martedì 23 aprile 2013

SOLO UNA POESIA


Leggerti dentro gli occhi è come
scorgere i particolari di un paesaggio
sul far della sera attraverso
il finestrino bagnato di pioggia
di un treno che corre veloce.
Ascoltare le tue rare parole sussurrate
tra silenzi antichi e attese di nuovi silenzi,
aspettare che tu decida
la tua sorte e la mia con un semplice
movimento della tua testa
fieramente eretta
questo è l'ultimo compito rimastomi
e l'attesa mi toglie il respiro, 
ma l'incertezza riesce
a donarmi una goccia di speranza.

mercoledì 17 aprile 2013

FILIPPO E PIERO

Filippo e Piero non erano amici dai tempi del liceo perché si erano conosciuti quando Filippo stava già all'Università per diventare un medico famoso e ricco come suo padre, e perché Piero al liceo Cavour ci passava davanti in bicicletta per andare a lavorare in tipografia. Per poter fare quel lavoro s'era dovuto rimettere a studiare le regole della grammatica, dato che era analfabeta di ritorno: dopo la quinta niente scuola d'obbligo ma via nei campi a fare il contadino e lì non occorre la consecutio temporum.
Filippo e Piero si erano incontrati la prima volta a un tavolo di poker negli scantinati del Circolo Unione, dove Filippo faceva scappar via la gente gettando sul piatto fogli da 500 euro a dozzine quando bluffava. Ma Piero una sera con tre nove era andato a vedergli un servito, mettendo sul piatto al posto dei soldi che non erano sufficienti l'anello d'oro con brillante che gli aveva regalato suo nonno e che era tutto il suo tesoro.
C'era rimasto secco Filippo con una scala buca: qualcuno osava vedere un suo bluff e lo fregava con tre schifosissimi nove; ma Piero sapeva giocare molto meglio di lui e gli conveniva farselo amico.
"Facciamo coppia fissa e giochiamo a mezzo: i soldi li metto io e tu metti il tuo fiuto, ok?"
Certo che c'era stato Piero e di gran carriera.
Filippo aveva anche un secondo scopo: Piero era circondato di ragazze carine, ma soprattutto era amico di Eugenia, il suo grande amore ancora non corrisposto. Che cavolo ci trovasse Eugenia, figlia anche lei di un grande chirurgo proprietario di due cliniche di lusso, in uno come Piero lo sapeva Dio, ma a lui bastava che gli presentasse la ragazza per cui gli fece vincere un bel po' di soldi prima di chiedergli chiaro e tondo quando gli presentava Eugenia.
Piero un po' ci rimase male, ma in fondo aveva capito. Anche lui si era messo con Filippo con un secondo scopo: a Piero piaceva da matti Filippo. Con le ragazze chiacchierava e basta, ma a lui piacevano i ragazzi, Filippo sopra tutti. Per lui avrebbe dato la vita, se lo sentiva.
"C'è un mio amico che vuole tanto conoscerti", disse a Eugenia un pomeriggio.
"Se è amico tuo che se ne fa di me?", gli aveva risposto lei ridacchiando.
"Lui è diverso, siamo amici e basta".
"Allora fammelo conoscere".
Mentre tornava a casa in bicicletta a Piero era incominciato a vibrare in tasca il cellulare.
"Cosa combini con Eugenia?"
"Ci ho preso un appuntamento per questa sera a casa di un'amica sua".
"Questa sera?"
"Questa sera".
Filippo non stava più nella pelle e Piero si sentì stringere lo stomaco.
"Passo a prenderti dopo cena, gli disse Filippo; fatti trovare al Circolo".
Arrivò pochi minuti prima delle ventuno a bordo del Q7 di suo padre. Puzzava di alcool.
"Ti sei sbronzato?", gli chiese Piero.
"Mi dovevo caricare un po', è troppo importante sta serata".
"Puzzi come un vecchio vagabondo".
"Mezza bottiglia di wodka, che sarà mai".
"Dobbiamo arrivare ad Anguillara, sul lago di Bracciano. Tu così combinato non guidi".
"Allora fallo tu, ma vacci calmo con questa bestia".
Tutta automatica con levette al volante come nella Formula Uno. Piero aveva guidato qualche volta il furgoncino Polo della tipografia. Iniziò con gran cautela, guidando piano, ma quella macchina non andava piano, scappava via. Sulla Cassia già schizzava.
"Apri il finestrino e caccia la testa fuori, ché la tua puzza di alcool mi sta ubriacando".
Passata Bracciano iniziarono a costeggiare il lago a forte velocità.
"Rallenta Piero ché qui è pieno di curve".
"Ormai l'ho capita sta macchina: non ti preoccupare ché la tengo in pugno".
Da una curva sbucò in senso contrario un'auto con gli abbaglianti accesi.
"Tieniti sulla destra, Piero, e tocca leggermente il pedale del freno. Non frenare a morire per l'amor di Dio".
Ma Piero non vedeva più niente e piantò una gran frenata.
La Q7, oramai senza guida, sbandò un po' qua, un po' là e finì la sua corsa dentro il lago.
Durante la sbandata la portiera di destra si spalancò e Filippo si trovò sulla sabbia con le cosce a mollo. Vedeva i fari della Q7 sotto l'acqua.
Adesso uscirà fuori, pensò.
Ma Piero non emergeva.
Si fermarono altre macchine. Qualcuno si buttò a nuoto. Dopo qualche minuto trascinarono a riva il corpo di Piero. Non respirava. In tanti che si davano da fare nessuno sapeva veramente come si soccorre un annegato. Non sembrava ferito, era solo pieno d'acqua.
Arrivò un'ambulanza, ma era troppo tardi.
Verso mezzanotte alla stazione dei Carabinieri di Bracciano arrivò anche Eugenia.
"Perché guidava lui il tuo macchinone? Piero sapeva andare appena con la Polo".
"Non mi sentivo tanto bene, mentì Filippo. Comunque non era ferito e la macchina stava a tre metri di profondità. Poteva uscire e venire a riva che stava appena a una ventina di metri. Non capisco".
Eugenia lo guardò un attimo.
"Piero non sapeva nuotare. Aveva il terrore dell'acqua".
Gli volse le spalle e se ne andò senza salutare.
Che serata di merda, pensò Filippo; peggio di così non poteva finire. 



lunedì 15 aprile 2013

MARCO E CHIARA

Marco e Chiara si erano adocchiati alle scuole medie: troppo timido lui, troppo pavida lei per andare oltre le occhiate di sfuggita. Ma al liceo si erano ritrovati ed erano finalmente diventati una coppia.
Marco e Chiara per i compagni un esempio di come ci si debba volere bene: mai uno screzio, mai un litigio; un giorno porto la merenda io, il giorno dopo la porti tu.
Nessuno si meravigliò quando i due, arrivati all'Università, decisero di iniziare la convivenza. "Appena laureati ci sposiamo", la parola d'ordine. Laurea in lettere naturalmente, poi infilarsi dentro una grande casa editrice, dove lo zio di Chiara era uno dei dirigenti.
Due tesi di laurea diverse: Marco sceglie l'Antigone di Sofocle, Chiara il De rerum natura di Lucrezio. Marco prepara la sua con una giovane assistente del grande grecista Agostino M., una certa Vania, molto brava, assai quotata dal grande professore, da un po' di tempo sempre con una minigonna da far venire il torcicollo.
Chiara è gelosa; Chiara pensa che a Marco piaccia troppo quella minigonna e una sera arriva la prima litigata. Poi un'altra, poi ogni giorno una nuova, finché Marco le dice: "Se non stai più bene con me, io me ne vado".
Chiara per tutta risposta va alla porta d'ingresso e gliela tiene aperta. Mezzora dopo lui è fuori con tutta la sua roba. Telefona a un amico che lo viene a prendere e insieme scompaiono nel buio.
Marco non si laurea più. Chiara si prende un 110 e lode. Ha conosciuto un avvocato, Pierluigi P., dieci anni più vecchio, che la vuole sposare.
Marco è in Tunisia, fa il free lance per una rivista letteraria. Scatta foto, scrive articoli. Riceve un giorno sul telefonino una SMS di Chiara: "Domani mi sposo".
Risponde: "Auguri", e il giorno dopo si ubriaca.
Un anno dopo in Egitto Marco riceve un'altra SMS da Chiara: "Mi tradisce".
Risponde: "Ti sta bene".
Un mese dopo ancora una SMS di Chiara: "Mi picchia".
Marco non risponde niente. Prenota un posto su un aereo della Luftansa e arriva a Fiumicino. Invia una SMS a Chiara: "Ci vediamo al solito posto alle 17".
Alle 18 è tutto stabilito nei dettagli: Chiara deve lasciare aperto il portoncino della villetta sulla Via Cassia dove abita, tutto qui.
Alle 21 Marco inizia il pestaggio di Pierluigi, che si difende e contrattacca. Marco pesta più duro, sempre più duro e Pierluigi non si muove più.
Marco e Chiara scappano insieme e rimangono nascosti due settimane. Poi si costituiscono.
In primo grado 14 anni a lui e 12 a lei, che è diventata madre di una bambina bellissima, che somiglia a Marco come una goccia d'acqua.
In appello condanna confermata. La bambina vive coi genitori di lei. Fra otto anni Chiara uscirà e aspetterà Marco ancora due anni. Si sono sposati in carcere. È stata una cerimonia molto toccante, a detta di tutti. Marco ha ripreso la vecchia tesi di laurea, perché vuole laurearsi. Pensa di poter ricominciare a fare qualcosa di buono.

giovedì 11 aprile 2013

PER FARMI PERDONARE TRE INEDITI

Ho aperto un quaderno intitolandolo: POESIE DELLA CASA NUOVA. Si tratta di tre componimenti scritti ieri notte dalle 02,50 alle 03.40.

RUGHE COME MANNAIE ACUMINATE

Coì doveva essere la crosta
della terra quando gli alieni
la usarono come base 
di partenza e di arrivo per
i loro viaggi, con questi solchi lunghi
tirati da mannaie acuminate,
rughe dove c'è ombra, che puoi 
vedere anche al buio
tanto scavano a fondo.
A qualcuno, qualche volta, danno
una sensazione di forza,
di indistruttibilità,
a volte a qualcun altro,
a me per esempio,
un aspetto di caducità, di
debolezza estrema, di passi
che si affrettano verso la fine.
E s'è appena appannato
lo sguardo, là sotto la fronte,
e non mi va di chiedermi perché
sia successo proprio adesso, 
per pigrizia, chissà, o per snobismo,
per arroganza o forse per paura. 
Mi sa che essere stanco sia
un modo di vivere,
sentirsi stanco invece
un modo di morire.


ARTE  ANTICA

Tramandare me stesso un giorno
dopo l'altro è un'arte antica
che ho imparato da piccolo:
corteccia bruciata dal sole,
avvizzita dal tempo,
prosciugata da troppi peccati,
rendiconto rinviato ogni giorno
a quello di domani,
e poi di domani l'altro, e di nuovo
tutto rimandato a un domani
che non c'è,
per non avere il coraggio
di ascoltare una sentenza
che ormai nessuno
pronuncerà più.



MURA  CAMBIATE


Le mura sono finalmente cambiate
e qui si possono fare i raffronti
che altrove sembravano estranei
perché c'era odore di antico,
che era poi profumo di gioventù,
della tua e della mia,
di bambini che oggi marciano
sicuri nel mondo senza inciampare
come capita a noi.
Abbiamo abbandonato dentro una cantina
mobili di lusso, quadri, suppellettili.
Io ho distrutto disegni, cose che ho scritto
che non amavo più
e che forse volevo morissero lì dentro
come una parte di me
e di te, una parte della vita nostra
che si è inesorabilmente conclusa.


















mercoledì 10 aprile 2013

IL GRAN CASINO VIENE SEMPRE DOPO

Mia nipote Cristina mi accompagna al Pronto Soccorso dell'Ospedale civico. Di lì ci mandano alla Clinica Otorinolaringoiatrica, che ha un Pronto Intervento tutto suo.
Nome, cognome, indirizzo, solita lagna. Dopo dieci minuti arriva un medico abbastanza giovane, diciamo sulla trentina. Ha un cartoncino sul camice, c'è scritto il nome: M. Cosentino.
Italiano suppongo. Lui legge la cartella e mi chiede: "Sind Sie italiener?". "Come lei credo".
"Di dove?". "Civitavecchia". "Io sono di Roma". Poteva risparmiarselo: bastava tenere la bocca aperta per dieci secondi.
"Ho lavorato a Roma con una Maria Luisa Cosentino. Una bella mora, che oggi dovrebbe avere settantanni più o meno. Abitava al quartiere Trieste. Lavoravamo alla Daniel's"
Chissà perché glielo dico.
"È la sorella di mio padre, abita sempre al quartiere Trieste, in Viale Libia".
Bene così siamo in famiglia.
"Cosa posso fare per lei?"
"Questa notte, anzi ieri ho avuto una grave perdita di sangue dal naso."
"Quanto grave?"
"Veda lei: è iniziata alla 15 circa ed è terminata alle quattro di notte, senza interruzione, mi sembrava che scorresse il Reno."
Mi guarda. 
"Tredici ore senza pausa?"
"Senza pausa"
"Ha chiamato il Notarzt?"
"No"
"Perché no?"
"Mi sembrava una minchiata"
"Sa cosa ha rischiato?"
"Ho una pallida idea."
"Un uomo normale ha circa sei litri di sangue; in 14 ore scorrono via non meno di due litri, cioè un terzo. Per caso lei se ne è andato a dormire?"
"Ho cercato di rimanere sveglio, ma poi mi sono addormentato"
"E che bella festa! Così il ritmo biologico si è ancor di più abbassato e lei ha rischiato un collasso cardiaco. Questa sì che mi sembra una minchiata!"
"Dovevo chiamare il Notarzt?"
"E te credo! Che ce stanno affà!"
"Ma che avrebbe fatto?"
"Niente: lo tamponava, chiamava un'ambulanza e lo faceva portare da noi. Uno dei nostri le bruciava la ferita tutta intorno e finiva lì. Ma come se ponno fa certi casini?"
"E nun lo so, me pareva giusto nun chiamallo. Ma adesso che sto qua me lo bruci lei tutto intorno e famola finita"
"Nun se pò fa gnente adesso perché nun piscia sangue, solo quanno piscia sangue se fa quela cosa là"
"Ah!"
"Eh!"
"Allora mo che famo?"
"Allora mo s'annamo a piacce un café con maritozzo, se famo na scopa, na chiacchierata tra amichi, de più nun se po, amico mio"
Poi me guarda come se guarda un cane co le zecche e me dice con aria dimessa.
"La prossima vorta nun stia a perde tempo, pensi ar core suo e a la gente che je vo bene. Chiami subbito er 112 che se la vedeno loro."
Esco commosso e rinfrancato: ho trovato er nipote de na vecchia amica mia, mica è na cosa da poco.
Purtroppo È ita tutta storta sta sortita dar vecchio ner novo: m'è venuta la tosse, a momenti me viè un corpo, e poi vajela a riccontà a San Pietro che nun l'ho fatto apposta. Ho cambiato connessione cor PC, nun vo venì manco a ammazzalla. Devo da telefonà, ma manco quello funziona, deve fa tutto mia nipote pora stella, che ciavrà puro li cavoli sua da fà, no? E stamatina, anzi no, ieri matina, ho trovato un chiodo drento a na gomma e me so dovuto fa na corsa dar gommista a mette quelle estive, ma tutto fa brodo. E poi manco mezzora fà, prima de metteme a magnà me volevo lavà le mani, m'è abbastato appoggiamme al lavabo e PUNFETE, s'è spaccato. Così mo aspettamo l'idraulico, che ce lo cambia. Fortuna che je l'avevo fatto vede subbito al padrone de casa che c'era una fasatura e se vedeva, ma lui ha detto che era una bagattella. Meno male, se no me  sartava ar colo co tutto er rubbinetto.
In 34 anni in quell'antra casa c'è stato solo un tubo che s'è rotto ar piano de sopra e semo dovuti scappà tutti de corsa. Se dar matino se vede er bon giorno, te saluto amore mio.