Qualche anno fa, giusto alla metà di aprile, quando inizia il disgelo da queste parti, mi trovavo a fare un po' di footing sulla stradella che attraversa per lungo i campi di girasole, allora appena visibili, spuntati qua e là attraverso i residui di neve ghiacciata.
Mi resi ben presto conto di trovarmi in mezzo a una torma di giovani lepri in calore. Sbucavano da per tutto, rimanendo immobili piantati sui posteriori, alla maniera di quelle comiche scimmiette giallognole coi musi a punta scurissimi, che restano ore in semicerchio guardando ognuna verso una porzione di orizzonte.
Stanno attente all'arrivo di nemici, di qualsiasi pericolo.
Le lepri guardavano lontano verso un comune punto dell'orizzonte mentre le orecchie vibravano come antenne e le narici fremevano alla ricerca di un odore, di quell'odore, che li faceva stare tutti all'erta e belli ingrifati.
Già, ingrifati, perché erano tutti maschi.
Me ne trovai uno giovanissimo davanti ai piedi sullo stradello, a non più di due metri. Non badò proprio alla mia presenza, non gliene poteva fregare di meno.
Avrei potuto afferrarlo per le lunghe orecchie o spedirlo a calci in culo in mezzo al campo, ma non feci niente. Dopo un paio di minuti, vissuti nella più totale immobilità, schizzò come un missile verso una direzione dove stavano accorrendo da ogni parte gli altri concorrenti, là dove era l'oggetto del loro desiderio: la femmina pronta per accoppiarsi.
Non ci sarebbe stato bisogno dello schioppo, peraltro assolutamente verboten in Germany; sarebbe bastato un sacco di tela juta, una rete, un coppo per mettere su un allevamento. Non credo se ne sarebbero accorti, né lamentati se insieme avessi portato pure la loro bella pupa vogliosa.
Ci ho ripensato questa mattina, quando ho visto i merli maschi che si sono divisi le pasture e i prati intorno a casa mia, fare cose assurde, cose da pazzi.
Due sono saltati sulla ringhiera del mio balcone, con me che stavo piantato lì in mezzo ben visibile. Nemmeno un'occhiata, solo un comico verso, come se facessero gargarismi.
Guardavano la siepe che circondava il prato del nostro vicino.
Io non ci vedevo niente di particolare.
Ma poi arrivarono altri sei o sette maschi, tutti con quel gorgoglio nella gola.
E finalmente la femmina lasciò il proprio nascondiglio, volando bassa e lentissima a mezzo metro da terra.
La femmina si individua subito: è più minuta, ha un piumaggio marrone scuro slavato e il becco grigio, ben altro dalle orgogliose penne nere e il becco giallo dei maschi, visivamente più grossi.
Lei svolazzava verso un'altra siepe poco distante e il branco in calore dava i numeri, facendo comici saltelli e un minuetto di brevissimi voli, che più che altro erano una manifestazione della loro capacità di sgranare al massimo le penne delle ali e della coda.
Uno dei due che stavano sulla ringhiera del mio balcone decise di esibirsi in una serie di balzi a pochi centimetri dall'asfalto della nostra strada.
In quel momento arrivò il nibbio.
Come una palla scagliata dal cielo venne giù a bomba fino a due metri dal suolo, aprendo le ali in frenata all'ultimo momento. Il mio povero merlo ballerino scomparve sotto il bestione, che lo ricoprì tutto con le sue ali.
Mezzo minuto dopo il nibbio riprese quota tenendo tra le zampe quel che restava del merlo innamorato.
Per terra, sul luogo del delitto, un paio di pennette nere ancora frementi.
Gli altri non si erano accorti di niente e continuavano la loro esibizione amorosa.
Se un uomo lasciasse la penne per una femmina si leverebbe un coro unanime: "Che fesso!". Ma per i merli, le lepri e gli altri animali c'è per fortuna un altro metro di giudizio.
Però la regola deve valere anche per i maschi adulti.
Ricordo quando avevo 15 o 16 anni -roba che avveniva nel secolo scorso- ogni volta che mia nonna riceveva vecchiette sue amiche di rosario c'era un coro continuo, sempre lo stesso:
"Quanto sei bello, fijo mio! Statte accorto a nun fatte accalappià da quarcuna de ste pollastre, che vanno in giro a cerca de rigazzi belli come a te".
Volevano certamente dire: attenti al nibbio.
oggi mi travesto da cinico, e uso solo la metà razionale e non poetica del cervello per dire che forse, in realtà, quello che noi ingenui chiamiamo amore, alro non è che la pericolosa lusinga chimica usata dalla natura puttana sciupasingoli per costringerci alla riproduzione, che è interesse più "suo" che nostro. Quanti uccellini massacrati dai gatti cui non fanno attenzione perché "in amore", quanti gatti spatasciati da macchine cui non fanno attenzione perché "in amore". E non tutti i maschi umani riescono a considerare fesso morire da stupidi per lo stesso motivo: la stessa macchina che ha spiattellato il povero gatto a volte finisce contro un muro perché il ragazzotto al volante è a sua volta "in amore"...
RispondiEliminaCastrando i gatti gli allunghi la vita. Se poi al tempo stesso gliela impoverisci, è tutto da dimostrare.
Serve a qualcosa travestirsi da cinico, Nik?
RispondiEliminaCertamente, per quel che ricordo delle lezioni di biologia il motivo dell'impulso che noi chiamiamo amore è la continuazione della specie.
Conviene metterlo così in chiaro, o piuttosto continuare in questa pantomima che va avanti da quando un uomo ha trovato una donna?
Me lo sono chiesto anche io, ma poi quando mi sono dato una risposta mi sono sentito un tantinello più povero e un tantinello tradito, da me stesso.
Castrando i gatti gli si allunga la vita, ma castrando un toro lo si fa diventare bue, forse pio, ma certamente lavoratore indefesso che niente altro è capace di fare se non sgobbare da mane a sera. Sarà pure vero che il lavoro nobilita l'uomo e lo rende simile a una bestia, ma il bue che già bestia è cosa deve pensare?
E soprattutto come se la deve cavare?
Un bel quesito, che non saprei da che parte prendere, se non da quella parte là...ma lì fa male.
Ciao Nik. È sempre un piacere leggerti, lo sai.
Hai ragione, il fatto è che la metà razionale del cervello, da sola, rende sempre, più poveri. Bello poterla usare a sprazzi, o per gioco, ma poi bisogna riuscire a essere Illuministi sì, ma con sentimento. I razionali totali sono dei poveretti. I più poveretti fra tutti sono quelli che applicano il razionalismo persino all'intuizione (o speranza) religiosa, tipo la squallida e utilitaristica "scommessa di Pascal".
RispondiEliminaCiao Enzo!