giovedì 28 febbraio 2013

LA SAGA DEI PERDENTI

Le bocce sono ferme, si devono tirare le somme: credere, obbedire, combattere e andarsi tutti a nascondere.
Lo sapete che io sono il meno indicato a scrivere di politichese, infatti questo non è lo scopo di questo indegno post, ma solo bacchettare un po' tutti, quelli che cantano vittoria, e quelli che si leccano le ferite. Ma prima consentitemi di fare una semplice osservazione, che mi sale dal cuore, o dalla pancia, se si preferisce.
Qualcuno, assai bonariamente in verità, mi accusa di essere politicamente perso: si tratta di una carissima amica e lo può dire, ma al di fuori di questo e di altri blog, insomma nel parlar comune si sente dire e sostenere che la cultura, la letteratura, l'intellighenzia debba essere di sinistra. Chi non lo fosse sarebbe da definire un povero cretino. Per i più giovani dirò che sta storia è vecchia, l'aveva inventata Palmiro Togliatti, uomo di estrema e raffinata intelligenza, per scavare un solco tra quello che sosteneva lui e il Partito e quello che invece ribattevano i suoi avversari politici. 
Niente di più falso.
Benedetto Croce ha scritto un testo che fa scuola da sempre, il titolo "Poesia e non Poesia". La sua teoria è che non ci sia una poesia (intellighenzia per traslato) di serie A e una di serie inferiore, bensì o è Poesia o non lo è. Punto.  Così  c'è buona lettera e pessima letteratura, cioè non letteratura, indipendentemente dalla collocazione politica dell'autore.
Tanto per essere chiari: io non sono un cretino, sono colto e intelligente, addirittura geniale, eppure non sono di sinistra.
Fine della digressione.
A bocce ferme diremo che un solo nemico è morto: mille siamo gli uccisori. Versi di Archiloco, grande lirico greco del quarto secolo.
A mio modesto parere sono stati tutti sconfitti. 
BERSANI- Il grande generale, colui che sentiva di essere il predestinato, è il primo e forse più cospicuo perdente. Parte con la sicumera e la prosopopea del vincitore. "Ho vinto le primarie, ho preso la maggioranza assoluta su quattro milioni di italiani, vincerò a mani basse, e quelli me li sbrano". Capito nada. Ha vinto su quattro milioni di iscritti al PD, ma gli italiani sono tanti, milioni di milioni come le stelle di Negroni. Comunque ha dimostrato di saper perdere una partita vinta, perché Berlusconi e la sua coalizione erano distanti a novembre di ben 14 punti! Gli sono arrivati a mezzo punto. Colpa sua che non ha fatto una campagna aggressiva, come Grillo, come lo stesso Berlusconi; non ha capito quello che volevano gli italiani; ha continuato a parlare di agenda di governo che aveva al primo posto la questione della Giustizia, la questione del conflitto di interessi, senza capire che agli italiani interessava il posto di lavoro, la sicurezza nelle strade, cose così, spicciole, alla portata di tutti e forse troppo misere per il Presidente del Consiglio unto del Signore col sigaro spento tra le dita.
Il peggio è che adesso men che meno mostra di avere chiara la rotta da seguire: va a fare la corte -adesso, dopo aver detto peste e corna di loro- ai Grillini. Mettiti a far cri cri cri, chissà che non funzioni. Sorbole Bersani, cosa dirai e cosa farai adesso?
Tranquillo ci sta già pensando il professor mistero oscuro, il grande D'Alema a toglierti le castagne dal fuoco.
BERLUSCONI- Adesso il grande imbonitore, si maschera da moderato puro, sgarra sul viso il suo sorriso più smagliante, ma visto che non può essere lui in persona personalmente (direbbe Catarella) a guidare il prossimo governo, inizia l'operazione leccamento delle chiappe di Bersani, perché faccia il definitivo harakiri e si allei con lui in un abbraccio mortale. Io sono il vincitore morale, strilla da Arcore in giù, mi davano per morto e invece i morti erano loro. Anche il suo Milan pensava di farcene quattro e per un pelo perdeva. Lui invece nel suo piccolo era convinto di avere vinto alla Camera, e di governare il paese, facendo lui la proposta a Grillo e ai suoi. Non ha capito nada de nada. Non è la destra che è morta, bensì la sua persona che è odiosa al 70% degli italiani. Rimane un 30%, che lo voterebbe anche dopo la morte fisica, in ricordo e in memoria. Quelli sono i voti della coalizione di destra e nessuno glieli contesta, ma anche lui ha perduto: il 15% in cinque anni, e non mi sembra poco. E non c'entra niente la secessione di Fini, perché è costata una manciata di voti solamente: li ha persi lui con la sua politica a senso unico, senza mai voltarsi indietro, basata sulle chiacchiere e le battute di spirito. Altre battute non interessano che i cultori del gossip.
GRILLO- È il grandissimo perdente. Certo amici miei. Sta rintanato dentro casa perché non vuole apparire, non vuole declamare versi, ne stronzate, soprattutto perché ha paura che qualcuno gli chieda: e adesso mister, che si fa? È stata una cavalcata della Walkirie andar a prendere voti a destra e a manca, di sopra e di sotto. Facile distruggere, facile dire è tutto uno schifo, via tutti arrendetevi che siete circondati Si sono arresi pifferaio; il 25% degli italiani ti ha dato il voto, una massa enorme. Adesso che ci fai con 105 deputati e 70 senatori? Vai al governo del paese? E che ci vai a fare? Cosa cazzo capisci tu della politica vera, dei rapporti tra paesi europei? Adesso vedi bello che sono cazzi amari. Devi tirar fuori le palle se ce l'hai e non scappare nella tua villa di Genova, perché già arrivano i questuanti a chiederti di pagargli le bollette. Cosa ti pensavi, grullo, che ti davano il voto gratis? Hai già perso la tranquillità, fra poco perderai la faccia quando ti accorgerai quanto siano fedeli i tuoi elettori. Puoi sperare solo in una cazzata solenne di Bersani, dai che forse la fa, di una delle solite stronzate di Berlusconi, che nessuno dei due sappia come mettere le cose in ordine e che in tre mesi si torni a votare. Allora prenderai il 45% dei voti e allora sì che sei fregato, perché dovrai farlo tu o il tuo sosia il governo del paese. Hai già prenotato un volo per il Tibet? Fallo: di lì all'Himalaja il passo è breve e lassù accanto allo jeti non ti verrà a cercare nessuno, credi a me.
MONTI- Povera anima, anima de li mortacci sua. Il salvatore della patria l'ha preso di dietro un bel calcione. E pensare che ci aveva creduto e si era alleato con le mummie, gli avanzi della politica di destra, i transfuga, gli zombi della DC. Con noi si vince, era il grido della grande coalizione di centro. In hoc signo vinces, e io ci metto la mia faccia da prete spretato avevi pensato e tutti saranno qui davanti a sbavare.
Invece niente, il popolo sovrano ti ha scaricato, te e le tue tasse pro MPS, credevi che gli italiani non se li sapessero fare due conti? Non saranno grandi matematici, ma i conti della serva li imparano da piccoli, mica a scuola, nelle strade. Così ti hanno fatto il gesto dell'ombrello e tu ci sei rimasto come uno stronzo fuori dal cesso. Meglio dimenticare la tua stagione come la peggiore del dopoguerra. Mai stato a Monfalcone, fiorente cittadina del Friuli, vicina a Trieste, sede della Fincantieri, dove vengono costruite -non assemblate, costruite- le gigantesche navi che solcano gli oceani? Era una cittadina piena di luci d'estate e di inverno, piena di negozi scintillanti di merci, con la gente friulana che portava dipinto in faccia il benessere, perfino con l'ultimo governo Berlusconi, pensa tu. Vacci adesso: sembra di stare in un cimitero. Alla sera è tutto buio: il 75% dei negozi ha chiuso, non per colpa della recessione in cui ci aveva portato Berlusconi, ma per colpa delle tasse che hai imposto tu e la tua banda. E tu volevi vincere le elezioni per far felice la Merkel? Ma va a dar via il culo.
CASINI- Due parole, perché di più non merita. Un grullo che si crede uno statista, un chiacchierone che parla sempre bene, mai inciampa, ha sempre le risposte preparate, non dice nulla a braccio; ci si dovrebbe fidare di uno così? Infatti il suo minuscolo partito è diventato un partitino, una monnezza. Io sono sereno, diceva ieri sera in TV a denti strettissimi e cercava il suo cappotto per scomparire. Scompari per sempre, come i tuoi colleghi nuovi, che hai portato alla rovina politica insieme a te.
I GRANDI TROMBATI
INGROIA- Un PM che fa il PM a Palermo e si presenta a Palermo cosa voleva fare? Ma non lo sapeva che a Palermo lo odiavano? Così stupido vorrebbe governare l'Italia? Si faccia la barba che sembra un pezzente sporco e poi impari a parlare chiaramente.
DI PIETRO- Questa è la prima delle immense gioie che ho avute: il congiuntivo imperfetto, la coniugazione perifrastica passiva, la consecutio temporum fuori dai coglioni. Grazie Gesù di avermi dato questa soddisfazione prima di morire.
FINI- Oh Dio, che grazia che mi hai fatto! Adesso potrei morire contento. Il Presidente della Camera fuori dal Parlamento!
ahahahahahahahahahahahahah!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Fa male Gianfranco? Dove ti fa più male al cuore o al culo?
Non pensavi certo di farcela con quel gruppo di appestati come te che ti ha seguito. Hai tradito una coalizione, hai fregato le tasse con il tuo famigerato appartamento di Monte Carlo; non ti sei dimesso da Presidente della Camera, pur facendo politica attiva. Sei un maiale e il popolo sovrano te lo ha chiaramente espresso.

Ora tocca agli ITALIANI vedere se riusciranno a salvarsi avendo messo in piedi, sovranamente questo bel baraccone. Non so come faranno, ma confidiamo nell'unico NON PERDENTE, cioè Giorgio Napolitano. 
Dimenticavo: la figura di merda più grande l'ha fatta "der möchte gern Kanzeler werden" (traduco questo detto crucco: il vorrei volentieri diventare Cancelliere) Peer Steinbrück, il candidato alla Cancelleria dei Socialisti tedeschi. Ha detto che in Italia hanno vinto due clowns. Che lo dicano gli italiani può anche andar bene, ma un tedesco no. Gli auguro di far la fine di Fini e Buttiglione. Ma la cosa peggiore il governo tedesco non ha chiesto ufficialmente scusa al popolo italiano, che non è un popolo di pagliacci, come pensano loro, ma un popolo intelligentissimo, che ha dato una lezione ai suoi uomini politici.
Eccolo il vero vincitore di questa tornata di elezioni: IL POPOLO ITALIANO.

domenica 24 febbraio 2013

HABEMUS PAPAM

Si chiama Alt St. Vincentius Krankenhaus, vecchio ospedale di San Vincenzo, per distinguerlo dal nuovo, costruito in un altro quartiere della città, ma anche questo è nuovo, cioè rinnovato, e qui ti hanno fregato, perché mentre prima c'era una guardiola con un portiere al quale tutti gli imbranati chiedevano informazioni e che a gesti, a urli, calci, morsi e bestemmioni ti faceva capire dove diavolo dovevi andare, adesso c'è un apparecchio telefonico, che ripete sempre le stesse giaculatorie e non ti fa capire un granché. Però una cosa l'ho capita: scendere nel sotterraneo. Scendiamo, Anna Maria ed io, e ti saluto scuffia. Non meno di dieci corridoi e tutte le scritte indicano tutto e il contrario di tutto. Che pacchia la modernità. Dobbiamo proprio avere la faccia dei pastori di Betlemme, perché una giovane infermiera ci viene in soccorso. 
"Posso essere utile?"
"Ho un appuntamento col Professor Scheppert."
"Secondo corridoio, in fondo a destra, ci sta scritto Medicina nucleare", e ci indica il corridoio giusto.
"Hai visto Annamarì, è arrivata la stella."
"Quale stella?"
"Quella di Betlemme".
Naturalmente non capisce al volo e Paganini non ripete. Sono cinquanta anni che si affatica a starmi dietro. Io sono lento come una lumaca ma il pensiero batte record mondiali uno dopo l'altro e la mia polentona non lo segue. Sfigata, si poteva trovare un polentone come lei.
In fondo a destra del corridoio ci sono quattro uffici di accettazione. Me li faccio tutti e quattro, perché il mio, manco a dirlo è l'ultimo.
"Ho un appuntamento col Professor Scheppert", ripeto come un pappagallo per la quarta volta. 
L'impiegata, alta e segaligna, guarda il registro elettronico.
"È vero"
E che dico bucie io?
Mi passa un modulo con trenta domandine facili facili, ma alla fine non c'è la caramella premio.
Come mi chiamo, se sono maschio o femmina, quanti anni ho, colore delle mutande, malattie avute, medicinali presi normalmente -bello sto normalmente, come se io ogni mattina al posto della colazione mi pigliassi tre capsule e quattro pilloline-, dolori accusati, dolori passati, dolori futuri, vogliono sapere se io sia incinta, ancora no sono rimasto ai preliminari, insomma ci manca che mi chiedano la misura e il diametro della mazza poi mi hanno chiesto tutto.
"Deve firmarlo in calce".
Firmo.
"Frau Professor Scheppert la riceverà tra poco, si accomodi nella sala d'attesa numero due."
Frau Professor? Chissà perché quando si sente Professore si pensa automaticamente ad un uomo, mai ad una donna. Siamo rimasti nel vecchio millennio noi omarini.
Anna Maria prende una rivista e sfoglia, senza leggere, perché è troppo nervosa e perché ha dimenticato gli occhiali nella macchina. Io attendo il donnone. Chissà perché mi immagino che sia grossa, vecchiotta e brutta, misteri della fede maschilista che ci portiamo dietro dalla nascita.
"Herr Iacoponi" , cavolo ha azzeccato il mio cognome, successo poche volte qui in Cruccolandia, bene che mi vada mi chiamano Incaponi.
"Ja, bitte"
Sta davanti a me: non avrà più di quaranta anni, ed è una falsa magra come si dice, perché malgrado la veste, giubbetto e pantaloni non attillati, si intravede con un po' di fantasia; porta gli occhiali,ma è decisamente una bella donna. E deve essere molto brava, per dirigere un reparto che è uno dei tre esistenti così avanzati in tutta la Germania. Sono fortunato, perché Karlsruhe dista dieci chilometri da casa mia; gli altri e due sono a Norimberga e ad Hannover. 
Le do i miei documenti, avuti dal mio cardiologo: ci sono tutti i dati che le interessano, come i valori del sangue, il famigerato TSH che è un po' troppo elevato e poi i dati relativi a tutto il resto. Se li legge e sembra molto interessata.
Siamo nel suo studio e lei non ha detto una parola, sempre e solo letto.
"Adesso le faccio una iniezione, è solo un mezzo di contrasto, poi dopo venti minuti di attesa verrà un tecnico che le farà una radiografia particolare. Probabilmente le girerà un po' la testa, ma non si preoccupi"
E di che? Stiamo in un ospedale, no? Se avanzo seguitemi, se casco per terra raccoglietemi.
Appena passati i venti minuti, precisione tedesca, arriva il tecnico. Sarebbe a dire la tecnica. Ma ci stanno solo donne qui dentro? Questa comunque è una via di mezzo tra una donna e un armadio a tre ante. Avrà si e no venticinque anni, ma con una sua chiappa si costruirebbe tranquillamente una poltrona. Ride e mi guarda come il lupo doveva guardare cappuccetto rosso. 
"Kommen Sie mit"
Vieni bello che mi ti pappo.
"Devo spogliarmi?"
Così non mi si sporca di sangue il maglione nuovo.
"No, allarghi solo il collo della camicia, questa è solo una schermata superficiale"
Solo? Dura dieci minuti e mi pare che l'attrezzo che mi ha calato sulla faccia -io sto sdraiato su un lettino strano, ma comunque abbastanza comodo- non faccia alcun rumore, quindi o sta lì per combinazione, o lei ha dimenticato di accendere sto coso, oppure sono io che non sento niente, oppure sono già defunto. Boh!
"Finito", dice il panzer e mi toglie il coso dalla faccia.
"Aspetti in sala d'attesa, Frau Professor la chiamerà"
Anna Maria mi chiede come sia andata.
"Non lo so. Mi sembrava una cosa di mezzo tra un disco volante e uno scolapasta. Non so a che servisse, ma aspetto fiducioso"
La Frau Professor mi richiama nel suo studio.
"Guardi qui" 
E mi mostra una specie di quadro di Chagall, bello però con azzurri vivacissimi e gialli intensi con qualche punta di rosso, come papaveri in mezzo al cielo in prossimità del sole.
"Questa è la sua Tiroide, e questi qui sono noduli (i papaveri), non sappiamo quanto siano grandi e profondi e soprattutto quanto possano essere pericolosi, intendo parlare di Kreps (cancro)"
Non mi soddisfa e aspetto il resto, che arriva rombando come una Ferrari.
"Lei resta qui con noi nel Reparto"
"Come, resta?"
"Sie bleiben da, bei uns", lei rimane qui da noi.
"Tutto il giorno?"
"Minimo tre giorni. Dobbiamo fare accertamenti particolari e ripeterli ogni dodici ore. Il nostro Reparto è attrezzato per ricevere casi come il suo, non si preoccupi"
E due. Non mi preoccupo, si fa per dire, ma penso ad Anna Maria.
"Potrebbe rimanere anche mia moglie?"
"Sta scherzando, vero? In questo Reparto hanno accesso solamente medici specialisti, personale qualificato e pazienti. Herr Iacoponi, si tratta di un Reparto di isolamento"
Isolamento? E che ciò la peste bubbonica, il colera?
"I pazienti vengono sottoposti a dei raggi radioattivi, che devono essere continuamente controllati. Non si preoccupi"
E tre.
"Posso parlare con mia moglie?"
"Sì, ma lo faccia in breve."
"Io non ho portato niente con me, che so io un pigiama, un ricambio di biancheria"
"Non le occorrerà niente. Le daremo tutto noi, e quello che adopera rimarrà qui"
Vado da Anna Maria e le riferisco. Fa un visino della paura.
"Telefona ad Alessandro, che venga insieme ad Edyta, devono portarti a casa e portare via anche la macchina"
"Io non starò a casa da sola"
Non me lo doveva dire, lo sapevo.
"Scegli con chi vuoi passare ste giornate: ti consiglio Stefania, così vi fate paura insieme."
La devo lasciare, è arrivato il panzer, che sembra abbia poco tempo e mi prende per un braccio con una manona che è una pinza.
"Venga con me" e  mi trascina via.
Faccio appena ciao ciao con la manina e scompaio dietro un'enorme porta a vetri, che si apre da sola senza far rumore, e silenziosamente mi si richiude alle spalle. Mi volto e il musetto triste di Anna Maria non è certo il miglior viatico per questo viaggio.
Avviene tutto in gran fretta. 
"Si spogli completamente, meno le mutande deve mettere tutto in questo contenitore, tutto significa anche il telefonino, il portafogli e le chiavi."
Resto in mutande e lei mi ha portato una casacca bianca a righine verdi, un pantalone identico, che mi va un po' largo, pantofole e un accappatoio bianco.
Con quello entro come il vincitore dell'ultimo Palio nelle sale interne. 
Mi misurano tutto quello che sia misurabile, temperatura, pressione e lunghezza del naso.
Mi assegnano una cameretta assolutamente asettica, con una finestra ermeticamente chiusa in alto, da dove penetra poca luce, ma vedrò poi che la luce viene spenta solo dopo le ventidue.
Posso solamente sdraiarmi sul letto e guardare il soffitto. Chiudo gli occhi e faccio quello in cui Vincenzo Iacoponi è assolutamente specializzato: mi addormento.
Non voglio scassarvi i cabasisi con il racconto di una cosa estremamente monotona, quale questo soggiorno. Entrato il 20 febbraio alle dodici circa, ne esco il 23 alle quindici circa.
In quel frattempo, ogni dodici ore, comprese quelle notturne, vengo passato in due diversi tipi di frullatori, uno mi gira tutto intorno alla testa e a collo, un altro se ne sta fermo e buono, ma ha un'aria minacciosa, come dire stai lì, che come ti muovi ti fulmino. In comune questi aggeggi hanno la totale silenziosità, al punto che mi addormento sistematicamente tutte le volte senza metterci del mio, cioè senza voler miracol al mondo mostrare, guardate come sono bravo in tre secondi a prendere sonno, ecco, una cosa così.
Unica variazione la vicinanza casuale e assolutamente momentanea con una collega, si fa per dire, paziente e internata come me, che ha cinque anni meno di me ma sembra mia nonna. In tre minuti tre mi racconta tutti i suoi guai, tutti i suoi malanni e tutte le sue paure. Evelin si chiama se ho capito bene. Meno male che se la portano via altrimenti crepavo per asfissia.
Ieri alle tredici circa, Frau Professor Scheppert mi riceve nel suo studio.
"Punto numero uno: la sua tiroide presenta tre noduli, nessuno dei quali profondo, nessuno dei quali produrrà un carcinoma, nessuno dei quali è responsabile del suo stato generale. Cioè la tiroide non è responsabile dei suoi problemi.
Punto numero due: qualcosa altro è responsabile, perché abbiamo rilevato sbalzi di pressione molto elevati e frequenti tachicardie, con battiti irregolari: cioè il suo cuore batte in modo irregolare. Il suo cardiologo dovrà effettuare ricerche in altro campo medico. Per noi lei è a posto"
"Posso tornare a casa?"
"Certamente, ma per tre o quattro giorni non potrà avvicinarsi a nessun bambino e a nessuna donna incinta, perché lei rimarrà almeno tre giorni radioattivo"
Si alza e mi dà la mano.
"Viel Glück, Herr Iacoponi".
Telefono ad Anna Maria, ho riavuto la mia roba, compreso il cellulare, mentre mi rivesto dei miei abiti.
"Mi hanno sciolto, posso uscire. Venite a prendermi. Chi viene?"
"Chiamo Alessandro, ha detto che voleva farlo lui. Noi siamo venuti ogni giorno a sentire come andava, ma non ci hanno mai fatto entrare"
Lo avevo immaginato che la mia gente non mi avrebbe abbandonato in un Krankehhaus da solo, ma gli è andata buca: non li hanno fatti entrare.
Ma io stavo come dentro il Conclave, cum clavem, appunto, chiuso a chiave.
Adesso esco trionfalmente: Habemus papam.

lunedì 18 febbraio 2013

OFFENBACH AM MAIN - MITTELSEESTRASSE 10

Sono due le cose che non ho mai fatto in Cruccolandia: non ho mai lavorato in una fabbrica e non ho mai dormito in una baracca. Le fabbriche allora assumevano cani e porci, senza distinzione di nazionalità, di colore della pelle e di colore della coscienza, bastava respirare e rimanere in piedi; nemmeno ti annusavano il fiato per sentire se puzzavi di alcool.
"Hast du deine Papier dabei?", chiedevano, hai i tuoi documenti con te? Li avevi, eri assunto, avanti un altro.
Le baracche erano esattamente uguali a quelle che usavano i nazi per gli ebrei a Tiblinka, Dacau, Auschwitz, tali e quali. C'erano in giro solamente baracche e carri armati americani, infilati in ogni area libera. Erano lì dalla fine della guerra, non li hanno più mossi, solo rottamati sul posto, viva l'America.
Io nelle baracche sono andato a prelevare qualche amico che ivi alloggiava, superando il mal di stomaco per le varie puzze che emanavano, mai mangiato lì dentro, mai dormito, nemmeno una pennica, niente.
Quindi riepilogando: mai faticato (per usare il termine comune tra i Gastarbeiter, lavoratori ospiti, cioè stranieri) in una fabbrica crucca e mai avuto residenza in una baracca crucca. Tutto il resto, ma proprio tutto compreso guidare un camion della nettezza urbana, l'ho fatto.
Ma, come si dice, quando uno nasce con la puzza sotto il naso lo puoi obbligare a stare senza mangiare, a dormire per terra, ma non a rinnegare quello in cui crede, cioè che un uomo merita una casa, una camera, una soffitta, un sottoscala, ma che ci sia un letto, un cesso e un posto dove cuocere due uova. E possibilmente un lavabo dove lavarsi la faccia, le mani e tutto il resto.
Io avevo trovato una stanza a Francoforte, a Bornheim, un quartiere a nord est della città. Mi ci volevano dieci minuti di tram per arrivare al centro dove avevo trovato un lavoro come Lagerist, magazziniere. Era uno dei magazzini del Frankfurter Rundschau, il secondo giornale di Francoforte, dopo il molto più noto e diffuso nel mondo Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Coi primi soldi acquistai una vecchia VW Käfer, il famosissimo Maggiolino della Volkswagen, la macchina più venduta nel mondo. Aveva quasi dieci anni, ma quelle non morivano mai. Con la macchina decisi di spostarmi, cercando possibilmente un atelier, dove svolgere la mia attività di pittore. Gira che ti gira, finalmente qualcuno mi diede un indirizzo ad Offenbach, una città di circa 80.000 abitanti sulla riva ovest del Meno, praticamente ammazzata da Francoforte che si trova sull'altra riva, separata da un unico ponte di un centinaio di metri. Insomma a Est la bella gente, i bei negozi, la bella vita diurna e notturna; a Ovest la tetraggine di una città decisamente poco bella, piena di musi lunghi e con negozi ogni trecento metri. Ma la vita costava la metà e anche gli affitti.
Mi recai all'indirizzo avuto, proprio vicino alla stazione, una via larga e tetra come il resto. La persona si doveva chiamare R. Ranicki, sesso ignoto, età variabile dai trenta ai novanta, religione non pagana.
Si trattava di una Rosi, femmina, bianca, cinquantanni portati male, da tenere a debita distanza data la zaffata di birra mal digerita che ti fiatava sul muso ogni volta che apriva bocca. Dato che non la teneva mai chiusa il rischio di crollare al suolo era notevole. Ma aveva un cuore grande e mi mostrò subito il locale: un piano rialzato con un lucernario immenso, favoloso sette metri per quattro, con una stanza enorme come base, una stanzetta, un cucinino, un ripostiglio capace da usare come magazzino per i miei materiali e, udite udite un bagno con vasca e posto doccia!!! Il cesso era separato. 
La panzona (avevo dimenticato di dirlo, ma da una bevitrice di birra non si poteva pretendere la linea di una indossatrice) mi fa:
-Vuole questo divano? Non saprei dove metterlo e glielo lascio gratis.
Era in ottime condizioni, perfetto per me.
-Vuole anche questo tavolino? È troppo grande per portarmelo a casa. Glielo lascio gratis.
Oddio, che orgasmo! Un tavolo antico con piano ricoperto di pelle scura, lavorato a mano, con zampe grandi come cosce di vacca e un poggiapiedi centrale che univa le due coppie di zampe, un tavolone lungo almeno tre metri e largo quasi due: una manna e a costo zero.
Giuro che se non avesse puzzato così l'avrei abbracciata e perfino baciata.
Insomma avevo il mio atelier per soli 200 marchi al mese, senza cauzione.
-Ich liebe die Kunstler, mi fa io amo gli artisti. Wenn sie so nett sind mir ein Bild zu machen, wäre ich froh. Se lei è così gentile da farmi un ritratto ne sarei felice.
Come modella non era un gran che, ma che volete, sarà stata l'euforia del momento, sarà stato che mi aveva fiatato un po' più vicino e mi aveva ubriacato, ma io le dissi di sì e non me la tolsi più dai piedi finché non le feci un 70 x 50 a olio mentre stava seduta sul mio sofà.
Mi trasferii immediatamente nel mio atelier, così ogni sera lavoravo nel mio orto e risparmiavo anche quattrini di benzina non consumata e di inutili giri per discoteche e locali più o meno accoglienti.
Ma non osavo nemmeno esporre uno dei miei quadri, anche perché non mi sentivo ancora padrone della lingua come volevo esserlo io, perché fare due chiacchiere potevo già, intrattenermi con chiunque su diversi argomenti pure, ma intrattenere gli ospiti di una galleria spiegando i miei lavori lo consideravo un livello di eloquio troppo superiore. Anche per quello mi iscrissi alla Berlitz Schule, dove insegnavano col metodo natura, immersione totale per quattro ore, tre volte alla settimana. Sei mesi dopo mi sentivo in grado di affrontare chiunque.
Ma non lo feci. Non mi sentivo sufficientemente a posto coi miei lavori.
Sono arrogante, ma non presuntuoso e soprattutto estremamente critico sulle mie opere. Finché non mi fu chiesto un favore dal proprietario di un locale italiano, gelateria molto conosciuta. 
-Ho una parete spoglia, perché non mi fai un quadro? Non te lo compro ma le gente lo vede e ti conosce.
Furbo il tizio, ma mi conveniva e accettai.
Avevo finito da poco un quadro cui tenevo molto, perché lo consideravo riuscito secondo quello che mi ero riproposto di fare; lo avevo intitolato "Die Trinker", i bevitori, due uomini nudi, rosso vermiglione in una stanza con un nudo tavolo davanti. Un'espressione di totale solitudine, un quadro triste, ma vivo, un 120 x 120. Glielo portai e a lui piacque.
Quando si dice fortuna: proprio quella sera capitò in quel locale a prendere un gelato una comitiva tra cui Frau Doktor S.F. di Mannheim, direttrice della famosa galleria P4 di Mannheim, appunto. 
Anche a lei piacque, così quella sera mi trovai lei e tutta la comitiva nel mio atelier, che distava poche centinaia di metri dal locale, incuriosita e piena di entusiasmo.
Vide anche gli altri quadri che avevo dipinto, una quarantina e ne scelse diciotto. Io non avevo capito che fosse una direttrice di galleria, ma pensavo che fosse una matta che voleva comperarmi diciotto quadri.
Si raffreddò un poco quando le dissi che non ero un accademico, avendo abbandonato spontaneamente l'Accademia di  Belle arti di Venezia per protesta. Non ero diplomato. Fece la faccia brutta, ma poi mi disse:
-Ci proviamo lo stesso, lei è un artista e io voglio aiutarla, ma si iscriva immediatamente all'Accademia di Francoforte o di Mannheim, o di Heidelberg, così i suoi quadri varranno dieci volte tanto.
Facemmo l'esposizione a Mannheim nella P4 e fu un successo. I quadri erano ventiquattro in tutto, compreso "Die Trinker" , che la dottoressa aveva ad ogni costo voluto.
Fu un successo: li vendemmo tutti e io vidi tutti insieme i miei primi diecimila marchi.
-Se tu fossi stato un accademico, mi disse S.F., adesso ti metterei in mano un assegno di almeno duecentomila marchi.
Era il 1973, ci si compravano due ville sontuose in Germany.
Non so ancora perché non le abbia dato retta, ma io volevo la mia famiglia in Cruccolandia e mi occorrevano soldi per mantenerla. Pensai che avrei poi fatto, poi,poi, poi e non l'ho fatto mai. Certi errori si pagano cari.
Ma desso voglio raccontarvi il mio vernissage a Mannheim, perché lo merita.
Io avevo un'idea di quel che fosse l'inaugurazione in Germania, qui fanno tutto così seriosamente che quasi ti scannano.
Innanzi tutto c'è il duo musicale -non può mancare- generalmente un flauto e un violencello, o una pianola e un violino, che fa stacchetti classici, Mozart, Berliotz, Monteverdi, roba così. La gente ascolta religiosamente attenta e in silenzio. Applaude alla fine. Qui entra in ballo la direttrice della Galleria, che presenta il Laudator, colui cioè che fa la laudatio dell'artista, generalmente un critico d'arte. Poi un nuovo brano classico molto più intenso e lungo del primo. Quindi si affaccia al proscenio la gallerista, che muovendo armoniosamente ambe le braccia verso la sua destra -sempre a destra perché l'artista deve stare solo alla sua destra- dice : "Und Jetz stelle ich Ihnen den Kunstler vor" ,e adesso presento loro l'artista.
Quello è il momento topico della serata, perché lì puoi veramente perdere la testa e dire una marea di stronzate. Vai in tilt. Perché?
Ma perché davanti a te c'è una platea di almeno duecento persone, meravigliosamente vestute e profumate e agghindate, il fior fiore della città.
C'è il sindaco della città, alla sua destra la moglie del sindaco della città, alla sua sinistra l'amante del sindaco della città, dopo un po' defilato l'amante della moglie del sindaco della città; poi c'è l'assessore alle arti della città, alla sua destra la moglie dell'assessore alle arti della città, alla sua sinistra l'amante dell'assessore alle arti della città e insomma tra autorità, le loro mogli, le loro amanti e gli amanti delle loro mogli ce n'è per tutti e guai lasciarsi abbindolare dai gioielli delle dame, dai colori e dai profumi: si corre il rischio come detto di andare in tilt e allora, aperta la bocca, uno tsunami di cazzate a gogò rischia di travolgere il bel mondo della città con catastrofe finale assicurata.
Io me l'ero studiata bene bene bene.
Feci un passetto in avanti. Ero vestito da dio: avevo comperato un vestito dal miglior negozio di Francoforte, vestito di Armani costatomi 700 marchi, che pareva fatto su misura per me. Avevo la faccia delle grandi occasioni, quando mi guardo intorno e mi dico la tengo in pugno sta manica de stronzi, sfoggiavo il mio sorriso da tombé de femme in forma smagliante, tipo toccatemi, provare per credere. Ero in uno stato euforico, ma abbastanza intelligente da capire di stare zitto il più a lungo possibile, onde far salire le loro pulsazioni al massimo.
Mi avvicinai al microfono e dissi le parole più belle che io abbia mai detto:
-Signori, un pittore dipinge da solo e in silenzio; si esprime col gesto, coi colori e coi segni; non c'è nulla che egli possa dire, sono i suoi quadri che devono parlare per lui. Andate nelle sale, osservate i miei quadri e se avrete domande da fare sono a vostra completa disposizione.
Così salvai NIk e partita, come se dice a Roma.
È stato uno dei momenti più belli ed emozionanti della mia vita.

venerdì 15 febbraio 2013

FAMO CONTENTO ER MICIO NERO

Al fine di esorcizzare definitivamente questa sindrome da kaputt uomo, così improvvisamente e inaspettatamente arrivata dalle mie parti, chiudo con una poesia in vernacolo, così accontento il mio amico Gattonero, e gli dimostro che tra me e Trilussa passano costellazioni, a vantaggio suo si capisce.
Che nessuno di lor signori si senta direttamente colpito, perché non era questa la mia intenzione: mi riferisco ai tanti incontri della mia vita, fausti e infausti, per cui mi sono spesso rimaste dolorose cicatrici sulla pelle e non solo su quella.
Ai miei amici di web, che mi onorano della loro attenzione, la dedico invece a chiusura, come detto, di un brutto periodo dal quale uscirò, ve lo prometto.

LA  CORZA  È  'NCOMINCIATA  GIÀ  DA  'N PEZZO

Comprateve l'urtimi bijetti de sta lotteria,
costeno poco e tutti ponno facce quattro sordi,
piateveli primma che er diavolo me se porta via
e voi ciarimanete fregati come tordi;

sinnò perché ve sete messi tutti in fila
e nun ve volete perde l'urtima volata,
cacciate li sordi e fate sta puntata
tanto oramai ve so arriconosciuti tutti,

quelli belli, quelli brutti, quelli farabbutti,
voi l'antagonisti mia, uno pe uno,
l'amichi fasulli, le scopate de na notte,
le zoccole e li preti sarvognuno

dell'oratorio e puro quarche parente stretto
in mezzo ar mucchio che fa er saputo
perché lui sapeva tutto dar principio
come sarebbe funita, sto cornuto.

Voi che capite tutto, voi che nun capite un cazzo,
voi che fate le prediche all'ucelli e ar culo
de le balene, che venite a fa mo?
Sta corza è ncominciata già da 'npezzo

c'è arimasta na curva a malappena
e doppo un rettilineo e allora dateve 
da fa e comprateve sto bijetto,
armeno pe vede si li numberi so l'istesi

la data e l'ora, li mortacci vostri
perché antro nun c'è da vede né da coje
e mo si sarvognuno fussivo venuti
pe sentimme fa 'nparde confesioni

quarche rimpianto e godevve le doje
de me che me sto a pentì de li peccati
o er dispiacere mio che me ciattacco
all'urtima ora puttana de sta vita de merda

mejo che lo sapete, avete sbajato corza,
avete sbajato cavallo e annativene a letto
co la prescia. Io nun me pento de 'n cazzo
e nun rinego gnente de tutte le stronzate

ch'ò fatto, e de quello ch'ò penzato de fa
ma nun l'ò fatto, e si quarcuno dice
che ero un porco, chi se ne frega,
e si quarcantro dice che ero solo un poveraccio

me ne strasbatto li cojoni e nun lo sento.
Mo che dite che fo? Io nun ve manno
manco affanculo, è troppa la fatica,
io manco ve saluto e me ne vado.

martedì 12 febbraio 2013

S'È CACATO SOTTO

Na vorta c'era Core de leone, che faceva er re de mistiere, annava in guera e ciaveva coraggio da venne. Allora lo chiamorno così e tutti quelli che cianno sto coraggio se chiameno come a lui. Come Super Mario Cipollini, che vinceva tutto e poi s'ariseppe che stava peggio de Armestronghe, che vinceva li tur de france a due pe vorta, e nvece tutte e due se gonfiaveno de nun se sa più che schifezza. Allora mo nisuno più ce se vo chiamà core de leone sinnò la gente penza che s'è preso le schifezze puro lui.
Io nvece a Roma conoscevo un fregno che lo chiamavino core de cojone, perché abbastava faje bù e lui già se cacava addosso.
Invece io m'ero convinto che nzomma sto core mio nun solo funzionava come n'orloggio svizzero ma nun ciaveva propio paura de nisuno e de gnente. C'era da sortì de fora ar buio puro si nun se sentiva un rumore, che se sa si nun fa rumore a magara so cinquanta co la scimitara nde li denti che te s'aspetteno pe tajatte la gola; invece er core mio se ne fregava e sortiva da fora, ecco un core così, nun so si me spiego.
Allora state a sente che m'ha combinato.
Appena che ha sentito parlà de spedale, de lettrosciocche e de l'anima de li mortacci sua je se so addrizzate le recchie: ha sbarato l'occhi se dev'esse detto amore mio bello qua me sgareno, così quanno che er dottore der core m'ha fatto mette sta specie de scafandro de fili e de scatolette tutte intorno a la panza e ar petto pe sentillo propio a lui de giorno e de notte e nun fasse scappà via manco un siconno, allora lui, er core mio, se dev'esse cacato sotto e se rimesso bono bono a batte tranquillo e carmo che manco pareva quello de l'antro ieri, sto fio de na mignotta.
Er dottore sta matina me fa: e mo che je s'è preso? Questo qui fa 58 ar giorno de pursazzioni e de notte sotto a li 50 co minime fino a 31, che detto fra noi so un po' pochette pe n'omo de na certa età.
Dico: ma vajelo a di a lui che nun deve da esaggerá e fasse magari sentì più de là che de qua. Dico, a dottò s'è mascherato, è carnevale, nun se voleva fa trovà, pensava che je volemio spaccà er culo. Nun je se po da torto si uno s'inguatta, no?
Dice, ma questo s'inguatta troppo. Comunque nun me piace. Noi famo adesso l'untersuchunghen (ve l'ho detto che parla crucco, ma lui adè crucco, che ce voi fa), insomma famo le ricerche su sta tiroide der cazzo pe capì si fusse corpa sua de lei. Allora mo me devo presentà nde n'antra clinica ndove che me fanno nun ho capito bene che, ma tanto mica devo da capì io devono da capicce loro quello ch'a scritto er dottore der core.
Nzomma nun se finisce mai.
Però mentre che tornavo a casa stavo incazzato forte e ce parlavo co sto cacasotto.
Sorte de fora, jo detto, fatte ariconosce conijo. Ma tu chi sei? A chi appartieni? A me? Sarai mica scemo, io nun ciò paura de gnente e tu me t'annisconni e basta fatte bù come a Core de cojone, che già se sente la puzza de la cacarella. Ma che figure me fai fa?
M'arisponne: ahò si cià paura er Papa nun ce posso avé paura io?
Dico, ma che te voi mette cor Papa? Brutto nfamone, ma er Papa è vecchio, stanco, cià er fiatone, se move piano piano, co tutti queli cardinali e queli preti vestiti de nero che je stanno ntorno me verebbe er fiatone puro a me.
Dice, ma tu te credi d'esse mejo der Papa? Te pare d'esse tanto zovine? Ciai quasi ottantanni, te movi piano piano puro tu e la tu moje poraccia manco t'ariconosce più.
Dico, nun offennemo brutto stronzo. E poi io de notte dormo e ciò sto diritto, tu che cazzo fai co 31 pursazzioni. te fai le penniche e quello, er dottore se pensa che stavi pe morì, mica ce lo sa che sei no sfaticato.
Nzomma se semo litigati che quasi lo piavo a cazzotti.
Mo aspettamo sta ricerca sur gozzo o come se chiama, su la tiroide, poi lo sistemo io a sto stronzo. E nun me venisse più a dì che lui adè come n'orloggio svizzero che me lo magno.
Stavorta affanculo ce va lui e ce va da solo.

venerdì 8 febbraio 2013

CIÒ ER CORE BALLERINO

È ncominzato tutto er 13 de novembre, un martedì -brutto er giorno, brutto er mese, brutto er numbero- coll'alluvione quanno s'e rotto un tubbo ar piano de sopra e giù de sotto so arivati 25 metri cubbi d'acqua, tutti drento li muri e puro pe tera; da quer momento semo stati come li sfollati de la guera, de lo zzunami, de l'anima de li mortacci sua. Un po' da mi fia, un po' da un fio, un po' da n'antro eppoi semo dovuti da arivenì drento a sta casa perché nin se sta bene a casa de l'antri puro si so fij, perché te pare de da fastidio. Così ar 20 de novembre, sempre l'isteso mese de merda, m'è venuto er sangue dar naso da le otto de sera a le sei de la matina, senza nterruzzione, che nun m'era capitato mai e che nun me veniva più da più de n'anno, da quanno che piavo le medicine nove der dottore novo. Subbito so ito a misuramme la presione der sangue e stava sopra li 200. Dico e mò chedè sta robba? Pio le medicine d'urto, quelle che abbassino de corpo la presione, ma er sangue cola fino a le sei de la matina doppo. Mai successo in vita mia.
Adera un segnale ma io che so de coccio manco ciò penzato e so continuato a camminà convinto da sta bbene e che la corpa doveva da esse de lo stresse o come cazzo se chiama. Però sta cazza de presione sempre tutte le matina saliva a 190 e io subbito a pià le medicine forti e quella giù ma poi risaliva.
Er dottore mio cià avuto un corpo e sta ancora all'ospedale poveraccio, così so ito da na dottoressa, quella de la mi moje e questa me sta a sentì ma nun ha capito un cazzo fiorito e m'à dato du medicine che nun m'anno fatto gnente. Manno a fanculo e ricomincio co le mia, però tutto er giorno ciò sonno e la notte dormo male assà, e la mattina ciò sonno e manco la partita a la televisione riesco a guardà che me se chiudeno l'occhi e poi ciò le gambe che me pesino come se fussero de piombo e nzomma me sento male vaffanculo.
Allora me pio su e dico vado dar cardiologo, er dottore del core e je chiedo che vor dì sta cagnara che sta a succede a me.
Subbito me danno l'appuntamento ar 5 de febbraro e io ce vado pe parlaje de sta pressione del cazzo che nun va più sotto de 170 e io je parlo e je parlo e lui intanto me guarda la faccia e poi me misura er battito der core e me dice de stamme zitto che lui deve da sentì. Poi me chiede si io lo so che ciò er core che batte in modo irregolare, dice "unregelmässig" perché lui è crucco e parla crucco. Dico a dottò, ma io ciò qua dentro n'orloggio svizzero che fa meno de 55 pursazzioni ar minuto, ma che stai a dì. E lui me fa ma lei è a conoscenza del suo "Zustand"? Mo, quanno un professore de cardiologgia te tira fora sta parola a te te se deveno addrizzà le recchie, perché Zustand è na parola che in italiano nun c'è e manco in romanesco, sarebbe come addì, ma tu ce lo sai che stai come na 500 Fiatte der 1966?
Dico a professò che ciò? Dice che ciò la tiroide ingrossata e co drento so ncazzo na specie de nodulo e che me deve tirà fora er sangue e mannallo ar labboratorio pe fallo analizzà, e me lo fa tirà. Dice che si er core è ballerino e instabbile mo lo vedemo co l'elettrocardiogramma e me lo fa subbito e ce sta scritto in quarche modo che sto core fa propio quello che cazzo je pare a lui, li mortacci sua.
E poi me fa cor compiutere e na cosa zozza passata intorno ar collo e guarda drento de lo schermo e me fa ecco qui c'è sto pericolo. E sarebbe? Quanno che er core batte accussì se formeno trombi, che so come sassetti, che vanno dritti ar cervello e te viè lo Schlaganfall, che sarebbe quello che noi chiamamo corpo che te se pia, che poi sarvatte ma doppo cammini tutto storto oppure mori.
Me fa, cè stato quaccheruno ne la famija che ce l'ha avuto. Dico c'è morta la mia madre e mi fratello e du cuggine di primmo grado, che nun basta, ce devo da morì puro io?
Lui arisponne no, si fai quello che te dico e me dà l'inniezzioni de eparina pe fregalli sti trombi der cazzo appena che se formeno, e io me le devo da fà da solo nde la panza. E io me le so già fatte a josa quanno che me so fatto la frattura a la gamba che puro lì m'era venuta la trombosi, ma stava giù in fonno e no vicino a la capoccia. Inzomma me le sto a fà.
Ieri so aritornato e lui me fa: i valori der sangue de la tiroide nzomma ce potemo pure abbozzà, ma sta storia der core va sistemata.
Me fa n'antro elettrocardiogramma e me dice guarda qui è come l'antra vorta e nun cambia. Adesso famo n'antra analisi der sangue nun so quale e poi ritorni che te fo la carta pe l'ospedale.
Se tratta de fa un intervento co l'elettroschok, dico mica so matto? Lui fa no è quello che se fa quanno ce so le fibbrillazzioni e poi se fa mentre che stai dormenno, ma no de notte, te fanno dormì e si va a posto stamo a posto pe sempre, ma si nun va a posto te do na medicina che devi da pià pe tutta la vita così stai tranquillo. E si poi voi tu, ma solo se serve, te mettemo un playmaker per fa batte er core sempre a 70 ar minuto, così nun succede gnente, ma le medicine dovrebbero da bastà.
Mo ve devo da dì na cosa. C'ereno ne la vita mia arcuni punti sicuri sicurissimi che me ce sarei puro giocato l'anima e cioè:
la forza de le mani mie che adereno du tenaje;
la forza de le gambe mie, che me potevino portà sull' ivereste senza fiatone;
la potenza der pisello, sempre pronto e efficace puro ar buio;
er core, che me pareva n'orloggio svizzero:
er cervello che nun m'ha lassato mai.
Adesso le mano me fanno male quanno strigno pevvia dell'artrosi che cammina da quarche anno.
Le gambe me fanno male se fo le scale:
Er pisello nun m'ericordo più manco indove se trova:
Er core adè diventato ballerino e nun me ne posso fidà più.
M'arimanerebbe er cervello, ma già va a rischià puro lui
e allora che m'arimane?
Sai che te dico? 
Ma va affanculo Iacopò.

domenica 3 febbraio 2013

CORTO AMARO MA GENEROSO

Carissimo Febbraio,
ti scrivo per scusarmi di come ti sto trattando quest'anno, cominciato così sgradevolmente. Tu eri abituato troppo bene, amico mio, questo è il guaio; ogni anno qui da noi tu entravi da padrone, sedevi nel posto più importante (davanti alla TV), venivi riverito e rispettato, addirittura coccolato. Chi ti portava una bibita, chi un the caldo, chi un cioccolatino, insomma la gente si faceva in quattro per farti stare comodo ("un cuscino, portate un cuscino per la schiena, ha qualche annetto il nostro amico caro"), e farti rimpiangere il giorno, quasi sempre il ventottesimo, in cui te ne saresti andato. E tu ci scialavi e ti si vedeva in faccia che ti faceva un gran piacere, che ti garbava proprio, che saresti ritornato l'anno dopo pieno di stimoli e di buona volontà. D'altra parte è sempre stato così, fin da quando io mi possa ricordare, da quando ero un ragazzino sognatore e pieno di interessi. Tutti i miei amichetti aspettavano il Natale, per i dolci e le pappate solenni; poi aspettavano la Befana per i regali. Erano altri tempi, si faceva il presepe, era proibito l'albero di Natale perché era una mania americana e Babbo Natale non si poteva nemmeno nominare, quindi non rimaneva che questa vecchietta piena di acciacchi ma di risorse miracolose, che arrivava tutti gli anni il 6 gennaio, sempre a gennaio, mai un altro mese. Io invece aspettavo te, Febbraio, perché quando arrivavi mi portavi in regalo un compleanno grosso così, bello bello, con qualche regalo grosso e con tutti che mi facevano le feste e venivano anche le cuginette carine a darmi i bacini sulle guance.
Poi, tanti anni dopo, ho incontrato la donna della mia vita, anche lei nata a Febbraio, anche lei che aspettava te per crescere, per diventare sempre più bella, e ci siamo messi ad aspettarti e a coccolarti in due. Ma per poco, perché sempre a Febbraio è nata la nostra primogenita, così sei diventato il mese più importante di tutti per tre ragioni grosse così.
Ci sono anche altri mesi importanti adesso, tipo maggio perché ci siamo sposati a maggio, e a maggio sono nate una figlia, la seconda, e una nipote, la prima, lo stesso giorno di sua madre, solo ventidue anni dopo. Come giugno, dove è nato il primo dei miei due maschi. Come settembre, dove sono nati un figlio, l'ultimo, e i due gemellini, gli ultimi miei nipoti. Come aprile e agosto dove sono nati altri due nipoti. Insomma ce ne sono di mesi buoni, ma per noi tu, carissimo Febbraio, eri il privilegiato, sei il privilegiato. Pensa che per un pelo (pelo di che? Ma non posso sbilanciarmi a dirlo perché siamo in fascia protetta) stava per entrare quello dei miei generi che è riuscito a rimanere in sella, malgrado tutte le traversie della vita ed è adesso ancora mio genero, dopo 25 anni.
Ma quest'anno, come immediatamente ti sei accorto, non c'è stata nessuna entrata trionfale. Nessuno ti aspettava con la porta spalancata e un mazzo di fiori come benvenuto, le facce non erano allegre e nemmeno tristi, erano musi da zombi lunghi fino a terra. Nessuno ti ha offerto il posto migliore, perché non c'è più: la TV la guardiamo stando seduti chi su una branda, chi su dei materassi messi a terra. Avrai avuto la sensazione di stare sotto la tenda di indiani americani,  come si vedono in certi film, tipo "Ballava coi lupi", dove ogni capofamiglia costruisce con quattro pali incrociati al centro e tante pelli di bufalo buttate sopra il suo ricovero. Ecco questa casa è un ricovero. Di più non ti possiamo dare quest'anno e i nostri compleanni li festeggiamo tutti e due, quello di Anna Maria che doveva essere domani e il mio, il giorno di sabato 9, in casa di nostra figlia, così chi vuole possa venire e prendere magari un caffè.
Non te la prendere, amico mio, il prossimo anno la faccio grossa la festa, anzi "le" faccio entrambe grosse queste due feste, sempre che ci arrivi, che poi sarà una festa speciale, perché compirò i miei secondi quaranta anni, ti pare niente. Tu sai che io ho sempre prediletto gli anni pari, forse perché sono nato in uno dei cinque, e provato un certo dispetto per quelli dispari. Non so perché, forse per una questione di pelle, come tutte le cose mie.
Allora, caro amico, stattene buono e torna il prossimo anno, tranquillo e fiducioso. Saremo in due ad accoglierti, ma adesso vai via, ché mi fa pena vederti strapazzato così in un angolo come una cosa vecchia.
Mi piange il cuore, anzi ci piange il cuore a me e a lei.
Ciao bello, fai buon viaggio e tanti saluti a tutti gli amici tuoi. Ciao, ciao, ciao.