lunedì 22 febbraio 2016

COSA TI SUCCEDE VIN ?


1.

Quando sono morto
hanno smesso di frinire le cicale
un attimo prima,
sono volati via gli uccelli dagli alberi
un attimo dopo, come quando
scoppia
una bomba.

Poi silenzio come
un urlo d'amianto
scandito nei vicoli
e nelle oscene stradine di
periferia
di questo schifo di città
dove mi sono perso.

In gola un sapore acido
di frutta andata a male,
negli occhi un cielo
livido, dentro la testa
una barca di pagine stampate
di parole senza senso.
Sulla pelle il fremito dello sfogo
di una poesia incazzata
e un coro di bestemmiatori incalliti
seduti nell'ombra che aspettano,
per entrare in azione,
che il buttafuori di turno
gli indichi
dove si trova il centro della scena
per la loro esibizione.

Le opportunità che la vita mi ha dato
di apprendere la sofferenza
quando tutto andava a gonfie vele,
e io fumavo sigarette
e donne a vagonate,
una manciata d'aria 
da inghiottire nelle pause di servizio,
tra una sigaretta e l'altra,
una ragazza e l'altra,
mentre il mondo mi si spaccava sotto
e mi fa un baffo
a me che resto qui
eiaculando idee.
Però qualcosa mi si coagulava 
nel cervello:
rivisitarlo adesso
nell'ultimo 
bacio che mi ha dato il mondo,
e l'esser vecchio goduto
come un miracolo,
una benedizione, come 
la conquista di una vetta
ghiacciata, una di quelle
dagli ottomila in su.

Concepito di notte, nato di notte
sono tornato
a vivere di notte.
Ricordo tutti
quelli della mia generazione
ingaggiati appena nati
come i futuri monumenti di acciaio
che non cacavano merda
ma pallottole di moschetto,
e non piangevano mai
ma cantavano la canzone di Giarabub,
una volta privati dell'orbace
scapparono squittendo come topi randagi
trasportando il fetore delle loro feci
nei canneti selvatici pieni di zanzare, 
in mezzo ai rovi aguzzi
scavando buche con le mani
per sprofondarcisi dentro.
Violentati, stuprati,
accoltellati, occultati e sbeffeggiati,
perché la violenza non è nel panico
che ti insegue dentro
e insozza le pareti della tua anima,
la violenza è il giardino
dove pensi di aver piantato fiori
e invece c'è schizzato lo sperma
del predatore, che ti succhia beffardo
l'ultima resistenza,
ti irride e ti rivela lo schifo
che ha per te.

Un contrabbasso rachitico
rannicchiato in un angolo
mi spia aspettando un cenno
di indecisione
o di stanchezza da parte mia:
mi assalirà quando sarò
schiantato di fatica
e mi sommergerà
di suoni blasfemi.
Gli alberi che cadono
dalle pareti delle montagne
sommergono 
le strade. Adesso un'arrampicata
è la sola fuga verso
il sole.


2.

Il gabbiano spento
fa voli sghembi sull'acqua stamattina
abbandonando dietro di sé
una scia
di contrastanti colori.
L'onda del vento lo ha incendiato,
il sibilo del sole spense il fuoco.

Möwe    Möwe    Möwe

Una tempesta di cigni
ancorati alle zattere,
nevischio di gabbiani
approdati al traghetto tra la sponda
vecchia e la nuova
nel parco del ristorante
dove ci si sfama con tre euro.

Möwe   Möwe   Möwe

I cigni tutti in coppia
tranne uno, che cerca la compagna
da tempo uccisa
da una volpe assassina.

Möwe

Qualcuno ha dato alle fiamme
il gabbiano per il suo ultimo volo.
Qualcuno lo ha spento
poco prima che planasse
davanti
ai miei occhi attoniti
e che ammarasse,

Möwe   Möwe   Möwe

per l'eternità.


3.

Io mi sono incamminato
da tempo,
mio malgrado
in questo sentiero ignoto.

Un cavallo di zolfo,
ritto sulle zampe posteriori,
boxa con gli angeli,
no, sono diavoli,
no, sono angeli.
Li abbatte tutti KO, mi tiene
sgombra la strada.


4.

Mi sono ribellato al mio passato,
annullandolo;
al mio futuro, l'ho azzerato.
Adesso non mi resta che
ribellarmi al mio presente.

Lo annullo in questo attimo,
così concludo
nel vortice di un buco nero
una vita inutile.



Iniziato il mese di novembre 2015
terminato il 22 febbraio 2016
in Maximiliansau



***






martedì 9 febbraio 2016

CE SO ARIVATO PURO ST'ANNO

Ce so arivato puro st'anno a sto 9 febraro der cazzo e 'nfonno 'nfonno nun me pare che fusse così dificortoso: quarche stranuto, quarche rotta d'ossa, 'n parde bestemmione quanno ce vo ce vo, sórdi pocacci assai li mortacci sua, ma 'ntanto ecchime qua, piatevela 'nder culo.
So 984 mesi, 29.951 giorni co li ventinove, 718.824 ore. Ve basteno? Ammé no. Vojo li trentamila giorni e puro deppiù, e tu Bruno Cavalliere nun t'azzardà a ricontà che io li conti ancora li so fa.
Comunque state bboni che nun ve li vengo a rompe a voi li cojoni pe arivà a sti trentamila e passa. Pe stavorta ve saluto e v'aringrazzio de esse amichi mia de me, però si me fate incazzà allora ve manno a dì che doppo morto ve vengo a tróva uno pe uno e ve mozzico le chiappe, ve fo er soletico sotto a li piedi, ve fo li bozzi ve fo.
Ce arisentimo bella gente, mo ciò da fa.