Tanti anni fà due donne, Maria Maddalerna Malavisi e Assunta Guidi, combatterono durante una nottata una battaglia disperata.
Ma la storia incomincia circa otto mesi prima, quando Maria Maddalena, mia madre, ebbe la certezza di essere incinta per la terza volta. Seppe in quel momento di rischiare la vita: glielo avevano detto in modo chiaro i medici dopo il secondo parto: "Lei, signora, ha una malformazione congenita. Non potrà avere più figli. Non dovrà, perché potrebbe essere fatale e nefasto per lei."
Forse se la bambina fosse rimasta in vita, mia madre non avrebbe più fatto alcun tentativo; ma Roberta morì a soli otto mesi per una meningite purulenta. Mia madre voleva una figlia, mia madre rivoleva Roberta e si tenne il grembo occupato e "speriamo che sia femmina".
Assunta Guidi, "la Sora Tina", era una donna energica ed assai credente; era la levatrice comunale ed aveva aiutato a venire al mondo un barcone di ragazzini, quasi mezza Civitavecchia, da sola, senza mai chiamare il chirurgo. A quei tempi i figli nascevano nel lettone di casa, con tutte le donne della famiglia indaffarate a correre avanti e indietro per portare acqua caldissima e panni asciutti e puliti alla Sora Tina, mentre gli uomini andavano a fumare fuori della porta di casa, per salire poi di corsa le scale col mozzicone ancora in bocca, bussare alla porta e venire subito cacciati via.
La Sora Tina era arrivata alle quattro e mezza del pomeriggio dell'otto di febbraio. Fuori si gelava, ma dentro casa la temperatura era altissima.
Mia madre aveva già le doglie, quelle buone, "Ma vi devono arrivare quelle buone buone, Sora Marì" la rassicurò la Sora Tina. Il parto non era ancora aperto.
Alle venti arrivarono le doglie buone buone, che buone non erano proprio, visto che mia madre si torceva dagli spasimi. Il tempo passava, le doglie andavano e venivano con sempre maggiore frequenza, ma quel fagotto di ciccia là dentro non si lasciava vedere, solo toccare dalle punta delle dita delle lunghissime mani della Sora Tina.
Alle ventitrè mia madre era stremata e la Sora Tina in un bagno di sudore. Non c'erano più panni puliti in casa e arrivarono i panni puliti delle vicine. In quella palazzina nessuno andò a letto quella notte. Ma il fagotto di ciccia sembrava essersi ritirato verso l'interno: probabilmente non aveva proprio il coraggio di venir fuori.
A mezzanotte a mia madre cadde un velo nero davanti agli occhi. Non sentiva più alcun dolore. Disse solo due parole alla levatrice: "Sora Tì, mi raccomando la bambina" e svenne.
Continuò a riprendersi e svenire per un paio di volte, ma le doglie espulsive erano andate via e la donna collassava.
"Chiamate il padre." ordinò la Sora Tina. "Amleto, gli disse quando arrivò, correte subito dal chirurgo, ché sennò vostra moglie muore" e mio padre partì a razzo.
Maria Maddalena Malavisi aveva sentito tutto e capito tutto. Con le poche forze che le restavano si drizzò sui gomiti e disse imperiosamente: "La bambina deve nascere, la sento che si muove, è viva e deve nascere." Non vedeva più nemmeno ombre, una cappa scurissima se l'era ingoiata, ma il cervello era ancora attivo e la volontà sempre ferrea, come tutti i Malavisi della terra.
Mio padre entrò nella stanza una ventina di minuti dopo insieme al dottor Siligato. Questi si rese subito conto che la situazione era disperata.
-Bisogna trapanare subito, fra cinque minuti sarà troppo tardi.
E guardò mio padre, che assentì ingoiando saliva. E che altro doveva fare, poveraccio?
Il dottore andò nella cucina a far bollire i ferri, soprattutto il trapano. Avrebbe trapanato la testa del bambino, facendone uscire fuori il cervello. Svuotata la testa il resto sarebbe uscito in un baleno.
Nessuno si è mai riuscito a spiegare come una donna ormai prossima al collasso, che non vedeva più nulla si sia potuta accorgere dell'ingresso nella stanza del chirurgo, che avanzava in punta di piedi. Ma Maria Maddalena lo sentì.
Cacciò un urlo e disse alla levatrice: "Salvatela!" Non disse salvatemi, pensò solamente alla vita della bambina, perché quella era una bambina, doveva essere così.
E la Sora Tina fu percorsa da un fremito di orgoglio e di pietà per quella donna. Scansò il dottore, tuffò una delle sue lunghissime mani nel corpo di mia madre, afferrò quell'essere recalcitrante per la testa, torse il polso e tirò fuori ...me.
Era l'una e dodici del nove di febbraio.
"Sora Marì, è proprio bello assai, ma mi dispiace tanto dovervelo dire: è un maschio".
Devo la vita a quelle due donne. La più eroica certamente mia madre, ma solo la tenacia e l'abilità di Assunta Guidi hanno permesso che io vedessi la luce.
Questi che ho raccontato sono i ricordi di mia madre, di mia nonna, della signora Guidi e naturalmente di mio padre.
-Ho tenuto il culo stretto per tutta la notte, mi disse; non sapevo più a quale santo rivolgermi.
Ho capito cosa intendesse dire soltanto tanti anni dopo, quando è nato Federico. Annamaria stava per morire e io con lei. Fosse successo sarei morto dentro, non sarei stato più lo stesso. Tu, uomo, ti senti vittima e carnefice, ma soprattutto carnefice. Una gran brutta sensazione.
Che meraviglia! Tanto per sfotterti un po': sei proprio sicuro che se tua madre avesse saputo in anticipo che tu eri un maschio non avrebbe permesso a quel chirurgo di trapanarti "chella capa e chiuov'"( testa di chiodo) che tieni?
RispondiEliminaRinnovo gli auguroni che ti ho fatto via mail con la cartolina virtuale, non te l'aspettavi eh?
A proposito di levatrice, anch'io sono nata nel lettone dei miei genitori, proprio quel lettone sulla cui testiera mio padre mi faceva trovare quotidianamente i cioccolatini. E poichè mio padre era un tipo sbrigativo che odiava tutti i cerimoniali, "impose" alla levatrice, la mitica signora Lina, di diventare la mia madrina di battesimo.
HAPPY BIRTHDAY TO TOU, HAPPY BIRTHDAY TO TOU, HAPPY BIRTHDAY DEAR VINCENT, HAPPY BIRTHDAY TOOO YOUUUUUUU!
Hai cominciato a rompere le palle alla gente subito, appena nato, facendo cucù avanti e indietro più indietro che avanti e soprattutto non volendo nascere femmina!!
RispondiEliminama che diavolo è quella storia di trapanare il cervello? neanche in un film horror, lo inventerebbero.
A parte il trapano, tutta la storia del parto è bellissima, scritta mentre anch'io scrivevo del mio primo parto, che ti spedirò come regalo di compleanno. Auguri!
Purtroppo fino all'inizio degli anni 50 in caso disperato il chirurgo chiedeva al padre e marito chi dovesse salvare: la madre o il bambino? Tutti dicevano la madre. Allora veniva trapanata la testa del feto in modo che ne uscisse il contenuto. Passata la testa il resto viene giù come acqua.
RispondiEliminaNon è il racconto di un horror, purtoppo éra la realtà. Chiedi a qualche vecchietta´, se non credi a me -come tuo solito-.