Giulia è la sorella di mia madre. Giulia è una donna bellissima e anche mia madre è una donna bellissima, perché Giulia è la sorella gemella di mia madre e sono uguali come due gocce d’acqua. Pochi hanno mai capito quale fosse l’una quale l’altra perché assolutamente identiche. Con qualche piccolissima differenza, però. Per esempio: mia madre è alta, slanciata e sinuosa; anche Giulia è alta, slanciata e sinuosa. Mia madre è bionda ed ha occhi azzurri trasparenti come albe sul mare; Giulia è bionda e ha gli occhi azzurri trasparenti come albe sul mare. Mia madre è intelligentissima e colta; Giulia è intelligentissima e colta. Mia madre è riflessiva e scaltra; Giulia anche. Mia madre ha piantato il primo marito, il padre di mio fratello, e adesso va alla grande col secondo, mio padre. Giulia non si è mai sposata, ma ha piantato tutti i suoi amanti. Mia madre è saggia e parsimoniosa; Giulia è matta e spendacciona. Mia madre gode di un’ottima salute; Giulia sta morendo.
Giace da due settimane in un letto ultramoderno dell’Ospedale dei tumori più rinomato del paese. Malata terminale agli sgoccioli: ma lei è sempre bella, anzi sempre più bella, come se invece di starle a fare l’allestimento per il funerale, la stessero mantenendo in forma per andare a nozze.
A mio fratello di primo letto di nostra madre Leonardo è balenata in mente un’idea:
“Non è che queste due stanno facendo i giochetti, che ci hanno raccontato facevano ai tempi della scuola e dei loro fidanzati?”
“Pensi che si alternino dentro quel letto?”
“E chi lo sa? Possono fare tutto quelle lì.”
Intanto Giulia è sempre bellissima e fresca, non sembra proprio una moribonda.
Da un paio di giorni mio padre ha trovato su internet una notizia che ci ha costernati. Da allora siamo preoccupatissimi. Sembra che i gemelli monozigoti abbiano lo stesso decorso di vita, la stessa tratta, la stessa durata. Quando uno dei due sta male anche l’altro soffre, e se uno dei due muore l’altro lo segue rapidamente, dopo una malattia breve e fulminante. Sembra, non c’è alcuna certezza scientifica, ma un fortissimo dubbio.
In tutti i modi è già successo quando mia madre ha avuto un premolare cariato sul lato sinistro della mandibola. Giulia aveva dolori fortissimi sull’altro lato, ma non aveva carie, soltanto dolori. Appena il dentista ebbe finito di otturare il dente di mia madre cessarono di colpo i dolori che Giulia aveva in bocca.
Il conto torna e in casa nostra non si vive più. Nessuno di noi ha parlato chiaramente con Magda, nostra madre, la gemella di Giulia apparentemente in salute, ma tutti ne stiamo osservando ogni movimento, trattenendo il fiato ad ogni suo colpo di tosse.
Questa mattina Giulia sembra stare molto meglio. Ha voluto leggere un giornale, senza occhiali come sempre. Ha letto però solo i titoli mentre mia madre faceva un salto a casa, dove aveva dimenticato chissà che. Nessuno se ne è accorto: dimentica tante cose lei, ogni giorno.
Giulia ha ripiegato il giornale, lo ha riposto sul comodino, si è girata su di un fianco e dopo un po’ ci siamo accorti che non respirava più. Era morta così, tranquillamente come non era mai vissuta.
Passato il primo momento di sgomento siamo scattati tutti fuori dalla stanza come se avessimo ricevuto una scarica elettrica, chi verso le scale chi verso l’ascensore. Parola d’ordine: fermate Magda prima che arrivi alla stanza di sua sorella e la trovi morta, bella e stecchita dentro il letto.
I minuti volano via, ma mia madre non arriva. Passata quasi un’ora qualcuno prova a chiamarla sul cell, non ricordo chi nella confusione che si era creata; ma non c’è risposta. Allora mio padre prova col telefono di casa.
Al quarto squillo lei risponde.
-Che cosa stai facendo ancora a casa? –le chiede mio padre.
-Sto qui con Giulia.
Neanche il tempo di sentire il seguito: siamo già tutti nelle nostre macchine diretti a casa.
Entro per primo, dopo essermi mangiato gli scalini delle due rampe a quattro a quattro.
Lei siede regalmente sulla sua poltrona preferita di alcantara beige al centro del salotto. Ha tirato accanto alla sua l’altra poltrona, di pelle nera, dove mio padre di solito dorme beato davanti alla TV accesa. Ma non c’è la TV accesa e non c’è mio padre a dormire sulla poltrona: c’è invece una gatta tigrata, bellissima, che prima nessuno aveva mai visto. Sdraiata sul fianco destro, mentre mia madre di tanto in tanto allunga una mano a carezzarle il pelo, la gatta emette quel tipico suono, quel ronfare ritmico, che rivela una profonda beatitudine. È beata e soddisfatta, con gli occhi chiusi a metà.
Ma da dove è uscita fuori, mi chiedo e sono certo che se lo stanno chiedendo tutti.
-Come fai a sopportare ‘sta gatta vicino a te, tu che soffri d’asma e sei allergica ai peli?
La domanda la fa mio padre perché riesce per primo ad aprire bocca. Noi siamo inchiodati dalla visione.
Mamma non sopporta i gatti, penso io e pensa Leonardo. Mamma non è mai andata a casa di Giulia per via delle sue quattro gatte, una bianca e tre nere, perché le sarebbe venuto un colpo sul pianerottolo, prima ancora di mettere un piede in quell’appartamento.
“Hai addosso la puzza dei tuoi gatti”. Quante volte glielo avevamo sentito dire? E adesso accarezza la groppa di quella bestia.
Giulia adorava i gatti, era di natura felina anche lei; teneva le sue quattro micie come fossero figlie. Le avevamo portate all’ospizio municipale per animali, pagando salate parcelle mensili, quando Giulia era entrata in ospedale. A nessuno di noi era passato per la testa di abbandonare quelle bestie al loro destino, sapendo quanto lei le amasse.
Ma questa gatta tigrata non l’avevamo mai vista. Giulia prediligeva i bianchi e i neri.
Forse mia madre ce la legge in faccia la domanda.
-Questa è Giulia –ci dice.
Nemmeno una parola di più. Così ci lascia nel dubbio: avrà voluto significare “questa è una gatta e io l’ho chiamata Giulia”, abbastanza semplice, forse un po’ troppo semplice temiamo, oppure “questa qui è Giulia, mia sorella, da adesso in poi”?
Mio padre ci prende per un braccio e ci porta via, in un’altra stanza.
-Dovrò trovare il modo di dirle che sua sorella è morta, perché non precipiti nella disperazione. Voi intanto fate come se niente fosse successo.
-Ho paura che lei pensi che quella bestia sia sua sorella –gli dico.
-È la mia stessa paura –aggiunge Leonardo.
-Non lo ha detto e non lo credo proprio –taglia corto nostro padre –voleva sicuramente dire che quella era la sua gatta e che si chiamava Giulia.
-Non ti sembra strano che l’abbia chiamata così? –gli chiedo.
-Hai dimenticato che nomi aveva dato Giulia alle sue gatte? Maria Antonietta, Ludovica, Concetta e Rosalba; tutti nomi di donna.
E poiché ci legge in faccia l’incertezza e il dubbio, chiude il discorso:
-Gente! Noi dobbiamo far finta che sia così come vi ho detto e non che sia diventata matta all’improvviso.
Allora facciamo finta e vediamo come va a finire questa storia.
Intanto io mi do da fare per organizzare i funerali, e affrontare tutta la parte burocratica. Una montagna di carte e moduli da riempire e da firmare. Falsificando la firma di mia madre, perché lei è la parente più stretta e toccherebbe a lei sottoscrivere ogni documento; ma mia madre non deve sapere quanto è successo, almeno ancora per un po’.
Al funerale mia madre non c’è, ma nessuno se ne meraviglia. Mio padre è un mostro della mistificazione: ha messo in circolazione bugie così ben calibrate che tutti, piuttosto che per la defunta, spendono lacrime per la sopravvissuta, sola e triste in una stanza buia, ricurva su sé stessa e sulla perdita incolmabile che l’ha colpita.
Ai funerali escono fuori tutti i vecchietti, come i funghi dopo la pioggia.
-State molto vicini a vostra madre, poveretta –raccomanda a me e a mio fratello una donnetta rugosa, che non conoscevo, ma che dopo parla a lungo con mio padre.
-Dia un bacio alla sua mamma –mi sussurra un bassotto panciuto molto in là cogli anni.
Dopo la tumulazione tutti a casa a salutare la mamma.
-Mi raccomando, fate finta di niente –ci catechizza nostro padre sul pianerottolo, prima di infilare la chiave dentro la serratura –e soprattutto non mostratevi meravigliati di niente.
Appena entrati colpisce il volume della musica, molto alto, troppo, considerando le abitudini della mamma. Musica latino americana, un samba credo.
Non è la TV come pensavo, ma un CD. In mezzo alla stanza mia madre in calzamaglia rossa mima una ballerina brasiliana, o balla come una. Ad ogni modo si dimena a tempo, e lo fa con garbo. Accanto a lei, in piedi sulla poltrona di pelle nera, la gatta Giulia accompagna il ritmo con sinuosi scatti della sua coda, tenuta distesa verso l’alto, da destra a sinistra e ritorno, nonché alzando ed abbassando sul posto le zampe posteriori, come chi segna il passo o piuttosto tenta di tenere il ritmo della musica in una discoteca affollatissima. Insomma la gatta Giulia balla, e questo è un fatto.
Restiamo lì imbambolati, senza sapere che fare. Per nostra madre non esistiamo, adesso conta solo la danza e la sua gatta.
Retrocediamo a marcia indietro, passetto dopo passetto, tirati per la giacca da nostro padre.
-Non lo raccontate nemmeno alle vostre mogli –ci supplica –non capirebbero e la giudicherebbero male.
Io non l’ho mai raccontato e sono certo che nemmeno Leonardo lo abbia fatto.
Dopo quella volta non sono più passato da casa loro. Mio fratello ha osato farlo ancora un paio di volte. Alla sera mi telefonava per dirmi che la situazione non era migliorata, anzi secondo lui andava sempre peggio.
-Cosa intende fare papà? –gli chiesi una sera.
-Niente, non farà niente. Penso che abbia paura di perderla affrontandola con la verità.
-Ancora non le ha detto che Giulia è morta?
-Temo che se va avanti così non glielo dirà mai.
Per fortuna si sbagliava.
Una sera sul tardi mio padre mi telefona per dirmi che passa a prendermi con la sua macchina. È arrivato il momento, penso. Vorrà chiedermi l’ultimo parere prima di affrontare mia madre.
Questa volta mi sbagliavo io.
Scendo subito quando lo sento suonare da sotto casa. C’è Leonardo accanto a lui.
Parte subito sparato senza nemmeno rispondere al mio saluto. Sceglie una piazza grande in periferia, semideserta a quell’ora. Spegne il motore e resta immobile fissando il buio fuori. Non si sente un fiato dentro l’auto.
-Vostra madre vive solamente per quella gatta; –dice alla fine con un filo di voce –non esce più di casa e si chiude per ore e ore dentro la sua…la nostra camera da letto insieme a Giulia.
-Che fanno tutto il tempo? –chiede Leonardo.
-Parlano. Cioè, lei parla e Giulia miagola.
-Beh! Mi sembra normale, visto che è una gatta –mi riesce a dire, ma ho un groppo in gola.
-Non mi capite: Giulia ci conversa, anzi le fa i suoi ragionamenti e lei la sta a sentire e le risponde. Vostra madre si comporta con quella gatta come con sua sorella quando era viva. Anche allora si chiudevano in camera per delle ore e guai ad entrare dentro, mi cacciavano fuori come un intruso.
-Non ti sei mai ribellato? –chiedo.
-È sempre andata avanti così: erano gemelle, erano in simbiosi costante. Quando mamma aveva un problema chiamava Giulia e lei arrivava. Non ci ho mai trovato niente di strano.
-Ma adesso con la sua gatta forse recita quella vecchia parte –dice Leonardo.
-Il fatto è che io non so più se quella gatta è solamente una gatta –risponde papà con un sospiro.
Mi sembra che qualcuno mi stia prendendo a cazzotti sullo stomaco. Bisogna uscir fuori da questo vicolo cieco.
-Hai mai trovato il coraggio di dirle che Giulia è morta? –gli chiedo.
-Credete davvero che lei non lo abbia saputo per prima?
Adesso ci scruta in volto, me e mio fratello.
-Lo ha sentito –continua –lo ha sentito ancora prima che morisse. Ha sentito dentro di sé che la sua metà naturale stava abbandonandola. Ha preso la scusa di essersi dimenticata qualcosa e se ne è andata a casa: e là ha sentito sua sorella morire dentro di sé.
-Io glielo avrei comunque detto –insisto –anche per vedere la sua reazione.
-L’ho fatto –risponde papà con un gran sospiro –in un momento di rabbia gliel’ho sbattuto in faccia. Le ho detto per convincerla che l’avrei portata a vedere la tomba di sua sorella.
-E lei che ti ha risposto?
-Nemmeno una parola. È andata a sedere sulla sua poltrona. La gatta le è immediatamente saltata in grembo e vostra madre le ha sussurrato qualcosa in un orecchio. Poi si sono girate a guardarmi e vostra madre è scoppiata in una risata. Mi è sembrato che anche la gatta mi ridesse in faccia.
-Ma questa maledetta gatta da dove è saltata fuori? –chiede Leonardo, che sta quasi per piangere, come quando era un bambino.
-Sarà di qualche vicino di casa –provo a dire –hai chiesto in giro?
-Nessuno si è perso una gatta.
-Non può essere comparsa dal nulla! –esclamo alzando la voce –Prova a domandare in giro, maledizione.
-Da dove sia sbucata quella gatta non mi interessa proprio: il problema è che vostra madre è convinta che si tratti della reincarnazione di Giulia, per questo le ha dato subito ‘sto nome. Mi sbalordisce piuttosto che non le provochi alcuna allergia. Quando sentiva puzza di gatto starnutiva per mezza giornata e le lacrimavano gli occhi per ore e ore. Con Giulia non le succede. Non è straordinario?
Io e Leonardo ci guardiamo. Sì, è straordinario che non subisca danni, ma ancor più sensazione mi provoca questo suo amore improvviso per una micia: mia madre, fino alla morte di sua sorella, avrebbe sterminato tutti i gatti del mondo col lanciafiamme.
Mio padre deglutisce a fatica, guardando ostentatamente fuori. Quando riprende a parlare si sente che ha il pianto in gola: sta tirando fuori il rospo più grosso.
-Mi ha sbattuto fuori dalla camera –mormora.
-Cosa? –chiediamo io e Leonardo insieme –quale camera?
-Fuori dal letto –tira su col naso –da tre giorni dormo sul divano del mio studio.
-E lei dorme con Giulia, vuoi scommettere? –chiedo così per chiedere, ma ormai è chiaro.
-Dorme con Giulia.
Fa una lunga pausa. Nessuno di noi osa aprire bocca.
-Finché sto in casa non escono più dalla stanza.
-Che cosa fanno lì dentro, dormono? –chiede Leonardo.
Mio padre risponde dopo una pausa che dura un’eternità.
-Miagolano.
-Che hai detto?
Salto su come se avessi il fuoco sotto il sedere, mentre Leonardo tiene la bocca spalancata.
-Vostra madre miagola con Giulia.
Incomincia a piangere senza ritegno.
Io e Leonardo ci guardiamo con gli occhi sbarrati. Dopo un po’ trovo la forza di dire la cosa enorme, la cosa brutta che penso, mentre Leonardo gli tiene le mani nelle sue.
-È partita, papà: dobbiamo farla visitare da uno psichiatra.
-No! –sbotta –Non lascerò che Magda finisca in una clinica psichiatrica. Guai a te se lo ridici, guai a voi se lo pensate.
Adesso che cosa dire? Che cosa fare? Solo sguardi tra me e Leonardo, e il silenzio in quell’abitacolo è scandito dalle tirate su col naso che fa nostro padre.
-Come pensi di andare avanti? –chiede Leonardo, che ha ritrovato il coraggio prima di me.
-Come sto andando avanti adesso.
-Non farai niente?
-Assolutamente niente. Aspetterò che le passi.
-E se non le passa? –chiedo io.
-Le passerà prima o poi. Deve passarle.
Adesso ho solo un’ultima domanda da fargli.
-Perché ci hai portato qui stasera? Perché ci hai raccontato queste cose?
-Perché siete i suoi figli e dovevate sapere.
Rimette in moto il motore e mi riporta a casa, senza più dire una parola.
Passano tre mesi. Vivo, lavoro, scherzo, guardo la TV, faccio all’amore con mia moglie ma il pensiero è sempre rivolto all’appartamento dove mia madre vive con Giulia e coabita con mio padre, il mio pensiero è sempre a cosa succede in quelle quattro stanze.
Non sono più entrato in quella casa perché non me la sento di vedere mia madre dialogare con una gatta, miagolando insieme a lei.
Che lo faccia è sicuro, me lo ha confermato Leonardo, che in quella casa è stato più di una volta. Non gli è riuscito mai di vedere nostra madre perché se ne resta chiusa in camera, ma da dietro la porta l’ha sentita miagolare con Giulia.
Questa mattina Leonardo è piombato nel mio ufficio con la faccia tesa dei momenti brutti.
-Vieni con me –mi fa.
Mi afferra per un braccio e incomincia a correre giù per le scale trascinandomi dietro. In macchina finalmente mi molla l’ultima:
-Mi ha telefonato papà. Sta succedendo qualcosa.
-Cosa?
-Sembra che Giulia stia male; forse sta morendo, ma non ci ho capito più di tanto.
-Dio mio, non l’avrà mica avvelenata lui?
Ma Leonardo non mi risponde.
Mio padre ci aspetta sul pianerottolo, davanti alla porta dell’ascensore, ma noi arriviamo di corsa dalle scale.
-La gatta non si muove quasi più –ci dice guidandoci verso il salotto.
-Lascia stare la gatta –gli dico –cosa fa la mamma adesso?
Ma lui non risponde. Si è fermato davanti al tappeto grande. Giulia sta lì, quasi immobile, allungata come se stesse stiracchiandosi, ma rimane così e sembra che qualcuno la tiri per le zampe e gliele tenga ferme. I gatti non restano in quella posizione più a lungo di qualche secondo. Mi chino e la tocco sulla pancia: è calda, ma non reagisce al tatto. Penso che potrei comprimerle il torace e la pancia senza che lei faccia nulla.
-È fuori conoscenza? –mi chiede Leonardo.
-Penso proprio di sí.
Mi rialzo e guardo mio padre negli occhi.
-Sei stato tu?
-Non avrei mai fatto una porcata a Giulia; non sono un vigliacco.
-Lei come l’ha presa? –gli chiedo indicandogli la stanza da letto.
-Da quando Giulia sta così vostra madre si è infilata sotto le coperte. Non parla più e ho dovuto avvicinarmi alla sua bocca con un orecchio per sentire il suo respiro.
Entro dentro la stanza. Mamma ha la testa coperta dal lenzuolo. Glielo abbasso un po’ sul viso.
-Sono io, mamma. Come ti senti?
Non si muove di un millimetro.
-Come ti senti? Rispondimi!
Le tocco la fronte: è gelata. Il polso è debolissimo, sembra che batta al rallentatore.
-Leonardo chiama un’ambulanza, un medico di servizio, il nostro dottore. Fa in fretta: dobbiamo portarla all’ospedale.
-Sta così male? –chiede Leonardo con un fil di voce.
-Per me è grave, non l’ho mai vista così. Sembra un collasso.
Leonardo smanetta freneticamente sul cellulare e sento che parla con qualcuno: gli dà l’indirizzo.
-Guardate Giulia –grida mio padre dal salotto.
Giulia è stecchita: le dita della zampe allargate e tese, il collo e la schiena formano un arco perfetto con la coda distesa, la bocca semiaperta in una smorfia di sofferenza. È ancora tiepida, ma mi sembra già dura.
La schiena mi si gela di colpo. Torno nella camera di corsa, giusto in tempo per cogliere l’ultimo respiro di mia madre. Muore qualche attimo dopo la sua gatta, senza un gemito, senza un addio.
-Che succede qui dentro? –bisbiglia mio fratello con la voce rotta dietro di me.
-Mamma se ne è andata, per sempre.
Esco fuori da quella stanza maledetta e vado a sedermi per terra nel salotto. Dalla porta aperta mi arrivano i singhiozzi di mio padre e di mio fratello, abbracciati accanto al letto.
A un anno esatto dalla morte vado al cimitero con due rose bianche, una per Magda l’altra per Giulia.
Pronuncio una breve preghiera per quelle due donne che sono state così importanti per me. Un pensierino anche per la gatta, che abbiamo voluto mettere nella bara di mia madre.
Devo affrettarmi. È già buio e fra qualche minuto chiuderanno i cancelli. Mentre percorro il vialetto dirimpetto alle due tombe affiancate sento un fruscio. Mi giro: seduta su una delle due tombe c’è una gatta tigrata. Mi ricorda subito Giulia; anche questa è molto bella e grande come era lei. Torno indietro di due passi e mi accorgo che c’è un’altra gatta tigrata, identica alla prima, sdraiata sull’altra tomba.
Ho la fronte imperlata di sudore freddo e mi tremano le mani.
Provo a chiamarle sottovoce:
-Giulia…Magda…
Non oso muovermi di lì. Il tempo si è fermato. Quanto dura? Non lo so.
Poi le due gatte si alzano e si allontanano strofinandosi l’una all’altra ed emettendo corti miagolii di intesa. Quando sono una diecina di metri distanti da me si girano e mi guardano.
Un attimo dopo sono scomparse, ma prima che spariscano io odo chiaro e forte una risata di donna, anzi di due donne.
Non l’ho sognato, giuro.
Corro da Leonardo. Mi fermo sotto casa sua. Lo citofono e gli dico di scendere subito.
Gli racconto quello che è successo.
-Le ho viste anche io quelle due gatte un paio di sere fà –mi interrompe –Ho creduto di sognare e non l’ho raccontato a nessuno per non farmi prendere per pazzo; ma se le hai viste anche tu vuol dire che quelle due gatte esistono davvero.
-Potrebbe essere un caso, una coincidenza –dico per darmi coraggio.
-Lo credi davvero? E sempre su quelle due tombe, due gatte uguali come gemelle?
Rimaniamo a guardarci in silenzio. Nessuno ha il coraggio di continuare.
-Pensi che siano loro? –mi chiede alla fine Leonardo.
-Non voglio pensare a niente. Sono successe tante cose strane dopo che è morta zia Giulia, che tutto può essere possibile.
-Io invece credo che quelle due gatte…
Ma non ha il coraggio di concludere.
-Non diciamo niente a papà –gli raccomando –lui non si è ancora ripreso dalla botta.
-Hai ragione, non diciamogli niente.
Ci guardiamo. Oramai ci siamo sintonizzati.
-S’è fatto tardi. Buona notte, Leonà!
-Buona notte, Vincè!