suo corpo morbido, alla sua pelle di pesca, al suo profumo, a tutto.
Aspetterò il mostro, il troglodita e lo infilzerò con la lancia.
Mi sono appostato dietro la finestra della cucina, da cui vedo la strada e la Mercedes di Renate.
Passa più di un'ora e Karl Heinz non arriva. Non sarà mica corso dietro Renate? E quando la raggiunge lui col suo Peugeot 404 quella Yamaha che in autostrada decolla?
Mi incuriosisce il cane dei vicini, come si chiama? Nero, sì Nero, che gira intorno alla Mercedes. Adesso ci fa una pisciatina. Adesso, adesso...
Però non piscia il puma; annusa. Annusa e annusa. Si è fermato dietro il portabagagli. Non se ne va e annusa ogni centimetro quadrato.
Cosa diavolo sta annusando 'sto cane?
Esco di casa con le chiavi del Mercedes. Vado diretto al portabagagli e apro.
-PICKA MU MATRINA!!!
Infagottato in un foglio di cellophan tutto schizzato di sangue c'è il corpo di un uomo.
-PICKA MU MATRINA!!! PICKA MU CESTRINA!!! Ma è Karl Heinz!
Chiudo con un colpo secco il coperchio del portabagagli. Apro la portiera e metto in moto.
Via con questa macchina! Via nel primo bosco e poi via io di qui, via da tutto!
Faccio la conversione a U per riguadagnare l'autostrada e tre auto della Polizei con le luci blu intermittenti accese mi piombano addosso.
E queste come sono arrivate fin qui? Come facevano a sapere? Chi le ha avvisate? Dov'è Katrin? Dov'è Renate?
-Ah no, Cristo! No!
Scendo dalla Mercedes con le braccia spalancate come Cristo sulla croce.
-Io non ne so niente...
Tieni la bocca chiusa, idiota! Sei qui con una macchina non tua, denunciata come rubata mi diranno al Presidio, con un morto ammazzato nel portabagagli. Ammazzato, guarda caso, proprio con la Beretta 7,65 che hai in tasca, con le tue impronte sopra. Dentro casa, di cui hai lasciato la porta di ingresso aperta, una tazzina di caffè con le tue impronte, e un'altra (non l'avevi vista nel lavello? ce n'era un'altra) con le impronte -indovina un po'- di Karl Heinz. E le tracce di sangue nella camera da letto? (non eri entrato in camera da letto? perché no, idiota?) Dove è stato ammazzato Karl Heinz. Dove tu hai ammazzato Karl Heinz.
-Ha fatto tutto lei -dico al Commissario della Kripo che mi interroga nel Presidio- Mi ha dato un indirizzo di Köln. Controllate il biglietto, ci devono essere le sue impronte (no, imbecille, aveva già indossato i guanti - oh cazzo!).
Dopo un paio di minuti mi dicono che è l'indirizzo e il telefono di un distributore di benzina della Esso, dove nessuno conosce Renate Stoiber né Karl Heinz Schäfer.
Più tardi l'avvocato di ufficio mi dice che se non salta fuori la donna non c'è difesa. Ma di Renate non c'è traccia e Katrin è disperata, perché pensa che quel delinquente di un croato abbia ammazzata anche lei.
L'avvocato di ufficio spera di cavarsela con una condanna a 14 anni. Scontati i due terzi fra 9 anni sarò libero. A 37 anni.
Picka mu matrina, che vita di merda!


Stanno aprendo la porta. Entra finalmente una boccata d'aria fresca.
-Andiamo Skofic -mi chiama un secondino- Abbiamo mezzora per tornare in tribunale.
-Già hanno finito? -gli chiedo.
-Pare di sì.
-Lei che dice, capo? Dieci anni o quindici?
-Non mi piace la fretta -risponde mettendomi le manette ai polsi- solo tre ore e mezza in camera di consiglio per un omicidio è poco. Non ti fare troppe illusioni, Skofic.


Si è fatta sera e stanno riportandomi in carcere col mezzo blindato.
25 anni per omicidio premeditato. Nessuna attenuante. Dovrò stare in galera minimo per diciassette anni.
Facciamo un po' due conti: ho 28 anni; aggiungo 17 e fanno 45 anni.
Esco a 45 anni.
Un anno, diciamo due, per ritrovarti amore mio e fanno 47.
Perché io ti ritrovo, Renate, ti ritrovo.
Dieci minuti per tagliarti la gola.
Altri 25 anni per omicidio premeditato. Altri 17 anni di galera assicurati.
Quindi a 64 anni sono di nuovo e definitivamente libero.
Qualche soldo da parte ce l'ho già, più la liquidazione per 34 anni di galera, più la pensione.
Insomma non c'è male. Me ne vado a Tenerife a vivere una decina di anni in santa pace.
In fondo valeva la pena andare al "NO NAME" quella sera.

4 commenti:

  1. Spassosa l'ironia della contabilità finale, magistrale l'asciuttezza della scrittura che fa prendere quota al racconto più di quanto non faccia la trama. In mano a qualcuna delle mezzesegne che da noi vanno per la maggiore sarebbe stato un racconto cestinabile, tu invece gli doni (come avrebbe saputo fare un Bukowski) il guizzo magico dell'Energia.

    p.s. picka mu matrina e picka mu cestrina cosa diventano in italiano?

    RispondiElimina
  2. Grazie per il commento e l'accostamento a uno dei miei miti.
    Per il tuo lessico:
    Picka mu matrina e picka mu cestrina sono le imprecazioni in assoluto più comuni del mondo slavo, quindi dei croati,dei serbi e degli sloveni: significano "la figa di mia madre e quella di mia sorella"
    Attenzione a quel "mu" che significa mia. Se dici invece "tu" diventa tua ed è un'offesa mortale da lavare col sangue.

    RispondiElimina
  3. Bellissimo! Mi ha tenuta incollata.Quoto zio scriba in tutto,scusa la mia semplicità ma io so solo leggere..

    Grazie Nicola seguendo te sto facendo un sacco di belle scoperte!
    Francesca

    RispondiElimina
  4. Grazie delle belle parole e della tua semplicità.
    Sai "solo" leggere? E ti pare poco in questa Italia nostra, patria di analfabeti elettivi, felici e contenti?
    Ringrazio Nick anch'io di procurarmi lettrici semplici.
    Alla prossima, Frizzi.

    RispondiElimina