-Devo sapere come è morto mio marito; ho il diritto di saperlo.
Stava tormentando la borsetta che teneva convulsamente stretta tra le mani, seduta sull'orlo della seggiola come se sotto il sedere avesse tizzoni ardenti. Il commissario Melloni non perdeva d'occhio le sue mani.
-Non avete ancora aperto un'indagine -insisté la donna.
-Non c'è niente da indagare, signora: si tratta di morte naturale. Ho qui il referto dell'ospedale, che parla di collasso cardiaco.
-A quarantadue anni?
-Può capitare anche a venti, mi pare. Dipende dal cuore, se uno ce l'ha debole...
-Aveva un cuore fortissimo. Eravamo sposati da dodici anni e lo conoscevo da venti: non ha mai avuto problemi col suo cuore.
-A volte succede che una malattia cova sotto la cenere, come si dice -provò a controbattere il commissario.
-Fate fare l'autopsia, allora.
Il commissario sgranò gli occhi e frenò le imprecazioni che gli erano salite fino alla punta della lingua.
-Signora, in caso di morte naturale accertata non si fa l'autopsia.
Camilla Barnabò si alzò di scatto e si avviò alla porta senza nemmeno stringere la mano protesa del commissario. Afferrò la maniglia e si girò.
-Non volete farmi sapere la verità e io allora mi rivolgerò a un avvocato. Buongiorno.
Il commissario Melloni tirò un sospiro di sollievo. Accidenti! Capitavano sempre a lui i parenti isterici delle vittime; questa poi lo aveva strapazzato peggio della borsetta che teneva fra le mani. Alla larga dalla fresche vedove, che ti inondano l'ufficio di lacrime. A pensarci bene, però, questa Camilla non aveva pianto affatto. Schizzava tutta la sua bile, pensò il commissario; certe volte molto meglio lacrime e strilli.
Squillò il telefono di servizio. Era il giudice Donati, quello che aveva firmato l'atto di morte di Giovanni Bernabò.
-Dovrei vederla urgentemente, Melloni. Può venire al bar di fronte al Tribunale fra una ventina di minuti?
Che diavolo gli sarà successo? Pensò Melloni mentre entrava nella sua macchina.
-Qui dentro no. Usciamo fuori e passeggiamo tranquillamente -disse il giudice.
Si allontanarono di una cinquantina di passi lungo il marciapiedi senza dire una parola.
-Mi ha telefonato Concetta -disse il giudice- Mi ha detto come è andata l'altra sera.
-Mi ha chiamato sul cellulare. Ero quasi arrivato a casa. Ho tirato dritto e mi sono precipitato a casa sua.
-Ha avuto un'idea geniale, Melloni, a portarsi via il morto.
-Per dirle la verità non credo fosse ancora morto: stava male assai. Mi sento un groppo qui in gola a pensare che se avessi chiamato un medico, forse...
-Ha fatto benissimo, invece -lo interruppe il giudice- ha fatto l'unica cosa possibile, data la situazione. Come avremmo potuto far star zitto il medico, e poi quelli della Croce Rossa, senza pensare che se poi gli moriva sotto le mani avreste dovuto intervenire ufficialmente con tutta la squadra. No, Melloni, ha fatto la cosa migliore.
-Sì, però ho commesso un reato.
-Melloni mi stia a sentire: Concetta deve rimanere fuori da questa storia. Dopo quello che è successo ultimamente coi Trans chi ci salverebbe? Si rende conto?
-Me ne sono reso conto subito e ho portato via il corpo. Era vestito da jogging, così l'ho portato in un boschetto abbastanza lontano dalla casa di Concetta. Il più difficile è stato trovare una cabina telefonica con apparecchio funzionante, non potevo chiamare il 118 direttamente col mio cell.
-Bravo! È andata bene.
-Ma io mi sento un verme, signor giudice.
Donati lo afferrò per un braccio, guardandolo fisso negli occhi.
-Melloni, se saltasse fuori che Concetta c'entra in questa storia quella tirerebbe fuori dalla sua boccaccia tutti i nomi dei suoi clienti: il mio, il suo, quello di un paio di ministri e di chi sa chi. La mia carriera sarebbe finita e anche la sua.
-Camilla Bernabò è venuta da me un'ora fa.
-Che voleva da lei?
-Sapere come è morto suo marito.
-Gli è venuto un colpo, punto e basta.
-Quella vuole un'autopsia.
-Non se ne parla proprio.
-Andrà dal suo avvocato, ha detto.
-Vada da chi vuole. Sono io che devo concedere l'autorizzazione a procedere e non la concederò mai.
Camilla Bernabò guidava con calma nel traffico. Non vedeva l'ora di arrivare a casa per telefonare a Michele la bella notizia.
-Hanno chiuso il caso -furono le sue prime parole- non ci sarà autopsia.
-Sei sicura?
Lei si allungò mollemente sul divano.
-Sono convinti che sia stata una morte naturale.
-Anche io; solo tu pensi il contrario.
-Soffriva di tachiaritmia. A Zurigo, dove eravamo fino a un anno fa, il suo cardiologo lo teneva costantemente sotto controllo, ma da quando eravamo qui ancora non si era deciso a cercarsi un buon medico. Diceva di sentirsi meglio, che l'aria della sua terra lo aveva rimesso a posto; ma la tachicardia era rimasta. La mia salsetta a base di concentrato di peperoncino ha fatto il resto: un paio di gocce nel caffè prima delle sue serate di jogging e via col tango. Da un po' di tempo lo vedevo rientrare sempre più rosso, sempre più affaticato. Se ne andava subito a letto, gli girava la testa, camminava come un ubriaco. Se non avessi saputo cosa c'era sotto avrei pensato che si fosse drogato.
-Beh, adesso te ne sei liberata; ma io non credo che sia stata la tua salsa al peperoncino rosso.
-Lascia stare. Adesso possiamo vederci più tranquillamente, dopo i funerali si capisce.
-Certo, certo.
-Poi potremmo fare anche dei piani, dei programmi.
-Che programmi?
-Non penserai che lo abbia fatto così, tanto perché non sapevo come passare il tempo. Io voglio te, Michele, per sempre.
-Si capisce Milly, mi hai già.
-Così non mi basta più: io ti voglio sposare.
Non sentì nemmeno il respiro di Michele dall'altra parte.
-Cosa fai? Sei fuggito?
-Cercavo di riprendermi dalla sorpresa.
-Una bella sorpresa, spero.
-Certo, certo...ma adesso devo rimettermi al lavoro. Ho tutti i consuntivi dell'anno da fare.
-Quando saremo sposati ti aiuterò io: sono capacissima, e lavoro senza stancarmi mai.
-Magnifico, mi ci vuole proprio.
-Quando possiamo vederci, Michele?
-Non devi dare nell'occhio; sei rimasta vedova da due giorni, non puoi darti alla pazza gioia.
-Voglio solamente vederti per una decina di minuti, mica pensavo a quello.
-Abbiamo tutto il tempo che vogliamo.
-Ti telefono.
-Quando vuoi.
-Così fissiamo un appuntamento.
-OK! Per me va bene.
-Ciao, amore mio.
-Ciao, ciao, ciao.
Michele chiuse il cellulare e guardò nel vuoto, oltre la finestra.
-Col cazzo! -urlò.
Si alzò furioso e si affacciò alla finestra. Cinque piani di sotto la gente non si preoccupava del suo nuovo problema; camminavano tutti frettolosamente per via del freddo.
Ma sentila 'sta matta, pensò Michele rabbiosamente; il peperoncino rosso, lo jogging e tutte le sue stronzate e adesso questa: mi vuole sposare. Ha ragione il mio amico Enrico: non ti puoi mai fidare delle donne, prima o poi ti fregano.
Prese il cellulare e digitò il numero di Enrico a Düsseldorf.
-Stammi a sentire, Enrì: mandami una e-mail...no, meglio un telegramma...sì, mandami un telegramma...anzi, no: mandami un fax con la carta intestata della tua ditta. Scrivici che sono convocato d'urgenza in sede con l'intero staff del nord Italia per un summit.
-Chi hai messo incinta, Michè?
-Ti spiego dopo.
-È una cosa grave, vedo.
-Molto grave, Enrì. Ci incontriamo a Milano, o a Zurigo, oppure a Francoforte.
-A Düsseldorf, Michele. Io lavoro qui e non posso andarmene a spasso, tu invece puoi muoverti come un uccellino...un bell'uccellino peccaminoso.
-Ridi, ridi, Enrì, ma mandami subito 'sto fax.
-Non sarebbe meglio che te lo scrivessi in tedesco?
-Non la parla 'sta lingua.
-Allora in inglese.
-OK! Lo parla benissimo. Andata per l'inglese. Sei un amico che pensa a tutto tu.
-Mi ci hanno abituato gli amici come te. Allora arrivederci a presto.
-Arrivederci, Enrico.
Richiuse il cellulare e indossò il cappotto. Voleva andare al bar dell'angolo a bersi un cognacchino. Sentiva di esserselo meritato. Oltretutto la cassiera era una bomba.
non solo ben congegnato, ma pure inquietante per quanto sembra VERO.
RispondiEliminaGrazie. Mentre lo scrivevo pensavo: non è che qualcuno adesso pensi che io conosco qualcosa di losco?
RispondiEliminaNo, ma da buon scrittore ho molta immaginazione.
Ma poi, si sa che la realtà supera la più raffinata fantasia.
PS: sto già stringendo le chiappe per questa sera. Mi dico da un po' che la mia soddisfazione già l'ho avuta con l'Inter e che non me ne frega niente degli azzurri, ma poi...cosa vuoi siamo sempre italiani, anche se a me Lippi proprio non mi riesce ad averlo in simpatia. Sarà perché è stato troppo a lungo juventino, sarà perché da interista ha fatto ridere, sarà per questo, ma non vedo l'ora che arrivi l'era Prandelli.