venerdì 27 giugno 2014

DIFENDO BALOTELLI

Difendo Balotelli perché è nero.
Difendo Balotelli perché è calcisticamente poco intelligente.
Difendo Balotelli perché ha un carattere di merda.
Difendo Balotelli perché è fragile come un'educanda.
Ma non difendo Buffon e i senatori azzurri.
Ormai tutti hanno capito come è il nostro Calimero, centravanti tutto nero, perfino il suo mentore Prandelli lo ha finalmente capito, ora che si è dovuto dimettere. Il ragazzo ha doti calcistiche non comuni, che gli consentono di fare alcune giocate da grande campione, ma gli manca la continuità e l'intelligenza calcistica di capire che queste cose belle e buone deve metterle al servizio della squadra in cui gioca, sia che si tratti dell'Inter, del Manchester City, del Milan o della Nazionale.
Ma oltre le doti calcistiche ha anche un vuoto mentale che gli fa fare cazzate immense e controproducenti, che si traducono in comportamenti arroganti e strafottenti nei confronti dei compagni e degli avversari. È facile a prendere fuoco e a fare falli inutili e plateali, da cartellino giallo e due cartellini gialli fanno uno rosso, come avrebbe già da tempo dovuto notare. Non è infatti la prima volta che lascia la sua squadra in dieci. Il guaio è che oramai gli avversari sanno che basta toccarlo un po' duro che lui reagisce e becca il giallo, per cui lo provocano e lui è così scemo da cadere ogni volta nella trappola. Anche nel caso sia entrato in campo con le migliori intenzioni del mondo basta un niente per farlo incazzare e fargli perdere di vista il fine della sua presenza: aiutare la squadra a vincere, segnando magari un gol. Per cui il più delle volte ti trovi una palla di piombo ai piedi e non l'attaccante capace di risolvere a tuo favore la gara.
Tutto questo è avvenuto in Brasile durante la partita contro i costaricani, persa per zero a uno, e soprattutto nella decisiva sfida cogli uruguagi persa con lo stesso punteggio.
Questo detto e chiarito non mi piace tutto il can can che ne è venuto fuori con la stroncatura mediatica di questo Balotelli padre di tutti i mali della terra.
Il fatto che sia nero come il carbone non è e non deve essere un'aggravante, né un'attenuante sia ben chiaro, ma solo una realtà. Il ragazzo è italiano a tutti gli effetti essendo nato in Italia ed essendo stato adottato in tenerissima età da genitori bresciani che lo hanno tirato su come meglio non si poteva. Non vale adesso dire, come qualcuno beceramente ha fatto, che non ha senso di italianità. Fesserie.
Non è colpa del colore della sua pelle se lui è così fragile dentro. Non ci vuole molto a capire che tutta la scorsa di burbero e di duro che si è cucito addosso gli serva per coprire l'intima fragilità dello spirito e del carattere. Basta vederlo piangere ogni volta che lo mettono in castigo, leggi che lo sostituiscono. Basta vederlo rampognare compagni ed avversari per una palla persa o per un passaggio che non gli è arrivato in tempo o come lo gradiva lui.
Ma lo si sapeva e si doveva decidere se insistere su di lui o portare un altro più affidabile. In tutta coscienza non poteva essere lasciato a casa. Avendo già perso Rossi ancora non rimesso da un grave infortunio non si poteva certamente rinunciare anche a Balotelli. Vero è che si è rinunciato anche alla terza punta e si è poi visto quanto sarebbe servita.
Però non me la sento di buttare la croce su Prandelli che ha avuto il grande merito di dimettersi immediatamente ad eliminazione avvenuta. Che in Italia è un record assoluto: qui non si dimette mai nessuno e ne abbiamo esempi clamorosi passati e recentissimi.
Io non giustifico Buffon, De Rossi e gli altri senatori della squadra che hanno scaricato tutta la responsabilità del comune fiasco sulla groppa di uno solo di loro e cioè di Balotelli. Ingeneroso e falso. In tanti anni che seguo la nazionale mai mi era capitato di vedere gli stracci sporchi volare come questa volta, e un capitano accusare anche senza farne il nome uno della squadra del disastro di cui era responsabile al pari degli altri se non di più.
Nelle diciassette edizioni del dopo guerra la nostra nazionale una volta, nel 1958, non ha potuto partecipare perché eliminata nel girone di qualificazione. Nelle altre sedici edizioni ben otto volte, il 50% quindi, è stata eliminata nel girone iniziale a quattro; due volte ha raggiunto la finale, 1970 e 1994; un terzo posto nel 1990, un quarto posto nel 1978, tre volte è uscita negli ottavi di finale, 1986, 1994 e 1998 e due volte ha vinto il titolo e cioè nel 1982 a Madrid e nel 2006 a Berlino, in quello che resta finora come il miglior mondiale giocato dagli azzurri.
Quindi abbiamo fatto più figuracce che figuroni e ci siamo oramai abituati.
Ma non era mai successo che un intero gruppo di anziani, con in testa il grande capitano Buffon indicasse in un solo giocatore lo squallido autore del naufragio.
Io dico che dovrebbero vergognarsi e pensare al ritiro, come ha fatto onorevolmente Prandelli. 

mercoledì 25 giugno 2014

MI RESTANO ANCORA SOLO DUE VITE

Artemisia dipingeva cavalli. Li dipingeva al pascolo e al galoppo; in gruppo e isolati; neri, bianchi, pezzati, puro sangue e no. Artemisia amava i cavalli.
Dipingeva anche uomini. Nudi e vestiti. Con vesti moderne di nobilissime sartorie e con abiti del seicento. Li dipingeva fermi come nelle vecchie fotografie oppure impegnati nella lotta uomo contro uomo. Dipingeva uomini bianchi e uomini di colore. Artemisia amava gli uomini.
Dipingeva anche spianate marine con pesci immensi che guizzavano in superficie: erano delfini, erano pesci spada, erano tonni, erano squali. Artemisia non amava quegli enormi pesci, amava il mare e scivolare sotto il pelo dell'acqua a due o tre metri di profondità con indosso una muta da subacqueo e impugnando un fucile con cui difendersi da eventuali squali. Possedeva una serie di mute, tra cui una bianca, che indossava nel Mar Rosso pieno di squali, perché il bianco li tiene lontani, dicono gli esperti.
Artemisia aveva il terrore degli squali.

*

Costantino guidava veloce sull'Autostrada del Sole la sua BMW decappottabile. Guidava sulla corsia di sorpasso come di solito perché Costantino amava la velocità e le macchine sportive. E pensava. La cosa che gli veniva di fare ogni volta che era al volante: guidare il più veloce possibile e pensare.
Questa volta pensava allo strano sogno che aveva fatto durante quella notte. Era venuta a casa sua la polizia ad arrestarlo perché lui aveva ucciso Artemisia, la pittrice famosa. Stava correndo da lei e si sarebbero fatte due risate insieme quando le avrebbe raccontato il sogno.
Riuscì ad evitare la sbandata di un camion che stava sorpassando, arrivando a sfiorare il guardrail. Sacramentò tra i denti e ridiede gas. Un incidente a tetto scoperto e a quella velocità poteva costargli la vita, e a lui ne rimanevano ancora solamente due.
Da quando aveva scoperto il suo segreto viveva nell'ansia. Scoprire di avere quattro vite a disposizione invece di tranquillizzarlo sul suo futuro lo aveva angosciato: aspettava sempre la prossima morte.
Si chiamava Anselmo Guidi quando era deceduto la prima volta. Ingegnere edile costruttore di ponti e di tunnel era rimasto sepolto da una frana. Si era scoperto vivo nel mucchio di gente che assisteva al recupero della sua salma. Senza porsi domande aveva preso un taxi e aveva dato all'autista l'indirizzo di un posto dove non era mai stato, sulla Via Tiburtina a Roma. Aveva chiavi in tasca mai viste prima, ma aprivano il portone e un appartamento del terzo piano. Sulla porta c'era scritto M. Maresca, avvocato.
Appena entrato aveva capito subito tutto. Misteriosamente. Una specie di fluido gli era penetrato sotto la pelle e si era sentito Marcello Maresca, con un altro passato. Non si era meravigliato nel vedere riflessa dallo specchio l'immagine di un giovanottone aitante e alquanto più giovane dell'ingegner Guidi, né di trovare una borsa con dentro i documenti della sua nuova identità. Poi aveva scoperto un documento che lo riguardava, dove era scritto che quella seconda vita precedeva altre due, soltanto due e che poi non ce ne sarebbero state più a sua disposizione.
L'incidente ferroviario avvenuto nei pressi di Firenze due anni dopo aveva coinvolto tra le vittime anche l'avvocato Marcello Maresca. Nel risentirsi vivo accanto ai soccorritori, che ormai estraevano dai rottami dei vagoni soltanto i morti non si era meravigliato. Non aveva aspettato di vedere la sua salma, la cosa era priva di interesse. Con un autobus aveva raggiunto Piazza Vittorio a Roma. Di lì a bordo di un taxi Via Monteforte Irpino. Ancora chiavi in tasca che aprivano un portone e poi salire direttamente al settimo piano e aprire la porta dell'appartamento numero 74, dove abitava un certo Costantino Cenci, fisioterapista. Lui per l'appunto.

Lasciò l'autostrada a Orte ed entrò nella E45 per Viterbo. Arrivato alla Cassia prese in direzione Nord. Un paio di chilometri dopo imboccò la provinciale per Capodimonte sul lago di Bolsena.
Sorrise compiaciuto: Artemisia lo stava aspettando sull'isola Martana, dove aveva una villa e il suo atelier. Costantino ci aveva già soggiornato due mesi prima, una vacanza di una settimana, conclusa con una cena luculliana e una bevuta colossale del buonissimo vino della cantina di Artemisia. Il vino gli scioglieva sempre la lingua, anche quella sera. Mamma mia quante ne aveva raccontate, anche la storia delle sue quattro vite. Per fortuna Artemisia era sbronza come un cammello e rideva beata. Di sicuro non ci aveva capito niente in quella storia sgangherata e al mattino successivo aveva dimenticato tutto perché non gliene aveva fatto alcun cenno. 
C'era però ancora qualcosa che Costantino aveva raccontato, ma non era in grado di ricordare cosa. Niente di importante comunque perché lei non gliene aveva più chiesto nulla. Rise: passata nel dimenticatoio tutta la faccenda. Ora doveva fare in fretta per arrivare all'isola prima di pranzo, cominciava ad avere una gran fame. Gli bastava giungere al porticciolo di Capodimonte e prendere il motoscafo di Artemisia, lì ancorato. Costantino aveva avuto da Artemisia la copia delle chiavi.

*  

Artemisia era già discesa nella piccola darsena. Si denudò e indossò la muta bianca, quella che usava nel Mar Rosso per tenere lontano gli squali. Controllò il livello dell'ossigeno nella bombola e la carica del suo fucile subacqueo.
Sul suo cellulare premette il tasto di chiamata sul nome di Costantino e attese.
-Dove sei adesso? Chiese.
-Sto parcheggiando. Tra cinque minuti metto in moto il motoscafo.
-Ti aspetto.
Artemisia sistemò la bombola sulla schiena e ne assicurò strettamente le cinghie sotto i suoi seni; calzò le pinne, raccolse il fucile ed entrò in acqua. Chiuse la maschera, mise in bocca il boccaglio del respiratore e iniziò a nuotare scendendo subito a cinque metri. Andava incontro al motoscafo e pensava.
Pensava ai racconti scalcagnati di un ubriaco, che ricordava parola per parola. Naturalmente lei quella cosa delle quattro vite l'aveva battezzata per autentica. Una cosa le era rimasta ben fissata in mente: al termine della quarta vita sarebbero scomparsi gli ultimi tre corpi e ne sarebbe rimasto solo uno, quello dell'ingegner Guidi, sepolto al Verano da parecchi anni ormai.
Pensava Artemisia a quell'altro racconto di Costantino, che riguardava una relazione vecchia ma ancora in atto con una certa Maria Elena, chiamata "Stella". Mentre Costantino dormiva, ubriaco fradicio, lei aveva controllato sul suo telefonino. Nessuna Maria Elena naturalmente, ma un numero che corrispondeva a una stellina.
L'aveva chiamata inventandosi una scusa e abilmente ne era diventata amica. Così si era fatta raccontare tutta la storia della sua relazione con questo ragazzone d'oro, che lei chiamava Tino.
Tutto vero: Costantino, o Tino, incontrava Maria Elena tutte le volte che il suo lavoro lo portava a Milano, cioè ogni due settimane.

Artemisia nuotava lentamente verso il largo, verso la direzione di arrivo del suo motoscafo. Sentì un rumore di eliche in avvicinamento e si fermò.
Vide lo scafo che procedeva lentamente. Costantino non era un esperto navigatore. riusciva appena a tenere dritta la prua del motoscafo.
Artemisia alzò il fucile e prese la mira. A dieci metri di distanza lasciò partire l'arpione a testa doppia.
Lo scafo fu perforato al centro. Artemisia tirò indietro con forza il cavetto di acciaio dell'arpione, che uscendo dallo scafo ne allargò il buco sul fondo. Il motoscafo iniziò subito a imbarcare acqua abbondantemente.
"Un paio di minuti e cola a picco", pensò Artemisia. In quel punto erano a circa duecento metri dalla riva e Costantino non sapeva nuotare.

*

Aveva sentito il colpo sotto lo scafo e l'imbarcazione aveva sussultato vistosamente. Costantino pensò di avere speronato uno scoglio, o un relitto. Si accorse in ritardo che stava imbarcando acqua, molta acqua. Volse uno sguardo disperato alla riva dell'isola. Lontanissima. Irraggiungibile. Costantino pensò di essere spacciato. Sperò che il motoscafo rimanesse a galla, ma si rese conto che una forza enorme lo stava risucchiando verso il fondo.
Si inabissò col motoscafo. " Questa è una brutta morte, pensò. Speriamo che il prossimo sappia nuotare".
Affogò dibattendosi con un immenso dolore in mezzo al petto. All'improvviso il dolore scomparve e Costantino vide come ultima cosa la superficie dell'acqua illuminata dal sole.

Un attimo dopo dava vigorose bracciate, battendo i piedi come due eliche. "Perfetto, pensò, il quarto sa nuotare". Guadagnò la superficie in un attimo e vide la riva dell'isola Martana distante appena un centinaio di metri. Cominciò a nuotare con forza a grandi bracciate veloci.
"Chissà che faccia farà Artemisia vedendo un uomo diverso da Costantino, pensava. Chissà poi chi sono io adesso". Ma quel problema lo avrebbe affrontato in un secondo momento, oramai era un esperto nelle resurrezioni.
Finalmente la vide, in piedi sulla darsena. Indossava una muta bianca e lo stava aspettando.
L'uomo emerse lentamente camminando sul fondo sabbioso.
-Non ci crederai Artemisia, ma io sono Costantino, o meglio il suo successore. Ora ti spiego.
In quel momento si accorse che lei stringeva un fucile subacqueo nella mano destra, con la fiocina già inserita.

*

Quando lo vide completamente emerso a non più di una quindicina di passi da lei Artemisia alzò il braccio armato, mirò al petto dell'uomo e premette il grilletto.
La fiocina sfondò il torace e penetrò profondamente. L'uomo crollò nell'acqua bassa senza un gemito. Si dibatté per un attimo poi restò immobile.
Qualche secondo dopo il cadavere scomparve e Artemisia cominciò a ritirare il cavetto d'acciaio della fiocina.

mercoledì 18 giugno 2014

AGRO MIELE



Interrogo i miei ricordi futuri dai quali
non vorrò sottrarmi;

disegno parole in una lingua inconoscibile
sulla polvere deposta da decenni 
di attese: acido fuoco ghiacciato qui, privo
adesso di una risposta senza reticenze.

Agro miele zampilla da colori appiattiti,
defluisce nelle acque di un canneto
in lentissime gocce; 

si disperdono
ai margini di un'autostrada

e subito tutto intorno è silente.


(Maximiliansau, 20 aprile 2014)


*

lunedì 16 giugno 2014

LO STESSO CHE ANDARE IN MONTAGNA

La vita è un ascensore, diceva mio padre. Aveva naturalmente ragione, ma io ero troppo giovane per dargli retta. Adesso so che la vita è come andare in montagna: si sale e poi si ridiscende, per risalire ancora e poi...si ridiscende. Va avanti così, sempre, senza eccezioni, e chi si illude di trovarsi in cima sopra un altopiano deve purtroppo disilludersi dopo un po' perché si trova magari non di fronte a una discesa, ma ad un baratro, dove miseramente finisce. Le ascese sono dovute a momenti di euforia, oppure sono risalite dopo cadute libere per stati depressivi causati dalla perdita improvvisa dei genitori o dell'amatissimo fratello maggiore, con conseguenti complessi di colpa per non aver fatto in tempo a dire questo e quest'altro, per non aver fatto questo o quest'altro. Le discese a volte sono lente e benefiche perché riconducono alla realtà quotidiana; a volte invece sono rovinose precipitazioni dovute ad errori. Errori che condannano e portano con sé orrori.
Un'altra cosa diceva mio padre, saggia persona tanto perbene: dentro ognuno di noi c'è una bestia feroce. Guai a lasciarla uscire, azzanna, ferisce e qualche volta uccide e comunque sempre fa del male al suo antico proprietario, come minimo gli rovina la reputazione.
Orbene a me sono capitate tante occasioni in cui questa bestia sarebbe dovuta uscire fuori e non lo ha fatto mai. Almeno quella volta che, tradito da un amico socio in affari, mi sono trovato col sedere per terra senza risorse e son dovuto emigrare in una terra straniera a fare il Gastarbeiter, termine che non si usa più da anni, ma che era assolutamente dispregiativo e discriminante. Nemmeno allora l'orrida bestia è uscita fuori, tanto che oramai mi ero convinto di non avere dentro di me questo mostro, toccata la soglia dei miei secondi quaranta anni, di essere immune da questa nauseabonda malattia che è la ferocia con cui si vorrebbe a volte sbranare gli altri. Avevo per così dire abbassato la guardia e me ne andavo tranquillo per la mia via, fiducioso nel mio futuro.
Ma è successo qualcosa. Ho scoperto di avere gelosamente conservato una banconota nuova da venticinque euro, sul cui retro non c'era un ponte, bensì l'ingresso di un tunnel senza uscita. Come abbia fatto a non accorgermene lo ignoro, ma la mimetizzazione (o dovrei chiamarla mistificazione?) era perfetta: sembrava vera, sembrava autentica, e sembrava che la possedessi solamente io questa meravigliosa banconota. 
La banconota mi è esplosa tra le mani, mi ha riversato il suo acido e vischioso colore tutto addosso e mentre io cercavo di nettarmi la dita e le mani di quel liquame nauseabondo, forse stropicciandomi le mani sui panni che indossavo, si deve essere aperto uno spiraglio da cui l'immonda creatura è uscita fuori allo scoperto. 
Ho potuto constatare allora quanto fosse fuori controllo, quando difficile fosse farla rientrare nel suo puzzolente ricovero. Ho lottato a lungo, ma adesso ci sono riuscito. Purtroppo ha fatto molti danni, ha azzannato e ferito e quasi ucciso. Una sola cosa non poteva uccidere: l'amicizia tra me e la persona che tutto questo disastro aveva provocato con la sua isterica reazione ad una frase certamente scorretta ma non ingiuriosa né cattiva, perché quell'amicizia non era bilaterale, proveniva solamente da me, l'altra persona ignoro ancora adesso da quale sentimento poco umano fosse mossa. Proprio adesso che sembra essersi chiusa nello sdegno usa mezzucci da teatrino di cattivo autore e di pessimo regista, mandando a punzecchiare, a colpire, a sparlare fantomatici commentatori anonimi sul proprio e sul mio blog, anonimi che usano firmarsi con nome e cognome. Veramente sfortunata questa persona: è andata a scegliere il nome di un uomo che io ho personalmente conosciuto una quarantina di anni or sono, quando facevo il trasportatore per l'Europa con un mastodontico TIR. Lo conobbi in Romania, questo signor Marcello M., proprietario di aziende agricole e fabbriche di conserve. Persona affabile. Peccato che sia deceduto tre anni or sono nel suo paese toscano attraversando le strisce pedonali insieme a sua moglie. Aveva 78 anni, i conti tornano: io me lo ricordo giovane più o meno della mia generazione. Un'omonimia? Tutto è possibile, ma anche il secondo anonimo ha un nome e un cognome, che corrisponde a quello di un signor ML, anche lui deceduto ventisei anni or sono. Un'altra omonimia? Ma no, trucchetti innocenti.
Se vuole divertirsi lo faccia. Io ho rinchiuso la bestia nel suo antro e non la lascerò più uscir fuori.
Mi scuso con me stesso, innanzi tutto, quella parte nobile di me, che non meritava di essere trascinata nel fango; mi scuso coi miei amici e amiche di web, e sono tanti, di avere loro causato sconcerto e diffidenza nei miei confronti. Mi scuso con tutti meno che con quella persona, perché non lo merita, avendo lei ingannato me fin dall'inizio con le sue subdole arti. Per fortuna la storia finisce qui, almeno la parte pubblica.
Di questa nauseante vicenda non parlerò più nel mio blog.

venerdì 13 giugno 2014

GRIDO



Il grido del rapace
s'innamora dell'attimo tra giorno e notte:

una vita si spezza, l'altra
riprende vigore.

Trova posto nel mio sogno
il delicato dondolarsi sotto il cielo
dell'animale
finalmente libero e felice.


(scritta il 28 aprile 2014)


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martedì 10 giugno 2014

IL GABBIANO SPENTO


Mi sono perso e a lungo ho trascurato di cercarmi.

Mi rintraccio incarnato in un involucro
di uccello, scelto da me nel mio sogno del mattino.

Implode la mia struttura, escono fiamme
dal candido piumaggio, la malinconia
ha vinto sulla noia,
la morte gira l'angolo della siepe
dandosi alla fuga;

grandina sulle mie piume
cenere e smalto,

sale freddo per ricovero attende.
Il gabbiano spento sta planando
sull'acqua tiepida:

sul dorso mi soffia il libeccio e increspa
i resti di vita che ho rifiutata,
mescola pollini gravidi e cellule
di larve di insetti squamate;
il tutto in un momento.

Mi rifiuto di attendere
e mi allontano battendo i tacchi al suolo
con gran fracasso.


(5 giugno 2014)

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domenica 8 giugno 2014

VIVERE COME


Stanco di vivere come uomo

comincio a vivere come aria,
come ramo di betulla,
come sasso di torrente di altura;

come respiro del cielo
carico di nuvole notturne
quieto dei sapori della pioggia,

che in rivoli si fa fiume
e comincio a guardare il mondo come prato,
come schiuma di un'onda marina,
come fogliame di un frassino,

come frumento maturo, 
come ala di uccello spiegata in volo,

invece di costringermi in questo
infinito recinto di giornate tutte uguali,
prive di odori, di suoni, di ombre, di luce,
io che trafiggo la mia anima
a ogni passo, io 

che respiro le tue parole.


(4 giugno 2014)

*




giovedì 5 giugno 2014

MALINCONICA NOTTE



Malinconica notte in una stanza
dove l'ardore si accese per un amore
oggi spento:

sbiadisce il nome,
il tocco delle labbra,
il colore degli occhi;

solo si squama ancora

dall'intonaco della mia pelle

l'impronta del tuo alito

che mi rese leggero
sollevandomi fino al soffitto.


(scritta il 26 aprile 2014)

*



lunedì 2 giugno 2014

NENIA DI IMMAGINI


Nenia di immagini
generata da ottusa solitudine,

cantilena
di antichi sentimenti
spenti ancora prima di essere
riaccesi;

nebulose presenze
sospese nel buio.

Cerco di afferrarne le ombre.

A malapena ne annuso
i contorni.


(30 maggio 2014)