venerdì 19 febbraio 2010

AMOKLÄUFER

Sembra che Amok fosse una divinità errabonda, chi dice nordica, chi slava, di origine assai lontana nel tempo. Un dio randagio, insomma, che non aveva mai pace. Aggiungendo al nome di questa divinità il sostantivo Läufer, che significa camminatore, i tedeschi hanno tirato fuori un termine che è una intera espressione: indica qualcuno che non trova mai riposo, che è sempre in ansia, sempre in cerca di guai. A Civitavecchia si dice "uno che nun trova palo dove allegà la cavezza der somaro".
Da qualche anno però Amokläufer indica un assassino giovanissimo, che parte da casa una triste mattina per fare una strage: teatro del dramma, "tatort" nella lingua originale, una scuola. Sembra trattarsi di un tentativo di pareggiare i conti con quei ragazzi americani, un paio negli ultimi anni, che hanno ammazzato qua e là in alcune cittadine degli U.S.A. una trentina di colleghi e di insegnanti, sparandosi poi l'ultima cartuccia nel cervello. Una specie di campionato mondiale della pazzia furiosa.
Tre anni orsono ad Erfurt, bella città della Turingia, un diciannovenne all'ultimo anno di liceo è arrivato a scuola con un paio d'ore di ritardo. A tracolla aveva un tascapane pieno di caricatori di pistola, quattrocento colpi in tutto, e due pistole di grosso calibro in tasca. Al bidello che gli chiedeva ragione del ritardo rispose con due colpi nell'addome. Primo morto.
Al rumore dei colpi dalla segreteria due insegnanti uscirono fuori nel corridoio. Non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto stesse accadendo. Secondo e terzo cadavere. Salendo le scale che portavano alle aule l'Amokläufer fece il quarto morto, un professore qualunque, che stava andando per i fatti propri.
Due ore dopo la polizia riuscì a fare finalmente irruzione nell'edificio scolastico: c'erano altri quattordici morti, compreso lo sparatore, che si era tirato un colpo in bocca. Si trattava di tre insegnanti e dieci ragazzi dai sedici ai diciannove anni. Oltre a sedici feriti, naturalmente.
L'assassino era un ragazzo normalissimo, disse il portavoce della polizia alla TV. Ottimo nel rendimento scolastico; nessun motivo apparente per una simile carneficina. Ancor oggi nulla è emerso che possa far capire il movente di tanta follia.
L'anno scorso in una tranquilla cittadina finlandese un altro ragazzo modello di diciassette anni ha portato con sè all'altro mondo sei compagni di scuola. Anche qui nessun motivo chiaro, nessun preavviso, niente. Una mattina, arriva puntuale a scuola insieme agli altri camerati, entra in classe e "bum! bum! bum!" ammazza i primi sei che si trova davanti, poi tranquillamente si spara in testa. Bingo!
Questa mattina a Ludwigshafen, città della Renania Palatinato, un ragazzo fino a ieri assolutamente normale, si è presentato a scuola con un coltello in tasca. Aveva un movente: odiava il professore di matematica, che gli dava voti troppo bassi, secondo lui. Appena il Prof è entrato in classe il giovane normalissimo gli ha rifilato sei coltellate e lo ha steso morto.
Più tardi all'ispettore di polizia che lo interrogava ha risposto: "ti dico come è andata se mi passi una coca cola".
Bene gente, questa è la normalità.
Non normale quello che la TV ha riferito che sia avvenuto negli Stati Uniti. Uno studente di dodici anni, colpevole di avere scritto col pennarello il proprio nome sul banco, è stato condotto in carcere dai poliziotti ammanettato, mani e piedi come quei poveracci di Guantalamo.
Dodici anni, gente, l'età dei primi peli di barba, della scoperta del proprio sesso, l'età dei giochi, della prima ragazzina, e ti portano via ammanettato come un pluriomicida per un paio di segni sul banco col pennarello nero.
All'Amokläufer di Ludwigshafen è stata portata la coca cola che aveva richiesto. Lui se l'è scolata e poi ha raccontato tutto, buono buono. Avrà un processo regolare, e gli daranno 25 anni, il massimo qui. Fra quindici anni sarà fuori, forse migliorato, certamente senza gli incubi di un arresto violento.
Dove sarà fra quindici anni il dodicenne americano?

1 commento:

  1. Tralasciando gli episodi tragici che di volta in volta mi lasciano sgomenta, voglio invece raccontarti di come io mi comportavo con gli alunni che scarabocchiavano in maniera indecente i loro banchi. Dopo aver fatto la ramanzina che li invitava a rispettare ciò che era di proprietà pubblica e non loro, e che al limite facessero quelle cose nelle proprie case se la madre glielo permetteva, li mandavo dal bidello a farsi dare pezzuola e detergente e, non importa se perdevamo minuti preziosi di lezione d'inglese, finchè i banchi non ritornavano lindi e pinti, dovevano lavorare di gomito! Penso che quel tipo di lezione sia valsa molto di più dell'uso del genitivo sassone!

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