venerdì 25 novembre 2011

PROVA DI ROMANZO 4 -SEGUITO-


33. Quando il furgone giallo del Soccorso Autostradale ripassò lentamente davanti al garage per la seconda volta in poco più di un quarto d'ora, l'uomo irrigidì le mani sul volante e fece segno alla ragazza di tacere. Lei gli stava raccontando di come era arrivata in quella città dal suo paese e per passare il tempo andava bene, anche se avevano dovuto aprire i finestrini per non fare troppo appannare i vetri ed erano quasi intirizziti. Adesso però doveva stare bene attento perché un furgone dell'Autosoccorso che passa a quell'ora due volte di seguito piano piano non poteva essere una coincidenza.
Vide in quel momento che una grossa vettura avanzava a fari spenti. Accostò al marciapiedi e rimase immobile.
-È questa qui la gente che aspettavi nel locale?
-No, questa è la gente che non si deve mai incontrare.
-Che vogliono da te?
Non le rispose, ma le afferrò un ginocchio stringendoglielo perché capisse e tacesse. Si era sentito gelare il sangue: alla scarsa luce dei pochi lampioni della strada aveva intravisto qualcuno che si muoveva molto lentamente lungo il muro accanto allo stipite del garage, alla loro destra.
Lo sconosciuto girò la testa verso l'interno osservando la macchina e ogni angolo; quando credette che il garage fosse vuoto entrò dentro appiattendosi alla parete senza perdere d'occhio la strada.
La ragazza quasi non respirava più dalla paura ed aveva cercato di scivolare sotto il sedile per scomparire, ma lui l'aveva trattenuta premendole con forza il ginocchio perché rimanesse immobile. Nell'immobilità era la loro salvezza. L'altro ormai non guardava più verso di loro. Il suo istinto gli diceva che quello era un Pretoriano.
In quel momento il furgone giallo dell'Autosoccorso passò per la terza volta, quasi senza far rumore tanto andava piano.
L'ombra si mosse ritraendosi verso l'interno e lui lo vide per un attimo in faccia. Adesso sapeva chi era.

34. Il Centurione era sicuro che i due uomini all'interno del furgone giallo non avevano potuto vederlo. Lo preoccupavano però gli altri due dentro la grossa macchina ferma accanto al marciapiedi, e soprattutto era in ansia perché non sapeva che fine aveva fatto il Caposquadra e tutti i suoi uomini. La pentola bolliva da un pezzo e c'era da scottarsi di brutto, perché quella gente non aveva scrupoli.
Il furgone tornava in quel momento a marcia indietro coi fari spenti. Si arrestò proprio di fronte al garage. Adesso non poteva fare più niente senza la squadra e con quella gente lì fuori. Tra un po' avrebbe comunque avuto la risposta alla domanda che gli era venuta in mente fin dall'inizio, se cioè quelli volevano aiutare il ricercato a mettersi in salvo, oppure ammazzarlo. Era questione ormai di pochi minuti.
Uno spilungone uscì dalla grossa berlina, attraversò la strada ed entrò nel portone della casa di fronte; dal furgone era sceso intanto un uomo che indossava una tuta da meccanico. Si guardò attentamente attorno, poi entrò rapidamente anche lui nel portone buio.

35. Appena si trovò all'interno l'uomo che indossava la tuta da meccanico girò a destra nel corridoio stretto fino alla scala. Salì al primo piano e si fermò all'inizio del corridoio. Lo spilungone stava armeggiando con una serratura. L'uomo che indossava la tuta da meccanico sentì uno scatto leggero e automaticamente tirò fuori la pistola.
Lo spilungone gli fece un cenno quasi impercettibile, poi spinse con un dito la porta aprendola. Attese alcuni istanti poi entrò silenzioso come un gatto. Un paio di minuti dopo riuscì. Gli passò avanti senza fare un fiato e discese le scale non preoccupandosi del rumore che faceva.
L'uomo con la tuta rimise la pistola in tasca: per quella volta era finita e si tornava a casa. Prima di tornare all'aperto lo spilungone si girò verso di lui.
-Non c'era nessuno là dentro, il tipo non è uno stupido. Tu torna al deposito col carro attrezzi e aspettami lì. Io faccio un paio di telefonate e organizzo qualcosa.

36. Nei mesi che seguirono Gegè si mise ad organizzare il suo negozio senza chiedere niente a nessuno, né favori né permessi perché quello era il suo mestiere e nessuno gli poteva insegnare niente. La cosa più importante era riallacciare i contatti e la maggior parte del tempo la passò attaccato al telefono. Il problema grosso era la lingua, perché lui non parlava il tedesco, né il polacco né il russo, ma solo americano e napoletano.
-Ma si sa che con l'americano si può girare mezzo mondo, e col napoletano -modestamente- l'altra metà, disse Gegè ridendo
Alla fine riuscì a far funzionare tutto al meglio senza nemmeno vedere la merce.
-Non ho detto senza toccare la merce, hai capito? Ho detto proprio senza vederla, perché è qui che sta la forza di questo commercio: la merce parte da chi vuole vendere e arriva a chi vuole comprare, e tu devi vedere e toccare solamente i soldi tuoi, belli e puliti.
-Ma che roba era? Droga pesante?
-Ma che hai capito? Droga pesante? Ma per carità! No, no. Lì c'è troppa concorrenza, e poi non è il mio genere.
Gli si avvicinò mormorandogli all'orecchio:
-Io tratto solamente armi. Kalaschnikov, bombe a mano, mitragliette, cannoncini, razzi, bazooka e se capita anche qualche carro armato e qualche Mig, ma quella è merce rara.
Avvicinò lo sgabello al suo, appoggiandosi con entrambi i gomiti al tavolino che avevano in comune.
-I soldi si fanno di più e più facilmente con il Kalaschnikov perché te lo comprano tutti, e di quelli in Germania è pieno.

37. Per primo vide uscire dalla casa di fronte lo spilungone che saltò dentro alla grossa vettura, che nel frattempo gli si era avvicinata. Poi vide l'uomo che indossava la tuta da meccanico. Se ne stava nel buio del portone come fosse indeciso; attraversò la strada con eccessiva lentezza, si accese una sigaretta, ma era nervoso, si vedeva che era assai nervoso. Salì al volante del suo furgone, mise in moto e partì sgommando.
Allora vide il Centurione farsi avanti dal buio del garage ed allungare il collo come per cercare qualcuno o per assicurarsi che la via fosse libera. Se ne andò subito senza voltarsi.
Lasciò allora il ginocchio della ragazza che aveva tenuto stretto per tutto quel tempo. Pensava di averle fatto un po' male, ma lei dentro di sé gli era grata di quel dolore perché le aveva dato la forza di sopravvivere al terrore. Di solito urlava per sciocchezze e le si gelava il sudore lungo la schiena per pericoli soltanto immaginati e non realmente mortali come quello. L'uomo si accese due sigarette e una la mise tra le labbra della ragazza.
-Finita questa ce ne andiamo.
-Devo prima fare un salto a casa, ci ho lasciato tutta la mia roba.
-Andiamo via come razzi senza perdere nemmeno un minuto, in quella casa non ci metti più piede.
-Ma non ho niente per cambiarmi, e nemmeno uno spazzolino per i denti.
Lui non le rispose nemmeno e lei si appoggiò allo schienale senza più protestare.
L'uomo gettò il mozzicone, mise in moto e uscì dal garage lentamente. Arrivato alla strada accese le luci e girò subito a destra, accelerando progressivamente. Cominciava ad albeggiare.

38. Il Centurione andava su e giù per il marciapiedi gelato battendo energicamente i piedi per riattivare la circolazione del sangue, che gli si era quasi bloccata in quel garage gelido. Era indignato e furioso. Aveva telefonato alla Centrale operativa del Pretorio e si era sentito rispondere che la squadra era già rientrata da un pezzo.
-Spediteli col fuoco al culo a questo indirizzo! Aveva urlato.
Roba da non credere. Gliela avrebbe fatta vedere lui al Caposquadra. Intanto però pensava a quel che avrebbe dovuto raccontare al Proconsole, e non sarebbe stato un quarto d'ora facile. Immaginava di dover mettere una pietra sopra alla sua promozione, e buon per lui se non lo trasferivano al servizio di frontiera.
Sentì arrivare due camionette col motore imballato. L'intera squadra saltò a terra precipitosamente rimanendo inquadrata e sull'attenti.
-Dov'eri sciagurato? Chiese al Caposquadra.
-Siamo rimasti in trappola nella Blumen Strasse. Uno stupidissimo autista ha lasciato spegnere il motore del camion della raccolta immondizie, e non gli andava più in moto. Ci ha tenuti bloccati quasi dieci minuti, e non abbiamo potuto seguire quel maledetto furgone. Così siamo tornati in Centrale aspettando nuovi ordini.
Quel camion della raccolta rifiuti non si trovava per caso nella Blumen Strasse, pensò il Centurione, e non era andato in avaria per volontà di qualche santo.
-Non abbiamo a che fare con dilettanti, amico mio, disse al Caposquadra. Adesso però controlliamo ogni appartamento di questa casa.
-Il ricercato è lì dentro?
-Sì, è lì dentro. Morto, se è giusto quel che penso.

39. Il Centurione alzò un braccio imperiosamente e tutta la squadra si immobilizzò. Anche il Caposquadra aveva visto la porta spalancata. Il Centurione entrò dentro per primo con fare deciso; non aveva armi indosso. Tanto coi morti non servono, pensò. Ma non trovarono cadaveri, né feriti, né disordine. All'infuori della porta lasciata aperta dava l'aria di un normale appartamento dove qualcuno aveva dormito e fatto la doccia da poco.
-Non sembra che abbiano portato via niente, perciò non sono scappati e devono ritornare qui, disse il Caposquadra dopo aver controllato il lungo armadio a muro.
C'era una quantità di vestiti e soprabiti femminili appesi ordinatamente, lo stesso ordine meticoloso era nei cassetti. Sul fondo dell'armadio una valigia semi nuova e vuota.
-Può darsi che non abbiano avuto il tempo di prendere niente, replicò il Centurione.
Ma allora dovevano essere usciti molto prima che quella gente facesse irruzione nell'appartamento, pensò. Scostò la tendina di una finestra e guardò giù nella strada. Gli andò subito lo sguardo al garage spalancato.
Quando si era nascosto lì dentro c'era una macchina, l'aveva vista bene, ma adesso la macchina non c'era più. Sentì la gola secca all'improvviso. Sarebbe il colmo, si disse, questo sarebbe veramente il colmo!
Quella macchina che aveva visto era vuota, doveva essere vuota quando lui aveva guardato dentro il garage. Non c'era nessuno, né dentro né fuori quella dannata macchina. Era rimasto nel garage più di dieci minuti e se ci fosse stato qualcuno nascosto se ne sarebbe sicuramente accorto. Ma la gente di norma non lascia durante la notte un garage aperto, a meno che non sia in fuga.
Si allontanò dalla finestra. Sarebbe il colmo, si disse nuovamente; ma sentiva che doveva essere andata proprio così. Gli era sembrata una fortuna trovare quel garage aperto in quel momento, era un nascondiglio perfetto ed era così soddisfatto del suo punto di osservazione assai ben protetto, che non gli era passato per la testa che la gente non lascia un garage spalancato di notte con una macchina dentro. Si era comportato come un vero somaro.
-Cosa facciamo adesso? Gli chiese il Caposquadra.
-Andiamo allo stramaledetto Deposito del Soccorso Autostradale e teniamo d'occhio quel fottutissimo furgone giallo e il suo strafottutissimo autista. Passiamo voce a tutti gli informatori che abbiamo di spalancare occhi e orecchie. Altro non possiamo fare adesso.

40. Erano da poco passate le nove e l'uomo che indossava la tuta da meccanico stava terminando il suo Frühstück a base di formaggio greco fresco e cotoletta di maiale ai ferri insieme al suo taciturno collega del furgone dell'Autosoccorso.
Lo spilungone entrò morsicando un panino con petto di tacchino lessato. Stringeva nella mano libera una lattina di Tuborg appena aperta.
-Il tizio è a Darmstadt, disse. Ha lasciato la macchina nel garage sotterraneo del Centro Commerciale.
-Chissà allora dove diavolo si trova adesso.
-Sta facendo acquisti insieme alla donna del Blaues Wunder. Un paio dei nostri li tengono d'occhio.
Si avviarono verso il parco macchine.
-Si va con la Porsche, disse lo spilungone, guidi tu, e gli tirò le chiavi.
Mentre pistava a tavoletta in autostrada a più di 270 vide lo spilungone che metteva il silenziatore alla Beretta e controllava il caricatore.

41. Gegè faceva tutte le sue cose per bene come aveva imparato dagli americani, senza lasciare tracce evidenti, buone per gli sbirri e per i concorrenti. A qualcuno però cominciava a dar fastidio quel giovanotto tranquillo, che parlava sempre sottovoce e cercava di non dare nell'occhio. Uno che va in Chiesa alla domenica mattina e aiuta i vecchietti ad attraversare la strada deve essere un gran figlio di puttana.
Gaetano Scognamiglio gli mandò un'ambasciata tramite una ragazza di Salerno, che lavorava in uno studio legale nella strada di fronte alla sua e parcheggiava sempre dietro il magazzino di Gegè Rossetti perché lì trovava sempre posto a qualsiasi ora.
-Don Gaetano vi saluta assai e vi manda a dire di guardarvi alle spalle, gli disse.
-Ringraziatelo da parte mia appena lo vedete, e riferitegli che alla mia salute ci penso da solo.
-Vi ho detto quello che vi dovevo dire, e adesso vi saluto.
Ma Gegè ormai si era insospettito e pensò di prendersi qualche giorno di vacanza.
Chiuse il magazzino e si fece portare a casa sua da un taxi.

42. Pensò che avevano già comprato tutto quello che poteva servire per un viaggio abbastanza lungo. Guardava già da tempo l'orologio.
-Siamo stati qui dentro anche troppo, le disse.
Si avviarono velocemente al parcheggio. Introdusse lo scontrino nell'automatico e pagò l'importo. La ragazza marciò decisa verso la Lancia Delta.
-Aspetta qui, le disse.
Dopo pochi minuti lo vide arrivare al volante di una Opel verde metallizzata. Saltò dentro senza fare parole, ma aveva una gran paura addosso.

43. L'uomo che indossava la tuta da meccanico uscì dall'autostrada a Griesheim e si avventò sulla via larga che portava al centro della città. Rallentò vistosamente quando si accorse del grosso furgone del Soccorso Stradale che sbarrava la strada. Avanzò al passo verso l'uomo in tuta arancione che gli correva incontro.
-Viaggia sulla A5 verso Heidelberg a bordo di una Opel verde targata Francoforte, AS 122, lo informò l'uomo con la tuta arancione. Due nostri equipaggi, il 21 e il 25, gli stanno già dietro, e passò allo spilungone un radiotelefono.
L'uomo che indossava la tuta da meccanico invertì la direzione di marcia per tornare sull'autostrada.
-Qui equipaggio mobile 21, chi siete? Domandò il capo macchina alla loro chiamata.
-Rimanetegli dietro in modo che non se ne accorga. Tra dieci minuti siamo lì, rispose lo spilungone.

44. Quando entrò nel suo appartamento nei pressi della Stazione Centrale Gegè smoccolò tra i denti: aveva dimenticato la finestra del soggiorno spalancata proprio in un giorno di pioggia. Stava già chiudendo i battenti ma si irrigidì di colpo. C'erano impronte di scarpe fangose sul davanzale.
Avvertì una sensazione di freddo alla nuca: qualcuno era entrato cercando qualcosa da rubare. In casa non teneva danaro, né roba di valore, ma proprio per questo poteva darsi che il ladro lo aveva aspettato nascosto lì dentro.
Gegè vendeva armi ma non aveva mai posseduto nemmeno un pistolino ad acqua. Si fece comunque coraggio e iniziò ad ispezionare l'appartamento. Qualche minuto dopo si rese conto con sollievo di essere solo in casa sua.
Tuttavia non riusciva a calmarsi e la sensazione di gelo alla nuca tendeva ad aumentare. C'era qualcosa di anormale che gli sfuggiva. Era confuso e sentiva crescergli il nervosismo. Tra poco sarebbe sprofondato nel panico e se la sarebbe data a gambe, come quando era piccolo, senza sapere perché.
Si accese una sigaretta, aspirò profondamente, chiuse gli occhi e cercò di produrre come un'isola artificiale intorno a sé. Quando giocava a poker e sentiva puzza di bluff riusciva in quel modo a concentrarsi e a prendere lucidamente la decisione se andare a vedere o passare.
Riaprì gli occhi. Cosa era stato che lo aveva reso così nervoso? Cosa aveva cercato il ladro? Dove aveva cercato il ladro? Ecco, dove aveva cercato?
Di colpo gli fu chiaro il motivo della sua inquietudine: in casa era tutto a posto come aveva lasciato lui alla mattina, eppure qualcuno era entrato dalla finestra come un ladro, ma non era un ladro. Pensò subito ai Pretoriani e a qualche marchingegno elettronico, sensore, microfono o chissà cosa.
Ricominciò un controllo minuzioso, con calma; questa volta era molto più difficile da trovare perché cercava un oggettino molto piccolo, forse nemmeno un centimetro di roba. Dopo mezzora aveva rovistato in tutti gli angoli dove potevano aver nascosto un aggeggio simile senza trovare niente. Era tutto sudato e decise di fare una doccia per ricominciare dopo la ricerca.
Uscì dal bagno indossando soltanto un accappatoio umido. Ricominciò mentalmente a considerare se aveva tralasciato di guardare in qualche angolino, in qualche buchetto nascosto continuando a strofinarsi l'accappatoio addosso.
Aprì l'armadio e cercò nel primo cassetto un paio di mutande pulite e sfiorò con le dita il pacchetto. Ci mise un attimo a capire quello che doveva fare.
Afferrò la busta di plastica e si infilò nel cesso: cercò di bucare l'involucro con le dita, di strapparlo coi denti, ma non cedeva. Sentì dai colpi fortissimi e sonori che stavano buttando giù la porta di casa, e mentre i Pretoriani balzavano nel corridoio riuscì finalmente a squarciare il contenitore. Ma già i primi lo avevano afferrato dal di dietro per le braccia e sbattuto col muso per terra.
-Almeno mezzo chilo, sentì che sghignazzavano. Roba fine, assaggia.
-Ti è andata male, pollastro, gli sibilò in un orecchio il Caposquadra. Ti sei preso i tuoi primi quindici anni.
Gli venivano ancora le lacrime agli occhi ogni volta che gli tornava in mente.
-È stata una gran vigliaccata, amico mio, gli disse, incastrarmi con l'eroina, questo è peggio della peggior galera. Io da quella roba lì me ne sono sempre tenuto alla larga, non ho mai guadagnato un centesimo bucato con quella porcheria.
Guardò Gegè che si nascondeva la faccia fra le mani.
-È stata proprio una gran porcata, convenne, e tirò su dal piatto l'ultima forchettata di tagliatelle.

45. Teneva d'occhio gli specchietti retrovisori più che la strada di fronte a lui, rimanendo su una velocità costante di 160 chilometri all'ora.
-Se ci capita un guasto non dovremo far fatica nemmeno per telefonare, le disse ridendo. Abbiamo due macchine del Soccorso Stradale tutte per noi.
Lei si girò di colpo.
-Sono loro?
Annuì.
-Non puoi andare più forte?
-Finché rimaniamo in autostrada non possono farci niente.
-E se esci ad Heidelberg o a Karlsruhe, ti infili nel traffico di città e rubi un'altra macchina?
-Questa è rubata, eppure sono dietro di noi. Non si tratta di dilettanti. Tiriamo avanti fino al confine svizzero senza fermarci, poi si vedrà.

46. La comunicazione urgente arrivò alla Centrale dei Pretoriani nella tarda mattinata. Una pattuglia di motociclisti aveva avvistato il ricercato sull'Autostrada numero 5 nei pressi di Baden Baden. L'auto, una Opel certamente rubata, viaggiava a velocità sostenuta ma non eccessiva in direzione del confine svizzero.
Il Centurione urlò un paio di ordini veloci:
-Precedenza assoluta. Non perderlo mai d'occhio. Aspettarlo a Freiburg con un paio di auto, ma non intervenire, soltanto stargli dietro. Lo blocchiamo al confine.
-Noi rimarremo qui in Centrale, vero? Chiese il Caposquadra, che dopo la notte in bianco non aveva tanta voglia di correre.
-Noi andiamo al confine con uno dei nostri veloci elicotteri ad organizzargli il ricevimento.

47. Lo spilungone fece una smorfia. Avevano superato la prima auto del Soccorso Stradale e se ne stavano al riparo quieti quieti dopo la 21. La Opel era davanti e non poteva più sfuggirgli. Ma lui aveva visto anche il primo motociclista della pattuglia dei Pretoriani, ed ora vedeva il secondo, un centinaio di metri dietro il ricercato. Viaggiavano sulla destra tranquilli, ma lo spilungone conosceva i loro metodi, un tempo era anche lui un Pretoriano prima che lo cacciassero per indegnità.
Sentì il rumore tipico di un elicottero e alzò gli occhi al cielo. L'elicottero sparì velocemente come era comparso; non aveva né numeri né insegne, ma lo spilungone sapeva che apparteneva ai Pretoriani.
-Dobbiamo agire prima che gli mettano le mani addosso gli altri, disse all'uomo con la tuta da meccanico e chiamò col radiotelefono l'equipaggio della 21.
-Fra quanti chilometri è la prossima area di parcheggio?
-Nove chilometri circa, gli risposero.
L'uomo che indossava la tuta da meccanico guardò il numero sul contachilometri progressivo e calcolò rapidamente.
-Da solo non entra nel parcheggio, disse. Pensi di obbligarcelo con la tua Beretta?
-Mai sentito parlare di incidenti stradali?
-Non sarai mica matto! Nessuno sa cosa può succedere a questa velocità.
-Dicono che sei il migliore: fammelo vedere.
-Accidenti a te! Cosa vuoi, qualcosa di altamente spettacolare?
-Basta una buona tamponata qualche centinaio di metri prima dell'area di parcheggio. Le macchine del Soccorso Stradale sono già qui, i Pretoriani anche, dov'è il tuo problema, amico?

48. Le prime tre settimane in galera restò in isolamento duro a rompersi la testa per cercare di capire chi lo aveva incastrato e perché. Non riusciva a darsi pace perché non riusciva a spiegarselo. Lui era un punto obbligato di passaggio. Era un ponte intermedio, un passa parola che andava bene a tutti, a chi vendeva e a chi comprava, perché così non si doveva esporre nessuno e i mammasantissima rimanevano al coperto.
Una posizione d'oro la sua: anche se le bande si facevano guerra tra di loro, anche se ne arrivavano nuove avrebbero sempre avuto bisogno di un passa parola sicuro, fidato, che non imbrogliava mai per fare i loro commerci.
Il vecchio don Pietro Scognamiglio gli aveva mandato il suo avvocato di fiducia, uno di quelli pesanti che contano assai, perché hanno conoscenze e appoggi anche in Paradiso e all'Inferno, ma nemmeno il grande avvocato sapeva niente di preciso, anzi si vedeva che non voleva immischiarsi troppo in quella porcheria.
-Chi ha fatto la spia non mi interessa, non è cosa che mi riguarda, diceva. Io devo tirarla fuori di qui con poca pena, come si dice.
Poi l'avevano messo in una cella insieme a quel giovanotto, che stava dentro per truffa aggravata. All'inizio Gegè pensava che fosse una spia e a malapena ci scambiava due parole, ma poi c'era entrato in confidenza perché si era accorto che era un tipo a modo, che badava ai fatti propri e non faceva mai domande.

49. Guardò l'elicottero che scompariva velocemente. Diede un'occhiata agli specchietti poi inquadrare bene la situazione.
-I Pretoriani ci aspettano alla frontiera, le disse, questo è ormai chiaro; ma i nostri amici qui dietro cercheranno di abbordarci prima, e anche questo è chiarissimo.
Fece una pausa stringendo le labbra.
-Non ce la faremo mai, disse la ragazza. Siamo spacciati, non è vero?
Non le rispose, continuò a serrare le labbra.
-Appena arresto la macchina buttati fuori e scappa senza voltarti. Cercarti un nascondiglio e restaci. Questa notte vengo a riprenderti.
-Verrai? Sei proprio sicuro?
-Vengo a riprenderti stanotte, ti ho detto.

50. Appena il Centurione sbarcò dall'elicottero dette un'occhiata alle sue forze. Il pesce è nella rete, pensò, e per gli altri ho in mente uno scherzetto niente male se sono tanto stupidi di arrivare fin qui.
Il Caposquadra gli si avvicinò.
-Le staffette motociclistiche comunicano che le autopattuglie si sono agganciate. La situazione è totalmente sotto nostro controllo. Fra quindici minuti li vedremo arrivare.
-Torna al Centro Radio e mantieniti in contatto costante con gli equipaggi.
Rimasto solo il Centurione si accese una sigaretta. Era molto inquieto. All'improvviso gli sembrava tutto troppo facile. Può darsi che il fuggiasco non veda altra scelta, pensò, meglio noi di quella gente; ma gli altri che aspettano? A meno che non vogliano proprio che noi lo riportiamo in galera. Dopo tanti anni che faccio questo mestiere non ho ancora capito come ragionano quei bastardi.
Il Caposquadra si precipitò fuori dal Centro Radio gesticolando.
-C'è stato un incidente vicino alla stazione di servizio della ESSO.
-Che diavolo di incidente? Chiese, ma già stava sudando freddo.
-Comunicazioni contrastanti. Comunque è stato sparato e ci sono dei morti.
-È rimasto coinvolto qualcuno dei nostri?
-Sembra che uno dei motociclisti sia molto grave.
Il Centurione bestemmiò sputando per terra e si avviò all'elicottero seguito dal Caposquadra.

51. Gegè guardò l'orologio. Anche questa è una cosa strana, pensò. Era stato a colloquio col suo avvocato e quando era rientrato il suo compagno non era in cella. Quelli sotto inchiesta come loro non potevano rimanere fuori dalla cella a quell'ora. Era possibile che avesse ricevuto una visita particolare, sennò che poteva essere successo? Il Giudice ti manda a chiamare di mattina per l'interrogatorio; quando vengono gli avvocati ti avvisano il giorno prima. Era proprio una cosa molto strana, pensò.
Si alzò dalla branda e andò a guardare nell'armadietto. Si diede dello stupido. Cosa diavolo gli era venuto in testa, accidenti! Si capisce che lo avranno mandato a chiamare per qualcosa di urgente, la sua roba era tutta lì dentro.
In quel momento una guardia girò la chiave nelle serratura. Gegè si voltò verso la porta e incrociò le braccia sul petto come fa una persona di rispetto quando aspetta una spiegazione da un ragazzino.
La porta si socchiuse di un palmo, ma non entrò nessuno: qualcuno però buttò dentro un oggetto che rotolò rumorosamente fin sotto la finestra. Richiusero la porta con la chiave.
Senza muoversi dal suo posto Gegè riconobbe la bomba a mano di fabbricazione polacca. Non dà scampo, pensò.
-Ha tutta l'aria di una sentenza di morte, disse a voce alta. Ma chi l'ha pronunciata? E perché?

52. L'uomo che indossava la tuta da meccanico vomitò più di una volta. Cristo! Non aveva mai visto una cosa del genere. Diede un'ultima occhiata allo spilungone sdraiato a pancia all'aria nella cunetta con un buco in mezzo agli occhi, e abbandonò i rottami della Porsche correndo verso la 25 che sembrava intatta. La 21 invece bruciava in mezzo alla strada.
Il capo macchina della 25 singhiozzava come un bambino.
-Tirati in là! Gli disse l'uomo con la tuta da meccanico cercando di spingerlo all'interno della vettura, ma quello sembrava di cemento.
-Tirati in là, pezzo di merda! Dobbiamo sparire di qui.
-Aveva venti anni, singhiozzò il capo macchina.
-Chi aveva venti anni?
-L'autista era mio nipote e aveva venti anni, rispose l'altro fissando il rogo della 21.
-Mi dispiace, disse l'uomo con la tuta da meccanico, ma non possiamo fargli più niente.
Spinse con violenza il capo macchina sui sedili posteriori e diede uno schiaffo all'autista anche lui più morto che vivo.
-Vola via di qui, ché già sento sirene.

53. Il Proconsole arrivò col suo elicottero privato insieme al Giudice Istruttore e a un Centurione anziano. Prese subito in mano la situazione dando a ciascuno incarichi semplici e precisi. Sapeva per esperienza che gli uomini in quelle circostanze si innervosiscono per un nonnulla, quindi, una volta dati gli ordini giusti, lasciò che ognuno li eseguisse come meglio riteneva. Doveva essere la vista del sangue che eccitava gli animi e lì di sangue ce n'era una quantità enorme. Anche a lui, malgrado tutti gli anni passati in servizio, ancora adesso l'odore e la vista del sangue facevano venire crampi allo stomaco.
Al Giudice Istruttore era bastata un'occhiata per decidere di rimanere a bordo dell'elicottero. Il Proconsole invece esaminò a lungo quel cadavere nudo cui erano stati mozzati la testa, le mani e i piedi.
-Mostruoso, non è vero? Esclamò il Centurione anziano.
-Chissà che vorrà significare? Si chiese il Proconsole assorto.
-Si tratta di una sorta di linguaggio cifrato, rispose il Centurione anziano, in modo che gli altri capiscano e si regolino in futuro. Tipico della malavita organizzata.
-No, no! Disse il Proconsole. Intendevo i piedi. Non capisco cosa c'entrano i piedi, perché tagliare via anche quelli?
-Forse per sfregio. Lasciare un cadavere dopo avergli mozzato testa, mani e piedi significa lasciare un corpo anonimo senza identità, quasi per dirgli: non hai la testa e non puoi né vedere né parlare, non puoi far niente senza le mani e non ti puoi muovere senza i piedi; sei come una mala pianta strappata via.
-Insomma come per dirgli che non valeva più niente, lo interruppe il Proconsole, tanto che non gli si può dare neppure un nome adesso che è morto.
-Ma noi sappiamo che era il ricercato, obiettò il Centurione anziano.
-Sappiamo solo che è un cadavere di sesso maschile. Ufficialmente non possiamo identificarlo: manca la testa, quindi niente identificazione a vista né calco dentario; mancano le mani quindi niente identificazione delle impronte digitali; i piedi e non possiamo verificare la menomazione che aveva, gli mancava infatti l'alluce del piede sinistro e forse è proprio questo che volevano ottenere, che cioè rimanesse il dubbio che fosse ancora vivo. Comunque questo è un problema del Giudice, non nostro.
Guardò lo spilungone nel fosso.
-Questo lo conoscevo bene: era Caposquadra alla Centrale Operativa. Ci ha lavorato per molti anni. Aveva però troppi vizi e i soldi non gli bastavano mai, così li rubava.
Il Proconsole si avviò all'elicottero.
-Abbiamo finito qui, disse al Giudice, ce ne torniamo a casa.
-Nessuna traccia della donna? Chiese il Giudice.
-Mi avrebbe sorpreso che avessimo trovato qui anche lei, replicò il Proconsole. Secondo me la donna era d'accordo fin dall'inizio con gli inseguitori, per questo non lo hanno mai perso di vista. Non vedo altrimenti come una donna si sarebbe potuta salvare in questo massacro.
-Lo penso anch'io, si affrettò a dire il Giudice abbottonandosi il cappotto. Per lui la storia era conclusa.
-Abbiamo un morto, aggiunse il Proconsole prendendo posto accanto a lui. Uno dei due motociclisti.
-Disdicevole! Esclamò il Giudice Istruttore.Terribilmente disdicevole, e scosse la testa.
Il Proconsole dette un ultimo sguardo circolare alla scena. I Pretoriani avrebbero riattivato il traffico in un paio d'ore, una volta portati via i relitti coi carri attrezzi, e i morti col carro funebre.
Si tirò su il bavero del cappotto mentre il pilota avviava il motore.
È stata un'idea magnifica, disse tra sé il Proconsole, lasciare evadere quell'uomo.


mercoledì 23 novembre 2011

PROVA DI ROMANZO 4

Dall'ultimo manoscritto battuto con la portatile Olimpia.

1. Non avrebbero potuto mai scoprire la sua fuga prima che fosse lontano. Il Proconsole pensava lentamente e gli sarebbe occorso come minimo una mezza mattinata prima di tirare fuori uno straccio di idea. Dato poi che dopo ogni pasto dormiva in poltrona dalle due alle tre ore filate per smaltire, poteva calcolare in due giorni il vantaggio che aveva. Due giorni non passano mai se hai mal di denti e volano come il vento di mare se stai a letto con una bella femmina, ma potevano essere un vantaggio rassicurante se si hanno amici fidati, e lui ne aveva ancora.

2. In galera era stato insieme a Gegè Rossetti ventitré giorni e ventiquattro notti. Gegè dormiva di giorno, mentre lui scriveva e leggeva giornali. Di sera Gegè si svegliava e cucinava sughi eccellenti, e poi di notte gli raccontava i fatti suoi, che forse erano anche tutti veri. Lui un po' lo ascoltava, un po' dormiva, ma Gegè non si arrabbiava quando lui dormiva. Era sempre contento quando poteva raccontare i fatti suoi, anche a gente che dormiva.

3. Il Proconsole poggiò il foglio sulla scrivania e mise un dito sopra uno scarabocchio.
-Che parola è questa? Domandò.
-Misteriosamente, lesse la guardia decifrando a fatica.
-Li hai scritti tu sti appunti?
-Sì, ieri sera in tutta fretta, senza poter rileggere, e poi io non scrivo tanto bene.
-E che vuol dire sto misteriosamente?
La guardia ci pensò un po'.
-Che non si sa come cavolo ha fatto.
-Ho capito, disse il Proconsole, e sospirò.
-Non va bene misteriosamente?
-Va benissimo.

4. -Conosci il "Blaues Wunder"? E allora portamici.
Dopo un quarto d'ora arrivarono. Gli era sembrato di essere passato due volte in una piazza con uno strano obelisco, ma forse ce n'erano due, e poi si sa che i tassisti si arrangiano un po' quando il cliente non conosce la strada.
Il Bar era quasi vuoto. Una ragazza gli si avvicinò con le lunghe cosce nude e le tette mezze fuori.
-Aspetto gente, le disse fermandola con un gesto. Una pils ghiacciata, chiese al cameriere dietro il banco.

5. Gegè raccontò tutto da capo perché pensava che lui non avesse sentito bene. Alla Haupbahnhof di Francoforte a mezzogiorno e dodici minuti del terzo giorno di giugno del millenovecentonovanta discendeva Gegè Rossetti dal direttissimo Roma-Francoforte sul Meno. Teneva una valigia di cinghiale marrone scuro nuova nuova, un bel vestito di lino chiarissimo e mocassini di Armani. C'erano amici suoi ad aspettarlo, perché Gegè Rossetti non era mai solo.

6. Diciassette anni prima arrivava alla stessa stazione il padre suo. Era quasi mezzanotte, d'inverno, e lui teneva una valigiaccia di cartone legata con lo spago; non aveva cappotto, però indossava un maglione da ciclista fatto a mano sotto la giacchetta lisa. Reggeva in mano un cartoccio e dentro c'era un mezzo filone di pane, un salame casareccio con aglio, un quarto di forma di pecorino col pepe fatto in casa e due pugni di olive nere. C'era un vecchietto che lo aspettava, un paesano suo.
-Ti porto alla baracca.

7. -Se quegli amici tuoi ancora non vengono forse posso farti compagnia io.
-Chi ti ha detto che sono amici miei?
-Mi era sembrato.
-Io ho detto che aspetto gente.
-Scusami se ho capito male.
-Aspetta, vieni qui.
Le infilò una mano sotto la minigonna, dentro le mutande, le passò il dorso di due dita lungo le grandi labbra: erano asciutte, come aveva pensato.
-Se voglio ti chiamo io.

8. Il Proconsole bevve un bicchiere di vino rosato.
-È arrivata una telefonata urgente dal Centurione, disse una guardia trafelata mostrando un biglietto. Ho scritto tutto quello che ha detto.
-Dopo, adesso devo mangiare.
Il vino rosato era l'aperitivo, quello stronzo lo aveva visto bere, doveva saperlo.
-Domani sei di servizio esterno tutto il giorno, e anche dopodomani.
-Nossignore, dopodomani sono libero, mi avete già firmato il permesso.
-Revocato. Dopodomani servizio esterno.

9. Gegè si alzò dalla branda per farsi un caffè.
-Lo vuoi anche tu? Guarda che lo faccio forte assai, poi non ti lamentare.
Cuoceva tutte le volte un caffè quando raccontava delle baracche, forse perché il profumo del caffè gli faceva uscire dal naso la puzza schifosa di quei posti.
Ma Gegè quando l'aveva mai sentita? Lui sì.

10. Alzò il ricevitore.
-Trovatelo, disse una voce.
Riattaccò e fece segno a quello dei due uomini con la tuta da meccanico.
-È libero.
-Quanto tempo c'è?
-Due o tre giorni prima che lo riacchiappino i pretoriani.

11. -Quello è il letto tuo, disse il vecchio paesano. Domattina si attacca alle sette. Ti sveglio io alle cinque e mezza, sennò non fai in tempo a darti una lavata e a mangiare qualcosa. Adesso dormi, ti sveglio io, non stare col pensiero, buona notte.
L'altro si girò su un fianco e si addormentò di colpo. Sognò il mare.

12. -Adesso leggi, disse il Proconsole, ma fa alla svelta.
Incominciò, ma si fermò subito.
-Che c'è? Chiese il Proconsole spazientito. Non capisci quello che hai scritto?
Ci rinunciò, e gettò il foglio in un cestino.
-Il Centurione mi ha detto che hanno trovato una traccia sicura che porta fuori città.
-Niente affatto, lo interruppe subito il Proconsole. Quello non è scemo e questa notte resta di sicuro in città.
-Cosa dico al Centurione?
-Di cercare a casa delle puttane; da qualcuna deve essere.

13. L'uomo con la tuta da meccanico andò in garage e prese le chiavi del furgone.
-Perché quello schifo?
-Non dobbiamo dare nell'occhio, ci staranno già i Pretoriani in giro che lo cercano da per tutto. Un furgone dell'Autosoccorso può girare quanto vuole.
Salirono sul furgone e si diressero a una pompa di benzina. C'erano da fare un po' di telefonate prima.

14. Alle cinque della sera del suo primo giorno di lavoro in una fabbrica Salvatore Rossetti, padre di Gegè, rientrò nella baracca e non teneva nemmeno la forza per sfamarsi, lui che lavorato non aveva mai. Per questo ci mise poco tempo per ricominciare a fare quello che sempre aveva fatto. Tre mesi dopo aveva due turche che lavoravano in casa a venti marchi a colpo, e una polacca nella zona del Cimitero Centrale, che incassava in una serata più del doppio delle turche in un giorno intero. Un anno dopo Salvatore viaggiava in Mercedes decappottabile e aveva in casa un armadio lungo sei metri pieno di vestiti, di cappotti e di scarpe, quarantotto camicie di seta e tre orologi d'oro delle migliori marche svizzere.

15. I Pretoriani avevano già controllato inutilmente tutti i bordelli privati, e cominciarono dal quartiere Ovest a cercare nelle case delle prostitute che erano nei loro elenchi. Qualcuna già dormiva, altre erano a letto con clienti fissi. Nessuna conosceva il ricercato, e poteva anche essere vero perché l'uomo non era di quella città. Comunque i Pretoriani continuarono col quartiere Nord-Ovest.

16. L'uomo che indossava la tuta da meccanico aveva finito con le telefonate. Risalì sul furgone dell'Autosoccorso e mise in moto.
-Dov'è che andiamo?
-Cerchiamo in uno dei bar a luci rosse e negli Spielkasino. L'informazione non è precisa, ma il tizio deve incontrare qualcuno in un locale questa notte.
-Dobbiamo freddarlo subito?
-Non prima di aver saputo con chi si incontra, e poi noi dobbiamo solamente trovarlo, il resto non è affar nostro.
Cominciarono dai locali del quartiere Sud-Est.

17. La ragazza gli si avvicinò non appena lui le fece cenno.
-Abiti lontana da qui?
-Duecento metri, roba di due minuti.
-Abiti da sola?
-No, con mia sorella ma lei adesso è in ferie col suo amico.
-Torna questa settimana?
-No, alla fine del mese.
Le mise in mano un mazzetto di banconote ripiegate, tenute ferme da un elastico.
-Andiamo.
-Adesso subito?
-Certo.
-Non avevi detto che aspettavi qualcuno?
-Non viene più stanotte.
Si diresse al banco. Mise una banconota da cinquanta davanti al muso del cameriere.
-Il resto è per te, e questo se dimentichi che sono stato qui e con chi sono uscito.
E gli cacciò nel taschino della giacca un paio di cento. Raggiunse la ragazza che era già vestita con un lungo mantello nero, e uscì insieme a lei.

18. Salvatore si arrampicò fino al più alto gradino della scala. In tre anni appena aveva ventuno donne dai diciotto ai ventitré anni. Solo la polacca era un paio di anni più vecchia, ma quella era un numero speciale, di classe rara, una fica imperiale, una prostituta di altissimo bordo, e lui l'aveva piazzata in una suite dell'Intercontinentale, che gli costava ottocento marchi a notte. Ma c'erano due o tre vecchioni sbavanti che facevano a botte per pagarle l'affitto. Con la polacca Salvatore faceva a metà da bravo fratello, e con quei soldi si era comprato una bisca semiufficiale nella zona del porto fluviale. Si era ben organizzato e protetto: tra i suoi clienti c'erano due Centurioni dei Pretoriani e un Prefetto di provincia.
-Sai, disse Gegè, che mio padre non c'è mai andato a letto con la polacca?

19. Quando l'uomo che indossava la tuta da meccanico e il suo compagno entrarono nel "Blaues Wunder" i séparé erano tutti occupati e c'era parecchia gente intorno al banco, ma il cameriere capì subito chi cercavano e si preparò la faccia da innocente, non tanto per i soldi che aveva preso quanto perché sapeva cosa gli sarebbe successo se faceva uno sbaglio: questi due o quell'altro che era uscito prima con la ragazza gli avrebbero strappato la pelle dei coglioni.
-Hai visto qui dentro questa sera un tizio alto come me, sui trenta, moro di capelli con un vestito bianco di taglio italiano?
-Uno così stasera non l'ho visto, anzi non l'ho visto neanche ieri sera, non l'ho visto mai.
-Come fai a esserne così sicuro?
-Vedi qualcuno con un vestito bianco girare d'inverno?
-Se ne vedono tante al giorno d'oggi.
Il cameriere voleva fare un po' di polemica, come suo solito, ma pensò che era meglio calmarsi.
-Sì, se ne vedono tante, hai ragione, ma questo col vestito bianco io non l'ho visto.
-Tieni gli occhi aperti, e se capita qui dentro chiamami a questo numero.
E gli lasciò un biglietto sul banco.
-Ci scappa qualcosa per me?
-Tu pensa a chiamarmi, qualcosa poi ci scappa sempre.

20. Fu tutto a causa di una ragazzina ungherese di diciannove anni, che Salvatore aveva rimorchiato a Berlino. Era inesperta e piena di principi cretini, ma sarebbe diventata una miniera perché era una di quelle femmine che appena le vedi ti mandano il sangue in cottura, e quindi Salvatore doveva andarci con calma e farla innamorare per bene. Ci mise tre mesi per convincerla a fare una vacanza insieme a Mallorca e lei ci andò perché non c'era mai stata e non aveva ancora mai volato. Ma dopo tre giorni e due notti non era ancora riuscito a scoparsela anche se lei gli giurava amore eterno, e lui non poteva prenderla con la forza per via dei suoi principi bastardi, ché allora avrebbe rovinato tutto, e questo significava che doveva rimanere almeno una settimana in più del tempo previsto per poter attuare i suoi progetti.
Finalmente la cosa prese la piega giusta e dopo una decina di giorni Salvatore riuscì a farle fare la prima marchetta con un cliente dell'hotel conosciuto sulla spiaggia, convincendola a forza di manrovesci.
Quando tornarono l'ungherese andava ormai a tutto vapore, ma la polacca era sparita dalla suite dell'Intercontinentale da più di due settimane, e per soprammercato c'erano quasi dodicimila marchi da pagare perché quella mucca non aveva disdetto nemmeno per telefono.
Salvatore aveva l'ungherese che col tempo gli avrebbe dato il doppio dell'altra, ma non poteva tollerare l'affronto, doveva salvare la faccia e vendicare il suo orgoglio ferito. Non ci mise tanto a scoprire che era andata insieme ad un bulgaro, che la faceva lavorare in una villa a Wiesbaden. Salvatore ci andò subito con un paio dei suoi ragazzi. Volava farsi dire dal bulgaro prima di sgarrargli la trippa col coltello come aveva fatto a portargliela via, visto che nessuna donna lo aveva ancora mai piantato.
-Mio padre non riuscì mai a farselo dire, perché il bulgaro gli sparò in faccia due volte prima di dirgli buongiorno, disse Gegè. Così: bumm, bumm! Padre, ragazzi e tutto. E buonanotte Gesù.
Si accese una sigaretta.
-Del corpo di mio padre e degli altri due non si trovò più traccia. Finì così.

21. Si spogliò nudo e si mise sotto la doccia. Ne aveva proprio bisogno. Quando ne uscì la ragazza lo aspettava sdraiata semi svestita sul letto.
-Non ti offendere, ma questa sera non mi va. È stata una giornata per niente monotona e sono stanco morto. Domani, forse, poi vedremo.
Lei non gli rispose e si accese una sigaretta. Lui si infilò sotto le coperte.
-Non mi raccontare niente di te, gli disse, è meglio.
-Se non sai non puoi tradire, è questo che vuoi dirmi?
-Non soltanto questo. Voglio dire che se non so niente di te non mi affeziono, capisci?
-Hai ragione, è meglio per te se non ti affezioni.
-È meglio per tutti e due, gli rispose lei.

22. Alle tre del mattino i Pretoriani avevano finito di tirare giù dal letto tutte le puttane iscritte negli elenchi dei domicili privati, ma non avevano avuto la miseria di una risposta soddisfacente. Nessuna di loro lo aveva mai sentito nominare. Impossibile che avessero mentito tutte. Qualcuna l'avevano picchiata un po' perché si spargesse la voce che i Pretoriani erano disposti a disfare facce e fracassare ossa per ottenere quel che volevano, come l'ultima, la biondona che avevano lasciata per terra nel corridoio di casa sua col volto tumefatto e il naso e le labbra spappolate. Di certe cose quelle donne lì hanno il terrore, e si poteva stare certi che si sarebbero date da fare e passato parola. Il ricercato non avrebbe più trovato una porta aperta a casa loro. Comunque adesso il Centurione si era convinto: quel tizio non stava con una puttana. Il Proconsole aveva preso una cantonata, e non era la prima volta. Cominciò a scrivere il suo rapporto badando bene a non esprimere un tale giudizio sennò gli sarebbe toccato almeno un anno di servizio di confine in mezzo al gelo.

23. L'uomo che indossava la tuta da meccanico uscì dal "Blaues Wunder" e rabbrividì.
-Tu resta nel furgone, io vado a telefonare, quello lì ci ha presi per il culo: il tizio è stato qui dentro.
-Come fai a dirlo?
-Faceva l'indifferente ma sudava freddo. Se adesso torno dentro e gli pianto gli occhi addosso quello si piscia sotto.
-Che gli dici al telefono, che mandino ancora qualcuno?
-Perché? Hai bisogno di rinforzi? Ti pisci addosso anche tu adesso?
-Ma no! È che non so chi è il tizio che cerchiamo e che cosa dobbiamo farne, e questo mi massacra i nervi.
-Te l'ho già detto prima: noi dobbiamo solamente trovarlo, al resto ci pensino gli altri. Come vedi non c'è bisogno che ti fai venire la diarrea.
Gli voltò le spalle e si avviò verso la cabina telefonica.

24. Gli amici che lo aspettavano nella Hauptbahnhof di Francoforte quel terzo giorno di giugno gli dissero subito che di tutto quello che aveva messo su suo padre in cinque anni non era rimasto quasi più niente per lui.
-Si è preso tutto don Pietro Scognamiglio.
Gegè ascoltava e stava zitto, ché nemmeno della sua ombra si fidava.
-Lui ti vuole vedere, gli disse un altro a bassa voce.
Ma Gegè non si fidava.
-Qui non puoi fare niente se don Pietro non vuole. Lui era amico di tuo padre, portò il lutto tre giorni per lui, e fece scannare il bulgaro e la polacca.
-Digli che vado domani.
-No, stasera.
Quando venne la sera ci andò.

25. Un Caposquadra portò al Centurione una soffiata che gli era arrivata alle orecchie.
-C'è da andare a mettere il naso in un Bar nella Blumen Strasse.
-Qualcuno ci ha visto il ricercato?
-No, Centurione. Nessuno ha visto niente di preciso.
-Allora cos'è sta storia?
-C'è chi dice che in quel Bar deve avvenire un incontro tra due persone sospette; uno potrebbe essere lui.
-Come si chiama il locale?
-Blaues Wunder.
-Portaci la tua squadra, ma rimani fuori al coperto e aspettami.
Spedì un corriere al Proconsole con la comunicazione di urgenza. Poi si avviò verso la Blumen Strasse. Non era molto distante da lì.

26. Si svegliò di soprassalto in un bagno di sudore. Non doveva aver dormito più di una mezzoretta. La ragazza era sveglia, coricata su un fianco e lo guardava.
-Hai avuto un incubo, gli disse. Eri molto agitato.
-È tanto tempo che non riesco a riposare tranquillo.
Buttò le gambe fuori dal letto e si accese una sigaretta. Guardò la ragazza.
-Quello dietro il banco del Bar conosce questo indirizzo?
-Sì, una volta stava insieme con mia sorella.
-Allora conviene andarcene di qui.
-Guarda che quello non lo va a dire a nessuno, io lo conosco bene.
-Non mi fido, è troppo rischioso.
Si alzò cominciando a rivestirsi.
-Hai una macchina?
-Sì, nel garage. Una piccola Lancia molto veloce.
-Vestiti, ce ne andiamo subito.

27. Dalla macchina appena arrivata discese uno spilungone con mani e piedi enormi. Si strinse nel lungo cappotto e tirò su il bavero di pelliccia perché faceva un freddo polare. Si avvicinò al furgone ed entrò nella cabina accanto all'uomo che indossava la tuta da meccanico.
-Chi è il tipo?
--Il cameriere dietro il banco.
-Lo conosco, è un mezzo greco.
-Mezzo?
-Sua madre è di Creta, bella femmina.
-Fra un po' il locale chiude, disse l'uomo con la tuta da meccanico guardando l'ora.
-Chiude adesso, io non ho tempo, rispose lo spilungone e aprì la portiera.
Scesero tutti e tre e si avviarono verso il "Blaues Wunder". L'uomo che indossava la tuta da meccanico aveva già visto lo spilungone al lavoro un paio di volte e gli si accapponò la pelle.

28. -Vostro padre e mio padre non erano cari amici, ma si rispettavano assai, disse Gaetano Scognamiglio.
Gegè non gli rispose niente e non mosse un muscolo: doveva essere l'altro a parlare, lui era stato invitato, e poi era un uomo nuovo, aveva messo piede in quella città a mezzogiorno e dodici e non era ancora mezzanotte.
-Mio padre non si sente tanto bene, ma vi saluta e vi manda questo.
Gegè aprì la pesante busta. C'erano dentro due foto, ventimila marchi e una chiave. Guardò le foto: si vedevano i corpi nudi e massacrati di un uomo assai pesante di mezza età e di una donna molto bella.
-Quella chiave apre una cassetta di sicurezza alla centrale della Volksbank.
Gegè richiuse la busta e si alzò per andarsene.
-Aspettate un momento, Rossetti. Mio padre non lo avete visto e se non lo vedrete mai vorrà dire che vi sarete comportato bene. Fatevi istruire da chi sa le cose meglio di voi e svuotate la cassetta.

29. La ragazza aprì il garage e gli passò le chiavi della macchina.
Si mise al volante e lei gli sedette al fianco, tirandosi su il collo del montone foderato di pelliccia fino a coprirsi il naso.
-Non metti in moto?
-Qui al buio non ci vede nessuno, e di qui tengo d'occhio la casa e la strada fino all'angolo. Voglio vedere chi arriva.
-Tu sei sicuro che arriverà qualcuno?
-Più che sicuro.
-E allora andiamocene, ci sono mille posti più sicuri di questo.
-Nessun posto è sicuro se ci arrivi con una macchina che tutti conoscono.
-Non è mia, è di mia sorella.
-E che differenza fa?
Rise e la guardò.
-Appena viene giorno, se non è successo ancora niente, ce la squagliamo. Poi rubo una macchina, poi un'altra e se serve ancora un'altra. Prima di notte dobbiamo stare oltre il confine.

30. Il Centurione vide il furgone dell'Autosoccorso e capì subito. Cercò con gli occhi nel buio e vide un'ombra che gli si avvicinava cautamente.
-C'è un'altra auto ferma in quell'angolo con un uomo al volante, riferì il Caposquadra.
-Quanti uomini hai visto in tutto?
-Tre: uno è uscito dalla macchina e due dal furgone.
-Dove hai messo la tua gente?
-Li ho ben sistemati tutto intorno. Uno tiene di mira l'uomo al volante. Due sono sul tetto di quella casa laggiù in fondo e tengono d'occhio il cortile sul retro del locale.
-Che nessuno faccia niente altro che osservare. Passa parola.
Il Caposquadra si mosse velocemente sparendo nel buio.
Il Centurione si mise in bocca una caramella di liquirizia.

31. Lo spilungone premette a lungo il pulsante dello sciacquone del cesso. Aveva afferrato per il collo il banconista con una mano enorme e gli teneva la testa ben ferma dentro la tazza. Si udiva solo lo scroscio violento dell'acqua e il rantolo del cameriere che cercava disperatamente di respirare. Poteva farlo solo con la bocca perché il naso frantumato e spiaccicato era pieno di sangue e di muco.
Lo tirò su, lo appoggiò al muro e gli calò violentemente un pugno sulla clavicola sinistra. Dal rumore che sentì l'uomo che indossava la tuta da meccanico pensò che doveva essersi frantumata in dieci pezzi.
Il cameriere non riusciva nemmeno più a urlare. Il sangue gli colava dal naso come da una fontana, ma lui teneva gli occhi sbarrati dal terrore sulla faccia dello spilungone.
-La tua vita non vale più un cazzo, amido, se non ti decidi a dirmi quello che voglio sapere. Scelgo io comunque come farti crepare, e non ti divertirai troppo.
Gli infilò di colpo nella bocca le dita della mano destra, mentre gli serrava il collo con l'altra mano. Tirò fuori con uno strappo violentissimo almeno venti centimetri di lingua.
L'uomo che indossava la tuta da meccanico rabbrividì sgranando gli occhi: non aveva mai visto una lingua umana tanto lunga e paonazza.
Uno schizzo di sangue uscì dalla bocca spalancata insieme a una specie di muggito inarticolato.
-Allora? Chiese lo spilungone.
Il cameriere annuì mugolando.
Lo spilungone lasciò libera la lingua che rimase per qualche secondo penzoloni; poi cominciò lentamente a rientrare nella cavità orale del cameriere che vomitava sangue e saliva.
-Volevi dire qualcosa? Chiese di nuovo lo spilungone.
L'altro cercò di emettere dei suoni, ma gli si doveva essere gonfiata la lingua perché non riusciva più a chiudere la bocca.
-Scrivi qui sopra, gli intimò lo spilungone.
Ci mise un po' di tempo perché le mani gli tremavano orridamente.
-Via di qua! Intimò ai suoi compagni lo spilungone quando ebbe l'indirizzo.

32. Gegè aveva svuotato la cassetta come gli era stato consigliato e ne aveva subito affittata un'altra a nome suo. Da quella di suo padre aveva tirato fuori cinquantasettemila marchi in contanti, un contratto di acquisto e due chiavi di un magazzino in una strada periferica, con annesso un piccolo locale di due stanze e cucina al primo piano, collegato al magazzino da una scala di ferro esterna, e infine in una busta di plastica un anello d'oro massiccio con le iniziali in grande intrecciate S e R.
Uscì dalla Banca e, preso a volo un taxi, si fece portare al magazzino. Era naturalmente vuoto, ma pulito e messo in ordine da poco. Nella cassetta delle lettere c'era una busta chiusa senza indirizzo. L'aprì e lesse i due fogli dattiloscritti che conteneva. Dopo bruciò tutto con la fiamma del suo accendino.

Fine della prima parte



venerdì 18 novembre 2011

PROVA DI ROMANZO 3


Da pagina 137 del Word di "INTERVISTA A D.O."


Madame Corinna Cavalleri aprì nuovamente a metà una finestra del corridoio che univa i due saloni principali del secondo piano e tagliò con un coltellino dal manico di avorio la funicella argentata liberando i ventidue palloncini colorati che nel pomeriggio aveva ancorati al davanzale. Therèse, la sua giovanissima ancella còrsa, con sollecita solerzia e consumata abilità gliene preparava immediatamente degli altri usando una bombola di idrogeno compresso, che il Direttore Franziscus Ackermann aveva precedentemente prelevata dalla sua officina al piano terra e lasciata a disposizione della ragazza accanto alla finestra.
-I rossi sono i nostri dolori, Therèse, i bianchi le nostre gioie, i rosa le nostre speranze, i gialli le delusioni, spiegava madame Cavalleri alla giovane còrsa.
-Io pensavo che questi verdi fossero le speranze, per via del colore madame, bofonchiava Therèse poco convinta.
-Il verde è il colore della bile, ragazza mia; questi verdi sono gli odi e i veleni che ci portiamo dietro per tutta la vita, quelli che produciamo in proprio e che schizziamo sugli altri, sui nostri nemici, e quelli che gli altri, i nostri nemici, ci schizzano sulla faccia. Hai capito, chéri?
-Oui, madame.
A Therèse non importava un fico secco dei veleni dei nemici e delle gioie degli amici, il suo cuore batteva svelto svelto per Nicolette, la bambina che era rimasta a Lumio nella sua piccolissima casetta còrsa. L'ultima volta che aveva abbracciato la sua sorellina era stato due anni prima, quando era salpata con la nave dal porto di L'lle Rousse per andare a Marseille. Da allora mai più vista, e adesso dicevano che non c'era più tempo. A madame Cavalleri invece importava soltanto vedere in che formazione i palloncini sarebbero volati verso il cielo. Se si sparpagliano sono dolori e delitti, macabra consolazione dopo così tanti anni trascorsi su questo pianeta pensare di doversi andare a cacciare in ulteriori casini in un nuovo corpo celeste; ricominciare a combattere contro mostri dalle sette teste per sette, ma chissà se stavolta poteva almeno portarsi dietro le esperienze già fatte qui, le botte prese, i tradimenti, le porcherie che aveva subito, non quelle che aveva fatto si capisce, quelle erano state difensive, di sbarramento, nebbie calate intorno per poi fuggire veloce e mettere il culo in salvo, mon Dieu! Chissà se nel nuovo mondo avrebbe rinnovato i fasti del vecchio: Cinecittà, Paris, London, Hollywood. Ah, mon Dieu, mon Dieu, che meraviglia sarebbe stata! Arrivata dal nulla (da dove Corinna, te lo ricordi ancora? Ma da Tunis, certo, figlia di una tunisina e di nessuno), bruttina, scura scura, per fare la serva basta, ma che occhi mamma mia! Signora bella lei si va a mettere in casa una con gli occhi di fuoco con un marito giovane come il suo? E che può fargli? Certo che gli occhi sembrano quelli dell'amante del demonio, ma poi che resta? Magrolina, piatta di sopra e per chiappette due noci; a mio marito piacciono belle polpute come me, guardate qua che natiche e che tette! E poi a lui nel letto piace parlare dopo, mica soltanto...lei mi intende comare; e questa non sa né parlare né stare zitta, poveraccia, che sembra si sia inghiottita la lingua per la fame che deve sempre aver avuto. No, cara comare, non c'è alcun pericolo, troppo scema la piccola per interessare un intellettuale come mio marito. Beh, certo un avvocato di grido, un principe del Foro mica uno stupido qualunque. Ma non è solo quello, comare cara: lui scrive romanzi storici, mica quelli d'amore o di avventura, nossignora, storici li scrive, che devi sapere di storia antica e di geografia, e di alchimia e di scienze, di botanica e di biologia e vattelappesca ancora di cosa, e questo me lo ha spiegato lui una volta nel letto, dopo si capisce comare. E che va a parlare con la moretta di queste cose? E lei che gli risponderebbe? Io nemmeno, per essere sincera, ma almeno lo stavo a sentire in modo intelligente, mi capisce? Con una faccia intelligente, ché lui dopo accende la luce e quando ti parla ti guarda in faccia, mica come certi mariti che la luce non l'accendono mai, né prima né dopo e di parlare non hanno mai voglia, così dopo ti devi far bastare un grugnito che chissà cosa cavolo vorrà dire, se un grazie o una buona notte o magari tutti e due. Se le cose stanno così può stare tranquilla, ché la ragazza non mi pare tanto intelligente. Per capire capisce, ma roba di stirare o di cucinare o di pulire perché quello è ciò che fa con più voglia perché non deve pensare a niente e magari canta, e avrebbe pure una bella vocetta, ma chissà cosa dice, perché parla una lingua strana quando canta. Io comunque dormo fra due guanciali, perché mi fa le cose essenziali, spendo poco, non sporca e non parla mai. Per il resto non c'è problema, comare mia.
E problema non ci sarebbe stato se l'avvocato di grido, il principe del Foro che scriveva romanzi storici non avesse ascoltato le canzoni che canticchiavo io, musica strana, mi dice, musica araba, musica della mia infanzia, e che dolci parole, d'amore non è così? No, sono parole di gelosia e di morte, è una donna che è stata tradita dal suo uomo e spera che rincasi presto perché gli vuole tagliare la gola, e questo prima che sorga la luna, perché non si può scannare un uomo se c'è la luna in cielo. Che meraviglia! Vieni a cantarmela in bagno mentre che faccio la doccia; ma signore, io non entro nel bagno quando c'è un uomo nudo che si lava. Non vedrai niente, chiuderò i battenti della doccia, è vetro smerigliato non si vede niente. Tu canta e io ti pago un mese in più. Posso mandare a mia madre un bel po' di quattrini questa volta, e non mi passa per la testa altro che questo, e lui va sotto la doccia e apre l'acqua e si sente che scroscia, e io fuori dalla porta del bagno appena appena con la testa dentro gli canto la mia melodia appassionata di odio e di morte, tanto non ci sono problemi, la signora non c'è e non torna prima di sera e ho tutto il tempo di mettere in ordine la cucina e l'ingresso, anche se adesso perdo il mio tempo con questo sciocco che vuole sentire la mia canzone mentre che si lava. Ma lui non sta sotto la doccia, è fuori, nascosto dietro l'angolo che aspetta che io metta dentro non solo la testa ma anche un po' del resto e appena vede spuntare un pezzetto mi salta addosso, mi agguanta e mi mette sotto di lui, che pesa almeno trenta chili più di me e ti saluto verginità! Hai voglia poi a piangere e disperarti, lui dice e che cavolo vuoi? Il primo che ti fai è un principe del Foro, un uomo illustre e colto che tu nemmeno osavi sognare, e adesso tu questo lo farai con me quando e dove voglio io, e te ne stai zitta, ché se parli ti sbatto fuori di casa mia a calci nel culo, così ti annullano il permesso di soggiorno perché non hai lavoro, e se io dico che ti ho sorpresa a rubare in casa mia ti sbattono in galera insieme alle ladre e alle puttane, e chi ti tira più fuori da lì dentro? La tua parola contro la mia, te lo puoi immaginare quanto conta la tua parola. E non far capire niente alla signora ché sennò lei ti ammazza di botte, tu sai quanto è nervosa. A me non succede niente se tu glielo vai a dire, ma a te ne suona tante che dopo non ti riconosce nemmeno la mamma tua. Quindi adesso pulisci lì quel sangue che mi fa schifo vedere, mettiti in ordine e piantala di piagnucolare, ché ormai non c'è più niente da fare. E i miei soldi? Ecco, così mi piaci, vuol dire che mi hai capito. Stai tranquilla, ora te li prendo, ma vai a metterli in un posto nascosto, ché non te li trovi la signora, perché io non dirò mai a lei che te li ho dati io, e perché, tu lo capisci vero? E dove li nascondo? Fai un conto in banca, ma non la nostra qui all'angolo; vai nella banca in fondo alla nostra strada, magari aspetta, domani parlo io col direttore che è mio amico e gli dico di aprirti un conto corrente, poi i tuoi soldi li metti tutti lì; ma non ti pensare che io ti dia uno stipendio per ogni volta che tu mi fai un lavoretto; passi per questa volta, promesso è promesso, ma poi stabiliamo un incentivo o qualcosa del genere.
Così andò avanti per tre anni, mentre che madame Corinna Cavalleri, che allora si chiamava Camille Coriot, Coriot come sua madre si intende, cresceva e cresceva e la pelle le si stava schiarendo e diventava come quella di suo padre, le disse la madre quando la rivide a Tunis l'unica volta che andò a trovarla, suo padre che era un francese, bianco ariano e cattolico, ma i capelli e gli occhi neri come quelli dei corvi, come quelli della madre, e quindici centimetri più alta e noci di dietro, ma noci di cocco e due tette sode e a punta che la signora non aveva mai avute, e il ventre piatto come una pista da ballo e insomma tutti per strada si voltavano e le facevano dietro fischi e rumori con la bocca come di chi lecca il gelato, e anche la signora cominciava a capire che l'anatroccolo era diventato un cigno, e cominciava a vedere che il marito le sbavava dietro perché Camille aveva imparato a farlo soffrire e spasimare. E vallo pure a dire a tua moglie, a mettermi le mani addosso deve pensare due volte ché ormai sono più forte di lei e più giovane assai, e se poi mi caccia via ne trovo uomini disposti a prendermi quanti te ne puoi immaginare, a cominciare da quel Procuratore della Repubblica che da un po' di tempo passa quasi tutte le sere qui da noi, non certo per parlare con te di alchimia e di altre cazzate, ma solo per vedere passare me su e giù davanti al suo naso. Me ne sono accorto, brutta puttanella, che gli sculetti a due centimetri dal naso. Ti darei un manrovescio su quella faccia da troietta. Sei geloso? Perdio quanto! Ti ammazzerei quando dai tutte quelle occhiate ai nostri ospiti, che a me non dai più. Non si può, la tua vecchia si sta accorgendo di tutto, ma se te ne starai buono e fermo con le mani ti faccio un lavoretto sul pancino domani dopopranzo quando la strega di tua moglie va dal parrucchiere o dal visagista, ché per metterle a posto tutte le rughe ci vuole un pomeriggio sano.
Così Camille sistemava le dispute col suo datore di lavoro e di extra salario, che era diventato sempre più opulento, come il suo conto in banca che aumentava a dismisura, adesso che non doveva mandare più soldi a sua madre morta per una malattia di cuore, ma solo un mazzo di fiori una volta al mese, che con Fleurop non si spende molto e almeno questo per la propria madre si deve fare. Ma il Procuratore della Repubblica non mollava, aveva sentito odore di selvaggina e ci stava sopra come un leopardo affamato. Le aveva infilato un biglietto nel risvolto della manica: c'era solo un numero di telefono e quattro parole "a tutte le ore". Il numero del suo ufficio in Procura, il numero più sicuro di tutti, le aveva detto. E che cosa vuole da me signor Procuratore? Vuole farmi arrestare signor Procuratore? Anselmo, ti prego, soltanto Anselmo. E va bene, allora Anselmo cosa vuoi da me? Facile la risposta, una parola soltanto, come Camille si era immaginata "Te", facile, come bere un bicchiere d'acqua tiepida. OK! Ma io non voglio fare più la serva, Anselmo, mai più. Dio mio no, certo che no! Tu sei troppo bella per pulire pavimenti e piatti sporchi; te ne starai in un bell'appartamentino sull'Aventino pieno di ogni grazia di Dio. A fare che, ad aspettare che arrivi tu? No, Anselmo, non ci sto. E che cosa vuoi che faccia? Tu conosci Sergio Selvaggi il regista, e poi conosci tutta la gente importante a Cinecittà: presentameli questi amici tuoi, che ti devono tanti favori, digli di fare adesso un favore a te e di piazzare una stellina. Saresti tu? Sono io. Ma non hai mai recitato. Mettici una parola tu e vedrai che non serve avere o no recitato. Tu farai questo per me e io farò tante belle cosine per te, d'accordo? E come non poteva esserlo? Che poi gli straordinari che Camille aveva previsto non fossero necessari, quella fu una piacevole scoperta; ma chi se la sentiva in quella manica di farabutti, fra registi, aiuto registi, sceneggiatori e soprattutto produttori di farsi trovare in mutande ai piedi di un lettone per un provino, sapendo che la fanciulla da sprovare era l'amichetta del potentissimo Procuratore Generale della Repubblica? Caution, Vorsicht, circonspetion, cautela e diffidenza occorrevano, meglio non inoltrarsi nel campo minato, meglio non immergere nemmeno la punta dell'alluce nel liquido se se ne conosceva bene la natura e la temperatura; astenersi bravamente e prego signorina si accomodi, su una poltrona magari scomoda, ma di sicuro a una piazza e piuttosto duretta. Una particina in un film in costume, tanto per cominciare; costumi romani antichi, una spalla scoperta che si veda un pochino ma non troppo, tranquillizzi sua eccellenza, c'è una gonna con lo spacco, andava di moda allora e anche adesso, e lei signorina non ha nulla da temere con quelle sue gambe lunghissime, talmente lunghe che dovremo fare uno spaccone per farne vedere appena la metà, e finiva con una risatina a singhiozzo, poveraccio. Eri brava Camille, questo non se lo aspettavano, nemmeno sua eccellenza, che veniva ogni sera nel superattico sul Gianicolo a controllare che tutto fosse a posto per l'occhio della testa che gli costava quella baracca, e Camille era sempre a posto, sempre pimpante perché era agli inizi di una carriera che se lei avesse avuto accortezza poteva portarla assai lontano, ma se lei avesse fatto la stupida la poteva portare soltanto a Tor di Quinto o in un vicolo del centro storico; questo Camille lo aveva capito bene e si applicava giuliva e coscienziosa ai suoi doveri, tanto sua eccellenza era un po' avanti con gli anni e lei se la cavava con una dimenatina di tettine dorate e di chiappette sante. Il difficile era risvegliarlo ogni volta perché non fosse troppo tardi per portare la moglie a cena o a teatro, che ci teneva così tanto poverina a farsi vedere in giro sottobraccio al suo importantissimo marito. Ma tu Camille eri veramente brava in quel tuo nuovo lavoro, e i registi se ne accorsero subito che tu bucavi lo schermo, e ti si vedeva anche in fondo e in mezzo a mille, e allora mettiamola davanti alla macchina da presa quella stallona anche se non sa dire nemmeno una parola, ma guarda guarda, sa anche parlare? E se sapesse anche recitare? Proviamo un po' con una commediola leggera, tanto per vedere come se la cava. Se la cavava col record degli incassi, ecco come se la cavava. C'erano voluti solo un paio di anni per arrivare ai grossi film che costavano cari, e poi subito un riconoscimento a Cannes e poi a Venezia e poi da per tutto. La prima attrice italiana ( ma sì, faglielo dire che ti frega, scordati Tunis e lascia che ti trovino una famiglia medio borghese di Messina come ceppo di origine, e tu ti chiami adesso Cori Cavalleri, Cori da Corinna che fa tanto effetto come nome antico e impegnativo) la prima attrice italiana dicevo che si stabilisce in pianta stabile a Hollywood e si becca due Oscar con la regia di, e di. Mamma mia, chi se lo sarebbe mai sognato che da una scopata rubata su un pavimento di un bagno sarebbe venuto fuori tutto questo bendidio! Tempo di grande vita, tempo di grandi amori, perfino lo Sciah di Persia soggiornò brevemente ma intensamente sotto le mie coltri e mi regalò questa stupenda collana di perle nere che da allora porto sempre al collo, anche adesso si capisce che mi aspetto di andare sul prossimo mondo con questa al collo a miracol mostrare come le donne dei poeti antichi.
E intanto controlla in cielo che formazione hanno preso i palloncini, che a quel che sembra se ne stanno volando belli compatti come una grossa nuvola colorata. Benissimo allora! I nostri grossi guai e i dolori li lasceremo su questo pianeta moribondo e alla fine ci ritroveremo in qualche bel posticino, senza afflizioni addosso e senza rogna da grattarci.
Chissà con quale dei miei vecchi amanti mi capiterà di volare questa volta?