lunedì 30 gennaio 2012

SOBRIA PAUSA POETICA

Queste sono le più recenti, che pertanto non entreranno nella raccolta che sarà pubblicata dalla GDS entro questo anno.


COSTANTE  FISICA  NATURALE

S come Esse simbolo per silenzio
costante naturale di testa vuota
quando non c'è niente da dire si deve tacere
requisito di intelligenza il più difficile da manifestare
perché tutte le teste vuote quando sono vuote parlano
commentano giudicano sproloquiano fanno di tutto
per farsi notare e ascoltare pontificano le teste vuote
e cercano altre teste vuote e trovano tutte le teste
vuote del mondo perché S come Esse
è una costante naturale universale cosmica interplanetaria
per questo io adesso ho cercato una variante che non c'è
D come Di simbolo della dedizione amore non
egoistico amore con sacrificio che ho conosciuto quando
ero bambino era l'amore di mia madre che non mi chiedeva
nulla che tutto mi dava e non soltanto a me anche a mio padre
quando si ammalò passando gli ultimi quindici anni della
sua vita entrando e uscendo da un ospedale a un altro
e lei mai lo abbandonò e quello era solo un uomo cui si era
legata pensavo e invece lei molti anni dopo mi disse no mi disse
tuo padre era il mio primo figlio che ho allevato quello che
aveva più bisogno di tutti il più fragile il figlio che ho
amato di più mi disse forse non lo sapevi forse
non te ne sei accorto ma è così che è stato mi disse
e mi diede un brivido di tenerezza e di gioia e anche
di dolore perché io sono anche il primo figlio di mia moglie
me ne sono accorto io da tanto tempo ma ignoro se lei
lo abbia anche capito e se farà per me quello che mia madre
ha fatto per il suo primo figlio
Esse come silenzio vale per me in questo caso tacere
e attendere A come attesa vediamo quello che
succederà quando toccherà a me morire lentamente.


L'UOMO  VOLANTE

L'uomo volante si è innalzato
da dentro di me e si allontana nel cielo
che quasi non lo vedo più, e adesso
rischia che altri si accorgano di lui e se ne
impossessino per farne magari uso nei loro spot
pubblicitari e dichiarare poi con facce
di bronzo di avere scoperto loro per primi
le sue capacità e il suo estro.
L'uomo volante è uno sciocco, come tutte 
le creature semplici: dovrebbe rientrare veloce
alla base, ma si gode il sole e il profumo
delle nuvole, mentre qualcuno già cerca
di catturarlo. E pensare che io lo avevo
lasciato nascere dalla mia pigrizia
perché mi portasse lontano mentre sonnecchiavo
dentro la mia poltrona. Continuerò a dormicchiare
anche senza di lui: sono il campione del mondo
nel non far niente di interessante per ore,
per giorni, per anni interi.


DOMANDE  SENZA  RISPOSTE

Io qui non mi diverto più:
le stesse facce, le stesse ore, le stesse
stanze e sempre le stesse squallide parole
dalla mattina alla sera, parole e silenzi,
un vuoto e un pieno, come dentro
la canna di un fucile
da cui però non escono pallottole
perché qualcuno ha tolto la scatola di scatto.
Ma che bravura c'è a vivere una vita come questa
dove niente ti tira, niente ti intriga,
nemmeno masturbarsi il cervello
per farne uscire uno schizzo di veleno,
una ricetta che aiuti a far sparire
il quadratino di mondo dove sto io adesso?
Che senso ha continuare a metter insieme
queste parole indifferenti l'una all'altra
solo per riempire una pagina di carta bianca?
Che senso ha morire se non c'è nemmeno
la certezza che poi sia tutto finito?
Dicono che a volte basti porsi le domande
anche senza ricevere risposte
per sentirsi un po' meglio.
Dicono: ma non mi pare
proprio che sia vero.


HAPPY  END

Ho cominciato a scrivere cento racconti
e poi mi sono interrotto perché finivano tutti
con un morto ammazzato. Ho tracciato
le trame di dieci romanzi, di venti;
l'ho smessa lì quando mi sono accorto
che si concludevano con un dramma disperato
e che non riuscivo a salvare il protagonista
nemmeno barando. Sto scrivendo poesie
dove si può annusare puzza di squallore
che viene fuori non dai miei vestiti,
dalle mie scarpe o dalle pareti della mia casa,
ma esce dai nascondigli della mia 
anima. Adesso tu mi chiedi se non sono
capace di scrivere raccontini comici;
volevi dire con un finale diverso,
happy end per capirci. Magari potessi, ma se mi
guardo intorno vedo ovunque spezzoni e refrain di una
tragica commedia, che comincia con un vagito innocente 
e finisce con il gorgoglio dello scarico del cesso.
Vite tutte uguali, morti tutte uguali, non se ne salva
nessuna, nemmeno quelle dei santi, delle puttane
e delle puttane sante. Avanti così, allora:
concludiamo le decine di romanzi di merda
che ho in mente. A te basterà non leggerli
per  vivere più tranquilla, dammi retta.



venerdì 27 gennaio 2012

TERZO SEGUITO

Ultimo, però, altrimenti tanto vale postare l'intero romanzo


Una nuova estate è incominciata: sembra la più calda di tutte.
Alessia è diventata bellissima, alta quasi quanto lui, molto sviluppata per i suoi dodici anni: adesso è proprio sicuro di essersi preso la cotta per sua cugina.
Qualcuno gli ha riparato la bicicletta e tutto il giorno è in giro a pedalare, insieme ad Alessia, che è molto veloce sulla sua bici nuova. Anche Amedeo, però, ha una bicicletta nuovissima, una Atala da corsa. Gliel'ha comprata suo padre come premio per la licenza media, che ha preso con un anno di vantaggio su tutti gli altri della sua età.
-Perché lui è bravo, dice Alessia, e da grande farà il medico del Comune.
Chicco ormai ha capito che sua cugina s'è presa la cotta per Amedeo e questo lo fa impazzire dalla rabbia.

I giorni passano nel sole e nella calura, tutti uguali.
E arriva il giorno più uguale di tutti, il più afoso di tutti. Le cicale friniscono sugli alberi di gelso all'infinito, non la smettono mai.
È un giorno di festa grande, anche se è soltanto un sabato qualunque, ma è il 65° compleanno di nonna Antonietta: i parenti e gli amici, vale a dire tutto il paese, verranno in cortile a festeggiarla, a portarle fiori e regali, a bere un bicchiere insieme, a mangiare una fetta delle cento torte, delle mille torte buonissime, che le donne hanno preparato lavorando tutta la settimana.
Sotto il grande albero di fico, al centro del cortile, hanno sistemato una tavolata ricoperta con una tovaglia di lino bianco, quella delle grandi occasioni, imbandita con fiaschi di vino ancora chiusi e caraffe di aranciata, di limonata e di the freddo. Le donne imburrano tutto il tempo fettone di pane alte un dito, e poi arriverà il pollo arrostito, se ne sente già l'odore uscire fuori dalle finestre spalancate della cucina.
-Non lo dimenticherai questo giorno, mamma, grida zio Aldo, il più giovane dei sei figli di nonna Antonietta.
-Non te lo faremo dimenticare, grida convinta zia Giulia, la figlia maggiore, che tiene intanto d'occhio i due nipoti più grandicelli e più pericolosi.
-Adesso però voi due ve ne andate via di qui, ché fate solo confusione, dice guardando Chicco e Alessia con la faccia seria. Andatevene a fare un giro con le vostre biciclette, gli fa mettendogli le mani sulle spalle e allontanandoli. Ma state alla larga dal fiume, mi raccomando, aggiunge quasi gridando.
Appena arrivati in strada, spuntato dal nulla, Amedeo con la sua Atala si affianca ad Alessia.
Ecco cosa ci vuole a far diventare pessimo un giorno che sembrava bellissimo.
-Tu che c'entri? lo apostrofa Chicco. È la festa di mia nonna, non della tua.
Nessuna risposta.Amedeo mette il muso sul manubrio e continua a pedalare dritto.
-Perché non te ne vai? insiste Chicco.
-Lui resta qui, perché è amico mio, si intromette Alessia acida.
"Lo difende, sentila come lo difende!", pensa Chicco e comincia a pedalare forte.
Amedeo scala le marce, ne ha 24.
Chicco scala le marce: lui ne ha 28.
Amedeo scala e si alza sui pedali.
I due sono curvi sui manubri e fanno a chi scoppia per primo. Boia chi molla!
Alessia tiene botta a gran fatica: arranca in ultima posizione. gonfia le gote, sbuffa e pigia sui pedali a più non posso. Con il comando delle marce non ci ha ancora capito tanto, per questo perde terreno e li vede andar via come motorini. Gronda sudore: sua madre gliene dirà in tutte le lingue quando la vedrà tornare in quello stato.
Amedeo ha la bici più leggera e sull'asfalto vola: è primo, ha dieci metri di vantaggio, ma già guarda preoccupato davanti a sé dove l'asfalto finisce e inizia lo sterrato. Arrivato lì si ferma. Non vuole rovinare i tubolari.
Invece Chicco, che proprio lo sterrato aspettava, passa come un razzo, ché lui ha una mountain bike e sullo sterrato gioca in casa.
Quando Alessia arriva si ferma accanto al suo amichetto. Anche lei monta una mountain bike, ma ha paura di cadere.
-Torniamo indietro. Amedeo, gli dice.
Chicco si gira, vede la scena e si ferma. Se l'era immaginato che lei sarebbe rimasta accanto ad Amedeo e ha il cuore pieno di veleno.
-Hai fifa, Amedeo? sghignazza rabbioso. Sei più femmina tu di lei.
Amedeo non gli risponde: gira il manubrio verso il basso, verso la sponda del fiume. Sulla sabbia sa correre bene e non si lacerano i tubolari.
-Che fai? Lascia perdere! Torniamo indietro, Amedeo, lo supplica Alessia.
Ma Amedeo già va in picchiata nel prato diretto al fiume.
-Fermati!, gli grida dietro Alessia, col pianto nella voce. E tu lascialo in pace!
Ma già Chicco torna indietro e infila il corridoio d'erba dove è passato il rivale. Va veloce come una bomba e lo supera.
-Via! Via! Via! gli grida a squarciagola. Levati di mezzo, coniglio.
Scende fino alla riva, le ruote dentro l'acqua, che affiora sopra la mota.
Amedeo si è fermato un paio di metri più in alto. Perché non sa nuotare.
Alessia è ancora sulla strada asfaltata, una ventina di metri più su. Neanche lei sa nuotare. L'unico nuotatore è Chicco. Ha frequentato tutti i corsi alla scuola di nuoto nella piscina sportiva a Civitavecchia. Ha fatto già un paio di gare nella vasca da 25 metri. Gli hanno detto che è una promessa.
-Cos'hai? Ti cachi addosso? grida ad Amedeo con rabbia, scendendo dalla mountain bike coi piedi dentro l'acqua. Perché non fai vedere a mia cugina quanto sei bravo?
Anche Amedeo è sceso dalla sua Atala: adesso sta anche lui con l'acqua alle caviglie.
-Fermati! gli urla Alessia dalla strada. Non litigare con lui. Non vedi che lo fa apposta?
Ma Amedeo oramai non la ascolta più. Ce l'ha con Chicco di brutto e forse vuole mollare una scarica di cazzotti sul suo muso arrogante.
-Chi pensi di essere tu? gli grida con la bava alla bocca. Sei un cittadino presuntuoso che vuole comandare nel nostro paese. Cosa vuoi da lei tu che non vali niente?
-Vuoi fare a cazzotti? ringhia Chicco. E fammelo vedere.
Si pianta bene sui piedi e appena Amedeo parte all'assalto fa un passo in avanti, lo afferra per i lembi della camicia che gli svolazzano sul petto, si piega di lato e appena l'altro perde l'equilibrio lo spinge in acqua.
-Fatti un bel bagno! gli urla.
Gli è piovuta addosso una beatitudine folle: è andata proprio come sperava. Adesso sì che ci sarà da divertirsi: vederlo sguazzare come un gatto impazzito in mezzo metro d'acqua. Che figuraccia con Alessia! La grande cotta sgonfiata come un palloncino bucato.
L'urlo che discende dalla strada lo riconduce alla realtà.
-Tiralo fuori! Tiralo fuori, Chicco! Sta affogando, grida Alessia in preda al panico.
-Che ti piglia? Nessuno è mai affogato nell'acqua così bassa.
Ma Amedeo è sparito. Ricompare dopo qualche secondo cogli occhi del terrore e la bocca spalancata. Si dibatte, sparisce di nuovo. Riemerge una mano, un braccio, metà della faccia, un ciuffo di capelli, un piede. È una lotta furibonda.
-Buttati!
Non è l'urlo di Alessia, è l'ultimo spasimo di Alessia.
Ma Chicco non riesce a buttarsi in acqua: una forza terribile lo pietrifica al suolo.
Non la vede: la sente arrivare. Gli passa di lato come un fulmine, salta in acqua a testa in giù. Neanche il vedere la cugina nel fiume riesce a sciogliere il gelo che gli avviluppa i muscoli. Serra i pugni, spinge il busto verso l'acqua ma i suoi piedi sono infilati nell'inferno.
Vorrebbe urlare, ma dalla gola esce un gorgoglio fioco. Per una, due volte vede emergere qualcosa di lei, non sa più cosa. Un pensiero mostruoso e disperato gli rimbalza dentro il cranio: Alessia non sa nuotare, non potrà mai salvare Amedeo, non potrà più salvare se stessa. 
Per un attimo riemerge il suo viso e non c'è terrore, né pena nei suoi occhi.
Poi il viso si inabissa e lei scompare. 



martedì 24 gennaio 2012

SEGUITO DEL PRECEDENTE

È cambiato qualcosa: è cambiato un fondale, come a teatro.
La paura è sparita, il dolore è sparito. Vede una donna bellissima, giovane e soave, che gli sorride; vede un'altra donna bellissima, ancora più giovane, che le sta accanto. Anche lei sorride.
Adesso riesce a camminare, ma cade sempre: cammina e ruzzola, un passo e giù, due passi e giù, e le due donne bellissime sorridono sempre.
Può aprire la bocca e dire qualcosa, qualcosa che gli dà gioia dire: "...mma...mma...mma"; tutto qui.
"...mma...mma...mma" niente altro.
Ma ci mette dentro tutto l'entusiasmo del suo giovanissimo cuore.

Di nuovo il fondale di scena cambia, più volte, in modo confuso.
Adesso in primo piano c'è un manubrio di bicicletta che oscilla, e una ruota anteriore che scarta, un po' a destra e un po' a sinistra, perché ingoia troppo voracemente la strada che le sta sotto. E sempre più spesso scarta la ruota verso sinistra, verso il centro della strada, troppo.
Un suono lacerante, una frenata stridente, a morire. Ma il camion non si arresta: sfila di fianco perché è troppo pesante.
Adesso il manubrio della bici non oscilla più, la piccola ruota non scarta più: la bicicletta è lontana e ferma, rovesciata su un fianco. Adesso c'è l'ombra di un'altra ruota, enorme, la ruota del camion e un forte sapore di sangue in bocca. 
-Oh madre mia! Oh madre di Cristo! È ferito il ragazzo? È grave assai?
Qualcuno accorre.
L'autista del camion salta giù dalla cabina. È bianco in faccia come un morto.
-No, per il sangue di Cristo! No, perdio! Che io ho moglie e figli da mantenere.
Lo tira su, lo tirano su in tanti, perché adesso tutti accorrono e tutti gridano. C'è una gran confusione.
"Cosa dico a mia madre?", pensa.
Si è strappato i pantaloni e non trova più una scarpa. La bici è tutta contorta.
"Mio padre mi ammazza di botte", pensa. "È il suo regalo per il mio compleanno".
Poi una voce disperata sovrasta tutte le altre. È un urlo:
-Chicco! Chicco! Che ti è successo?
È nonna Antonietta. Lei sola lo chiama così, perché è piccolo come un chicco di riso.
E piange nonna Antonietta, tutte le sue lacrime.

Ancora sole e caldo. Ha la gamba sinistra ingessata: frattura della fibula in seguito a caduta rovinosa da bicicletta, con la testa arrivata a fermarsi a mezzo palmo da una gigantesca ruota di un camion carico di sabbia.
Cammina piano piano, per meglio dire saltella. Lo accompagna una bambina bionda, diafana e bellissima. Si chiama Alessia, è sua cugina carnale, di un anno più giovane. Ne è segretamente innamorato ma non glielo ha mai rivelato. Lei però ha un giovane amico, un ragazzo del suo paese. Si chiama Amedeo. Non parla mai, ma spunta sempre accanto a lei quando escono per passeggiare un po', perché la gamba ha bisogno di movimento continuo. Alessia sembra contenta di incontrarlo ogni volta; forse è innamorata di lui.
-Non affaticarti troppo, Chicco, si raccomanda nonna Antonietta, e non venite tardi per il pranzo.
Fra poco anche questa estate sarà finita: ogni pomeriggio dall'orizzonte arrivano nuvole scure e di sera sul tardi piove. Non si può più andare di sera in cortile a chiacchierare sotto l'albero di fico, nemmeno col pullover. Fra poco dovrà tornare in città. Amedeo rimarrà solo con Alessia, uscirà ogni giorno da solo insieme a lei e non avrà più rivali di città.

mercoledì 18 gennaio 2012

INIZIO DI CAPITOLO

Si tratta dell'inizio di un capitolo di un romanzo che sto scrivendo. Il protagonista riesce a rivivere parte  della sua vita fetale aiutandosi con un HMD, un Head Mounted Display, cioè un visore virtuale stereoscopico.

Sguazza in un liquido dolciastro. La bocca e le narici ne sono piene, ma non soffoca; apre e chiude la bocca senza respirare, perché non sa cosa sia, non l'ha ancora mai fatto. Per quanto spalanchi gli occhi non riesce a vedere altro che un roseo chiarore, mentre un tenue, costante rumore gli fluttua fino alle orecchie: "... tum...tum...tum...tum..."
Quel rumore gli calma ogni ansia, è una litania incessante che lo fa star bene, come quel liquido tiepido, buonissimo, che gli permette di galleggiare, di capovolgersi, di sentirsi felice e unico. E unico egli è in effetti in quel posto caldo, che odora di buono, di sano.
Sempre quel "...tum...tum...tum...tum..."
E ancora un rumore, più debole, diverso: "...ehi...ehi...che fai...chi sei..." un rumore molto morbido, un suono dolcissimo che torna di tanto in tanto.
È tutto.
È tutto. È la felicità. È la beatitudine di essere l'unico.
Non ha cognizione del tempo, ma del piacere che il tepore del liquido gli procura sulla pelle. Il piacere continua, sembra eterno.
Lo culla quel ritmico "...tum...tum...tum...tum..." così rassicurante, e poi più spesso ancora un suono: "...sei lì dentro...sei lì dentro...dico a te..."; la beatitudine aumenta ancora, aumenta sempre.

Improvvisa e inattesa una scoperta: il dolore. Qualcosa che stringe ai fianchi, intorno al collo, che immobilizza la testa, qualcosa che tira verso il basso, fuori dal liquido dolciastro, fuori dalla felicità, lontano dal ritmico tum, tum, tum, tum, che ormai non sente più.
E col dolore arriva la paura.
Paura, paura forte, terrore. Rumori, rumori forti, rumori fortissimi, terrore folle.
Qualcosa lo tira con gran forza verso il basso, lo fa precipitare in basso.
Rumori sempre più forti. Rumori strani, acuti, gravi; acutissimi e gravissimi, che si mescolano tra loro in una voragine di suoni.
Precipita senza fine nella voragine di suoni.
In un attimo tutto si ferma: poi un'esplosione violenta di luce e di rumori assordanti.
Lo strattonano, lo opprimono, lo agitano nella luce.
Dolore agli occhi. Soffoca.
Qualcuno picchia duro su di lui.
Un dolore atroce gli penetra dentro bruciando, attraverso la bocca spalancata.
Respira per la prima volta, poi di nuovo e di nuovo e ancora di nuovo respira.
Annusa un odore che già conosce; ascolta suoni morbidi, dolci, che non capisce ma che ha già ascoltato: "...sono qui...sono qui...sono io..."

martedì 10 gennaio 2012

BREVISSIMA PAUSA QUASI POETICA

LAMENTO  DEL  VIANDANTE  MATTUTINO  SULLA  VIA  DEL  CAFFELLATTE


27  versi  molto  iNspirati


Sul prato qui vicino stanotte
sono di nuovo sbocciati i fiori di merda.
La brina li ridisegna bianchi
stamattina, li ingobbisce,
li allunga, li tridimensiona
a misura umana
così il primo che vada a prendersi
l'auto parcheggiata
ci infili dentro una scarpa,
la destra, la sinistra o tutte e due,
e si porti via il fiore
e il suo odore lacerante
tirandoselo dietro per tutta la giornata.

Non occorrerebbe tappare il culo dei cani
con una saponetta di tritolo
e darci fuoco, 
ma tagliare i coglioni ai bastardi
che non puliscono la cacca
dei loro cagnacci, questo occorrerebbe, 
questo sarebbe salutare.

Ho dovuto buttare un paio di scarponcini
nuovi, perché la para sotto 
s'era impregnata fin nei pori profondi
di merda di cane notturno.
Chi me li ridà i 79 euro e novanta
per ricomprarne nuovi e odorosi
di fresco cuoio e non di vecchia merda?

lunedì 2 gennaio 2012

E SE PER IL NUOVO ANNO SI INIZIASSE CON UN FINALE ?


Gli incipit possono anche essere indigesti se somministrati a cottimo.
Ho deciso di trascrivere qui per i miei amici un finale.
Nell'ultimo romanzo che ho scritto si parla di un giovane scrittore che arrivato alla conclusione del suo libro, non riesce a scriverne l'ultimo capitolo. Gli viene il braccino corto, come a certi tennisti, che arrivati all'ultimo punto non riescono a mandare più la pallina nel campo avversario.
Gli viene insomma quello che in gergo si chiama "il blocco dello scrittore".
Solo dopo anni di peripezie e di tentativi riesce a scrivere l'ultimo capitolo.
Nel mio romanzo dopo il capitolo finale del giovane scrittore c'è una lunga vicenda intima che avrà un altro tipo di conclusione, ma a me piace trascrivere adesso il finale del romanzo del protagonista del "mio romanzo".


Jacopo sentì il bisogno di una boccata di aria fresca. Indossò una giacca a vento e uscì all'aperto, avviandosi verso una piazzola alberata dove la riva del lago era meno scoscesa e l'acqua non profonda. Aveva un fastidioso prurito alla gamba ingessata. Pensò di immergere gamba e gesso nell'acqua fresca per averne un po' di ristoro, ma doveva sfilarsi i pantaloni della tuta Adidas, gli unici che avevano le aperture delle due cerniere esterne che arrivavano fino alla vita.
Giunto alla piazzola sedette per terra, tirò entrambi i cursori delle cerniere dal basso verso l'alto e liberò le gambe; sfilò dal piede destro scarpa e calza e avanzò il paio di metri che lo separavano dall'acqua facendo appoggio sul palmo delle mani e sulle natiche. Immerse entrambe le gambe con un brivido perché l'acqua era molto più fredda di quanto avesse stimato. Dopo un po' la sensazione di gelo era passata. Si distese lungo il bordo sulla schiena e chiuse gli occhi. L'effetto benefico dell'acqua placò la sua ansia, si sentì morbido, rilassato, e dopo un po' prese sonno.

Jacopo non seppe mai il perché: forse un suo movimento brusco o piuttosto la sponda friabile aveva ceduto, sta di fatto che si risvegliò immerso nell'acqua fino alla cintola. Fu il gelo sulla pancia a risvegliarlo di colpo. Rabbrividendo tentò di girarsi per tornare a riva ma sprofondò nell'acqua fino alle ascelle. Più muoveva i piedi e più sentiva il terreno cedere. Diede col tallone del piede destro una spinta con tutte le sue forze: come risultato si sentì risucchiato verso il largo e si rese conto con terrore di non toccare più. Vide che si allontanava rapidamente dalla riva, da cui distava ormai una decina di metri, distanza non impossibile in condizioni normali, ma che con un gambale di gesso, camicia, maglione e giacca a vento diventava non facilmente colmabile per lui che non era un nuotatore esperto.
Tentò di liberarsi della giacca a vento senza riuscirci, si girò sul dorso per poter respirare mentre continuava a dimenarsi per tirare almeno un braccio fuori da una manica, effettuando una serie di movimenti frenetici che lo fecero capovolgere di colpo. Col viso immerso nell'acqua aprì gli occhi ed ebbe un'orrida visione : un muro massiccio di acqua color pece, attraverso il quale non si vedeva alcun fondale. Si girò di nuovo sul dorso respirando a pieni polmoni, ma la giacca e i suoi maldestri tentativi lo rimisero nuovamente bocconi sull'acqua. Con la forza della disperazione ruotò e cacciò un urlo, ma dalla gola gli uscì un vagito, un mugugno strozzato e si rese conto che le energie lo avevano abbandonato.
Tornò col volto nell'acqua e un pensiero calmo gli attraversò la mente: in quell'acqua nera c'è la pace, nulla vi si muove. Non tentò più di ribaltarsi.

Una forza poderosa lo tirò su per il bavero. Jacopo aprì la bocca ma non riuscì ad inspirare che un sorso d'aria, troppo poco per i suoi polmoni contratti, ma la forza lo trascinava veloce sul pelo dell'acqua. A piccolissime quantità sentiva l'aria penetrargli dolorosamente attraverso i bronchi, mentre vedeva la riva avvicinarsi di nuovo.
La forza che lo trascinava emerse per prima dal lago e lo issò a riva, e Jacopo vide dal basso dove era disteso le cosce potenti e il corpo nudo di Eliseo grondante acqua. Cominciò a tossire sputando acqua e dolore, acqua e terrore mortale. Era Eliseo che gli applicava la ginnastica di soccorso per gli annegati, con movimenti lenti e sicuri.
-Riesci a respirare da solo? Gli chiese.
-Abbastanza.
-Allora via di qui, altrimenti ci prendiamo una polmonite.
Eliseo raccolse le sue robe gettate sulla riva, lo sollevò di peso e se lo caricò sulle spalle, avviandosi di corsa lungo il viottolo verso la baita. Quando furono nella camera di Jacopo Eliseo sparì nel bagno e subito dopo si udì lo scroscio della doccia. Jacopo invece si strappò di dosso tutti i panni e subito il pavimento si trasformò in un acquitrino. Si asciugò vigorosamente con un asciugamano di spugna sentendosi il sangue nuovamente scorrere nelle vene intirizzite. Si rivestì lentamente scegliendo con cura vesti calde. In quel momento riapparve Eliseo nel vano della porta del bagno con indosso un vistoso accappatoio giallo di Jacopo, che però lo copriva solo in parte. Finì per usarlo come un asciugamano.
-Chi ti ha chiamato? Gli chiese Jacopo.
-Mio zio mi ha telefonato per dirmi che vi eravate spartiti l'ultima acqua rimasta. Ho piantato là le mie cose e sono corso quaggiù, in tempo per fortuna.
-Che vuoi dire?
-Temevo che tu facessi una cosa del genere.
-Guarda che è stato un incidente. Sono scivolato nell'acqua mentre dormivo.
-Dormivi in riva al lago?
-Mi ero addormentato.
-Senza pantaloni e scalzo?
-Volevo rinfrescarmi questa gamba, perché mi rodeva forte sotto il gesso.
-Non la trovi strana anche tu la tua spiegazione?
-Se avessi voluto farla finita mi sarei tolto la giacca a vento.
-Per ammazzarti non ti dava nessun fastidio, anzi ti portava giù prima.
-Non ho tentato il suicidio, credimi.
-OK! Adesso però ce ne andiamo subito via di qui.
-Sono d'accordo. Non capisco però come nessuno si sia accorto di nulla.
-Stanno tutti chiusi nella sala a vedersi i filmati coi tuoi commenti.
Ecco come si spiegava la loro assenza. Jacopo diede una lunga occhiata al suo salvatore e gli lesse negli occhi lo scetticismo: gli sarebbe occorso del tempo per convincere Eliseo di come fossero effettivamente andate le cose.
-Mi è mancata la terra sotto i piedi; più cercavo di spingere più mi franava via tutto.
-Non avevi mai fatto il bagno in un Baggersee prima d'oggi?
-Non me lo sarei mai sognato.
-È un lago di scavo, un lago artificiale, Jacopo. Va giù subito, di botto; non serve a niente annaspare, devi nuotare subito e non essere vestito.
-Non mi succederà mai più, te lo giuro.
Quando entrambi furono rivestiti Eliseo diede uno sguardo circolare cercando negli angoli della stanza.
-Dove lo hai nascosto il tuo borsone? Gli chiese.
-Sta giù, nella cabina di registrazione. Ci sono un paio di libri e poche altre cose.
-Lo vado a prendere.
-Vorrei lasciarlo qui, Eliseo. Se lo portassi via mi darebbe l'aria di un trasloco. Non sopporto questa cosa.
-Gli lasci un ricordo di te?
-No, una speranza: prima o poi tornerà a prenderselo, penseranno. La sensazione che la vita continui, o almeno io la vedrei così se fossi in loro.
-Allora andiamocene.
-Senza nemmeno salutarli?
-Sanno che vieni via con me: per questo si sono chiusi lì dentro, per non vederti andar via.
-Avrei preferito un abbraccio, un arrivederci, una parola...
-Questa è gente all'antica, lo interruppe Eliseo; gente dura che ha già scritto la parola fine dentro la testa.

Jacopo risentì i sassi aguzzi dello sterrato in salita rimbalzare sotto il pavimento del Mercedes. Gli salì un groppo in gola e si sforzò di guardare la strada davanti a sé e di non pensare.
Eliseo guidava in silenzio consapevole della sofferenza di chi gli sedeva al fianco. Non lo avevano convinto le sue giustificazioni, aveva ancora negli occhi l'immagine di un corpo ancora vivo ma inerte a faccia in giù nell'acqua, e non riusciva a credere che un uomo che sente di morire non si dibatta con tutte le forze rimaste per non soccombere. Avrebbe dovuto tenerlo d'occhio, fintantoché non lo avesse dato in consegna alla moglie e alla figlia, con molte raccomandazioni.
La guida adesso lo impegnava molto perché stavano percorrendo una stretta strada in discesa piena di curve. Ancora una trentina di chilometri di salite e discese e poi sarebbero arrivati all'autostrada, e da lì via per una cinquantina di chilometri veloci e sicuri fino a casa. Eliseo pensò che sarebbe stato meglio pernottare in casa di Jacopo, telefonare alla moglie e quindi aspettare che lei o la figlia fossero venute a prendersi cura di lui.
Si voltò verso Jacopo e vide che stava con gli occhi chiusi, probabilmente sonnecchiando. Meglio, si disse, così non pensa agli amici che si è lasciato dietro.
Jacopo invece non dormiva e non pensava al passato, ma al futuro, esattamente a quello che avrebbe fatto quando sarebbe arrivato a casa, quando avrebbe dovuto chiamare quel numero dell'albergo dove era Elena. Non di coraggio si sarebbe trattato, ma di paura, gli sembrava evidente: paura della solitudine, del buio, e perché no, della morte.
Che strano, non aveva ancora mai pensato di morire e adesso quell'idea. Ma negli ultimi giorni si era dovuto confrontare ogni ora con quell'argomento. Per un istante gli tornò davanti agli occhi quell'acqua color della pece che aveva guardato con orrore per lunghi attimi, e gli sovvenne con fastidio di essersi completamente abbandonato alla sua sorte. Forse aveva ragione Eliseo a mettere in dubbio le sue parole, perché lui in quel momento aveva sentito la bellezza della fine, aveva gustato la gioia di abbandonarsi a quel silenzio senza luce. È questo dunque che prova un suicida? È questo il suo premio?
Sentì che la Mercedes aveva acquistato improvvisamente velocità e riaprì gli occhi: erano in autostrada ed Eliseo pistava a tavoletta nella corsia di sorpasso.
Vuole arrivare al più presto e liberarsi della mia presenza, pensò Jacopo. Non si sentiva di dargli torto, lui era un carico penoso e pericoloso, prima se ne fosse disfatto prima si sarebbe sentito meglio.
In quel momento invece Eliseo rallentò di colpo e si accodò ad altre auto che procedevano più lentamente.
-Lavori in corso? Gli chiese Jacopo.
-No, stazione di servizio.
-Devi fare benzina? E allungò il collo verso il display.
-Devo fare pipì, e di corsa, rispose Eliseo ridendo; e poi mangiare un boccone ché non ho pranzato, e nemmeno tu a quanto ne so.

Jacopo si rimise un po' in ordine rimirandosi nello specchio della toilette. Mamma mia che faccia! E che abiti stazzonati. Erano rimasti tutto quel tempo ammucchiati sopra una sedia. Se Elena lo avesse visto in quelle condizioni sarebbe fuggita turandosi il naso.
Uscì dalla toilette e gli sembrava di barcollare. Si sentiva la testa gonfia come un otre, gli rintronavano dentro tutti gli sconquassi di quelle ultime ore: la rivelazione bomba di Michele Giustino, il suo tuffo nell'acqua gelida del Baggersee, dove gli era venuta a mancare la voglia di battersi per sopravvivere, dove aveva sentito il sapore dolce della fine. Un po' troppe cose in così poco tempo: tutte così affrettate e scombinate, tutte così ammucchiate; troppe cose per una persona tranquilla e metodica, per un costruttore di orologi ad acqua. Non c'è niente di più ordinato e metodico del meccanismo di un orologio, pensò, e io mi sono trovato di un colpo nel vortice di un meccanismo di un terremoto; normale che le mia testa sia adesso gonfia come una mongolfiera, concluse.
Trovò Eliseo seduto a un tavolo con una immensa bistecca nel piatto.
-Fanno porzioni da Gulliver qui dentro? Si informò Jacopo. Non ne avevo mai viste così grosse.
-Sono amico del cuoco e quando passo da queste parti mi fermo sempre. Ne vuoi una anche tu di questa stazza?
-Sei matto? Sono quasi dieci giorni che non faccio un pasto abbondante, non cela farei a digerirne nemmeno la metà.
Eliseo era rimasto a guardarlo a bocca aperta, con un pezzo di carne infilzato bella forchetta fermo a qualche centimetro dalla bocca.
-Scusami, disse alla fine, deponendo nel piatto boccone e forchetta.
-Non farti mandare di traverso il tuo pasto, ribatté Jacopo; continua a mangiare, io vado a ordinare una minestra.
-Prendi un vassoio e serviti, qui è regime di self service.

Venti minuti dopo erano di nuovo in autostrada con Eliseo a tavoletta nella corsia di sorpasso. Pochi minuti dopo, al "Darmstädter Kreuz" Eliseo imboccò la 5 in direzione Karlsruhe. Qui le corsie erano tre e lui occupò immediatamente quella esterna.
-Fra mezzora siamo a casa tua.
Jacopo non rispose e non fece nessun cenno di assenso. L'altro se ne accorse e ridacchiò tra sé e sé.
-Ho deciso di pernottare a casa tua, gli comunicò.
-Come mai? Voglio dire che mi fa un gran piacere, ma non devi preoccuparti, non c'è nessun lago vicino casa mia.
-Non intendevo quello, anche se credo che casa tua sia poco distante dal Reno.
-Dieci minuti a piedi.
-Ecco, vedi?
Jacopo scosse la testa. Gli venne da ridere.
-Eliseo, credimi...
-Sssstt! Basta così, lo interruppe il giovanotto; non è quella la ragione. Resto perché non mi va di lasciarti solo questa notte. Poi domani decidi tu cosa vuoi fare.
-Pensavo...
-Siamo d'accordo?
-Non so proprio se...
-Allora OK?
-OK!
-Vedi che sei ragionevole quando vuoi.
Ho trovato un tesoro, pensò Jacopo: questo ragazzone di quasi due metri ha un cuore tenerissimo che batte per me. La vita a volte è una commedia buffa: quando mi sembrava che tutto andasse storto e che il mondo mi crollasse addosso ho avuto il colpo di fortuna di incontrare un amico sincero, che si preoccupa di me per quello che io sono, un essere umano in sofferenza.

Superarono l'uscita per Bruchsal ed Eliseo imboccò l'ampia curva in discesa rombando a spron battuto. Dietro di loro una Porsche color rame chiedeva strada lampeggiando freneticamente.
-Lasciala passare, Eliseo.
-In fondo alla discesa, dopo che avrò superato quelle due auto. Può aspettare un paio di secondi.
Nella corsia centrale del tratto di autostrada in direzione di marcia opposta alla loro Jacopo vide il TIR rosso, che superava una serie di altri camion in salita, sbandare un attimo prima che se ne accorgesse Eliseo, che stava con gli occhi sullo specchietto retrovisore.
L'enorme cabina rossa sfondò il guardrail con un salto e planò sulla loro corsia una trentina di metri davanti al muso della Mercedes.
Jacopo vide una terrificante maschera di Halloween ghermirli a bocca spalancata in un frastuono infernale.
Prese colpi alla testa e da per tutto ma non sentì dolore.
Vide una serie di lampi e di colori, dominante il rosso, come squarci a zig zag davanti agli occhi, dietro gli occhi, sopra e sotto gli occhi, che tenne sempre spalancati come quelli di un bimbo curioso.
Non sentì dolore, non provò paura, non gli venne su nemmeno la domanda che succede? Nulla. Una assoluta banalità, niente degno di nota.

il frastuono cessa quasi del tutto
anche la corsa

da dove sta Jacopo non vede più il cielo solo una mastodontica ruota nera che gira sfrigolando su in alto al posto del tetto della Mercedes che non c'è più
i vetri tutti a pezzi il cruscotto una poltiglia davanti al viso i resti di una mezza gamba spappolata
non è la mia non ha il gesso
liquido scuro sui vetri
è sangue pare sangue
sul cruscotto
sembra sangue
sui suoi vestiti
odora come sangue

accanto a lui nella semioscurità una massa che emana vapore e perde sangue
è un uomo
Eliseo distrutto piccole parti di lui ancora insieme in qualche modo

dalla massa sovrastante sgocciola liquido che odora forte
benzina oppure nafta carburante insomma
poi un breve bagliore e fumo
ancora un breve bagliore più intenso più a lungo del precedente
Jacopo tiene gli occhi su quel bagliore
è una fiamma è fiamma è fuoco

non pensa più a nulla
tiene gli occhi pieni di fiamme un attimo prima che il fuoco inghiotta tutto.