venerdì 18 settembre 2015

DELENDA CARTAGO

Fu Appio Claudio, se non ricordo male, a pronunciare la celeberrima frase Delenda Cartago, sì fu lui sicuramente. 
Cartagine era una fiorente città che aveva il difetto di aspirare all'egemonia sul Mediterraneo, il Mare nostrum , e quindi aveva pestato i piedi di Roma, che pretendeva la stessa egemonia e non solamente sul mare ma sull'intero continente.
C'erano state scaramucce e guerre, poi Annibale aveva disceso le Alpi, invaso il nord Italia e marciato su Roma, facendo fettine dell'esercito romano, quale che fosse il capo.
Ma poi, come si sa in Italia si soggiorna bene, belle ragazze, bel tempo, buona cucina, così lui si era un po' abbioccato. 
Ma ai Romani, quelli antichi quelli buoni, rodevano i zebedei e fu deciso di intervenire. Appio Claudio però, cieco e vecchio, vedeva le cose meglio di tutti e in una infuocata riunione del Senatus populusque romanus, dove non si votava nessuna fiducia al governo di un pupazzo circondato di zoccole, ma il destino della più grande città della storia, riuscì con un discorso accorato ad infuocare i cuori dei senatori. 
"DELENDA CARTAGO", urlò con quanto fiato aveva in gola Appio Claudio ed il senato applaudì freneticamente. 
Tutti sappiamo come è finita: Scipione partì a capo di un esercito, sbarcò in Africa e a Zama massacrò le truppe di Annibale e addio Cartago.
E fu così che non fummo africanizzati già da allora e che portammo avanti la nostra cultura e più tardi la nostra religione.
Adesso una banda di pazzi furiosi e delinquenti sta conquistando un enorme bacino di utenza: dalla Siria alla Libia con attacchi anche all'Egitto e alla Tunisia, per ora guardando già al Marocco e tenendo d'occhio il traguardo finale e cioè l'Europa questi tagliatori di gole stanno facendo terra bruciata intorno a loro.

E NESSUNO BATTE CIGLIO. 

A Pamina sorgeva da secoli il più bel tempio romano, adesso ci sono rimaste soltanto le fotografie, il tempio e tutta l'area è solamente un cumulo di macerie.

Basta questo per far capire anche agli stolti quello che veramente è il traguardo di questi imbecilli: far crollare in quel modo anche il Colosseo e forse anche la basilica di San Pietro.

MA NESSUNO BATTE CIGLIO.

I nostri politici di razza rincorrono le loro flatulenze. Meglio volare a New York con un volo di Stato per vedere due ragazzotte, brave sì ma fermati lì, che si giocano la finale di un torneo dello slam, piuttosto che studiare a tavolino insieme ad altri capi di stato una soluzione al problema.

Perché una soluzione c'è, basta avere il coraggio di metterla in atto.
Tutto si risolve con un imperativo

UCCIDERLI TUTTI    UCCIDERLI TUTTI    UCCIDERLI TUTTI

E BASTA

Finché ne rimarrà uno vivo la mala pianta tornerà prima o poi a rigenerarsi e allora sterminarli tutti, uno dopo l'altro.

Ogni nemico va combattuto sul suo campo con le sue armi, perché ben capisca il senso del discorso ed il significato dell'ammonimento. Lo sosteneva Socrate a proposito dei Sofisti, ce lo racconta Platone nel Fedone, uno dei più bei dialoghi che ci abbia lasciato.
Così è. Cosa vogliamo cianciare di democrazia con gente che sgozza i prigionieri ed altri ne lascia bruciare vivi chiusi dentro gabbie di ferro? Non si tratta con le belve feroci, le si abbatte senza pietà.

PRIMA DI MORIRE VOGLIO VEDERE AFFOGARE QUESTI MOSTRI IN UN MARE DI SANGUE, IL LORO SANGUE SCHIFOSO.

Mi auguro che costoro commettano l'errore fatale di aggredire Israele. Sono solo gli israeliti quelli capaci di reagire mettendo in atto quanto da me auspicato, solo Netarniau o chi per lui sarebbe capace di bombardare il cosiddetto Califfato con missili a testata atomica.
I nostri governicchi sono troppo imbelli per farlo.

E adesso avanti: scrivete che sono un guerrafondaio, un fascista che non me ne frega una beata mazza.


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lunedì 7 settembre 2015

INTROIBO

Gli ci vollero quattro settimane per mettersi in piedi e lasciare l'ospedale, con tutto il personale del suo reparto che gli zufolava di continuo nelle orecchie che era un uomo fortunato, ma tanto fortunato, perché la pallottola si era fermata a mezzo millimetro dal cuore sfiorando l'aorta, che più culo non si può.
Allora va bene, ho culo, pensò; me ne servirò in futuro.
Restò in ospedale ancora due settimane, poi finalmente riprese quella che tutti considerano una vita normale, risvegliarsi ogni mattina nel proprio letto e bighellonare per il mondo in attesa di essere di nuovo nel pieno delle forze. Per fare cosa? Ma per scoprire i segreti dei massimi sistemi, che cavolo.
E poi per riflettere, per cercare di ricordare un sogno nebuloso e strano che doveva aver fatto quando si trovava in stato di incoscienza. C'erano strade, anzi autostrade, in quel suo sogno dove la gente camminava. Niente auto, moto, camion, furgoni o biciclette. Solo gente che camminava dapprima lentamente, poi sempre più velocemente. Andavano tutti in un'unica direzione e nessuno poneva domande. Stranissimo. Nessuno si fermava o faceva una breve sosta, o una chiacchierata coi vicini. Niente, solo camminare, mai fermarsi, mai parlare. Ma si sa come sono i sogni per lo più, sono strani naturalmente, diversi da quello che realmente succede.
Così le sue giornate cominciarono ad accumularsi le une sulle altre in modo altrettanto monotono quanto noioso. Aveva ancora un lungo periodo di riposo da smaltire prima di poter tornare al lavoro usato, pertanto si mise alacremente a pensare a qualcosa di nuovo da fare per ammazzare il tempo.
Una di quelle giornate si trovò dentro la stazione ferroviaria che nemmeno si era accorto di come poteva esserci arrivato. Sedette all'ombra sotto le pensiline e scoprì che ad osservare quell'umanità in corsa che saliva e scendeva dai treni lui ci provava un gusto enorme. Forse perché non gliene fregava niente da dove venissero quei treni e dove fossero diretti, chi lo sa, ma Luca poteva starsene ore ad osservare gente sudaticcia che correva impedita da pacchi e valige.
Un giorno mentre beveva un cappuccino nel bar della stazione si guardò in uno specchio a tutta persona che pendeva da una parete. Si vide e quasi non si riconosceva per quanto era magro. Sarà lo specchio, pensò, che mi allunga la figura. Ma non ricordava di essere mai stato così allampanato nemmeno da adolescente. Dovrò mangiare di più e certamente meglio di come faccio adesso, pensò. Tutto sommato erano più le volte che risolveva tutto con un panino e non si cucinava nemmeno una bistecchina, nemmeno un piatto di pasta, e quella si sa ingrassa per benino. Stasera passo dal macellaio e mi pappo una fiorentina, si disse. Prima però  doveva muoversi di lì perché la sera stava arrivando con passo rapido.
All'inizio fu la luce, anzi il lampo, bianchissimo, accecante. Sul quinto gradino della scalinata del sottopassaggio che dal marciapiedi numero tre portava all'interno della stazione.
Il Luca magrissimo che era arrivato fin lì trafelava e non vedeva più niente.
Lo sapevo, un attentato, pensò. Ho visto il bagliore ma non ho sentito lo scoppio, adesso non mi fa male niente quindi vuol dire che sono morto.
Un attimo dopo gli apparve l'angelo, nel punto esatto dove aveva visto il lampo. L'angelo non si rivelò, non parlò, non fece nulla. In piedi sul quinto scalino sembrava appoggiato alla parete.
Un uomo come gli altri, come me, pensò il magrolino; niente ali, vestito come tutti e non si è fatto la barba di recente, ma lui è l'angelo, si capisce, basta niente.
Il silenzio assoluto teneva fermo il tempo e teneva fermo l'angelo simile a un uomo, appoggiato alla parete, così fermo che sembrava un bassorilievo emerso da quelle pietre.
Forse è così che si resta per l'eternità, pensò Luca, con l'angelo custode che ti sorveglia senza darlo a vedere. Bello, comunque, e poi visto che non puoi più cambiare le cose te lo devi tenere così com'è questo accidente che ti è arrivato, Una volta che hai messo l'anima in pace e il corpo supino puoi galleggiare e dormire.
E già gli sembrava di galleggiare e già gli sembrava di dormire, Così quando l'angelo gli parlò Luca rimase di stucco.
"Mi fai accendere?"
Aveva mezza cicca stretta tra pollice e indice della sinistra. Con la destra si afferrava al muro.
"Mi spiace, non fumo", gli uscì fuori dalla sua magrezza come un soffio.
L'angelo o quel che diavolo era si allontanò da lui trascinando i piedi. Puzzava d'alcool stantio, di sudore rappreso e di denti non curati.
Solo un barbone, ma guarda tu! A Luca veniva da ridere ripensando a tutte le scemenze che gli erano venute in mente: l'attentato, la sua morte sicura, sicurissima, l'angelo...
Però qualcosa gli coagulava nel cervello. Cos'era 'sta storia dell'angelo? Dove l'aveva letta? Oppure l'aveva vista in un film? O se l'era sognata? Pur facendo finta di niente un tarlo minuscolo e impertinente gli rodeva dentro la testa, là dietro nella zona dell'occipite. Piano piano, un tarlicchio giovane e inesperto che non faceva nemmeno tanto rumore, ma stava lì mangiucchiandogli materia cerebrale.
Passarono bene o male un paio di giorni, e un paio di notti, tutti uguali e monotoni i giorni, tutte uguali e monotone le notti. Poi successe di nuovo.
All'inizio fu la luce e un boato assordante. Accidenti, stavolta è un attentato, senza ombra di dubbio, e in casa mia! Pensò Luca assonnato. Saltò giù dal letto trascinando con un piede le mutandine di Simona; inciampò nel lenzuolo che gli era venuto anche dietro. La ragazza si rivoltò dentro il letto mugugnando e cercando di ricoprire quel che s'era scoperto. Bravo! Adesso svegliala pure così fino a domattina non avrai più pace, pensò Luca. Tutto meno che Simona ingrugnata e ingrifata dal sonno malamente interroto, tutto meno che questo. Intanto tendeva le orecchie per captare qualche rumore che solerti carabinieri e poliziotti, sicuramente già prossimi a piombare sul posto, avrebbero classificato come sospetto. Ma il silenzio era assoluto. Sbirciò attraverso le serrande semiaperte e non vide niente di anormale nel largo tratto di strada che si apriva davanti alle sue finestre. Nessun danno evidente alle cose, alle macchine parcheggiate, nessun principio d'incendio. Tutto al suo posto, tutto in ordine. Era possibile che avesse sognato, ma improbabile: lui non sognava mai niente e si arrabbiava sempre tanto a sentirsi raccontare i sogni a colori di Simona.
Passi per la luce, si disse, ma i botti non si sognano, si percepiscono e per essere percepiti devono innanzitutto avvenire; quindi qui dentro o qui fuori è avvenuto qualcosa che ha fatto un gran casino tanto da svegliarmi e ce ne vuole col sonno durissimo che mi ritrovo, quindi si è trattato di un botto grosso assai.
Resosi conto che il ragionamento malgrado l'ora non faceva una grinza, Luca si decise a guardare all'interno dell'appartamento e controllare se per caso non fosse crollato un muro oppure esploso il televisore o il frigorifero. Nel tinello c'era ancora la luce accesa. Meno male che faccio adesso questo controllo sennò domani te le figuri le storie con Simona che non dimentica mai niente. Allungò la mano per spegnere la luce ma rimase col gesto fermo a metà: c'era un uomo seduto al suo tavolo che mangiava qualcosa, e questa era la stranezza, che mangiasse cioè, perché l'uomo era diafano, anzi trasparente, si vedevano i mobili e la carta da parati sui muri attraverso di lui e le sue ali, perché aveva anche le ali il che non era assolutamente strano, perché tutti sanno che gli angeli hanno le ali e sono purissimi spiriti e perciò trasparenti; ma tutti sanno pure che gli angeli non mangiano, o perlomeno credono di saperlo dato che forse non se lo sono mai trovato dentro casa nel cuore della notte un angelo seduto nel tinello, e quindi non possono sapere se mangerebbe o no, e questo qui sicuramente si sta ingozzando tutta la mia colazione e quella di Simona e domattina dovrò alzarmi mezzora prima per riprepararla, e non mi sembra nemmeno tanto educato da parte sua, direi.
"Avevo fame, signore, e io quando ho fame mangio quel che trovo", disse l'angelo, che essendo appunto un angelo leggeva anche nel pensiero degli uomini, come è facile intendere.
"Si serva pure con comodo, signor angelo, si affrettò a dire Luca, compiacendosi che l'altro gli rivolgesse la parola, domattina c'è tutto il tempo per riprepararla la colazione".
"Questa mattina, signore"
"Come dice, mi scusi?"
"Questa mattina, aggiunse l'angelo paziente, e non domattina; non vede che sono le quattro e mezza?"
Accidenti, pensò Luca girando indietro la testa e allungando il collo per vedere se Simona stesse arrivando.
"Non se ne preoccupi, signor Luca, lo rassicurò l'angelo, lei non potrebbe vedermi"
Ve l'ho detto che leggeva nel pensiero e che per lui era un passatempo.
"Nessuno potrebbe vedermi, anzi ad essere chiari e trasparenti, aggiunse ridendo di gusto, mi può vedere soltanto lei"
La notizia mise Luca in agitazione.
"Che vuol dire? Perché tocca solo a me 'sto privilegio?"
L'angelo aveva interrotto la pappata e se lo stava osservando. Se si può dire che un angelo si stesse divertendo alle spalle di un mortale, beh l'ho detto.
"Davvero non le ricordo nessuno? Non le ricordo qualcosa? Ci pensi su, Luca. Non è passato tanto tempo"
Questo qui non sta alludendo al barbone della stazione dell'altra sera, rifletté Luca in fretta e furia. "Cosa diavolo mi deve ricordare?"
"Una strada in leggera salita, da farsi tutta a piedi ma senza alcuno sforzo. Tante corsie individuali e una luce bella forte laggiù in fondo. Non le sovviene proprio nulla?"
Una nebulosa opaca, squarciata da qualche flash incerto e troppo rapido perché Luca ci capisse qualcosa. Ma una traccia l'aveva annusata.
"Ci davamo del tu?" buttò lì pieno d'impaccio.
"Certo, disse l'angelo esplodendo in una risata; ci davamo proprio del tu. Ricordi adesso il mio nome?"
No, quello proprio non gli veniva e Luca fece la faccia della delusione.
"Miricriz"
Come quando a teatro si apre il sipario e appare la scena illuminata, lo stesso effetto fece per Luca sentire quel nome, come se fosse stato la pasword di un programma per caso riaperto.
"Allora tutte quelle strade parallele come corsie di un'immensa autostrada non me le ero sognate",esclamò e fu come una liberazione da un incubo.
"No, tutto vero, niente immaginazione" gli confermò Miricriz con la bocca piena di biscotto salato.
Luca guardò l'angelo che si abboffava. Qualcosa gli sfuggiva, un'idea, una sensazione, un'anguilla appena pescata.
"Cosa ci fai tu adesso qui?" Trattenne il fiato. Ormai la domanda finale del quiz l'aveva fatta; toccava all'angelo.
Miricriz era impegnatissimo con una zolletta di zucchero che sembrava essersi incagliata tra i suoi denti. Si cacciò un dito in bocca, frugò, succhiò, sputacchiò e alla fine se lo riguardò beatamente.
"Non lo vedi? Mi pappo la tua colazione" Si divertiva proprio.
"Sì, vabbè, ingozzatela tutta, ma....dopo che farai?"
"Concludo la tua preparazione"
Aveva pronunciato un verbo dal suono poco rassicurante a giudizio di Luca.
"Concludi? E quando l'hai incominciata a fare sta preparazione?"
"Hai afferrato il concetto, Luca. Quando io avrò concluso noi due andremo via insieme."
"Per quell'autostrada?"
"Chiamala pure così se ti piace farlo, ma questa volta sarà per sempre"
"Ma come farai? Ecco, io mi chiedo come farai e vorrei che tu me lo dicessi subito."
L'angelo rifletté un attimo. Non occorreva adesso spaventarlo.
"Va bene, come vuoi, gli disse. Ti farò prima un paio di domande. Per cominciare dimmi se tu rispetti la legge? Anzi, dì la verità, l'hai mai rispettata?"
Luca taceva, perché quella domanda non se l'era mai posta. Valeva la pena farlo adesso.
"No, nemmeno un po', disse"
Silenzio dall'altra parte. Ma che gli poteva dire, pensò Luca? Oddio, ma che dici...la legge si rispetta, bisogna credere nella legge...nella giustizia...stronzate così, che cazzo gli avrebbe dovuto dire? Per questo rimaneva zitto.
"Legge? Giustizia? Che cosa sono? riattaccò Luca. Imposizioni dall'alto fatte da chi ha il potere su tutti noi, poveri diavoli, che questo potere non l'avremo mai. Vedi, a me quando incontro un carabiniere o un poliziotto mi si drizzano i peli addosso, perché loro sono i tutori della legge, loro la applicano questa cosa e guai a te che non la rispetti. Io sto sempre dalla parte del delinquente che a questa imposizione si è ribellato. Adesso non venirmi a parlare di anarchia e di qualunquismo, perché qui non c'entra. La legge è come le regole nel gioco del calcio: fai un fallo fuori dell'area di rigore oppure dentro e cambia tutto, perché se è dentro ti becchi un calcio di rigore. Poi in effetti l'arbitro non lo vede o lo giudica involontario e non fischia il rigore. Come nella boxe: ci sono le regole e tu puoi riempirlo di cazzottoni dalla cintura in su, ma nemmeno una carezza sotto la cintura e nemmeno ginocchiate nelle palle, niente testate, ditoni negli occhi, morsi alle orecchie come Tyson, niente, solo cazzottoni sopra la cintura e sul muso. Anche lì c'è un arbitro che ci mette il naso e qualche volta lo rimedia anche lui un bel cazzotto sul grugno. Involontario, si dice, nella foga del combattimento, colpo non trattenuto e vorrei sapere chi lo crede veramente, ma è così che viene giudicato. Adesso tu vallo a dare un cazzotto involontario a un carabiniere, poi mi racconti come ti è andata a finire, amico mio bello."
"Tutta sta tirata per giustificarmi la tua insofferenza alle leggi? Lo apostrofò Miricriz. Bastava molto meno per convircermi. Visto che sei così mi sarà più facile prepararti al viaggio. Ascolta: gli umani sono tutti dotati di un cervello, ma riescono a farne lavorare solamente un decimo dell'intero potenziale a disposizione. Adesso io per tre minuti aumenterò questo tuo quoziente di intendimento."
"Vuoi dire che farai funzionare il mio cervello al cento percento?"
"No. In quel caso capiresti tutto e saresti Dio. Lo porterò al quaranta percento."
"Adesso subito?"
"Per tre minuti, ma prima devi pregare"
"Non mi ricordo nessuna preghiera, rispose Luca; sono troppi anni che non prego più"
"Sforzati di trovare qualche parola"
"Che ti pare di questa: introibo ad altare dei, ad deum qui laetificat juventutem meam? La dicevo quando facevo il chierichetto e servivo messa, ma altro non ricordo"
"Può bastare, ma adesso sta attento: iniziano i tre minuti"
Questa volta non fu un lampo ma un immenso scintillio di sorgenti luminose che turbinavano velocissime intorno ad un centro, come nebulose che si accavallassero le une sulle altre in un susseguirsi di luci accecanti e di ombre scurissime. Al posto del rumore, che doveva essere intollerabilmente forte, la voce di Miricriz che gli spiegava appunto che l'audio era stato azzerato da lui per non fargli scoppiare il cervello in mille pezzetti.
Poi vide la corsa dei pianeti e il loro ordinato porsi in fila come per una gara.
Ne scelse uno e già sapeva che si trattava della Terra. Tante volte aveva visto in TV, magari nei programmi di Piero Angela, tentativi di ricostruzione dell'inizio della vita del nostro pianeta. Malgrado tutta la fantasia ed i mezzi tecnici nessuno era andato nemmeno vicino alla realtà che Luca adesso stava ammirando a bocca aperta. Da non poter descrivere, tanta era la sua emozione.
Forse Miricriz gli stava spiegando qualcosa e Luca voleva prendere appunti. Si trovò tra le mani un fascio di fogli di carta e una penna. Iniziò a scrivere a velocitá inaudita: scriveva arabo, cinese, russo, sanscrito, ebraico, greco antico, aramaico con estrema semplicità traducendo in contemporanea in tutte le lingue che l'angelo gli suggeriva.
E poi scrisse formule matematiche che Luca sapeva essere quelle dell'origine dell'Universo e di tutti gli Universi che lo precedettero e di quelli che lo avrebbero seguito. E continuò a scrivere la formula portandola tanto avanti che l'angelo nemmeno sapeva cosa stesse scrivendo, e quando gli chiese come riuscisse a far quello Luca gli rispose:
"Sono arrivato alla fine del quaranta percento che tu mi avevi messo  disposizione e ho scoperto come far funzionare ancora di più del mio cervello. Adesso sono circa all'ottanta percento, manca ancora il venti percento ma ci arriverò in poche ore. Domani avrò il cervello del tuo dio e sarò dio"
"Ti sbagli, Dio è uno solo: c'è già ed è lui che mi manda"
"No, Miricriz. Manderò il mio pensiero per tutto il creato. Dovrò fa così per sopravvivere dato che il pensiero divino è estremo e continuo divenire e devo trovare un posto dove il pensiero dell'altro non è ancora arrivato altrimenti saremmo in due a pensare e a creare nel medesimo posto ed andremmo entrambe in tilt e tutto creperebbe ciò che è stato e ciò che deve essere. Ma io ho qualcosa che lui non ha: lui è eterna innocenza, io invece conosco il male, ne conosco il segreto che l'altro dio non ha mai voluto pensare né provare"
Miricriz cacciò un urlo e scappò via inorridito.
Luca si guardò intorno e vide che non stava più in casa sua, che il sole era già alto, ma questo non gli diede il minimo disturbo. Intorno a lui una pianura senza fine. Era in qualche posto e questo gli bastava. Con un minimo sforzo di volontà deviò il corso di un fiume che di lì passava,scavando una caverna abissale e si immerse in quell'acqua senza respirare. Sapeva di non averne più bisogno perché era diventato purissimo pensiero. Sapeva tutto oramai, o quasi tutto.
A quel punto Miricriz capì che Luca si apprestava a diventare Dio, capì di essere lui responsabile di quel delitto e fuggì via atterrito e piangente.
Ma sentì dietro le sue spalle un'esplosione terrificante che scuoteva tutta la Terra. Si voltò indietro e vide un massa informe e quasi infinita uscire dalla testa esplosa del cadavere che galeggiava in quel lago d'acqua.
La massa implose e tutto venne risucchiato in un buco dapprima gigantesco, ma che poi mano a mano rimpiccioli fino a diventare piccolo come il foro del lavandino dentro la cucina di Luca. Tutto scomparve con un sinistro rumore di risucchio.
Allora Miricriz si alzò, pulì le bricciole dalla tavola e se ne andò senza badare alla ragazza che ancora dormiva ignara di tutto.



Finito di scrivere a Cervignano del Friuli, il 7 settembre 2015.



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