domenica 29 dicembre 2013

ULTIMA PAUSA DI POESIA DEL 2013


LUCE  BREVE


A me di fronte il gelo
di questo cielo notturno;
la pietà di me stesso
come compagna.

Un'ora battuta da un orologio lontano.

La luce breve che m'inonda
per un attimo,
sconosciuta,
immensamente sorella.

(20 dicembre ore 17,50)




VERITÀ  DISTESA


Verità distesa sull'orizzonte
l'onda, una linea diritta,
profana il vento.

Sta inalterato il giorno,
il tempo si muove appena.

Rubo l'esigua luce
da un cristallo di vita;
do inizio a ogni respiro
quietamente.

(21 dicembre ore 03,36 AM)




RINTOCCHI  DI  CAMPANA


Rintocchi di campana dentro il cuore
odore antico di schiuma di mare
nelle narici: narra storie lontane
che pensavi sepolte
sotto tonnellate di sabbia,
parole invece che crepitano ancora
come mortaretti a Capodanno.

Ci vuole tanto poco per continuare
a immaginare vita:
basta un messaggio notturno,
tre righe che appaiono innocue
ma danno germogli
alla terra
ricoperta dall'ombra 
di un sottobosco trascurato dai passeri.

(25 dicembre ore 03,04 AM)



Dedicate a tutti i miei ospiti, quelli che commentano e quelli che se ne astengono, quelli che gradiscono poesia e quelli che non la sopportano, quelli che mi seguono e quelli che mi snobbano, quelli che non fanno misteri di essere miei amici e quelli che altrettanto non fanno misteri di non esserlo. Dedicato a tutti con i miei auguri per il 2014.
Il vostro Enzo Iacoponi

venerdì 27 dicembre 2013

NATALE A LAUTERBOURG TUTTI INSIEME O QUASI

Che poi quando elimineranno queste feste sarà sempre una bella pensata. Perché i più giovani preparano gli antipasti e le bevande e i genitori lasagne e tutte le insalate, mica il contrario.
Alle 12,30 siamo tutti a Lauterbourg in Alsazia e vengono messe in forno le lasagne. Già i più piccoli mugugnano perché hanno sbirciato nei regali che abbiamo portato e visto che non ci sono giocattoli, e che ne sanno di accordi tra grandi e se lo sanno se ne fregano.
Mentre le lasagne cuociono lentamente vengono spazzolati quasi tutti gli antipasti, i sottaceti, i gamberi, il prosciutto di Parma arrotolato intorno a grissini torinesi senza sale, le olive giganti disossate con ripieno di paprica e aglio, i cubetti di formaggio greco, le fettine di camenbert.
Quando arrivano a tavola le lasagne qualcuno fa già i ruttini. Ma immediatamente prima due ravioloni ripieni di ricotta e spinaci con salsa a base di speck, ricetta polacca originale di Edyta.
-Vedrete il casino quando apriranno i regali, mormora Sara. È un mese che litigano per avere quello che vogliono loro.
-Li stiamo abituando male, schatz, non gli diciamo mai di no, replica Federico.
-Che gli avete comprato stavolta? Chiedo molto interessato dando un'occhiata ad Anna Maria.
-Un Kinder-Tablet per uno, tanto per stare in pace noi in futuro tutto il giorno, mi risponde Sara. Poi a lei una Barbie e a lui una Bugatti col telecomando.
Capirai, un tablet!
-Per bambini papà, non ha internet.
-Meno male! Sennò capace che chiamavano in Skype i figli di Obama alla Casa Bianca.
-A quando l'I pad, chiede mio figlio Alessandro mentre Sara fa la faccia brutta.
-Quando eravate piccoli voi vi facevamo regali a sorpresa, mai chiesto la vostra opinione, dice Anna Maria.
-Erano altri tempi, mamma, conclude Chicco sbuffando e guarda Sara, che ha sempre la faccia brutta.
Qualcuno intanto ha stappato una bottiglia di Prosecco e riempie calici sottili a metà aggiungendoci Bitter San Pellegrino o succo di arancia per gli astemi, che sono tre, Anna Maria, Stefania e il campione Alessandro, mio nipote.
Si brinda al Natale mentre la lasagna finalmente è pronta.
Qui vengono scattate le prime foto di gruppo e individuali.
-Perché fai sempre quella faccia, papà? Mi chiede l'altro Alessandro, mio figlio.
-Quale faccia?
-Questa. E mi mostra sul suo handy una imago mortui incazzatui.
-Perché è la mia, non te ne eri accorto?
-Nonno semper incazzatissimus alla domenica e per le feste comandate, dice Cristina facendo sfoggio di tutto il latinorum che conosce.
-Sai pure il perché? Le chiede sua madre Stefania.
-Dovresti saperlo meglio tu che lo conosci da più tempo.
La lasagna di Anna Maria è buonissima come sempre, peccato che sia rimasto assai poco spazio nello stomaco. Ma tutti ne mangiano almeno una porzione. Il guerriero due grandi. Qualcuno ha caricato ancora il mio piatto.
-Vuoi pure questa? Chiedo al guerriero.
Fa un grugnito di assenso. Scambiamo piatto, a me il suo vuoto. Anna Maria non si è accorta di niente; vede il mio piatto vuoto e mi guarda severamente.
-Non ti aboffare che poi ronfi tutta notte come un vecchio suino.
Ci sono a disposizione favolose bottiglie di vino: un Brunello del 2008, un Barolo del 2006, un Saint-Emilion Château Lamarzelle Cormey di Figeac-Magnan del 2009, roba sublime. Io resto sul Brunello con Federico, il nostro Chicco, che da un po' di tempo capisce di vini e lo annusa e lo agita nel calice come un esperto somellier. Sara, Edyta e Stefania sono immerse in una discusione teologica.
Mentre piattoni di rucola e di lattuga romana vengono brucati voracemente Edyta ci informa che a Varsavia il giorno di Natale le strade sono vuote perché tutti vogliono accogliere in casa il Bambino appena nato.
Bello! Suggestivo! Loro hanno generato Karol Wojtila, noi siamo rimasti fermi a Montini, anzi alla volata di Luciani, che possiamo replicare?
Stefania fa la schizzinosa ma mi sembra in minoranza. Anna Maria le viene in soccorso ricordando a tutti i colori e i suoni dei Natali friulani. io mi astengo.
Così pian piano si è fatta sera e Fabio e Alessia incalzano. Sono ormai da tempo in piedi accanto al mucchio dei pacchetti e di lì non li schiodi. E allora via ai regali.
I due Kinder-Tablet li fanno ululare di goduria: quasi ignorano la Barbie e la Bugatti, ma poi se ne accorgono. Noi gli abbiamo regalato indumenti: un completo da ometto per lui e un vestino chicchissimo con gonnellina per lei.
A me sono arrivati due maglioni, come per ogni Natale. A Capodanno un completo per barba e il prossimo 9 febbraio.....forse non il solito profumo perché sarà un compleanno speciale: il compimento dei miei secondi quaranta anni.
Poteva esserci un Natale migliore di questo?


martedì 24 dicembre 2013

ANDIAMOCI A PRENDERE IL NOSTRO GUERRIERO

A Saarbrücken! A Sarbrücken!!
Sì lo so, il grido originale di un gruppo di scalmanati fu "A Gerusalemme! A Gerusalemme!!". Esaltati che non sapevano nemmeno dove fosse sto posto, smidollati nullafacenti, aristocratici con la puzza sotto il naso, Brancaleoni di periferia, coatti e sugaminchia. Altri tempi. Una specie di protesta dei forconi ante litteram, di gente che non cercava un lavoro, Dio ce ne scampi, ma una maniera diversa di ammazzare il tempo. E così si misero una croce in petto e marciarono compatti o quasi. 
Ma noi, la famiglia Iacoponi quasi al completo, marciammo domenica 22 dicembre alla volta di Saarbrücken non per liberare, ma per trasportare con armi e bagagli il guerriero stanco Alessandro, uno degli ultimi ram-polli, a trascorrere le feste a casa e a rompere un po' a tutti i cabasisi.
Perché proprio a Saarbrücken? Ma perché lui là sta e là frequenta l'Università. Perché Saarbrücken è una bellissima città medioevale rovinata da mostruose costruzioni di cemento che stanno fagocitando tutto, così prima che le antiche glorie scompaiano la si visiti perdio. E poi perché c'è uno dei più belli Wheinachtmarkt, mercato di Natale, di tutta la Germania.
Così via con due macchine alle 14, col guerriero che rompe le palle a tutti in Whats App con messaggini ogni cinque minuti, tipo quando arrivate? oppure dove siete adesso? e anche perché andate così piano, e risposta finale perentoria del capo-famiglia cioè me medesimo del tipo adesso non ci scassare più il cazzo sennò te ne vieni in treno.
La pianta immediatamente. Visto gente che con le buone maniere funziona sempre? Così arriviamo rapidi al Convitto dove alloggia. Scendiamo dalle macchine, recuperiamo il guerriero e tutti insieme -tanti- scendiamo dalla collina a piedi fino al centro. Nulla può andarci male "When the Saints go marching in", ma avanti a tutti sono Fabio e Alessia e non so.....
Comunque tutto fila liscio e piombiamo sulle bancarelle della pappatoia come falchi perché nessuno ha pranzato e le trippe miagolano. Si fa sosta davanti a una dove in alto garrisce l'italico tricolore. Bistecche alla griglia e salsicce piccanti grigliate. Io e Anna Maria prendiamo una Frikadelle a testa, un polpettone con salsa rossa grande quanto una pagnotta da mezzo chilo. I venditori sono piemontesi. Il marito dice a sua moglie: "I primi che parlano italiano senza accento e non il dialetto".
Tutti alla fine hanno mangiato meno -come al solito- Fabio, che non trova palo: e questo non mi va...e questo non mi piace...e questo non lo voglio...e continuiamo a girare in tondo perché trovi qualcosa, e alla fine la trova, indovina un po'....al Mc Donald's. E te pareva!! E suo padre fa avanti e indietro perché Fabio di Hamburger se ne strafuga tre e due porzioni di patatine fritte e finalmente anche lo stronzetto è sazio.
Intanto Anna Maria, Cristina e Stefania si ingozzano di crepes con la marmellata di mirtilli. Noi uomini beviamo Glühwein, bicchieroni di vino bollente e stasera qualcuno guiderà le due macchine. E Sara entra in un negozio di scarpe e io non capisco perché siamo a 5 Km dalla Francia e i negozi hanno insegne in inglese: FIFTY-6 SHOES, per esempio, oppure WHAT ELSE. E chi se ne frega, ma come è buono sto vino caldo e ce ne facciamo un altro Federì?
Così camminiamo che abbiamo le panze che bollono e ballano e dappertutto è pieno di luci, di stelle brillanti e di palle colorate, un mondo di palle di plastica sospese in alto come nuvolette brillanti, e si cammina per strade strette e per vicoli strettissimi della città vecchia sotto un lunghissimo tetto di palle e insomma...che palle!
L'anno scorso a Strasburg, quest'anno a Saarbrücken, il prossimo a Parigi, eccheccazzo! Li voglio vedere gli Champes Elisée pieni di palle e la Torre Eiffel rivestita di palle.
Quando è sera torniamo al Convitto a prendere il grosso troller del guerriero e si riparte rapidi. A proposito: noi chiamiamo Alessandro il guerriero da quando è campione regionale di Kik-box, ché io ho visto un paio di incontri e mi sono cacato sotto. Si danno calcioni sulle cosce, sul tronco e sulla testa, vabbè che hanno il casco ma poi tutti i cazzottoni che tirano, vi dico una roba! Ma il nostro satanasso mena, mena e vince sempre. Non gli bastava il football per tirare calci ci mancava il Kik-box.
E si ritorna veloci perché alla TV c'è il Derby della madunina su SKY e noi tutti interisti corriamo verso il prezioso gol di tacco di Palacio e alla faccia di merda di Galliani e di Barbara Berlusconi. Che botta! Quanto gli fa male! Che spasso! Che felicità! E mi dispiace tanto per Fabio C. e per Graziano C. ma ve l'abbiamo messo nelle chiappe negli ultimissimi minuti e mandato di traverso il pranzo di Natale.
Ma si sa che a Milano ci sono due squadre: l'Inter e le riserve dell'Inter.
Ciao a tutti e buon Natale.





venerdì 20 dicembre 2013

PENSIERO PURO



Puoi vivere in vita
d'acqua sul balcone dei gerani,
di treno in corsa
su binari penduli.

Puoi rotolarti nel fango
in residenza di cavallo.

L'esistenza è scritta senza punteggiatura.

Tutto è distrutto
e pronto
per essere distrutto di nuovo.



Maximiliansau, dicembre 2013.

mercoledì 18 dicembre 2013

NON C'È UN FILO DI VENTO



Questa non è una poesia notturna di questi ultimissimi tempi; è di dicembre dello scorso anno, quando abitavo nella vecchia casa della Danziger Strasse, dove avevamo un prato bello e abbondante. Me l'ero persa e improvvisamente me la sono ritrovata sotto le dita, emersa da una marea di fogli disarticolati e riposti alla rinfusa al momento del trasloco. Mi sembra degna di stare vicina ai brevi momenti poetici di questi ultimi tempi e la propongo adesso.


Accanto al cavallo che bruca l'erba del mio prato, 
cavallo abusivo, seduta di spalle su una sedia metallica
smaltata di rosso, una donna fuma il suo sigaro
sbuffando in alto il fumo. Donna giovane sembra,
di spalle nel prato di un vicino, clandestina.
Di che si cruccia, signore? Se il cavallo sporca
ho con me una sacca di plastica, porto via tutto dopo.
Non riconosco la voce né i capelli, la schiena
è un po' arcuata mi pare. Tossisce un po';
non ha eccellente salute e forse sniffa di tanto
in tanto, penso, senza voler discriminare nessuno.
Vuole un risarcimento, signore? Le lascio il sigaro,
è un Avana fatto a mano da una ragazza
di quattordici anni, una reliquia certamente.
Quante volte ho lasciato il mio cavallo, penso io adesso,
brucare nei prati dei vicini e nessuno mi ha chiesto
niente. Nemmeno io voglio un soldo, ma il suo sigaro
sì, dopo che l'ha tenuto in bocca lei, che lo ha succhiato
tra le labbra. Lo terrò in una bacheca per fumarmelo io
forse, qualche tirata e spegnerlo di nuovo e toccarlo
ogni tanto e tenerlo per me. Intanto lei
si è alzata dalla sedia. Ha il fondo schiena piatto
niente di quelle forme attraenti femminili;
va via e mi lascia anche la sedia. Controlla il prato:
non c'è niente da portare via nella sua sacca di plastica.
Se ne va col suo cavallo. È stata di parola e mi ha
lasciato il sigaro appoggiato alla sedia di metallo
laccato. Fuma ancora e io me ne resto appoggiato
alla ringhiera del mio balcone ad osservarne il fumo
che sale in alto diritto, continuo. Non c'è un filo di vento.







lunedì 16 dicembre 2013

SOLE DI VETRO



Sole di vetro ghiaccia
nei voli sghembi degli ultimi
migratori, succhia aria
dalle foglie dei platani.

Aspetto vigile in una garitta di cielo.

Resta qualcosa
da nascondere
che si preservi all'usura?


giovedì 12 dicembre 2013

BALO JULIANI E MARILÙ FATTORINI

Balo Juliani aveva in vita sua amato tante donne e tante se l'era portate a letto senza troppi complimenti, usando sempre la stessa tattica: mai dimostare loro troppo interesse, troppo amore, troppa dedizione. Anzi a pensarci bene le aveva tutte all'inizio e alla fine trattate a pesci in faccia, come si suol dire, una tecnica dove Balo era maestro indiscusso. Tutto molto semplice. Cominciava si può dire dal primo impatto, dal primo incontro, dal primo tête-á-tête. Invece di fare il galante, il cascamorto, invece di mostrare un vivo interesse lui la prendeva alla larga facendo lo sborone, raccontando barzellette, dando a vedere alla bella di turno di non avere nessuna intenzione seria, di essere assai poco affidabile; anzi cercava di rendersi il più possibile antipatico. Era certo che la dama, una volta tornato a casa sua, avrebbe pensato solamente a lui con astio e non avrebbe avuto tempo di pensare a nessun altro. Il giorno dopo silenzio assoluto, assenza su tutta la linea. Il secondo giorno l'attacco di sorpresa: andare direttamente a casa e invitare la giovane a bere un aperitivo, magari fare la proposta davanti ai suoi genitori. Le ragazze abboccavano tutte, un po' perché tranquillizzate dalla sua sincerità, un po' incuriosite di vedere se fosse veramente così odioso come era sembrato al primo incontro. E in effetti Balo si comportava la seconda volta in modo diametralmente opposto alla prima: gentile, affettuoso, faceva solo discorsi di un certo tenore e livello per cui la ragazza era come minimo sconcertata e disposta a concedere ancora un incontro, almeno, per capirci qualcosa di più. E quando il terzo incontro avveniva Balo faceva uso di tutto il suo fascino e mollava il primo bacio, primo, secondo e terzo e se necessario anche il quarto più squassante degli altri, più convincente di ogni discorso.
Balo faceva affidamento sul suo fisico scultoreo e su una bella faccia, begli occhi scuri e misteriosi, insomma aveva imparato ben presto a vendersi e a sfruttare le sue risorse naturali.
Per giunta era un artista, un pittore di un certo successo e di sicuro avvenire e si sa che gli artisti hanno un fascino particolare per le donne. Scattava sempre l'invito a passare nel suo atelier per un ritrattino a pastello o a carboncino.
Molto castamente l'incontro si riduceva ad un paio di pose innocenti e due o tre cartoni ben disegnati e ben curati, dati ovviamente in omaggio alla fanciulla. Poi era la stessa ragazza a chiedere un ritratto a olio. 
"Solo se fai un nudo". Che lo crediate o no nessuna si rifiutava. A Balo bastavano poche ore di posa per arrivare dritto al bersaglio grosso. Nessuna si ritirava scandalizzata a quel punto.
Insomma ci aveva sempre messo tanta cattiveria ottenendo il massimo col minimo sforzo e con nessun rischio.
Poi aveva conosciuto Giorgia ed era cambiato tutto. Amore a prima vista, colpo di fulmine e tutte quelle cose lì. Venti anni di matrimonio, venti anni felici, senza figli ma ugualmente pieni e soddisfacenti, tanto che Balo non aveva nemmeno più guardato un'altra donna. Per questo quando Giorgia se ne era andata via con l'americano Balo aveva giurato a se stesso che mai più avrebbe avuto un'altra donna. Non voleva soffrire più. Non si era mai adattato a seguire i blog degli altri, troppo noiosi, ma nemmeno ne aveva fatto uno suo. Ma la sua gallerista e venditrice gli aveva consigliato di farsi un blog dove parlare e illustrare i suoi quadri, per aiutare la vendita che era un po' rallentata. Così aveva fatto un blog. All'inizio era arrivata tanta gente, per lo più perditempo e squattrinati, che non aiutavano molto. Ma un giorno era piombata sul suo blog Marilù F., dove la effe stava per Fattorini. Era un cane da caccia. Voleva sapere tutto di lui, arrivava a fare commenti ogni mezzora e avendo trovato il suo indirizzo elettronico gli spediva fino a tre o quattro mail al giorno, tempestandolo di domande sulla sua vita. Balo aveva immediatamente sentito rinascere qualcosa dentro di lui che riteneva morta, e ne fu felice. Cominciò anche lui a scrivere mail due, tre, quattro al giorno, ansioso di conoscere tutto di Marilù. Una cosa aveva immediatamente deciso: non avrebbe mai incontrato Marilù. Balo sapeva di avere un carattere di merda: era possessivo, ossessivo e geloso del tempo dell'altra persona e anche dei suoi pensieri. Sapeva Balo che se si fossero incontrati sarebbe durata poco. Chiese a Marilù una sua foto. Carina, non eccezionale, ma carina abbastanza e poi chi se ne fregava. Sarebbe rimasta una cosa così, via etere, mai un rapporto completo. Tra l'altro aveva capito che Marilù aveva un marito e un figlio, quindi niente idee pazze. Ma quel rapporto era favoloso ed appagante. Balo si ripromise di non trattare mai Marilù come una merda. D'accordo che non sempre gli riuscì, dato che aveva un carattere molto impulsivo e gli capitava di offendere senza volere e poi una volta partito il messaggio o il commento non è che potesse ritirarlo indietro. Per fortuna Marilù lo aveva capito e sembrava apprezzare molto più le sue buone qualità e fregarsene un po' delle cattive, mantenendo un rapporto molto più equilibrato di quello che sarebbe potuto essere se ci fosse stato un legame interiore e fisico. Insomma Balo dimenticò il suo credo fondamentale: mai dare a una donna la certezza che lei possa fare di te e con te quello che le pare, ma sempre tenerla in bilico, sulla corda, come si dice. Con Giorgia era andata bene finché lui non aveva mollato la corda e Giorgia era sparita sottobraccio all'americano. 
Così passarono tre anni molto molto belli e intensi. 
Quello che Balo non aveva messo in conto è che forse Marilù, visto che lui se ne stava sempre lontano, avrebbe potuto pensare che lei era un contatto come tanti altri, mentre per Balo lei era ormai quasi tutto.
A dire il vero Balo col tempo era diventato troppo esigente e Marilù glielo aveva rinfacciato un paio di volte, ma quando Balo si era deciso a dirle quello che veramente pensava di lei e che provava per lei Marilù aveva posto una vigorosa barriera. No, stop. Di qui non si passa.
E adesso? Pensava Balo. Come recupero? Perché ho dimenticato i miei metodi? Perché non sono stato sufficientemente cattivo? Cosa c'è di peggio che vivere così in questa posizione di sudditanza senza nemmeno poter protestare, senza nemmeno poter dire a chiare note "io ti amo"? Come andare avanti? Cosa c'è di peggio nella vita che viverla così?















martedì 10 dicembre 2013

BÜHNENMALEREI OVVERO PITTURA DI SCENA

Una delle gradite ospiti del mio blog, Alessandra che molti conoscono, ha manifestato interesse per la pittura scenica e chiesto a me chiarimenti in merito.
Sfonda un portone spalancato.
Chiarisco subito che tutto ciò che compare in una scena teatrale, dalle pareti di una stanza al pavimento, da un fondale agreste, cittadino o di fantascienza, dai mobili alle suppellettili, comprese finestre e porte, esce dal lavoro dei pittori di teatro, in Italia definiti "scenografi realizzatori" per distinguerli dallo "scenografo bozzettista", che è quegli che immagina e costruisce le varie scene in successivi bozzetti, compresi i modellini alla Bruno Vespa di Pota a Porta.
Il lavoro viene eseguito nella sala di pittura, un'area di solito assai vasta, proporzionalmente al volume della scena -più grande è questa più voluminosi saranno fondali e pavimenti- tenendo presente che tutto viene dipinto su teloni distesi e fermati sul pavimento ligneo della sala di pittura.
In questo campo il made in Italy è garanzia di eccelsa qualità, un sigillo DOCG, dato che i migliori pittori di scena siamo noi italiani e tutti desiderano venire in uno dei nostri teatri oppure officine di realizzazione scenica per apprendere i segreti del mestiere. Infatti la pittura di teatro nasce in Italia alla fine del '500 e si sviluppa per oltre un secolo fino ad arrivare al modello di perfezione attuale.
Vero è che già nell'antica Roma, a sentire Suetonio, squadre di pittori di intonaci -affrescatori murali- si dividevano i lavori degli oltre cinquanta teatri della civitas caput mundi, ma la pittura di scena come la intendiamo oggi nasce a Napoli, Venezia e Firenze nel tardo '500.
Anche detta pittura, relativa alla scena di un teatro, rispondeva a uno dei requisiti più importanti della pittura, fino all'avvento della macchina fotografica, cioè la riproduzione assolutamente realistica di immagini, ingrandendole o rimpicciolendole a seconda della necessità.
Come riuscivano i pittori antichi ad ottenere la perfetta somiglianza e l'esattezza delle proporzioni col modello originario in un ritratto? Come riducevano dentro una tela di 70 centimetri per 100 un paesaggio di alcune centinaia di metri di estensione senza falsare masse e proporzioni?
Con la quadrettatura.
Nel caso di un ritratto usavano un tavolo di circa quattro metri per un metro e mezzo. Al centro del tavolo veniva eretto perpendicolarmente un telaio largo 150 centimetri e alto 100. Ogni dieci centimetri dall'alto al basso e da sinistra a destra venivano tirate delle sottili cordelle bianche, ben visibili, che creavano un reticolo. Da uno dei lati corti del tavolo sedeva il soggetto da ritrarre, di fronte a lui dal lato opposto sedeva il pittore che vedeva il suo modello attraverso il reticolo delle cordelle. Davanti a sé il pittore aveva un foglio quadrettato, 20 centimetri di altezza per 30 centimetri, diviso in quadretti di due centimetri di lato.
Traguardando attraverso il reticolo del telaio il pittore riportava ciò che vedeva in ciascuno dei quadretti di 10 centimetri di lato nei corrispondenti quadretti di due centimetri di lato del suo foglio. Otteneva un ritratto di piccola dimensione.
Usando la stessa tecnica della quadrettatura divideva una tela di tre metri per due in quadretti di venti centimetri di lato e otteneva il ritratto di proporzioni doppie rispetto all'originale. Così Tiziano dipinse la pala dell'altar maggiore della Chiesa dei Frari in Dorsoduro a Venezia della Madonna assunta in cielo: una madonna di tre metri da una veneziana quindicenne di poco più di un metro e sessanta.
Per i paesaggi veniva usato lo stesso metodo, solo che il tavolo veniva orientato sullo spicchio di mondo che si voleva dipingere, fermo restando il pittore seduto sul lato corto contrapposto al soggetto voluto.
In teatro il pittore realizzatore riceve un bozzetto, il più delle volte un foglio 30 per 40 centimetri dipinto a mano, o magari un ingrandimento fotografico. La prima cosa che fa è dividere il suo bozzetto in quadretti di due centimetri di lato, partendo dal basso verso l'alto per ottenere le linee orizzontali e verticali.
Quindi si distende a terra una tela di -poniamo- 40 metri di lunghezza per 30 di altezza, un telone medio per capirci, perché si arriva anche a teloni di 60 mtri per 40.
Si fissa la tela a terra con una puntatrice, un punto ogni dieci centimetri. Si spruzza l'intera tela con un impasto assai liquido di acqua, colla e pigmenti bianchi e ocra per avere un fondo leggermente color ocra, dove si lavora meglio che col bianco. Si lascia asciugare. Una volta asciutto si passa alla quadrettatura, quadrati di un metro di lato.
Attenzione.
Si misurano i 40 metri da destra a sinistra o viceversa e si trova il centro del telone. Lo si segna ben chiaramente. Partendo dal centro si misura metro per metro segnando ogni metro, andando dal centro a destra e poi dal centro a sinistra. Poi, partendo dalla base si segnano metro per metro i 30 metri di altezza su entrambi i lati del telone. Usando una squadra di 4 metri per 6 e tirando una cordella dal centro segnato in basso si trova il centro sul lato alto del telone e lo si segna altrettanto bene. Si fa in alto la stessa operazione fatta in basso ottenendo tutti i segni metro dopo metro.
Due aiutanti tengono ben distesa a terra la cordella e il pittore passando con un'asta alla cui estremità inferiore è inserito un carboncino segna la prima verticale sul telone unendo i due centri, inferiore e superiore e dividendo praticamente il telone in due. Dopo segna tutte le verticali e le orizzontali. Alla fine si sarà ottenuta una quadrettaura di quadrati di un metro di lato. A quel punto il pittore realizza sul telone il contenuto del bozzetto, quadratino per quadratino, usando la stessa asta col carboncino. Avrà ottenuto alla fine il disegno su scala di quello del bozzetto.
Finito il lavoro col carboncino si ripassa il disegno con un pennello sottile e un colore non eccessivamente scuro. Io usavo sempre il verde.
Una volta asciugato il ripasso si cancella la quadrettatura del tutto superflua oramai, semplimente sbattendoci sopra una specie di scopettone. I tratti del carboncino scompaiono quasi del tutto.
A questo punto il pittore mette in gioco la sua abilità e il suo sapere artistico e tecnico per realizzare il bozzetto ricevuto e far felice lo scenografo.
Mi auguro di essere stato sufficientemente chiaro e d esauriente.
















































sabato 7 dicembre 2013

UNGHIE D'ORO



Unghie d'oro scalfiscono
l'ombra del cielo,
scorticano
i buoni propositi appesi da anni:
sono menzogne di piombo,
precipitano
appena denudate;
pioggia di tizzoni consumati,
sedimentano sui pavimenti
dell'anima.

Cenere e polvere, 
sassi.

mercoledì 4 dicembre 2013

UMBERTO



Umberto guardava il mare
e pensava alla vita
che gli sarebbe durata ancora breve tempo.

Umberto guardava il cielo
all'orizzonte,
vi si adagiava morbido
come una nuvola,
leggero e inconsistente.
Umberto non pensava ormai più
era privo di istinti, di forze, di fantasia;
Umberto aveva deciso di morire.

Ai suoi piedi la risacca
succhiava sabbia e ciottoli
ad ogni alito d'onda.

Umberto entrò nell'acqua
senza paura e continuò
a vivere in eterno dentro il mare. 


04, dicembre 13
ore 03,40


sabato 30 novembre 2013

ABBANDONAI LA RIVA


Lentamente,
liquefatte le pietre dei miei giovani morti,
tra volute di fumi e rami acerbi
alla ricerca sempre 
di vite e di sfondi,
abbandonai la riva del mio mare
e solo un'eco di pianto
mi rimase in cuore.

Ignoro ancora chi pianse
sul mio abbandono di acque e di vigneti,
sul mio pendio deserto di sassi e crepe,
di immaturabili frumenti.

Chiedi di me?
E perché?

Io sono rimasto quel bambino di allora
con gli occhi fissi fuori dal balcone,
aggrappati agli aquiloni 
dei miei sogni

nella sera che saliva dalla piazza.






venerdì 29 novembre 2013

DOPO LA POESIA UN PO' DI SCHIFEZZA


Lo sanno tutti i miei lettori che io in politica sono un inguaribile incompetente, ma a me sembra che siamo in tanti ed i più stanno seduti sugli scanni del nostro Parlamento e del nostro Senato.
A scanso di equivoci parliamo subito di ciò in cui credo.
Credo che effettivamente ci sia stato dal 1994 ad oggi un accanimento della Magistratura nei confronti di Silvio Berlusconi e non perché fosse un fascista o un rivoluzionario, ma perché nei suoi intenti c'era, prioritario, quello di riformare la Giustizia e punire quei giudici che avessero commesso errori, mandando in galera gente innocente. E poi la separazione delle carriere e quisquiglie di questo genere. Intaccare l'intangibilità della casta, cioè.
Dagli all'untore!
Così, di colpo, quello che era fino allora stato giudicato un probo cittadino è diventato il delinquente da perseguire.
"In Ordnung, zugegeben", ok ammettiamolo.
Ma Berlusconi ci ha messo tanto del suo: la cocciutaggine, la caparbietà, l'arroganza e, permettetemelo, l'assoluta mancanza di intelligenta politica e, permettetemi anche questo, la poca intelligenza in senso lato.
Che non fosse un'aquila lo avevamo capito, ma che fosse cretino, no.
Ragiono terra terra.
Se io mi sono convinto che una certa Magistratura che conta mi vuole eliminare io non aspetto che sia lei a farlo, andando incontro a processi dopo processi, ad accuse di reato le più variegate, le più infamanti, ma mi dimetto, mi tolgo di mezzo, togliendo automaticamente a loro di mano il bastone con cui intendono colpirmi e massacrarmi. In una parolaccia: glielo metto nel culo.
Una volta tornato ad essere il cittadino Berlusconi, l'imprenditore Berlusconi, posso fare i miei passi come meglio credo certo che non avranno motivo di temermi, e che quindi mi lasceranno in pace.
Invece il vecchio stronzo che fa? Si abbarbica alla sua poltrona come un martire che vogliono trascinare al macello, dice e fa una corbelleria dietro l'altra, spacca il suo partito, rinnegando la politica che lui stesso aveva predicato fino a qualche mese prima, dando l'idea chiara di quanta confusione ci sia oramai nella sua testa.
Basti guardare come stia gestendo la questione che gli è scoppiata in mano Galliani-Barbara Berlusconi, nel suo amatissimo Milan, querelle nella quale non è stato capace di fare il benché minimo intervento, per convincersi che l'uomo è in completo decadimento mentale. Ora gli toccherà sborsare una cinquantina di milioni di euro di buonuscita per un servitore onesto, Galliani, dopo ventisette anni e dieci mesi di servizio come amministratore delegato.
E questo per non avere avuto la capacità, lui uomo delle grandiose decisioni, di affrontare una semplice lite in famiglia con la figlia che scalpita, dopo avere già commesso una caterva di errori, vedi la bocciatura di Tevez, che Galliani aveva in pugno, e le fusa a letto con Pato, che una volta finita la voglia amorosa viene sbolognato per quattro soldi in Brasile.
L'uomo è al caffè, non alla frutta; ha fatto già il ruttino e sprofonda in poltrona nel sonno dei vecchietti.
Dice: ma è chiaro, si chiama senilità.
Sì, però purtroppo una massa di almeno nove milioni di italiani -non di imbecilli, ma di gente che ripone in questo ectoplasma tutta la fiducia nel suo futuro- crede in lui ed è pronta a fare chissà quale gran casino, avendo bevuto la frottola del complotto comunista.
Il guaio è che su Berlusconi il PD si spaccherà e si sfascerà, almeno  quando arriverà il sosia di Berlusconi, Matteo Renzi, che entra in gioco con le stesse carte con cui entrò l'allor giovane Silvio nel 1994: gli è tutto rotto, gli è tutto da rifare, gridava Gino Bartali, un altro toscano; e Matteo Renzi grida che gli è tutto da rottamare.
Povera patria mia, pura, corrotta e massacrata.










lunedì 25 novembre 2013

TOCCARE CON LA MANO


Voglio toccare con la mano
la tua parete nuda,
bagnata, in ombra,
niente di più.

Voglio guardare da vicino
se nuove crepe si aggiunsero
a quelle
che già vidi.

Guardare e toccare
un attimo solo,
poi me ne torno qui
dietro la mia parete barcollante, 
che tu tocchi e guardi
ogni momento.



venerdì 22 novembre 2013

DAVANTI ALLO SPECCHIO



Sorridermi allo specchio
di primo mattino
evitando
di guardarmi negli occhi;
fare smorfie con la bocca
fingendo di controllare
la lunghezza della barba,
la ruga nuova sulla fronte,
i capelli caduti
nella notte,
e continuare ancora a sorridermi
per ingannarmi
anche in questo giorno odioso
come ieri.

Indago il mio pensiero
chiuso in spazi ristretti,
preda e vittima
di continue invasioni.

Ne prevedo il futuro.

Del passato 
non ricordo più nulla.

lunedì 18 novembre 2013

PIOGGIA




Pioggia
poco avanti l'alba.

Non fa rumore.

Beve l'ultima luce dai lampioni,
falcia tra i miei pensieri
precari della notte.

A occhi aperti sul soffitto infinito.

Rimbocco la coperta.
Giunge il sonno
a spegnere
il mio deserto.


giovedì 14 novembre 2013

USCIRE DAL TUNNEL


Un uomo bianco si sveglia una mattina con un forte dolore al torace, sulla destra, in alto. Piuttosto pigramente si veste e aspetta che il dolore si attenui e che poi se ne vada. E`già successo. Ma questa volta non se ne va, anzi sembra aumenti. Prova a fare movimenti spingendo le braccia in alto, perché di sicuro si tratta di un dolore muscolare e se si muove un po' se ne va al diavolo da dove è arrivato. Ma non succede niente, anzi qualcosa succede: appena tenta di respirare a fondo il dolore aumenta e non riesce a riempire i suoi polmoni.
Dopo un po' di riflessioni e tentennamenti l'uomo bianco decide di rivolgersi al suo dottore di casa.
-Che succede? gli chiede il doc.
L'uomo bianco glielo spiega e il dottore lo visita e lo ausculta attentamente.
-Non mi convince. C'è una insolita resistenza al tatto qui su nella zona apicale destra. Facciamo un paio di lastre. Vada a questo indirizzo a nome mio.
Gli fanno due lastre al torace.
-In questa zona si vedono due piccole macchie, gli spiega il radiologo. Bisognerà tenerle sotto controllo.
Il suo medico di base non è però convinto.
Telefona ad un collega, direttore di un centro diagnostico della città.
-Le mando un mio paziente. Lo faccia il più presto possibile perché mi sembra urgente.
Contrariamente alle sue previsioni l'uomo bianco viene ricevuto immediatamente e gli viene fatta una TAC al polmone destro.
-Ci sono due noduli, gli comunica il professore nel colloquio successivo; vede queste due macchie rosse in campo azzurro, sono loro due.
-Di che pensa si tratti?
-Non si può definire così ad occhio la situazione. Torni dal suo medico curante che le spiegherà cosa conviene fare.
L'uomo bianco è già in fibrillazione perché non è uno sciocco e la parola "noduli" gli ha fatto scattare nel cervello un campanello d'allarme.
-Purtroppo potrebbe trattarsi di quel che teme lei, gli dice il suo doc; noduli cancerosi, per questo adesso le prelevo due campioni di sangue che invieremo con le lastre e la TAC al laboratorio della Clinica oncologica dell'Università di Haidelberg.
Da quel momento iniziano le ore della verità, le più lunghe della vita dell'uomo bianco. È entrato in un tunnel misteriosamente buio. Ci sarà un'uscita? Quale sarà questa uscita?
Intanto aspettare fino a lunedì, perché siamo a venerdì sera e di domenica qui tutti fanno pausa, cristiani, ebrei e musulmani.
Il lunedì mattina prestissimo il suo medico gli telefona per dirgli che dovrà tornare al centro diagnostico per fare una seconda TAC, questa volta a pancia sotto perché il laboratorio della clinica oncologica la pretende.
-Che se ne fanno di una seconda TAC? Non è venuta bene la prima?
-La prima l'ha fatta dal davanti, questa la deve fare dal didietro. Vogliono evidentemente vedere sti noduli da ogni lato.
Deve passare l'intero pomeriggio di lunedì dentro il centro diagnostico, perché c'erano altri prenotati prima di lui. È chiaro che in questo momento il suo unico pensiero è farla finita con questa storia una volta per tutte
L'indomani ritelefona al suo dottore per sapere qualcosa, qualsiasi cosa, perché il silenzio e il dubbio è il male peggiore.
-Non è arrivato nessun risultato. Stia calmo perché forse non è un segno completamente negativo questo prolungato silenzio.
-Ma per trovare sto benedetto TPA ci vuole tanto?
-Sono diverse tipologie di cancro, non una sola. Ci vuole tempo e pazienza.
Ma pazienza l'uomo bianco non ne ha più. Ormai sente dentro di sè nascere la certezza della malattia disgregante e fagocitante. Ha visto morire un carissimo amico, un greco forte come Aiace Telamonio e Achille insieme, distrutto da un cancro polmonare in meno di un anno. La mattina`del giorno in cui Paul è morto stava anche lui insieme alla moglie e a Demetrio, il figlio, davanti a una finestra di vetro a guardare quello che rimaneva di un gigante mitico: uno straccio strapazzato pieno di cannule e di fili e di cavi, che in piena cachessia si lamentava lugubramnente vomitando di continuo materia grigio scura. Se ne era scappato via quasi in lacrime l'uomo bianco perché non sopportava la visione di quello strazio.
Non voleva finire in quel modo, non poteva finire in quel modo.
Mercoledì mattina il suo medico gli disse che non c'erano ancora notizie.
-È cancro, disse l'uomo bianco.
-Non è detto, ma potrebbe essere.
-Quanto mi resta da vivere?
-Prima bisogna vedere di che tipologia cancerosa si tratta. Qualche volta è curabile.
-Nel caso non lo fosse, dottore, quanto tempo mi resta di vita normale, non vita biologica intendo, ma vita attiva.
-Bisogna vedere...
-Quanto?
-Di norma da sei mesi a un anno.
-Grazie doc, io resto qui in attesa di notizie.
In quel momento aveva deciso: ho un cancro incurabile, in pratica sono un terminale. Ho sei mesi di tempo sicuri per sistemare alcune cose mie, poi scriverò una lunga lettera. La mattina successiva all'alba uscirò di casa e me ne andrò sul ponte ferroviario sul Reno. Alle ore cinque e cinque minuti passa il direttissimo Landau-Karlsruhe. Basta un salto.
Si sentiva meglio. Ora sapeva di poter gestire la sua morte almeno come aveva gestito la sua vita.
Alle ore otto di giovedì 14 novembre, squillò il suo telefono.
L'uomo bianco lesse sul display il numero della praxi del suo dottore di fiducia. Inghiottì saliva e aprì il contatto.
Il suo dottore rideva.
-TPA assolutamente negativo, lei non è ammalato di cancro.
Invece di esultare l'uomo bianco si sentì vuoto di forze e di idee.
-Se vuole sapere di cosa si potrebbe trattare venga a trovarmi, ma sono già in grado di dirle che sono cose vecchie di anni e assolutamente innocue.
Ma all'uomo bianco non poteva fregargliene di meno.
Era stato malato terminale per quasi una settimana, perché non si è ammalati quando si sta male, ma quando si crede di star male.
Questa è una storia vera, successa a me e terminata questa mattina quando sono finalmente uscito dal tunnel.
 







martedì 5 novembre 2013

EQUILIBRI SEGRETI



Un aquilone dorato
ancorato al balcone del sole
precede l'aria calda dei colombi;
dalle vette del vento
erigono rami a spirale
i voli angusti degli uccelli notturni.

Appesi alla grondaia
rivoli d'aria
lambiscono la sera.

Fluttua come piuma

sa di equilibri segreti.



sabato 2 novembre 2013

NOTTE



Notte.

Ti adombri di suoni
che non fanno rumore,
di luci appena
spente,
di colori sbiaditi,
di parole scordate, mai dette,
di dolori riesumati
voraci e cruenti
come li ricordavi.

Ti abbeveri
nella disperazione di chi ha disperso
la sua serenità.

Fino all'alba del giorno nuovo
che tutto appiattisce
con la sua luce violenta.


Maximiliansau, 02. 11. 2013


giovedì 31 ottobre 2013

GLI SCALINI DEL TEMPO



Le avanstrutture dell'inverno gemono
solo percosse per ora e cade
nelle incolori superfici d'ombra

il tempo dell'estate: le sonore
riprese del sole sopra i meli, meno
sonore, ma a te più care amore,
le giornate di luna.

Ora la traccia
dei tuoi gesti non tocca
la terra dei gabbiani, né domani
meno corrosi gli scalini del tempo
appariranno.

Il tuo impetuoso desiderio
è sepolto, amore mio,
perdonami di non essermene
accorto subito:

la stagione è finita.



Milano 1964

martedì 29 ottobre 2013

UNO DEI CENTOMILA, MIO FRATELLO

Questa volta la busta era azzurra, l'indirizzo scritto a mano e mia madre se la stringeva al petto piangendo a dirotto. Non c'era verso di sapere chi le avesse spedito quella lettera né da dove venisse. Mia nonna e mia zia lottarono con mia madre per il possesso di quella busta, che infine volò per terra. E lì le tre donne non avevano scampo, io ero il più pronto e il più veloce. In un attimo lessi: Maria Malavisi Iacoponi - Valentano (Viterbo). Niente altro che un indirizzo; niente di eccezionale all'infuori del fatto che quella era la calligrafia di mio fratello.
Era vivo e ce lo scriveva dopo diciotto mesi di assoluto silenzio. L'ultima busta che lo riguardava era color arancione. Ministero della Guerra del Governo fascista, scritto in alto, nel mezzo, in stampatello. 
Una comunicazione breve, asettica, grigia: "Vostro figlio è disperso in Russia". Tutto qui.
Quant'è grande la Russia? Quanti anfratti ci sono per nascondersi e aspettare che torni il tempo buono? In uno di quelli stava sicuramente rifugiato il mio fratellone.
Con l'arrivo di quella busta arancione era cominciato l'incubo di vedere mia madre impietrita alla finestra, cogli occhi fissi nel vuoto; non diceva più nemmeno una parola. Per farla mangiare dovevamo imboccarla io e mia nonna. Papà veniva solo il sabato e ripartiva alla domenica sera. Mia madre si avvinghiava a lui parlando fitto fitto con parole che non mi arrivavano tanto erano sussurrate. E poi finiva sempre in pianto. 
Io incominciai a sognare mio fratello ogni notte. Al mattino, per darle sollievo, raccontavo a mamma il sogno e lei attaccava a piangere. Ci mancava che la facessi piangere anche io. Allora decisi di smettere di raccontarle i sogni. Ogni tanto mi avvicinavo a lei e le dicevo di stare tranquilla, che Lito era vivo, me lo diceva il mio piccolo cuore di bambino buono. Non lo chiamavo cuoricino, ma cuoretto.
-È vivo mamma, me lo dice il mio cuoretto.
E lei mi metteva una mano sul cuore e mi credeva. Le ho fatto superare diciotto mesi di ambasce e di sofferenze indicibili con quel trucchetto, perché lei credeva nella mia innocenza e si aggrappava a quell'unica speranza. Alla fine credevo anch'io alla storia del cuoretto rimanendo in bilico su un baratro.
Fino a quella mattina della busta azzurra. Veniva da Pratola Peligna, un paese in Abruzzo, dove era arrivato insieme ai reparti di retroguardia dell'Ottava Armata inglese, scriveva, insieme ad un suo amico, altro superstite.
Non so come riuscissero a comunicare, dato che le linee telefoniche erano tutte a pezzi, ma mio padre fece il miracolo e un mese dopo partì in bicicletta per andarlo a prendere.
Raccontò poi come era andato e come erano ritornati, bivaccando nei boschi e usando tutti i mezzi di trasporto possibili, tra cui l'unica bicicletta, dove a turno uno dei due pedalava e l'altro stava seduto in canna.
Venne ad avvisarci il Maresciallo dei Carabinieri. Avevano telefonato dal Comando dei Carabinieri di Canino. Avrebbero mangiato qualcosa e poi sarebbero venuti a piedi per gli ultimi nove chilometri.
Mai sarebbe rimasta in casa ad aspettare mia madre e nemmeno io. Mangiammo un boccone, ci vestimmo e via sulla strada per Canino tenendo d'occhio ogni curva. Un'ora dopo vedemmo venirci incontro lemme lemme due straccioni ricoperti di polvere. Uno reggeva il manubrio di una bicicletta, mio padre; l'altro sembrava un soldato inglese con una divisa troppo grande che gli ballava addosso. La divisa era giusta, ma lui era ridotto uno scheletro.
Mentre mia madre gli saltava al collo e gli gridava non so più cosa, forse soltanto suoni e vibrazioni della sua anima, colsi lo sguardo di Lito puntato dentro i miei occhi.
Il mio fratellone era di nuovo a casa e tutto era tornato come prima.
Tutto proprio no: dov'erano rimasti i suoi capelli ricci foltissimi e neri?
-Se li è mangiati l'elmetto, mi disse.
E perché non rideva mai?
-Ho visto troppe cose brutte, mi rispose.
Passata l'esultanza per il ritrovamento cominciammo a scrutarlo dentro, malgrado lui fosse chiuso a riccio e rispondesse a monosillabi. Risultava evidente che era partito da casa un giovanotto di venti anni, esuberante, giocarellone e pieno di buon umore, mentre quello tornato era un vecchio di nemmeno ventiquattro anni, prosciugato nel corpo e nell'anima, coi nervi a pezzi che bestemmiava e urlava per qualsiasi contrarietà.
L'unico che tollerava vicino a sé ero proprio io, basta che gli rimanessi a contatto fisico, lungo un fianco per esempio, senza fare troppe domande ma ascoltandolo mentre parlava di continuo, su argomenti che avevano un senso solo per lui, perché appena io gli chiedevo spiegazioni lui ammutoliva e fine delle trasmissioni.
Per la maggior parte del tempo dormiva raggomitolato come un gatto. In posizione fetale, disse papà, e non è che io capissi molto, però mamma aveva ricominciato a piangere.
A giugno morì nonna in un baleno. Lito non fece una piega. Al funerale, visto che piangevo di continuo, mi tirò per un braccio.
-Falla finita di piagnucolare. Era vecchia.
Ma io quelle cose lì non le raccontai mai a mamma, che già era tanto addolorata di suo, perché quelle parole mi erano sembrate una cattiveria.
Dovette passare qualche anno prima che mio fratello, di sua iniziativa, cominciasse a parlare della sua esperienza nell'AMIR, l'armata italiana in Russia.
A tozzi e bocconi, mentre io mi prendevo cura di catalogare e riepilogare, mi raccontò come lui, che era un graduato del 9° Reggimento di artiglieria di Corpo d'Armata, si fosse trovato a combattere a fianco dei fanti della Cremona e dei bersaglieri della Celere. 
-Perché il fronte a gennaio del 1943 non esisteva più e si crepava come le mosche.
-E tu che hai fatto?
-Quello che facevano tutti: cercare di salvare il culo e allontanarmi di gran carriera.
-Il culo lo hai salvato, quindi hai corso veloce.
-Prova tu, fratellino, a correre sulla neve ghiacciata a pancia vuota e con 30° sotto zero, mentre vedi russi spuntare da tutte le parti. Loro andavano sui mezzi blindati e noi a fette.
-Per quanto tempo avete camminato?
-C'era un Cappellano giovane che contava i giorni. Secondo lui più di tre mesi, fino al disgelo comunque.
-Che mangiavate?
-I cavalli, finché ce ne furono; poi i muli degli alpini.
-E il pane?
-Quale pane?
-E l'acqua?
-Il ghiaccio scaldato è acqua, cosa credi?
-Che percorso avete fatto?
-Non lo so. Nessuno lo sapeva. Andavamo in colonna, tutti in mucchio come pecore. Qualche ufficiale parlò della Bulgaria. Ecco, stavamo andando verso la Bulgaria, che era nostra alleata.
Avevo una mappa dell'Europa e mi sembrava un giro vizioso, ma non volevo contraddirlo, altrimenti mi avrebbe coperto di male parole.
-Sai che rumore ho ancora nella testa? mi chiese un giorno.
-No, dimmelo.
-Bredan, bredan, bredan, bredan.
-Che roba è?
-Dentro la gavetta tenevamo un coltello e un attrezzo da una parte cucchiaio, dall'altra forchetta. Quando camminavamo faceva quel suono triste e monotono "bredan, bredan, bredan".
-Solo quel suono?
-Solo quello. La neve attutiva il rumore dei passi e nessuno fiatava.
-Ma poi siete arrivati in Bulgaria. Che è successo dopo?
A questa domanda (che gli ho rivolto apposta più volte per controllare se la reazione fosse la stessa) mio fratello non ha mai risposto. Chiudeva gli occhi, tirava su le ginocchia, le abbracciava e rimaneva così, a lungo, senza parlare, come un blocco di ghiaccio.
Quando gli andava raccontava dell'Albania e del rimpatrio a Rodi Garganico, e poi l'esperienza con le truppe dell'Ottava Armata di Montgomery.
Tanti anni dopo a Treviso ho conosciuto un friulano che era sergente della Tridentina. Anche lui mi raccontò del freddo e della grande marcia, dei cavalli ammazzati per sopravvivere e il ghiaccio scaldato che diventa acqua un po' sporca.
Arrivava ai confini della Bulgaria e si metteva a piangere amare lacrime mute.
In Germania, qualche anno fa, ho incontrato un reduce della Monte Pasubio. Stessa dovizia di particolari fino a pochi chilometri dalla Bulgaria, quindi silenzio e labbra morsicate.
Cosa è successo nel 1943 ai confini della Bulgaria? Qualcosa di orribile e indescrivibile, di cui tre uomini adulti, che mai si erano incontrati, non erano in grado di parlare. Cosa hanno visto gli occhi di tre ragazzi di poco più di venti anni, un artigliere del 9° Reggimento, un alpino della Tridentina e un fante della Monte Pasubio?
Sono adesso morti tutti e tre e si sono portati via il loro segreto per sempre.





































domenica 27 ottobre 2013

AMARE È SOFFERENZA



Amare è sofferenza:
forse  per questo
io ho molto sofferto.

Anche adesso
che non oso dirlo a voce alta,
che mi vengono i brividi
sapendoti nelle braccia di un altro,
anche adesso,
soprattutto adesso,
mi piego in due senza
un lamento.



Civitavecchia,  dicembre 1959
Maximiliansau,  ottobre 2013



venerdì 25 ottobre 2013

ACIDO MATTINO



Acido mattino di cristallo,
sfugge il sentimento dello spazio
in un attimo

si nasconde dietro 
la linea dell'orizzonte,

momento perso.

Aspetto che giunga il tempo:
diventare sabbia
sparsa
sui prati dei formicai.

martedì 22 ottobre 2013

CAMMINANDO



Camminando
sopra una strada assolata
povera di luce e di calore.

Si scioglie l'ombra in mille
rivoli liquidi;
giacciono i pensieri disordinatamente,
lastricano con una pellicola opaca
un percorso senza inizi evidenti
con molteplici soluzioni finali
tutte sbagliate.

La notte non verrà.


Ottobre 2013


sabato 19 ottobre 2013

UNA SCATOLA VITREA



Mi inabisso nel silenzio.

Una scatola vitrea
è la vita.

Traspaiono i colori,
i rumori,
le esistenze degli altri.

Cambia
finalmente
tutto.

mercoledì 16 ottobre 2013

DONNA SCAVATA


Dal mio cuore d'argilla,
purificato,
sorge il dolore come un'aurora ghiacciata;
il tuo muto sguardo vi appende
nodi di pianto
e di latte materno indurito.
Costruisci un nido
inconsumato
sui rami secchi della mia infelicità.

Ti squami
sulle travi della mia vita
e il tuo alito si avvinghia al vento
che mi strappa lembi di dolore.

Mai più sarai libera di me,
donna scavata
dalla creta viva del mio essere.
E tu parlerai
ai tiepidi bambini
della tua anima
solide lacrime mute.


Agosto 2006