mercoledì 30 gennaio 2013

VITA DA CAMIONISTA

Più o meno quaranta anni fa lasciai il primo lavoro in terra tedesca, una specie di factotum in una piccola azienda familiare. Facevo il magazziniere, l'autista e lavoravo al confezionamento dei prodotti finiti. Cercavo qualcosa di diverso e un connazionale che avevo incontrato al Consolato di Francoforte mi disse che la Mercedes cercava collaudatori per prototipi disposti ad andare in Finlandia d'inverno e all'equatore in estate. Andai a  Stoccarda, feci una prova e mi dissero che si sarebbero fatti vivi loro.
Dopo un paio di settimane decisi di tornare a Stoccarda. Prima volli fare colazione in un caffè italiano e lì incontrai un tizio che mi disse che se cercavo un posto di lavoro mobile sapeva di una ditta olandese di trasporti che cercava con urgenza un secondo autista per uno dei suoi autotreni. Tanto vale che provi, pensai, anche perché stavo a corto di pecunia.
Io non avevo la patente per il camion oltre le 15 tonnellate, ma un patentino militare, che avevo già trasferito sulla patente civile italiana, trasformata in tedesca per obbligo in quanto con una patente straniera si poteva circolare solamente un anno. Sulla tedesca era stato integralmente riportato che potevo guidare camion, senza specificare il tonnellaggio: "LKW Fahrer", c'era scritto.
Per gli olandesi andava alla grande, visto che in Olanda e in Belgio in quei tempi la patente si richiedeva in Comune e non si doveva fare scuola guida, introdotte dopo  il 1980. Oltre a ciò la ditta rilasciava una dichiarazione di intenti in cui si prendeva ogni responsabilità sull'operato dei propri autisti.
Mi dissero che potevo partire la domenica sera da Francoforte, dagli hangar della ditta. Mi sarei dovuto trovare quella domenica sera alle 21 in una delle sei zone industriali del capoluogo dell'Assia.
In ufficio mi dettero una busta con dei documenti e un numero, quello del  mio camion, numero 455. E trovatelo, sta laggiù. Un buco nero con qualche lampione che non arrivavi a vedere dove finisse. Doveva essere lungo almeno un chilometro, perché marciai per una decina di minuti prima di trovare l'inizio della serie dei 400. Ancora un duecento passi e me lo trovo davanti: uno Scania rosso, immenso. Una bestia lunga 24 metri, snodabile, il cosiddetto TIR. Stava dentro una rimessa buia. Ci giro intorno.  Mi chiedo dove diavolo stia il primo autista. È tutto buio e lui non c'è.
A un tratto sento un grido: la portiera si spalanca e salta fuori dalla cabine un....nano, sarà stato un metro e quarantanove non di più.
-Sei italiano?
-Sono italiano.
-Che bello che sei alto. Io devo guidare praticamente in piedi, hombre, porché soi piccolo piccolo.
-Vedo, ma io sono solo il tuo secondo.
-No, tu guidi e io me reposo, hombre.
Si chiamava Luis e qualcosa, aragonese; ma io non ero d'accordo.
-Luis, io non ho mai guidato sto bastimento.
-Te impari, hombre, es facile muy semplice, amigo.
-E quando imparo? Fra mezzora si parte.
-Impari subito: io te digo e tu intanto guidi, hombre.
-Hombre, tu vai a cagare, ma io sta nave non la guido. Io te miro, hombre, te osservo e poi vedarin se puedo gubernar sta nave.
-Nada de nada, amigo. Nunca un minuto porto io el camiòn. Tu lo porta, hombre e io te digo.
Inutile insistere e poi mi stava venendo l'acquolina in bocca. Mamma mia sta bestia tutta per me, chi me l'avrebbe mai detto!
Così sono salito in cabina la posto di guida. Devo dirvi gente che oggi è tutto molto più semplificato, allora era un mezzo bordello, ma io avevo imparato sotto le armi come si mettono le ridotte e tutto il casino di movimenti mani e piedi che devi fare e già pensavo chissà che culo devo fare con questo mostro; invece c'era una levetta sul cruscotto, che appena la toccavi faceva un comico rumore, puff, come una vecchina che fa una scoreggetta e quello era tutto, la ridotta era inserita. Per toglierla toccavi un'altra levetta, di nuovo la scoreggina della vecchietta, puff e la ridotta era tolta. Si viaggiava a colpi di scoregge, perché praticamente le ridotte le usi quasi sempre.
Allora cerco di capire tutto e mi faccio anche spiegare tutto in cinque minuti:
-Parti in seconda, hombre, ridotta perché abbiamo 88 tonnellate; poi doppietta e terza, ridotta, poi dai gas fino alla porta de ingresso, amigo, saluti e via.
-Dico, ma dove cazzo vado?
-Sta dentro la busta che hai portato.
La apro e leggo a voce alta.
-Firma Siemens, Lissabon...
Neanche mi fa finire che già strilla:
-Lisboa, passiamo per la mia tierra, facile, muy semplice, hombre, una promenade.
Ora dovevo andare a Lisbona e non sapevo nemmeno da quale parte si trovava rispetto alla posizione di partenza.
-Io te digo, no se preoccupe. Metti in moto el camiòn, che già quello guarda e pensa che ci meniamo l'uccel.
-Quello chi?
-El portero.
Adesso dovete sapere che el camiòn stava infilato nell'hangar, nella rimessa e doveva uscirne fuori tutto intero lasciando le colonne di cemento al loro posto. Quindi prima devi pensare che hai un'animale lungo 24 metri dietro di te, poi che hai solo un metro a destra, la direzione dove devi andare perché lì c'è il pilastro, che se lo becchi ti porta via mezza fiancata e hai finito il tuo lavoro.
Luis si è spaparacchiato sul sedile del viaggiatore e se ne fotte. Gli chiedo:
-Vado avanti e giro a destra?
-Sì, hombre, 24 metri avanti, anche 25 poi giri.
Sapete calcolare 25 metri a occhio e in movimento? Io ho imparato subito, secondo il detto latino melius est abundare quam deficere sono avanzato quasi fino al muro di fronte e poi ho girato. Pensavo di fare un mazzo tanto invece era come girare il volante di una 500. Docile e sicuro.
Non voglio fare lo sbruffone, ma dopo un'ora mi sentivo come Schumacher, che allora ancora non s'era, ma per farvi capire.
Ho imboccato l'autostrada per Strasburg e poi di lì per Barcellona e poi sempre diritto. Quel fijo de puta de Luis dormiva e ronfava, ma io mi divertivo da matti.
Entrati nella zona portuale di Lisbona, il martedì pomeriggio si trattava di andare a marcia indietro per attraccare al ponte di scarico della Siemens.
Dico avete un'idea di come si faccia una retromarcia con un TIR? Se devi andare a destra devi girare il volante a sinistra e viceversa, facendo tutte le correzioni possibili, con il nano Luis che corre a destra e a sinistra della tua poppa per darti indicazioni, perché negli specchietti non li vedi gli spigoli dei muri. Tutto sarebbe facilitato se...ci fosse lo spazio per manovrare a sufficienza, ma lì -la mia prima retromarcia- c'era solo un cortile largo appena 40 metri.
Ho fatto un culo così, ma ho imparato.
Ho guidato per 17 mesi e mi sono divertito assai, malgrado Luis.

sabato 26 gennaio 2013

L'ANGOLO DEL MINOTAURO

Il mito lo conosciamo tutti: il Minotauro, figlio di un toro e di Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, era un mostro per metà uomo e per metà toro. Si cibava di carne umana finché non venne accoppato da Tèseo aiutato da Arianna, che gli fornì un gomitolo di filo per ritrovare l'uscita del labirinto dove il toro era nascosto. In un angolo.
Questo angolo mi ha sempre affascinato, soggiogato col suo mistero, perché me lo immaginavo come una specie di imbuto scuro, una cosa così. Allora ero uno sbarbatello studente di liceo e mi figuravo di guardare il mondo dall'alto.
Ma che c'entrava l'angolo del Minotauro, letteralmente toro regale in greco-cretese, col dominio del mondo? Non lo sapevo ma lo intuivo d'istinto che doveva essere qualcosa di speciale.
Ho terminato il liceo, mi sono addentrato nella vita, ho visto, ho fatto, ho disfatto, spesso ho lasciato fare agli altri, qualche volta non ho fatto per pigrizia o per dispetto, ma sono vissuto e sono cresciuto. Lentamente ho capito cosa c'entrasse l'angolo del Minotauro col guardare il mondo dall'alto.
L'angolo del Minotauro è il posto nascosto dove si cela la bestia immonda, il mostro in agguato sempre pronto a divorarti. È dentro ognuno di noi, lo generiamo giorno dopo giorno, lo nutriamo, lo teniamo in forma consapevoli ma il più delle volte inconsapevolmente. È la seconda metà dell'Universo, speculare della prima: è il male.
Inutile tentare di sottrarvisi, inutile negarlo, lui è lì da prima che noi prendessimo coscienza della vita che stava iniziando a crescere insieme a noi. 
Il Minotauro di Tèseo divorava ogni anno sette fanciulle vergini e sette fanciulli, questo nella mitologia. Dentro di noi divora le nostre idee migliori, quando sono ancora innocenti e ce le restituisce malate, perfide, infette, senza che noi se ne possa riconoscere la trasformazione, perché continuiamo a vederle innocenti come all'origine e ce ne facciamo merito e vanto.
Niente di quello che facciamo, pensiamo, progettiamo è esente dal passaggio obbligato nell'angolo del Minotauro: basta che vi sosti un attimo ed è già trasformato in sozzura, in pattume, in cattiveria.
La virtù si trasforma in peccato, l'amore in violenza senza che ce se ne accorga. Perché questo è il massimo della perfidia: nascondere sotto un manto di bontà tutto il male del mondo.
Pensateci bene, amici miei: non è il Bene che domina il mondo ma il Male. L'amore finisce sempre mentre l'odio non muore mai.
È l'odio che cammina a braccetto con noi per tutta la vita e non ci abbandona mai. L'angolo del Minotauro è la fucina che lavora ventiquattro ore su ventiquattro, senza sosta, senza manifestare stanchezza.
E non aspettate Tèseo: non arriverà. Questa volta Arianna non gli ha dato un gomitolo di filo, ma un cavo del PC, quello che è acceso in mano al Minotauro, che vede Tèseo arrivare, gli salta addosso e lo accoppa.
Quando ho iniziato con questo blog volevo intitolarlo L'angolo del Minotauro, ma poi ho desistito. Non mi piace imbrogliare chi per natura, per il fatto di essere vivo, già è imbrogliato fin dalla nascita.







mercoledì 23 gennaio 2013

HO UN APPARTAMENTO NUOVO

Ho un appartamento nuovo: dal primo di aprile -sì, proprio il giorno del pesce d'aprile- abiterò al numero 10 della Römerstrasse, via dei Romani, era destino. La casa la vedo dal mio balcone, distante un tiro di schioppo da questa dove ancora abito, ma in effetti è distante 33 anni, il tempo che ho vissuto qui dentro, una vita. Quando arrivammo io avevo 45 anni, aitante e pomicione, nemmeno un capello bianco. Anna Maria 41 e sembrava una trentenne; quattro marmocchi di 15, 13, 10 e 7 anni, l'ultimo Federico, che a settembre farà 40 anni.
Mi fa incazzare sta storia perché succede qualcosa di strano che non avevo previsto. Sai quante volte ho maledetto sta casa, per colpa del fatto che non molti dei radiatori del riscaldamento -stravecchi e sempre pieni d'aria- non emanavano sufficiente calore? Questo è uno dei motivi. Perché le mattonelle in bagno si scrostavano; perché le pareti a nord erano maledettamente umide e fredde; perché l'ingresso era immenso, un quarto dell'appartamento quasi 32 metri quadrati, un enorme spreco di spazio; perché le serrande di quasi tutte le finestre erano difettose; perché l'isolamento delle finestre -vecchio di 40 anni- non teneva più lasciando penetrare aria fredda da fuori e uscire aria calda; per questo, per quello e par quell'altro?
Io e Anna Maria non vedevamo l'ora di lasciarla sta casa, diventata troppo grande coi suoi 124 metri quadrati da pulire, da riassettare, da custodire. Eppure adesso che finalmente ce ne andremo a me viene il magone e mi dispiace. Ieri l'ho detto ad Anna Maria e lei mi fa: "Pure a me". Ah benun!
Che cavolo succede? Succede che ogni centimetro quadrato mi ricorda qualcosa; succede che se mi bendassi gli occhi attraverserei l'appartamento da capo a fondo senza intruppare in qualche parete, in qualche stipite o in qualche mobile; succede che qui c'è l'angolo del pensatoio, dove ogni notte per almeno un'ora me ne sono rimasto a scrivere e pensare, l'angolo è questo dove sto scrivendo adesso, a penna, questo post del caciocavallo; succede che non so quello che succede, ma sono triste cavolozzo fritto, ed è questo che mi fa incazzare. 
Dovrei invece essere felice, specie adesso che viviamo nel salone e basta, tenendo sempre le porte chiuse per non fare entrare il cattivo odore della muffa che si è formata in cucina; dovrei essere felice proprio adesso che dormiamo in un divano letto, che può andare benone per qualche giorno, ma dopo due mesi abbiamo entrambi dolori al groppone, e non possiamo usare la camera da letto perché i mobili sono tutti in soffitta. Insomma dovrei fare i salti mortali dalla gioia perché la smetteremo di andare al ristorante almeno una volta al giorno -mi costa più dell'affitto che non pago- e invece son qui che mi incazzo perché me ne devo andare. E mi incazzo perché parte di questi mobili che ho qui dentro, tanti, troppi, di cui abbiamo sparlato io e lei così tanto tempo con frasi  tipo "sono troppi sti mobili", "sempre gli stessi davanti agli occhi mi hanno stufato", adesso dovrò buttarli via o darli a qualche istituto che accetta mobili vecchi per darli a chi non li possa comperare, ma i miei non sono vecchi, porcaccia vacca! Per questo mi incazzo, dato che nel nuovo appartamento avrò lo stesso numero di stanze, ma meno spazio, cioè 39 metri quadrati in meno; e mi incazzo perché della pinacoteca dei miei quadri coi quali ho qui riempito le pareti, più della metà finirà in cantina.
A me era capitato già una volta, tanti anni fa qualcosa di simile: mi volevo liberare di una ragazza perché me ne piaceva un'altra. Gliene facevo di tutti i colori, ma non se ne andava mai. Le ho detto la verità e lei ha pianto per tre giorni, poi finalmente se n'è andata. 
Dovevo essere felice e invece no: mi dispiaceva da matti.
Così è fatto Enzo Iacoponi, tutto un controsenso.

giovedì 17 gennaio 2013

MUSICA MAESTRO

Chissà quante volte durante il giorno vi viene voglia di fischiettare o canticchiare, qualcuno magari accompagnando con un balletto, insomma fate musica; vi siete mai chiesti che tempo musicale fosse? Secondo me quasi tutti zufolano in "Allegretto".
Mi è passato nella capoccia un lampo stamattina. Lampo era il nome del cavallo in una macchietta famosa di Aldo Fabrizi, "er vetturino". "L'ho chiamato Lampo perché mo lo vedi, mo nun lo vedi più, sta sotto le stanghe a zampe larghe pe tera", diceva Fabrizi, Lampo io chiamo certi pensieri che mi vengono nelle ore piccolissime (le tre, le quattro) quando mi alzo per fare pipì -eh sì, me tocca-; faccio uno spuntino guardando il soffitto e allora, zac!, mi viene sto lampo. Acchiappo la penna, trascrivo il lampo e già l'idea se n'è andata. Ma ho sempre la penna in mano e un foglio bianco assai accogliente davanti, e allora vi scarabocchio sopra parole in libertà, poi si vedrà cosa ne esce fuori. 
Stavolta ho pensato ai tempi musicali, da cui il fischiettare giornaliero. Conosco gente che lo fa di continuo appassionatamente, come un'ossessione; altri solo quando emettono flatulenze per coprirne l'eventuale rumorosità. Sono quelli che fischiettano e poi si spostano altrove velocemente lasciando una scia...musicale.
Rimaniamo sui tempi musicali...e sul resto e proviamo a vedere come certi famosi, certi noti e notissimi personaggi della cronaca -ahimè-  quotidiana secondo me fischiettano, che poi la desinenza finale in ano è già tutto un programma: forza della musica, quali nobili pensieri e profondissimi sentimenti ispira.
Dunque come pensate che fischietti il professor Mario Monti? Parte con un "Larghissimo", poi lo trasforma in un "Grave", per finire con un "Lento", aiutandosi con le mani con le quali gesticolando concentricamente forma delle grandi forme sferiche, come il culo che ha fatto ai suoi concittadini. A me quelli che parlano così gravemente e con sussiego senza cambiamenti di tono e di ritmo, che non si incazzano mai, stanno così sul gozzo, stanno. Sarà per quel motivo che ogni volta spengo la TV e apro la finestra per cambiare aria e far uscir la puzza.
Come Gianfranco Fini, che di sicuro fischietta in "Andante moderato"; puzza ma non ossessivamente, insomma appartiene alla categoria dei vaselinatori, coloro che te lo spalmano ben bene di vaselina per non procurati e procurarsi troppo male.
Come il prossimo presentatore del Festivalle di Santo Remo, quel Fabio Fazio dalla nobilissima faccia di culo, che fischietta in un "Adagio" e conclude con un "Andante al passo", tanto a lui per accelerare bastano le scosciate della Litizzetto in calzamaglia sul comò col suo "Vivace".
Col "Vivace" a singulti, come le scariche di diarrea, zufola il nostro Antonio nazionale, Il Di Pietro, re dei congiuntivi, che gli fanno far certe sudate e che quando ne azzecca uno suonano tutte le campane delle chiese del Molise.
Tra l'"Allegro" e il "Vivace" fischietta Angelino Alfano, come ieri sera a Porca a Porca (copyright di Zio Scriba), unito all'"Andante" di Bruno Vespa e all'"Allegro" con incazzo di Pier Ferdinando Casini. Un duetto con fischi, lazzi e pernacchie, che se ve lo siete perso avete perso qualcosa di irripetibile.
E Bersani allora non zufola? No, lui è furbo e lascia che altri zufolino al posto suo, e ne ha di coniglietti quanti ne vuole. Forse abbiamo trovato il nuovo e perfetto burattinaio.
E come zufola Ignazio La Russa? Suvvia, diciamolo: in "Vivacissimo", con ebrezza e venticelli, facendo da preludio  all'"Allegrissimo", "Presto" e "Prestissimo" del capo dei capi, il cavalier Berlusca, che zufola velicissimissimamente prima di tentare per l'ennesima volta di rientrare nel cesso, pardon nel gabinetto dei ministri.
Qualcuno penserà di sicuro che questo sia un post di merda. Ebbene sì, gente, abbiamo il mal di pancia. Comincia sempre così la marcia di avvicinamento al cesso: dal "Larghissimo" di Giorgio Napolitano, al "Grave" e "Lento" del senatore a vita Mario Monti; attraverso l'"Andante" di Fini si passa al "Vivace" di Di Pietro, all'"Allegro" di Casini e si arriva al "Presto" e "Prestissimo" di Berlusconi, quando sta correndo al cesso stringendo disperatamente le chiappe per non sganciare il Vendola del giorno.
Ciao, bella gente, ad maiora.

mercoledì 9 gennaio 2013

ROMA È COME IL MARE

Sì, amici, Roma è come il mare, prima o poi restituisce tutto.
È di questi giorni la notizia del ritrovamento del gruppo di statue che riguardano il mito di Niobe, cantate da Ovidio nelle Metamorfosi. Combinazione le statue sono state ritrovate nella villa del suo mecenate, Marco Valerio Messalla Corvino, nei pressi di Ciampino, mentre venivano effettuati altri scavi di non troppo chiara natura. Ma, chi è di Roma ben lo sa, basta fare un buco per terra e ne escono a volte coccetti di poco valore, a volte capolavori come questi.
Chi era 'sta Niobe, di cui purtroppo sono andate letteralmente in fumo e ceneri due trilogie tragiche una di Eschilo, l'altra di Sofocle nell'infausto incendio della biblioteca alessandrina, dove tra l'altro andò distrutta una parte non indifferente dell'opera omnia di Aristotele?
Niobe era figlia di Tantalo e andò sposa ad Anfione, re di Tebe, cui diede quattordici figli equamente distribuiti in sette maschi e sette femmine. Un prodigio di fertilità anche per quei tempi e non solo, perché la leggenda dice che Niobe rimase bellissima in volto e nella figura slanciata malgrado le gravidanze, senza l'ausilio del biancobaffuto professor Calabresi e certo senza la sua tanto decantata dieta mediterranea.
Inorgoglita dalla prole fino a diventar superba osò prendere in giro Latona, una dea madre di Apollo e di Artemide. Due figliolini soli, un maschietto, dio potentissimo, e una femminuccia, dea non meno potente del fratello. A loro due si rivolse Latona per essere vendicata e i due fratelli andarono a Tebe e fecero una strage a colpi di arco e frecce, uccidendo a Niobe tutti i figli suoi: Apollo le ammazzò i maschietti ed Artemide le femminucce. Niobe dal grande dolore si trasformò in roccia, in un punto imprecisato di uno dei deserti africani, chissà poi perché laggiù a meno che non avesse firmato un'esclusiva con una agenzia turistica del tempo.
Bello, no? Questa leggenda cantò Ovidio nelle Metamorfosi, come detto, la sua opera maggiore. Parlò di questo gruppo di sculture dandone una descrizione ben precisa, poste intorno alla piscina della villa di Messalla. Forse un terremoto le fece precipitare all'interno della vasca, che poi si riempì nei secoli di terra, che ricoprì le statue fino a qualche giorno fa.
Ma Roma come il mare restituisce tutto prima o poi. Chissà che non restituisca tra qualche secolo, anche tutti i miliardi di lire e le centinaia di milioni di euro che i nostri politici -tutti di ogni parte politica, destra, sinistra, sopra e sotto non trascurando il centro- si sono pappati durante la prima e la seconda repubblica.
Un po' di speranza ogni tanto fa bene al cuore.