Questa è la quinta volta che soggiorno a Bibione durante le vacanze estive.
Anche questa volta abbiamo preso alloggio nell'Hotel "Alla Pergola", gestito da una coppia di simpaticissimi fratelli, con un personale molto garbato e competente. La ragazza che ci serve i pasti è un'albanese di ventiquattro anni, che vive da diciotto anni in Italia e che frequenta il quinto anno di giurisprudenza a Padova. Ha fatto il liceo classico e mi cita Omero e Archiloco, mentre io butto là quel che ricordo di Pindaro, Alceo, Bacchilide e Saffo. Tutto questo mentre mi porge i piatti colmi di insalata o il quartino di vino rosso, che non devo più ordinare, tanto pronta e sveglia è la sua memoria. Mi dice che è un piacere conversare con me. È anche molto carina, osservazione di Anna Maria non mia pertanto non partigiana, e ogni tanto mi parla del suo ragazzo, uno studente di ingegneria elettronica che fa il barista in un altro dei cento locali di Bibione.
Siamo tornati in questo albergo perché l'anno scorso siamo stati divinamente. Siamo nella stessa stanza, la 106, ed abbiamo quasi l'ombrellone dell'anno scorso il numero 86 al posto del 85 dello scorso anno. Da giocarseli al lotto.
Lo scorso anno eravamo un po' sorpresi da tanto garbo. Pensate che alla fine non potemmo pagare perché io non avevo con me alcuna carta di credito -la lascio a casa per non avere sorprese, dato che ho le mani bucate e se mi dai una carta in libertà sai che casini ti combino- e non potevano accettare contanti per via di quella iniqua e stupidissima legge italiota entrata in vigore a maggio 2012. Così aspettarono che noi facessimo un bonifico dalla Germania.
Quest'anno abbiamo trovato un escamotage: ho inviato un bonifico in anticipo di oltre la metà dell'importo e alla fine abbiamo saldato in contanti. Non ho portato la carta di credito, naturalmente, perché io con gli anni non miglioro affatto, tuttaltro.
L'anno scorso si trattava della mia quarta Bibione, è chiaro, sempre io ed Anna Maria da soli. Ottima scelta, fuori dei confini casarecci non litighiamo mai, anche perché non ci sono figli a rompere le balle.
La terza era stata un anno prima, in una villetta situata a poche decine di metri da questo albergo, dove avevamo mangiato un paio di volte e notato che si mangiava benonon come si dice in dialetto furlano.
Due anni fa eravamo insieme con Monica e Federico, mio genero Nicola, mia nuora Sara e le due tigri del Bengala, Fabio e Alessia. Era stato un soggiorno bello ma stressante. Alla fine avevamo concluso con mia moglie di farci le vacanze da soli e non insieme coi figli. Melius est deficere quam abundare concludemmo capovolgendo il famoso proverbio dei miei antenati.
C'era già stata una volta con figli, quattordici anni prima: eravamo andati per la prima volta nella villa che poi ci avrebbe di nuovo accolto molti anni dopo. Noi due insieme con Monica, Nicola, i loro bambini Ivan e Sofia, mia figlia Stefania, Manfred suo marito e i loro due bambini Cristina ed Alessandro. Mancavano i nostri due maschi che se ne erano strafottuti di venire insieme coi genitori.
Quello era stato per me Bibione atto secondo ed era andato bene, malgrado la presenza di Stefania notoria guastafeste della mia famiglia (che non mi legga per carità).
I quattro bambini, oggi adulti -si fa per dire- dai 25 di Cristina ai 18 di Sofia, passando per i 23 di Alessandro e i 22 di Ivan (maledettamente belli tutti e quattro lo mi si lasci dire, tanto non li ho impastati io), da piccoli erano uno sballo e facevano morir dal ridere ogni momento.
Ma è della Bibione atto primo che oggi voglio parlare.
Merita gente, state a sentire.
Seppi dell'esistenza di Bibione un giorno di aprile del 1960 a Udine. Il sottotente di complemento Vincenzo Iacoponi era stato convocato insieme col Capitano in Spe (servizio permanente effettivo) Giorgio Momigliano a colloquio dal Colonnello comandante Silvio Sinopoli e il suo Aiutante Maggiore, Tenente Colonnello Filippo Maiorana.
Dentro la campagnola Momigliano mi fa: "Che cazzo vorranno sti rompicoglioni?".
Ve le dico senza traduttore per non privarvi della gioia del contatto con il cosiddetto "alto eloquio militare"; me ne vorrete bene, immagino.
Volevano comunicarci di avere stabilito la durata del campo estivo:
"Un mèse -Maiorana era catanèse, cerco di renderne la larghèzza delle è con accenti gravi, gravissimi, minghia- dal primo di luglio al trentuno, signori mièi. A voi l'ingarico di organizzare per bène tutta la besogna, me spiegai?"
Stavo per domandare qualcosa, ma mi fermò la pedata datami dal mio capitano.
Intanto il Colonnello Sinopoli ci stava spiegando perché proprio noi due. Quello che volevo chiedere io per l'appunto.
"Lei Momigliano è un giovane capitano comandante di Batteria da appena un anno e merita questo incarico, e lei tenente è un ragazzo brillante e intraprendente e sarà capace di fare quello che le si richiede".
Mi venivano le lacrime agli occhi dalla commozione. Lo avrei abbracciato, anche Maiorana si intende.
Al ritorno dentro il chiuso della campagnola Momigliano mi smontò immediatamente:
"Ce l'hanno messo in culo, Iacopò".
"Sarebbe?"
"Ci hanno trombato, Pippo mio. L'allestimento del campo è una fregatura, io capitano e tu tenente gli scemi del villaggio. Ogni sbaglio che facciamo ce lo rinfacciano fino a Natale"
"E se noi non sbagliassimo?"
"Sbagliare si deve, non hai capito, Pippo mio?"
No, non avevo capito.
Ma mi fu tutto chiaro il primo lunedì successivo, quando andammo a sta Bibione.
Allora era zona militare: solo spiaggia incolta, un minuscolo agglomerato di casette di pescatori, e un impero di zanzare di ogni tipologia. Un campo dove i Reggimenti di fanteria e artiglieria andavano a fare "i tiri". Una specie di Pian di Spilli a Civitavecchia, dove ci avevano portato a "fare i tiri" quando eravamo alla Scuola di Artiglieria di Bracciano.
Ci eravamo portati un paio di rinforzi -si fa per dire- due caporalmaggiori che nella vita facevano i muratori e un sergentino di prima nomina, tanto per fottere anche lui.
Misurammo, discutemmo, sacramentammo, ci incazzammo e nulla concludemmo se non procurarmi un feroce mal di stomaco al pensiero della mole di lavoro che ci aspettava. Si trattava di tracciare un percorso che poi quelli del Genio pionieri avrebbero scavato con le loro macchine e dietro nostra responsabilità; la suddivisione di un'area di oltre quattromila metri quadrati come deposito degli automezzi e dei nostri carri armati -sei per ogni batteria, per le dodici batterie del reggimento, facevano settantadue carri armati- altri seimila metri quadrati per la disposizione delle tende per i 920 artiglieri del reggimento, disposizione naturalmente a carico nostro; la definizione dell'area delle officine del Reparto Comando; le tende degli ufficiali, quelle dei sottofficiali, la tende del Comando del Reggimento, le quattro tende dei Comandi dei quattro Gruppi (in artiglieria chiamansi Gruppi i Battaglioni); la tende della Mensa Ufficiali, quella della Mensa Sottufficiali; la tenda della Cappella di quel rompicoglioni del Capitano Giuseppe Bormioli il nostro Cappellano, e poi i cessi per tutti, ufficiali, sottufficiali graduati e uomini di truppa.
A disposizione una settimana, poi tutto passava al Genio pionieri, e che se lo prendessero in culo loro sto bel pisellone colorato.
Vi risparmio la mole di bestemmioni che in quella circostanza ho imparato e messo da parte per momenti migliori, e dire che pensavo di essere laureato in bestemmiologia, mentre invece dovetti rendermi conto che non avevo ancora concluso la scuola d'obbligo.
Al ritorno ci dissero anche "bravi, complimenti", ma oramai avevo capito che ci stavano prendendo per il culo.
Il 30 di giugno mi fu ufficialmente comunicato che ero stato prescelto per essere io il "primo ufficiale di picchetto al campo". Incontrai Giorgio Momigliano che schizzava veleno.
"Scommetto che sarai tu il primo ufficiale di picchetto." Mi fa.
"Mi hanno detto che tanto valeva perché io sapevo tutto e gli altri no."
"Te lo hanno rinfilato nel culo, Pippo mio, e a me con te, perché io sono il primo capitano di ispezione."
"Ma noi sappiamo tutto", provai.
"Non capisci proprio un cazzo! Per te e per me sono già pronte le lettere degli arresti. Non può funzionare niente il primo giorno, vedrai che casino".
In effetti fu un gran casino, mai visto un casino così.
Sorvolando su mille cazzate, pensate solo che ogni artigliere aveva con se una specie di sacco che andava riempito con 25 chili di paglia, che uno speciale reparto del Genio ci avrebbe procurato. Quello sarebbe stato il pagliericcio dove avrebbero dovuto dormire per un mese. Quindi una balla da un quintale serviva per quattro uomini. Il Genio scaricò 238 balle da un quintale, quindi otto quintali in più. Io incominciai la distribuzione dal primo Gruppo, il 101 e dalla Prima Batteria. Rimasi presente fino a che arrivarono gli altri tre Gruppi, 102, 113 e 114, che si misero ordinatamente in fila. Lasciai lì il mio sergente Biggera e un paio di caporalmaggiori, pensando che quei morti di sonno dei miei colleghi tenenti e sottotenenti avrebbero dato un'occhiata per controllare.
Manco pu cazze!
Mentre io stavo da tutt'altra parte per controllare l'inizio delle operazioni nelle cucine -anche questo naturalmente compito mio- arrivò uno dei miei colleghi stronzi a dirmi che il "signor Maggiore Daneri" comandante del 102 mi stava cercando con la bava alla bocca.
"A Iacopò che cazzo hai combinato? Daneri cià già l'ucello in mano"
Era piantato in mezzo a una strada di scorrimento dei carri, a gambe larghe e mani sui fianchi.
"Le faccio dare 10 giorni di rigore, da scontare a casa e non qui, bello mio"
"Comandi. Se mi volesse spiegare..." fu il mio esordio.
"Quaranta dei miei uomini sono senza paglia e non ci sono più balle"
"Non posseggo il dono dell'ubiquità, se sto qui non sto lì e avevo messo un paio di sottufficiali..."
"Li è il primo responsabile, cazzo e stracazzo!!!"
"Ma i suoi ufficiali dove stavano signor maggiore?"
"Per questa sua impertinenza gliene faccio avere 15 di rigore".
"Comandi. Si accomodi, adesso vedo cosa è successo"
Continuò a strillare al vento dell'Adriatico, ma io me ne ero andato via.
In quel momento mi raggiunse il capitano Giuseppe Bormioli, il cappellano che noi subalterni chiamavamo Don Giuseppe, mandandolo spesso affanculo.
"Iacopò"
"Nun me rompe er cazzo don Giusè"
"Ti volevo dire miscredente che la paglia se la sono fregata quelli del 114 e che Bertola lo sa ma fa finta di niente."
Bertola era il Maggiore comandante del 114 e del Distaccamento di Cervignano. Mi vedeva come il fumo agli occhi, assolutamente ricambiato dal sottoscritto.
Piombai al 102 come un falco. Vidi il tenente Navetta, che sbuffava come un toro incazzato.
"Aspettavo giusto te!"
"Invece de sta a aspettamme potevi move er culo e annà a la distribbuzzione de la paja, rompicazzo"
Eravamo amici io e lui. Ero l'unico sottotenente che gli dava del tu.
"Piglia sti 40 ladroni e portamoli da la paja, de corza Navè"
Andammo nell'area del 114. Chiamai l'ufficiale di servizio al Gruppo, altro candidato agli arresti, altro sottotente di prima nomina, De Julio, er più bello romano de Roma.
"Fa sonà l'attenti al Gruppo"
"De che?"
"Fatte li cazzi tua e sona st'attenti. Li vojo immobbili come le statue de li Fori imperiali."
Appena furono tutti immobili, dissi:
"Io nun ve faccio rapporto, nun ve fo sbatte drento, ma er primo che protesta je sfonno er culo a forza de zampate, due pe vorta finché diventeno dispari".
Dissi poi a Navetta:
"Guarda li sacchi, minimo 50 chili l'uno, fai lavorare i tuoi uomini mentre quelli stanno sull'attenti"
Finì in gloria, ma il puzzone del Comandante del 102 aveva già mandato al Colonnello il biglietto di punizione per me.
Sinopoli mi mandò a chiamare.
"Gliene do solamente cinque, semplici e non di rigore e li sconterà qui al campo. Non se la prenda: è tradizione che l'ufficiale di picchetto vada dentro il primo giorno."
Tornai alla cucine.
Il Maresciallo capo Di Quattro, palermetano, sghignazzava. Lui era del 113, il mio gruppo e ci facevamo sempre delle matte risate.
"Quanti?"
"Cinque"
"Derrigòre?"
"Semplici"
"Li scontasse qui?"
"E se capisce"
"Miiiiiiinghia, che cculo signòr tenende. Ce lo dissi tandissime vòrte: che pacchia stu reggimendo!"
Mi fece mangiare una bistecchina caura caura.
"Quellautri se la devono mangiare fredda stasera, e lei se la magna caura"
"Grazzie marescià"
"Ce lo dissi: che pacchia stu reggimendo, signor tenende!!!"
Ahahahahahahahahahah insomma in un modo o nell'altro poi riesci sempre a cavartela! Gustosissimo racconto!
RispondiEliminaAllora avevo più culo; comunque non era questo il racconto su cui stavo lavorando e di cui ti parlai. Questo è una specie di omaggio a Bibione, un inchino senza naufragio per un posto bellissimo con gente affabile e la migliore e più vasta ed estesa spiaggia italiana.
EliminaBellissimo, ho letto, ed anche se il divertimento è stato superiore (mio marito me ne racconta tanti e tanti di questi episodi), mi sono anche immaginata quanta rabbia repressa in quei giorni.
RispondiEliminaHo capito anche per esperienza dovuta sempre al mio lui, che quei giorni si ricordano sempre con tanta simpatia e a volte nostalgia.
Vai a capirci qualcosa...è un mistero per noi femminucce.
La vacanza tranquilla è quello che ci vuole, ma poi pensi sempre alla famiglia.
Un bacio.
È vero: mi sono fatto trascinare dai ricordi. Era un sacco di tempo che pensavo di riesumare quel primo giorno della mia prima volta a Bibione...sì, noi maschietti ci sfogammo tutti a bestemmioni durante la naja, ma dopo tanti anni ci ripensiamo con grande nostalgia, perché...eravamo giovani e freschi, di grandi speranze e ricordare quei tempi ci riporta la pelle tesa e dura come allora...non fraintendere adesso, perché io intendevo in genere, sempre comprendendo anche quello...si capisce! E chi se lo potrebbe scordare mai.
EliminaUna cosa sola da aggiungere: partii per il campo due giorni dopo che la mia ragazza era partita per le sua vacanze ad Auronzo, insieme a sua zia. Non lo sapevo ancora, non me ne ero ancora accorto, ma in quel mese mi mancò come l'aria da respirare (e io a lei, me lo disse dopo).
Quando ci rincontrammo mi sembrò cento volte più bella. Le dissi: "Finora abbiamo scherzato, da adesso si fa sul serio".
Litighiamo quasi ogni giorno, da 50 anni, sempre con grande affetto.
Mi sembra una bella conclusione per questa storia.
Ecco adesso sono commossa, ma non piango.
RispondiEliminaSono felice, ho appena scoperto che nella vita vera, ci sono i romanzi più belli.
Sempre un bacio.
Sì e poi finiscono tutti allo stesso modo, come il titolo di un romanzo di un amico mio: "alla fine lui muore".
EliminaStavolta te lo ricambio volentieri il tuo bacio.