Gli incipit possono anche essere indigesti se somministrati a cottimo.
Ho deciso di trascrivere qui per i miei amici un finale.
Nell'ultimo
romanzo che ho scritto si parla di un giovane scrittore che arrivato
alla conclusione del suo libro, non riesce a scriverne l'ultimo
capitolo. Gli viene il braccino corto, come a certi tennisti, che
arrivati all'ultimo punto non riescono a mandare più la pallina nel
campo avversario.
Gli viene insomma quello che in gergo si chiama "il blocco dello scrittore".
Solo dopo anni di peripezie e di tentativi riesce a scrivere l'ultimo capitolo.
Nel
mio romanzo dopo il capitolo finale del giovane scrittore c'è una lunga
vicenda intima che avrà un altro tipo di conclusione, ma a me piace
trascrivere adesso il finale del romanzo del protagonista del "mio
romanzo".
Jacopo
sentì il bisogno di una boccata di aria fresca. Indossò una giacca a
vento e uscì all'aperto, avviandosi verso una piazzola alberata dove la
riva del lago era meno scoscesa e l'acqua non profonda. Aveva un
fastidioso prurito alla gamba ingessata. Pensò di immergere gamba e
gesso nell'acqua fresca per averne un po' di ristoro, ma doveva sfilarsi
i pantaloni della tuta Adidas, gli unici che avevano le aperture delle
due cerniere esterne che arrivavano fino alla vita.
Giunto
alla piazzola sedette per terra, tirò entrambi i cursori delle cerniere
dal basso verso l'alto e liberò le gambe; sfilò dal piede destro scarpa
e calza e avanzò il paio di metri che lo separavano dall'acqua facendo
appoggio sul palmo delle mani e sulle natiche. Immerse entrambe le gambe
con un brivido perché l'acqua era molto più fredda di quanto avesse
stimato. Dopo un po' la sensazione di gelo era passata. Si distese lungo
il bordo sulla schiena e chiuse gli occhi. L'effetto benefico
dell'acqua placò la sua ansia, si sentì morbido, rilassato, e dopo un
po' prese sonno.
Jacopo
non seppe mai il perché: forse un suo movimento brusco o piuttosto la
sponda friabile aveva ceduto, sta di fatto che si risvegliò immerso
nell'acqua fino alla cintola. Fu il gelo sulla pancia a risvegliarlo di
colpo. Rabbrividendo tentò di girarsi per tornare a riva ma sprofondò
nell'acqua fino alle ascelle. Più muoveva i piedi e più sentiva il
terreno cedere. Diede col tallone del piede destro una spinta con tutte
le sue forze: come risultato si sentì risucchiato verso il largo e si
rese conto con terrore di non toccare più. Vide che si allontanava
rapidamente dalla riva, da cui distava ormai una decina di metri,
distanza non impossibile in condizioni normali, ma che con un gambale di
gesso, camicia, maglione e giacca a vento diventava non facilmente
colmabile per lui che non era un nuotatore esperto.
Tentò
di liberarsi della giacca a vento senza riuscirci, si girò sul dorso
per poter respirare mentre continuava a dimenarsi per tirare almeno un
braccio fuori da una manica, effettuando una serie di movimenti
frenetici che lo fecero capovolgere di colpo. Col viso immerso
nell'acqua aprì gli occhi ed ebbe un'orrida visione : un muro massiccio
di acqua color pece, attraverso il quale non si vedeva alcun fondale. Si
girò di nuovo sul dorso respirando a pieni polmoni, ma la giacca e i
suoi maldestri tentativi lo rimisero nuovamente bocconi sull'acqua. Con
la forza della disperazione ruotò e cacciò un urlo, ma dalla gola gli
uscì un vagito, un mugugno strozzato e si rese conto che le energie lo
avevano abbandonato.
Tornò
col volto nell'acqua e un pensiero calmo gli attraversò la mente: in
quell'acqua nera c'è la pace, nulla vi si muove. Non tentò più di
ribaltarsi.
Una
forza poderosa lo tirò su per il bavero. Jacopo aprì la bocca ma non
riuscì ad inspirare che un sorso d'aria, troppo poco per i suoi polmoni
contratti, ma la forza lo trascinava veloce sul pelo dell'acqua. A
piccolissime quantità sentiva l'aria penetrargli dolorosamente
attraverso i bronchi, mentre vedeva la riva avvicinarsi di nuovo.
La
forza che lo trascinava emerse per prima dal lago e lo issò a riva, e
Jacopo vide dal basso dove era disteso le cosce potenti e il corpo nudo
di Eliseo grondante acqua. Cominciò a tossire sputando acqua e dolore,
acqua e terrore mortale. Era Eliseo che gli applicava la ginnastica di
soccorso per gli annegati, con movimenti lenti e sicuri.
-Riesci a respirare da solo? Gli chiese.
-Abbastanza.
-Allora via di qui, altrimenti ci prendiamo una polmonite.
Eliseo
raccolse le sue robe gettate sulla riva, lo sollevò di peso e se lo
caricò sulle spalle, avviandosi di corsa lungo il viottolo verso la
baita. Quando furono nella camera di Jacopo Eliseo sparì nel bagno e
subito dopo si udì lo scroscio della doccia. Jacopo invece si strappò di
dosso tutti i panni e subito il pavimento si trasformò in un
acquitrino. Si asciugò vigorosamente con un asciugamano di spugna
sentendosi il sangue nuovamente scorrere nelle vene intirizzite. Si
rivestì lentamente scegliendo con cura vesti calde. In quel momento
riapparve Eliseo nel vano della porta del bagno con indosso un vistoso
accappatoio giallo di Jacopo, che però lo copriva solo in parte. Finì
per usarlo come un asciugamano.
-Chi ti ha chiamato? Gli chiese Jacopo.
-Mio
zio mi ha telefonato per dirmi che vi eravate spartiti l'ultima acqua
rimasta. Ho piantato là le mie cose e sono corso quaggiù, in tempo per
fortuna.
-Che vuoi dire?
-Temevo che tu facessi una cosa del genere.
-Guarda che è stato un incidente. Sono scivolato nell'acqua mentre dormivo.
-Dormivi in riva al lago?
-Mi ero addormentato.
-Senza pantaloni e scalzo?
-Volevo rinfrescarmi questa gamba, perché mi rodeva forte sotto il gesso.
-Non la trovi strana anche tu la tua spiegazione?
-Se avessi voluto farla finita mi sarei tolto la giacca a vento.
-Per ammazzarti non ti dava nessun fastidio, anzi ti portava giù prima.
-Non ho tentato il suicidio, credimi.
-OK! Adesso però ce ne andiamo subito via di qui.
-Sono d'accordo. Non capisco però come nessuno si sia accorto di nulla.
-Stanno tutti chiusi nella sala a vedersi i filmati coi tuoi commenti.
Ecco
come si spiegava la loro assenza. Jacopo diede una lunga occhiata al
suo salvatore e gli lesse negli occhi lo scetticismo: gli sarebbe
occorso del tempo per convincere Eliseo di come fossero effettivamente
andate le cose.
-Mi è mancata la terra sotto i piedi; più cercavo di spingere più mi franava via tutto.
-Non avevi mai fatto il bagno in un Baggersee prima d'oggi?
-Non me lo sarei mai sognato.
-È
un lago di scavo, un lago artificiale, Jacopo. Va giù subito, di botto;
non serve a niente annaspare, devi nuotare subito e non essere vestito.
-Non mi succederà mai più, te lo giuro.
Quando entrambi furono rivestiti Eliseo diede uno sguardo circolare cercando negli angoli della stanza.
-Dove lo hai nascosto il tuo borsone? Gli chiese.
-Sta giù, nella cabina di registrazione. Ci sono un paio di libri e poche altre cose.
-Lo vado a prendere.
-Vorrei lasciarlo qui, Eliseo. Se lo portassi via mi darebbe l'aria di un trasloco. Non sopporto questa cosa.
-Gli lasci un ricordo di te?
-No,
una speranza: prima o poi tornerà a prenderselo, penseranno. La
sensazione che la vita continui, o almeno io la vedrei così se fossi in
loro.
-Allora andiamocene.
-Senza nemmeno salutarli?
-Sanno che vieni via con me: per questo si sono chiusi lì dentro, per non vederti andar via.
-Avrei preferito un abbraccio, un arrivederci, una parola...
-Questa è gente all'antica, lo interruppe Eliseo; gente dura che ha già scritto la parola fine dentro la testa.
Jacopo
risentì i sassi aguzzi dello sterrato in salita rimbalzare sotto il
pavimento del Mercedes. Gli salì un groppo in gola e si sforzò di
guardare la strada davanti a sé e di non pensare.
Eliseo
guidava in silenzio consapevole della sofferenza di chi gli sedeva al
fianco. Non lo avevano convinto le sue giustificazioni, aveva ancora
negli occhi l'immagine di un corpo ancora vivo ma inerte a faccia in giù
nell'acqua, e non riusciva a credere che un uomo che sente di morire
non si dibatta con tutte le forze rimaste per non soccombere. Avrebbe
dovuto tenerlo d'occhio, fintantoché non lo avesse dato in consegna alla
moglie e alla figlia, con molte raccomandazioni.
La
guida adesso lo impegnava molto perché stavano percorrendo una stretta
strada in discesa piena di curve. Ancora una trentina di chilometri di
salite e discese e poi sarebbero arrivati all'autostrada, e da lì via
per una cinquantina di chilometri veloci e sicuri fino a casa. Eliseo
pensò che sarebbe stato meglio pernottare in casa di Jacopo, telefonare
alla moglie e quindi aspettare che lei o la figlia fossero venute a
prendersi cura di lui.
Si
voltò verso Jacopo e vide che stava con gli occhi chiusi, probabilmente
sonnecchiando. Meglio, si disse, così non pensa agli amici che si è
lasciato dietro.
Jacopo
invece non dormiva e non pensava al passato, ma al futuro, esattamente a
quello che avrebbe fatto quando sarebbe arrivato a casa, quando avrebbe
dovuto chiamare quel numero dell'albergo dove era Elena. Non di
coraggio si sarebbe trattato, ma di paura, gli sembrava evidente: paura
della solitudine, del buio, e perché no, della morte.
Che
strano, non aveva ancora mai pensato di morire e adesso quell'idea. Ma
negli ultimi giorni si era dovuto confrontare ogni ora con
quell'argomento. Per un istante gli tornò davanti agli occhi quell'acqua
color della pece che aveva guardato con orrore per lunghi attimi, e gli
sovvenne con fastidio di essersi completamente abbandonato alla sua
sorte. Forse aveva ragione Eliseo a mettere in dubbio le sue parole,
perché lui in quel momento aveva sentito la bellezza della fine, aveva
gustato la gioia di abbandonarsi a quel silenzio senza luce. È questo
dunque che prova un suicida? È questo il suo premio?
Sentì
che la Mercedes aveva acquistato improvvisamente velocità e riaprì gli
occhi: erano in autostrada ed Eliseo pistava a tavoletta nella corsia di
sorpasso.
Vuole
arrivare al più presto e liberarsi della mia presenza, pensò Jacopo.
Non si sentiva di dargli torto, lui era un carico penoso e pericoloso,
prima se ne fosse disfatto prima si sarebbe sentito meglio.
In quel momento invece Eliseo rallentò di colpo e si accodò ad altre auto che procedevano più lentamente.
-Lavori in corso? Gli chiese Jacopo.
-No, stazione di servizio.
-Devi fare benzina? E allungò il collo verso il display.
-Devo fare pipì, e di corsa, rispose Eliseo ridendo; e poi mangiare un boccone ché non ho pranzato, e nemmeno tu a quanto ne so.
Jacopo
si rimise un po' in ordine rimirandosi nello specchio della toilette.
Mamma mia che faccia! E che abiti stazzonati. Erano rimasti tutto quel
tempo ammucchiati sopra una sedia. Se Elena lo avesse visto in quelle
condizioni sarebbe fuggita turandosi il naso.
Uscì
dalla toilette e gli sembrava di barcollare. Si sentiva la testa gonfia
come un otre, gli rintronavano dentro tutti gli sconquassi di quelle
ultime ore: la rivelazione bomba di Michele Giustino, il suo tuffo
nell'acqua gelida del Baggersee, dove gli era venuta a mancare la voglia
di battersi per sopravvivere, dove aveva sentito il sapore dolce della
fine. Un po' troppe cose in così poco tempo: tutte così affrettate e
scombinate, tutte così ammucchiate; troppe cose per una persona
tranquilla e metodica, per un costruttore di orologi ad acqua. Non c'è
niente di più ordinato e metodico del meccanismo di un orologio, pensò, e
io mi sono trovato di un colpo nel vortice di un meccanismo di un
terremoto; normale che le mia testa sia adesso gonfia come una
mongolfiera, concluse.
Trovò Eliseo seduto a un tavolo con una immensa bistecca nel piatto.
-Fanno porzioni da Gulliver qui dentro? Si informò Jacopo. Non ne avevo mai viste così grosse.
-Sono amico del cuoco e quando passo da queste parti mi fermo sempre. Ne vuoi una anche tu di questa stazza?
-Sei matto? Sono quasi dieci giorni che non faccio un pasto abbondante, non cela farei a digerirne nemmeno la metà.
Eliseo
era rimasto a guardarlo a bocca aperta, con un pezzo di carne infilzato
bella forchetta fermo a qualche centimetro dalla bocca.
-Scusami, disse alla fine, deponendo nel piatto boccone e forchetta.
-Non farti mandare di traverso il tuo pasto, ribatté Jacopo; continua a mangiare, io vado a ordinare una minestra.
-Prendi un vassoio e serviti, qui è regime di self service.
Venti
minuti dopo erano di nuovo in autostrada con Eliseo a tavoletta nella
corsia di sorpasso. Pochi minuti dopo, al "Darmstädter Kreuz" Eliseo
imboccò la 5 in direzione Karlsruhe. Qui le corsie erano tre e lui
occupò immediatamente quella esterna.
-Fra mezzora siamo a casa tua.
Jacopo non rispose e non fece nessun cenno di assenso. L'altro se ne accorse e ridacchiò tra sé e sé.
-Ho deciso di pernottare a casa tua, gli comunicò.
-Come mai? Voglio dire che mi fa un gran piacere, ma non devi preoccuparti, non c'è nessun lago vicino casa mia.
-Non intendevo quello, anche se credo che casa tua sia poco distante dal Reno.
-Dieci minuti a piedi.
-Ecco, vedi?
Jacopo scosse la testa. Gli venne da ridere.
-Eliseo, credimi...
-Sssstt!
Basta così, lo interruppe il giovanotto; non è quella la ragione. Resto
perché non mi va di lasciarti solo questa notte. Poi domani decidi tu
cosa vuoi fare.
-Pensavo...
-Siamo d'accordo?
-Non so proprio se...
-Allora OK?
-OK!
-Vedi che sei ragionevole quando vuoi.
Ho
trovato un tesoro, pensò Jacopo: questo ragazzone di quasi due metri ha
un cuore tenerissimo che batte per me. La vita a volte è una commedia
buffa: quando mi sembrava che tutto andasse storto e che il mondo mi
crollasse addosso ho avuto il colpo di fortuna di incontrare un amico
sincero, che si preoccupa di me per quello che io sono, un essere umano
in sofferenza.
Superarono
l'uscita per Bruchsal ed Eliseo imboccò l'ampia curva in discesa
rombando a spron battuto. Dietro di loro una Porsche color rame chiedeva
strada lampeggiando freneticamente.
-Lasciala passare, Eliseo.
-In fondo alla discesa, dopo che avrò superato quelle due auto. Può aspettare un paio di secondi.
Nella
corsia centrale del tratto di autostrada in direzione di marcia opposta
alla loro Jacopo vide il TIR rosso, che superava una serie di altri
camion in salita, sbandare un attimo prima che se ne accorgesse Eliseo,
che stava con gli occhi sullo specchietto retrovisore.
L'enorme
cabina rossa sfondò il guardrail con un salto e planò sulla loro corsia
una trentina di metri davanti al muso della Mercedes.
Jacopo vide una terrificante maschera di Halloween ghermirli a bocca spalancata in un frastuono infernale.
Prese colpi alla testa e da per tutto ma non sentì dolore.
Vide
una serie di lampi e di colori, dominante il rosso, come squarci a zig
zag davanti agli occhi, dietro gli occhi, sopra e sotto gli occhi, che
tenne sempre spalancati come quelli di un bimbo curioso.
Non
sentì dolore, non provò paura, non gli venne su nemmeno la domanda che
succede? Nulla. Una assoluta banalità, niente degno di nota.
il frastuono cessa quasi del tutto
anche la corsa
da
dove sta Jacopo non vede più il cielo solo una mastodontica ruota nera
che gira sfrigolando su in alto al posto del tetto della Mercedes che
non c'è più
i vetri tutti a pezzi il cruscotto una poltiglia davanti al viso i resti di una mezza gamba spappolata
non è la mia non ha il gesso
liquido scuro sui vetri
è sangue pare sangue
sul cruscotto
sembra sangue
sui suoi vestiti
odora come sangue
accanto a lui nella semioscurità una massa che emana vapore e perde sangue
è un uomo
Eliseo distrutto piccole parti di lui ancora insieme in qualche modo
dalla massa sovrastante sgocciola liquido che odora forte
benzina oppure nafta carburante insomma
poi un breve bagliore e fumo
ancora un breve bagliore più intenso più a lungo del precedente
Jacopo tiene gli occhi su quel bagliore
è una fiamma è fiamma è fuoco
non pensa più a nulla
tiene gli occhi pieni di fiamme un attimo prima che il fuoco inghiotta tutto.