domenica 31 gennaio 2010

IL PADRONE DEL PRATO DI GHIACCIO

Oggi pomeriggio ho ricevuto una mail da Silvia, con due splendide foto di uccellini: un Codirosso spazzacamino ed un Cardellino. Che strano! I passeri tedeschi sono coloratissimi, non come la maggior parte dei passeracei nostrani. Mi sono automaticamente alzato dalla mia scrivania per andare alla finestra, da dove si vede la casetta invernale dentro cui mettiamo il mangime per i nostri piccoli amici.
Qui nevica e nevichicchia da quindici giorni. C'eravamo finora salvati dal ghiaccio, ma stanotte la temperatura è scesa a -12° e durante il giorno non è salita oltre -7°. Il prato intorno alla nostra casa è completamente ghiacciato. Sopra ci nevica ancora abbondantemente: ormai saranno oltre 3o centimetri. Rimane oramai pochissimo verde: sotto la siepe sempreverde di bacche rosse, e sotto i due abeti ultraquarantenni che stanno ai due lati del garage.
Di uccellini nemmeno l'ombra, come quando in alto veleggia un falco, il pirata predatore sempre pronto a colpire. Ma il falco se ne sta anche lui a casa sua con questo tempo. Perchè allora non vengono almeno spinti dalla fame? Perché fa troppo freddo e se ne stanno immobili, conservando energie.
Stavo per andarmene quando ho visto una biglia nera muoversi sotto la siepe sempreverde: movimenti strani, come piccoli saltelli. Guarda e guarda, finalmente sono riuscito ad intravedere attraverso l'intrigo degli arbusti semighiacciati e rigonfi di neve fresca. La biglia nera aveva un becco giallo da una parte, e dalla parte opposta penne caudali, tenute basse, ammainate. Il proprietario della pastura, del prato quando è bello verde, un merlo che ormai tiene la posizione da oltre tre anni.
Se ne stava al riparo della siepe, facendo dei piccoli salti per arrivare a cogliere una bacca, che poi inghiottiva con una certa fatica. Teneva le sue penne idrorepellenti tutte gonfie perché formassero un cuscinetto d'aria protettivo, per mantenere il calore corporeo. Ogni tanto dava dei poderosi colpi di becco sul terreno per smuoverlo e cercarvi qualche vermetto, qualche insetto; ma quel poco di terra ancora non coperta dalla neve era talmente gelata da sembrare una lastra di cemento a me, che stavo dietro i vetri della finestra al caldo. Dal suo punto di vista il merlo nel gelo non si dava per vinto e martellava il suolo, per poi tornare sconsolato al suo saltino, alla sua bacca durissima, ai suoi sforzi per ingozzarla.
Ci conosciamo da un pezzo io e Cirillo -l'ho chiamato così- da almeno tre anni e mezzo; oramai non scappa più quando mi affaccio alla finestra, solo mi tiene un attimo d'occhio, poi ricomincia a lavorare. Perché è un grande lavoratore: parte con la prima luce del giorno e finisce quando il buio si impossessa di tutto. Dieci ore d'inverno, più di diciotto d'estate. Non demorde mai. Scava e scava, e quando ha afferrato un lombrico inizia a tirare, a volte tira per qualche minuto, perché il lombrico non collabora, anzi si attacca al sottosuolo con tutte le sue ventose e tira dalla parte opposta. Una sudata bestiale! Ma alla fine Cirillo lo estrae completamente, lo spezzetta e se lo divora in pochissime ingozzate.
Dai Cirillo, sei forte! Quante volte gliel'ho gridato. Sembra che mi capisca, perché raddoppia gli sforzi e finita la pappata si fa un voletto sotto la mia finestra come un centravanti quando ha segnato un bel gol che corre sotto la sua curva per esultare coi suoi tifosi.
Guai se un concorrente, un altro merlo oppure anche una femmina -sono più piccole, non nere, con un becco giallo paglierino- entra nel suo campo: schizza come un missile a volo radente ed estromette l'intruso senza tanti complimenti. Quando il falco vola alto intorno alla nostra casa Cirillo resta vicinissimo ad uno degli abeti: becca per terra e guarda in su con un occhio per volta; aggancia la coda del lombrico e guarda in su; tira il lombrico e guarda in su; se lo mangia e guarda in su. Ti ho fregato, sembra dire.
Smette di lavorare, si colloca sopra il nostro garage e lascia che un altro merlo pascoli sul suo prato nella stagione degli amori. Guardo bene e vedo che non è un maschio. Cirillo sta facendo dono alla sua sposa della cosa più preziosa che ha, il suo prato. Per tutto il giorno lei becca e lui la guarda, poi scende la sera e se ne vanno tutti e due tra il fogliame dell'abete.
Questa non è una favola, è la storia della vita quotidiana di Cirillo.

sabato 30 gennaio 2010

"L'UOMO CHE ZITTÌ I TROMBONI"

Questo è il titolo di una cronaca biografica che Indro Montanelli scrisse nell'agosto del 2001 per il "Dizionario biografico degli italiani". Vi raccontava la vita e le opere di Augusto Guerriero, che quelli della mia generazione hanno conosciuto con lo pseudonimo di Ricciardetto.
Mio padre nel marzo del 1950 arrivò un sabato a casa con una rivista nuova di Mondadori, EPOCA; non era il primo numero, ma uno dei primissimi. Credo sia stato il primo rotocalco moderno edito in Italia, con tantissimi servizi fotografici. Era quello che interessava mio padre, appassionato fotografo dilettante, il primo artista della famiglia.
Ricordo che sfogliai distrattamente quella rivista. Trovai un articolo di politica estera in una delle prime pagine; mi piacque il nome dell'autore, Ricciardetto, così lo lessi. Fu una lezione di concisione e di coerenza letteraria. Avevo pensato fino allora, da bravo liceale, che così potesse scrivere solamente un autore latino, uno come Tacito, Plinio il vecchio o Tertulliano. Da quella volta non ho mai mancato di leggere il pezzo di Riacciardetto e la rubrica che subito dopo intratteneva coi suoi lettori, che gli scrivevano mucchi di lettere. L'aveva intitolata "Conversazioni con i lettori".
Proprio questo è il motivo del blog odierno. Ricciardetto rispondeva a tutti, perfino ai comunisti che lo insultavano sempre; non era fascista, era un liberale assolutamente anticomunista convinto. Rispondeva a tutti, confutando e ribattendo con argomenti che non traballavano mai, tanto erano lucidi e logici; era infatti un esimio giurista, come ho appreso dopo la sua morte, e a volte polemizzava con lo stesso scrivente anche per diverse puntate. Insomma era duro, ma corretto a patto che chi scriveva non facesse errori di grammatica o di sintassi. Allora diventava caustico, addirettura pedante: bacchettava il malcauto scrittore anche pesantemente dandogli dell'illetterato, quando era in buona luna, per arrivare a definirlo ignorante e stupido, quando aveva la luna storta; e questo avveniva il più delle volte.
Mi è venuto di pensare alle risposte ai lettori di Ricciardetto su Epoca, leggendo una mail, che un tale A.R. ha spedito alla nostra amica Fuma in risposta ad un suo intervento su "Italians" di Severgnini di qualche giorno fà; là dove Fuma fa riferimento a quel tale onorevole leghista che si scandalizzava per come Anna Frank nel suo diario parlasse delle parti intime femminili, e ne chiedeva la messa al bando dalle nostre scuole.
Mi sono detto: come avrebbe reagito Ricciardetto nel ricevere questa lettera? Per meglio dire, come avrebbe chiosato questo testo nelle sue Conversazioni, posto che pubblicava tutto quel che gli veniva indirizzato?
Proviamoci, e speriamo che Augusto Guerriero non si giri nella tomba.
Scrive A.R.: "Quando parla in quel modo che Lei (sic) riporta, immagino fedelmente, quell'onorevole di onorevole ha poco; o d'intelligente." Innanzi tutto ci si rivolge ad altri usando il pronome con la maiuscola in una lettera privata, per il resto va bene il corsivo. In secondo luogo il punto e virgola dopo "ha poco" non va, basta una virgola. Infine non si usa mai elidere con un apostrofo "di intelligente"; pertanto il suo modo è sbagliato, errore blu.
Continua A.R.: "come poco d'intelligente, al di là del trito, ha il commento del Severgnini."
Per l'apostrofo abbiamo già detto, altro erroraccio blu. "Al di là del trito" non significa niente, mai quello che intendeva scrivere lei. Si usa dire al di là dei monti, degli alberi, della siepe, della strada eccetera; volendo intendere che il commento di Severgnini (non del Severgnini, non è il Pascoli, il Carducci, il Boccaccio o il Manzoni) non è niente altro che la solita aria fritta, non c'è bisogno di andare al di là di niente, all'infuori della decenza come ha fatto lei.
Insiste A.R.: "Basta essere al corrente di quel che succede in giro qua e là nel mondo". Se lei dice in giro ha già chiarito il concetto, non occorre dire qua e là, che è la stessa cosa; pertanto lei ha scritto quel che succede in giro in giro, oppure quel che succede qua e là qua e là, a suo piacere. Pessimo.
Continua A.R.: "non solo poco al di là delle coste orientali del mediterraneo, per sapere che cose simili stanno accadendo oggidì". Lei voleva forse parlare di ciò che avviene nell'entroterra delle coste libiche, immagino dato il contesto. Orbene, egregio signore, quelle sono le coste ORIENTALI del continente africano, non già del Mediterraneo: le coste orientali di questo mare sono quelle croate, quelle albanesi, quelle greche, quelle turche, mentre quelle cui allude lei sono le coste OCCIDENTALI di detto mare. Zero in geografia.
Insiste A.R.: "Si è trovato il modo facile perché certe cose, come sembra affermare il Severgnini, è vero che non vogliamo riviverle più". Il modo facile di fare cosa, signor A.R.? Sa almeno lei cosa sta dicendo? Penso di no, credo che si sia incartato con le sue stesse parole, non ho detto concetti badi bene.
Ancora A.R.: "Proprio come PioXII, noi, quasi tutti, come Severgnini, guardiamo altrove. È orribilmente (sic) facile puntare il dito ad altri." Sugli altri, amico, contro gli altri.
Conclude finalmente A.R. con un P.S., che trascrivo integralmente per la gloria dei posteri: "non credo sia realistico, e di gran lunga, dire che ci possa essere alcun partito cui sia cara, se non opportunisticamente o per interesse personale, la preziosa lingua dei segni".
Questo inciso non merita commenti, è troppo bello per guastarlo con una qualsivoglia nota.
Ricciardetto sarebbe stato ancora più salace, sarebbe stato spietato con un saccente che vuole esibire una cultura che non gli appartiene.
Mi accorgo di avere scomodato Ricciardetto per un simile caprone, mi scuso con Augusto Guerriero. A mia discolpa gli mando a dire, parafrasando Cicerone "Mihi Ricciardetto vivit, semperque vivet". ´Spero di averne placato l'anima.

venerdì 29 gennaio 2010

ÖTZI: IL PRIMO DELITTO IRRISOLTO

Accompagno sempre mia moglie quando va dal medico; le do il mio supporto morale. Ma per fare la Marconiterapia in cabina ci va da sola ed io aspetto in sala d'attesa. Leggo tutto quello che trovo, per passare il tempo.
Ieri mi è capitato per le mani un numero piuttosto vecchiotto di GEO, una bella rivista tedesca scritta da gente molto obiettiva e competente. Ho letto la storia di Ötzi, la mummia di circa 5400 anni orsono trovata sepolta nei ghiacci al confine tra l'Alto Adige ed il Süd Tirol, cioè a dire tra l'Italia e l'Austria, mummia che adesso si trova nel Museo di Storia naturale di Bolzano.
L'articolista si sofferma con dovizia di particolari su quello che dovrebbe essere stato l'ultimo pasto di Ötzi, avena e cicoria, con qualche mirtillo. Se ne deduce che il nostro vecchio amico abbia passato le ultime ore nei boschi, mangiando bacche ed erbe che trovava a portata di mano. Nessun arrosto, nessun pasto caldo.
Io mi sono fatto un'idea. Ötzi era un cacciatore di frodo. Si inoltrava nei boschi forse di notte approfittando dell'oscurità per raggiungere le postazioni migliori e più nascoste agli sguardi delle prede e degli altri cacciatori. Aspettava "il passo" della selvaggina, come si dice in gergo venatorio, cervi certamente, antilopi, stambecchi: con una di quelle bestie mangiava tutta la famiglia ed avanzava carne da vendere ai vicini per fare qualche buon baratto.
Ötzi doveva essere piuttosto bravo se a qualcun altro è saltata la mosca al naso, ed è venuta la voglia di farlo fuori. Sulla sua mano destra, infatti, tra pollice e primo dito, è ancora ben visibile una profonda ferita da taglio provocata da un grosso coltello oppure da un'ascia. L'assalitore gliel'ha calata dall'alto per colpirlo alla testa ed Ötzi si è difeso come tutti avrebbero fatto, alzando il braccio. Poi deve essere scappato via.
Un paio di giorni appresso però l'assalitore, o gli assalitori, si è fatto più furbo e cauto. Doveva esserci nebbia, oppure ancora il sole non era alto, di certo Ötzi non ha visto partire la freccia, che lo ha trafitto all'altezza della scapola destra. La punta non è stata rinvenuta subito al momento della scoperta della mummia, ma solo all'esame radiografico. Una punta di rame, ben sagomata, penetrata in un polmone. Lo stesso giorno è caduta abbondantemente la neve, e poi di nuovo nei giorni successivi e per tutto l'inverno. Probabilmente il delitto è avvenuto all'inizio della stagione cattiva e per mesi e mesi la neve si è accumulata sopra il cadavere di Ötzi. Poi ha ghiacciato tutto ed il nostro cacciatore è rimasto sotto un paio di metri di ghiaccio, fino a quando il naturale o innaturale ritiro dei ghiacci di questi ultimi anni ha portato di nuovo alla luce il suo corpo mummificato ed estremamente ben conservato.
Lasciatemi fare un pensierino blasfemo. Se a causa di catastrofi naturali o per guerre alcune nostre città in Sicilia o in Calabria, oppure in Campania venissero abbandonate, e mettiamo dopo due o tremila anni in seguito ad un terremoto o a disfacimento dovuto all'usura del tempo alcuni palazzi di cemento cadessero in bricciole, quanti Ötzi gli scienziati del tempo vedrebbero affiorare più o meno intatti dal cemento?
E non si tratterebbe di cacciatori di frodo, ma di vittime della malavita organizzata, e non si troverebbero ai raggi x punte di frecce, ma pallottole di Kalashnikov.

giovedì 28 gennaio 2010

IL GIORNO DELLE S...CIOCCHEZZE

Non avendo ancora letto il Corriere della sera su Internet ho appreso la notizia da Monica Setta, la prosperosa conduttrice de "Il fatto", quella specie di ring del primo pomeriggio su Rai 2: Adriano Celentano propone di azzerare tutti i processi (tutti tutti o solo quelli del Berlusca? Non l'ho capito bene), per poi ricominciare tutto da capo. Tutto cosa? Il casino di adesso? Non è sufficientemente chiaro.
Ad ogni modo, andiamo avanti. Il 21 di questo mese ho scritto un commento sul blog del giorno di Fuma62, dal titolo "Licenza breve" in cui dal mio piccolo sostenevo più o meno quel che oggi il grande Adriano ci manda a dire. Mi rifacevo al mito di Alessandro Magno, che con un colpo di spada taglia il nodo di Gordio, ottenendo quindi dagli dei il permesso di impossessarsi dell'Asia. Dicevo però dal mio piccolo: prendiamoci otto o dieci anni di tempo; mettiamo fine a tutti i processi che possiamo, dopo di che basta, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fregato. A quel punto si ricominci tutto da capo.
Non mi sembra che la mia ospite abbia preso la mia proposta tanto seriamente, né altri commentatori l'hanno fatto. Io comunque non avevo alcuna pretesa che se ne discutesse, né tantomeno che qualcuno applaudisse. Era chiaramente una proposta provocatoria, niente di più.
Sembra invece che Celentano faccia sul serio, perlomeno i presenti a "Il fatto" di oggi ci si sono accapigliati sopra con baldanzoso coraggio. Qualcuno ha proposto che Adriano Celentano rompa gli indugi e scenda nell'agone politico, che faccia insomma la sua parte da artista impegnato. Altri hanno detto che ci sarebbe una possibilità anche per Sabrina Ferilli, che già in qualche trasmissione televisiva sul terzo ha chiaramente espresso una sua posizione politica.
Sono tutti e due per il PD. Per par condicio bisogna urgentemente trovare un paio di artisti disposti a candidarsi per il PdL. Ci pensi Berlusconi in persona, che moltissimi attori, attrici, cantanti et similia conosce e frequenta.
Io non ci vedo niente di male; chissà che non sia meglio per i nostri politici un tantino stazzonati. Voglio dire che nel bel mezzo di una cagnara al Parlamento, come tante volte abbiamo sentito addirettura in diretta TV, una bella canzone cantata da Adriano Celentano potrebbe rasserenare gli animi; e se poi la Ferilli facesse in quell'aula ciò che fece alla festa per l'ultimo scudetto della Roma, correndo seminuda con un vessillo giallorosso in pugno, credo che riuscirebbe a portare l'entusiasmo alle stelle. Basterebbe darle una bandiera italiana per mettere tutti d'accordo. Applaudirebbero anche i leghisti, sono sicuro.
Ieri sera sul primo canale della Rai è andato in onda un film su Anna Frank. Non mi mè piaciuto.
Ho letto il diario tanti anni fa, non posso ricordarne le parole, ma la profonda scossa che diede alla mia anima quella la ricordo assai bene. Anna era una creature diafana, celestiale; esprimeva l'intima sofferenza sua e della sua gente con parole semplici.
Credo che sia difficilissimo trovare un'attrice in grado di rendere la leggerezza dello spirito di Anna. Fossi stato il regista avrei innanzitutto usato il bianco e nero che dà maggiori profondità nelle dissolvenze e non avrei mai inquadrato direttamente l'attrice protagonista. L'avrei sempre lasciata riprendere in controluce, con una fonte luminosa dietro, che ne mettesse in evidenza unicamente la silouette ed i contorni che avrebbero dovuto sfumare nell'infinito.
E poi niente urla, niente violenza, solamente sussurri, come le parole scritte nel silenzio di quel rifugio ad Amsterdam.
Forse non ne sarebbe venuto fuori un film commercialmente interessante, ma certamente migliore di quello che ho veduto ieri sera.

mercoledì 27 gennaio 2010

Il giorno della memoria

Oggi è il giorno della memoria, della Shoah, dell'Olokaust; oggi è il giorno dei sei milioni di ebrei trucidati nei campi di sterminio nazisti.
Basta ascoltare la radio italiana o tedesca, per chi come me vive in Germania; basta accendere il televisore, RAI, Mediaset, ARD, ZDF, insomma tutti celebrano questa giornata.
A me viene da fare una sola considerazione, senza nulla dire di un'Olocausto di cui sembra si sappia tutto o quasi, di cui tutti hanno già parlato, e cioè: sono passati 66 anni dall'apertura dei cancelli dei campi, da quando il resto del mondo ha ufficialmente preso visione dell'Orrore. I superstiti sono stati curati, rimessi in piedi, riportati ai luoghi, la maggior parte, da cui erano stati strappati. Hanno parlato, hanno raccontato, hanno scritto, hanno documentato, sono apparsi in trasmissioni televisive, insomma hanno testimoniato. Quanti di loro sono vivi oggi? Ma soprattutto, quanti oggi già mettono in discussione che mai sia avvenuto l'Olocausto, malgrado la presenza di questi testimoni? Mi vengono in mente un paio di eclatanti esempi: un vescovo cattolico (sic!), un imbecille iraniano che studia alacremente per diventare delinquente.
Mi chiedo: cosa succederà fra cinque, dieci, venti anni quando anche gli ultimi superstiti della Shoah, i bambini che abbiamo visto mille volte in un filmato nazista, reperto che non hanno fatto in tempo a distruggere, denudare il braccino e mostrare alla cinepresa il numero marchiato nella carne; cosa succederà quando anche gli ultimi di quei bambini saranno morti? Chi testimonierà in futuro il tentato sterminio di un'intera razza?
È di oggi la notizia delle parole della guida suprema religiosa iraniana, Ali Khamenei, sull'inesistenza della Shoah e sulla certezza che un giorno, quanto prima, i popoli vicini vedranno la distruzione di Israele. Ripete Khameini i nobilissimi concetti, che Mahmoud Ahmadinejad da tempo scandisce al mondo.
Oggi siamo in tantissimi a ricordare, in tanti, come ho detto, a testimoniare con la propria presenza, il proprio braccio tatuato. ciò che veramente è accaduto, ma poi?
Io dico che qualcosa ancora si debba fare, chessò una letteratura sulla Shoah, scritta, per meglio dire romanzata. In fin dei conti noi conosciamo la Campagna di Russia napoleonica anche attraverso la narrazione che ne fa Tolstoi in Guerra e pace. Peccato che non ci sia nessun Tolstoi a disposizione; ma si potrebbe tentare.
Per quel che mi riguarda ho deciso di riferire ai miei figli ed anche ai miei nipoti quello che io so di sicuro, che mi ha raccontato la mia carissima compagna di liceo Paola De Benedetti. Lei nei campi non c'era stata, aveva vissuto nascosta con la sua famiglia presso amici sicuri, che avevano rischiato la vita per salvarli. Era una ragazza non bella ma estremamente intelligente e piena di umanità. Non aveva perduto il suo amore per il prossimo, la sua fiducia negli uomini malgrado da ebrea avrebbe dovuto scansarli tutti urlando.
Aveva fiducia nel futuro. Eravamo nel 1950; da poco esisteva lo stato libero di Israele e questo per Paola era il segno che il mondo stava di nuovo ritrovando un ordine ed una logica. Ben presto la civiltà avrebbe preso il sopravvento sulla barbarie. Sicuramente è ancora viva e sicuramente ancora brilla dentro i suoi occhi quella luce, che me la faceva sembrare bellissima allora, perché era bellissima quando parlava del futuro radioso per l'umanità, era la più bella di tutte.

martedì 26 gennaio 2010

Scrivo un blog da blogger stavolta

Questa mattina alla TV su "Uno mattina" la conduttrice bionda platinata ha intervistato una insegnante di 61 anni che andava in pensione. Che c'è di strano? Perché un'interviata? Perché si tratta della capofila dei precari che vanno in pensione senza MAI aver avuto un posto fisso. Questa signora ha insegnato per 29 anni da precaria, senza mai poter fare un programma, svolgere un proprio piano di insegnamento; senza mai avere una scuola fissa, una scolaresca fissa. Ogni anno facce nuove, colleghi nuovi, simpatie ed antipatie nuove, presidi nuovi, qualche volta paesi nuovi e probabilmente solamente le scarpe vecchie.
Ma come si può! Stiamo parlando di una insegnante di lingue, inglese e francese, dio santo!
Ricordo il mio professore di francese al ginnasio. Allora la lingua straniera si studiava due anni solamente, nelle due classi del ginnasio, la IV e la V. Non so come è adesso. Deve essere tutto cambiato perché sento parlare di quinta liceo classico: da noi dopo le due del ginnasio c'erano le tre classi del liceo. In tutto 13 anni come adesso. Ma con professori titolari, al massimo un paio di supplenti per qualche trimestre.
Il mio professore si chiamava Michele Agueli. Pesava 127 chili. 127 chili di sapienza ed allegria. Michelone da quando entrava a quando lasciava l'aula ci teneva inchiodati al banco con la sua bravura e con la sua bonarietà. Sono così tutti i ciccioni. Ricordo che una volta, correggendo un mio compito in classe, arrivò ad un "chez soi". Si fermò e mi chiese: "Che rospo è questo?"
"A casa sua." risposi. "Come ci sei arrivato?" "Semplice, dissi, chez moi, chez toi, chez soi." " E se fosse a casa de tu sorella come tradurresti, chez soretà?" Ridevamo tutti e lui concluse "A Iacopò se dice chez elle, piglia, impara, incarta e porta a casa". Mi diede 6= "Perché m'hai fatto ride".
Gli volevamo tutti un gran bene. Ma questa è la verità: gli alunni si affezionano agli insegnanti e questi agli alunni.
Se penso che tutti quegli alunni non si sono potuti affezionare alla loro professoressa perché non gli é stato permesso, non gli è stato dato il tempo mi viene una gran rabbia, da vecchio alunno. Non parliamo dell'insegnante cui è stato privato ogni elementare diritto, mantenendo però tutti i doveri dei suoi colleghi. Ogni anno ripartiva dallo stesso stipendio, senza uno scatto di anzianità, senza niente.
Questo si chiama un bello schifo. E basta.
Anche in Germania quando una ditta ti assume non ti garantisce il posto fisso. Sei assunto per esempio dalla Mercedes, dalla Siemens, dalla Wolfswagen oppure da un colosso della Chimica o dalla Thyssen e tu all'atto dell'assunzione firmi una liberatoria dove ti impegni a cambiare cittá ed a recarti in un'altra fabbrica della stessa azienda o di una consociata in caso di bisogno, temporaneamente o per lungo tempo. Ma lo stipendio ha tutti gli scatti di anzianità e così la pensione. Non lo chiamano nemmeno precariato, perché in effetti precario non sei, hai il tuo posto fino alla pensione. Da noi lo Stato, la più grande azienda, la più sicura che dovrebbe esserci, non ti garantisce nulla, ma le tasse te le devi pagare come chi è titolare di una cattedra.
Penso che la cosa si commenti da sola.
Su Italians ho trovato poi una lettera di un certo Andrea che diceva di odiare tutti e di non credere più a nulla. L'accenna anche Silvia nella sua "circolare" ai suoi amici. Non so cosa abbia scritto lei. Conoscendola avrà cercato di convincere Andrea che non si può vivere odiando.
Gli ho scritto una mail anche io. Cominciava così: "Se questa lettera fosse vera sarebbe di una tristezza infinita; ma è vera? Mi sembra un pochettino esagerata." Pausa di riflessione per entrambi. Continuava così: "Mettiamo che sia vera: chi vuoi odiare? Chi ti ha ferito di più? La classe politica? Allora tu sei uno di quelli che, destra centro o sinistra, ci hai creduto. Dovresti avercela con te stesso, allora".
Certo che sono cattivo, ma io vivo qui in Germania da 38 anni perché non ho avuto nessuna fiducia nelle istituzioni e nei governi e governicchi di allora, che facevano le stesse porcate di quelli di oggi, solo che non c'erano Porta a Porta, Ballarò Anno zero alla TV, non c'erano i telefonini e soprattutto non c'era Internet. Me ne sono andato via. Ho portato moglie e tre figli dai miei suoceri; li ho parcheggiati lì per un paio di anni ed ho fatto tutti i lavori onesti che mi sono stati offerti, senza formalizzarmi troppo se erano lavori da villano e non da universitario colto. Come tantissimi altri hanno fatto. Non mi sono arricchito, ma vivo in gran decoro, i miei figli sono tutti sistemati bene ed io sono contento così come sto.
Non devo amare né ringraziare nessuno, ma non sono costretto ad odiare nessuno.

lunedì 25 gennaio 2010

LASCIATEMI SGHIGNAZZARE

Ieri sera, più o meno alle 22,40, io e mio figlio Federico ci siamo dati una ventina di cinque e di pacche sulle spalle, ululando come guerrieri sioux che avevano fatto il pieno di scalpi dei visi pallidi.
Noi avevamo fatto il pieno degli scalpi dei milanisti: erano sul terreno del Mezza, sdraiati a pancia all'aria, braccia spalancate, gambe divaricate, occhi a tiro incrociato e lingua di fuori: in una parola DISTRUTTI.
Noi due, in gloria come tutti i diversi milioni di interisti nel mondo, a goderci lo spettacolo della loro boria calpestata, della loro prosopopea sgonfiata e della loro arroganza ridotta in oscena flatulenza. Un godimento senza precedenti e senza fine, gente!
Perché non è stata una cosa semplice. Dalle lande del Piemonte arrivava il flusso di poderose gufate; dalla capitale e da Napoli altre gufate e cori denigratori per un nostro giocatore di colore, che sembra stare sul gozzo a tutti quanti; da Firenze poi era arrivato, forse in groppa ad un cammello, un arbitro inetto, rifilatoci di soppiatto da qualcuno che poco ci ama, e che vede come il fumo agli occhi i colori nerazzurri in cima alla classifica, ormai da cinque anni.
Ed il malefico fiorentino iniziò la sua opera demolitrice ben presto, espellendo quello che per noi era il faro del gioco, un olandese piccolo quanto bravo, un mezzo regalo del Real Madrid, come Cambiasso, che ci hanno dato gratis considerandolo un bidone. Grazie Spagna, grazie Real.
Stavamo in quel momento 1-0 con un gol del "principe" Milito; mancava però alla fine quasi un'ora e un quarto e tutti si aspettavano che il Milan ci facesse a fettine.
Gliene abbiamo fatto ancora uno, e malgrado l'iniquo ghibellino ci abbia fischiato un rigore contro che forse nemmeno c'era, Ronaldinho s'è fatto parare il rigore da Julio Cesar, che lo ha fregato, non muovendosi tra i pali.
È finita 2-0 per l'Inter; 0-2 per il Milan.
Immaginare il Berlusca a Roma, nella sua lussuosa abitazione, circondato dai suoi fidi incensatori, diventare di minuto in minuto sempre più piccolo fino quasi a scomparire sotto il divano, mentre il suo alter ego a San Siro, mister Galliani intendo, prolungava il suo muso da squalo fino a toccare terra è stato un momento di grande beatitudine.
Per un paio d'ore di una serata invernale si possono dimenticare ambasce e dolori addominali, cambiali in scadenza e le stupidaggini a gogò di alcuni politici nostrani e bearsi di un gioco, che è il più bello del mondo, quando vinci, quello che ti manda in visibilio, quando vinci, quello che ti fa sognare, quando vinci, e che ti distrugge la vita (vero milanisti?) quando perdi così, da PIRLA.

sabato 23 gennaio 2010

Hic manebimus optime

Sono rincasato dopo una giornata passata nel domicilio di mio figlio, in compagnia dei suoi gemelli di ventotto mesi, completamente esausto, ma felice: quei due lazzaroni mi danno ogni volta una scarica di energia.
Ho svolazzato sui blog degli altri, soprattutto su quello di Fuma, poi sono entrato nel mio. Ho riletto il mio pezzo di ieri e mi ha preso il Wut, la rabbia per la pagina 74, l'odiatissima 74.
Ho agganciato il testo su word ed ho letto le ultime due righe:
"Federico sedette in terra incrociando le gambe, incurante del fatto che gli altri membri della squadra pensassero che stava riposando. Si pose una domanda: -Come avresti preparato tu l'incontro se fossi stato al posto di Tania Mauer?-"
Ho preso la prima penna che mi è capitata sotto le mani -NON la tastiera del computer, nota bene, una volgarissima penna biro ed un foglio di carta- ed ho scritto di impulso e di rabbia:
"Restò solo un attimo senza darsi una risposta.
-Come ha fatto lei -si disse poi- mettendo gli uomini sul terreno in una formazione a cuneo, col vertice rivolto verso di noi, a punta di lancia; anzi ad albero di natale, come una squadra di calcio che gioca in trasferta con un solo attaccante e gli altri tutti dietro la linea del pallone a difendere la porta.
Guardò come erano sistemati i suoi: disposti a cuneo rovesciato, molto forti sui lati.
-Fantastico, pensò: così li fregheremo."
Mi sono alzato reggendo quel foglio nelle mani.
Cavolo! Mi sono detto. E ci ho messo quattro mesi.
Di colpo avevo visto dove mi aveva portato il gomitolo e da dove sarei partito per il resto, per il finale.
Così mi sono venute alle labbra le parole che Tito Livio mette in bocca al centurione che torna dopo la battaglia di Veio: "Pianta qui la tua insegna, alfiere, hic manebimus optime, questo è il miglior posto dove sostare."
Ora so quello che scriverò domani, e dopodomani e dopodopodomani. È una grande sensazione, gente, la liberazione da un incubo, perché io ci stavo proprio male, malissimo, altro che mal di denti.
Adesso però mi accorgo che debbo dare una spiegazione a proposito di quel gomitolo di cui sopra.
Non è mia, ma di Stephen King. Sostiene King che le idee a volte te le devi andare a cercare fino in cima alla luna, altre volte ti cadono addosso e ti basta raccoglierle. Sostiene ancora che, quando va a caccia di idee prende un gomitolo (ideale) di filo, se ne lega un capo al polso destro e lancia il gomitolo avanti a sè; poi incomincia a seguire il filo riavvolgendolo. Gli capita di trovare l'altro capo del filo in un letamaio, su una strada sbagliata insomma. Allora ritorna indietro e lancia di nuovo, e prima o poi imbocca la strada giusta. Ecco: dopo quattro mesi di inutili tentativi ho evitato tutti i letamai e sono sulla strada giusta.
Questa mattina ho letto, come faccio ogni giorno, ITALIANS di Severgnini.
C'era la lettera di un italians che mi ha un po' irritato. Sulla fritta e rifritta ormai storia della riabilitazione di Bettino Craxi. Lo scxrivente (refuso freudiano) scomoda Napoleone, esprimendo una curiosissima teoria: Napoleone era un dittatore che se ne fregava dei principi della Rivoluzione, Égalité, Liberté, Fraternité e faceva il comodaccio suo. Napoleone aveva fatto del nepotismo una regola del suo governo elevando al rango di re fratelli e cognati. Napoleone ha fatto massacrare due milioni di francesi in guerre utili soltanto al suo prestigio (!); seicentomila morti solo nella campagna di Russia. Napoleone era quindi un tiranno sanguinario, che aveva arricchito se stesso e la sua famiglia. Era anche un puttaniere, cento sono state le sue amanti, Maria Walewska per prima; era anche un sudicione, come si evince dalla sua posta. Scrive infatti a Giuseppina: "Campagna vinta. Fra quindici giorni sono a Parigi. NON LAVARTI."
Eppure, conclude il nostro scrittore, in ogni angolo di Francia, in ogni città c'è un monumento a Napoleone. Significa: tolleriamo tutte le sconcezze, le nefandezze per cui B.C. è stato condannato (cinque volte per tre gradi di giudizio) ed eleviamolo agli altari.
L'aver voluto mescolare Napoleone con Craxi mi ha dato fastidio. Il nostro non ha capito il senso della Storia. Lo invito a leggere il libro stupendo di Benedetto Croce "Storia d'Europa nel secolo decimonono". Troverà la spiegazione a molti dei suoi quesiti. Basti citarne l'incipit:
"Alla fine dell'avventura napoleonica, sparito quel GENIALE DESPOTA dalla scena che tutta occupava...".
Naturalmente Croce voleva riferirsi all'altro despota che geniale non era e che in Italia la scena tutta occupava, ma va bene lo stesso come inciso.
Mi girano le scatole perché lo Italians della lettera è andato a scomodare un mito della mia giovinezza.
Napoleone è stato tutto quello che sostiene quel signore ed anche peggio. C'è solo da dire che ha sconvolto la storia d'Europa cambiando un'epoca. Il famigerato Congresso di Vienna ha cercato di restaurare quel che poteva del passato, ma le idee erano avanzate, troppo avanzate, anche se portate sulla punta delle baionette francesi. Era iniziato il cambiamento. Questo lo ha stabilito La Storia, non la Moratti a Milano o i passionari in tutta l'Italietta del vecchio PSI.
Aspettiamo la Storia ed il suo giudizio. Oggi siamo purtroppo solamente alla cronaca; ci vorrebbe un Omodeo e invece dobbiamo accontentarci di un Bruno Vespa.

venerdì 22 gennaio 2010

IL BRACCINO CORTO

Da quasi quattro mesi sto cercando di rimettere mano al mio romanzo, rimasto alla pagina 73 del word. Inutilmente. È come se ogni volta prendessi la scossa, e mi fa una rabbia, mi fa. Perché non ho il blocco dello scrittore, infatti nel frattempo ho scritto cinque racconti, ho rivisionato il mio secondo romanzo, ho commentato sul blog dei miei amici ed ho scritto onorevolmente sul mio un paio di pezzi. Quando hai il blocco non riesci nemmeno a scrivere cartoline di auguri. E allora? Io l'ho battezzato "il braccino corto", quello che viene ai tennisti che stanno per concludere a loro favore l'incontro di finale: sul risultato di 5-4 al quinto set, con la battuta ed una situazione di quaranta a zero ho sprecato tre match point, mettendo una palla lunga, buttando a rete una volée di rovescio e sotterrando uno smasch da trequarti campo! Una catastrofe, e adesso ho le chiappe raggrinzite dalla paura.
Con questo animus pugnandi ho affrontato oggi il quotidiano assalto alla pagina 74. Ma mi sono fermato alla numero 2. Lì, dopo il titolo e prima dell'incipit del romanzo, dove di solito si scrive un pensiero, oppure un celebre detto, o solamente "a mia madre", che fa sempre un effettone, io ho riportato un versetto bellissimo dell'Apocalisse:
Per questo rallegratevi, o cieli,
e voi che in essi dimorate.
Guai alla terra e al mare,
ché il diavolo a voi è disceso:
un'ira veemente ha nel cuore,
perché sa che breve è il suo tempo.
Mi colpisce profondamente questa discesa del diavolo sulla terra.
Non so che dire: non credo nell'Inferno o nel Paradiso e mi ha dato fastidio che un papa carismatico come Woityla abbia tirato fuori più e più volte 'sto diavolo dal cilindro come se lui ci credesse veramente. Ma forse sono ignorante io, o solamente troppo poco intelligente per capirlo, non escludo nulla. Comunque questo diavolo schiumante rabbia che si avventa sulla terra mi affascina. Il mio vecchio insegnante di italiano avrebbe detto: "Un'espressione pregnante".
La domanda che mi pongo è: perché è breve il suo tempo?
Non è vecchio più del mondo? E non sopravviverà alla fine del mondo? Ma che razza di alter ego di Dio è allora questo diavolo?
In qualche mia pagina del passato ho scritto una frase, che cito a memoria: l'amore e l'odio vanno a braccetto in questo angolo di universo, però l'amore finisce sempre, l'odio mai. È l'odio il motore della vita del mondo. Cioè il Male, cioè il diavolo.
A chi obietta che anche l'amore è infinito, a volte, rispondo che l'unico amore infinito che conosco è quello di una madre per il proprio figlio: sorge dal cuore al primo movimento fetale e non muore mai. Altri amori fino alla morte non esistono.
L'odio col tempo aumenta e produce altro odio; una catena di montaggio senza limiti.
Ma Giovanni dice che il suo tempo è breve. Allora forse vuole dirci che il tempo del mondo è prossimo a concludersi, che tutto finirà ed il nostro amico Belzebù non avrà più anime a disposizione da portarsi via.
Sono oltre 1900 anni che l'Apocalisse è stato scritto e a me parrebbe sufficiente per decretare la fine dei tempi supplementari: non è successo niente, caro Giovanni, ti è andata buca la profezia. Però poi penso alle Torri Gemelle, alle stazioni di Madrid, allo tsunami nell'Oceano indiano, e recentemente ad Haiti e freno la lingua perché, credere o non credere, di fronte al mistero del Sacro bisogna fermarsi e riflettere.
E allora, visto che dobbiamo fare una profonda riflessione, cerchiamo di capire che significato avessero le braccia alzate al cielo di quel bambino haitiano seminudo e sporco estratto dalle macerie cinque giorni dopo il terremoto. Lo tirano fuori e tu ti aspetti un esserino impaurito che piange e si stringe al collo dei soccorritori, e quello spalanca le braccia come se avesse segnato il gol della vittoria all'ultimo minuto.
Un'immagine incredibilmente bella e rasserenante, che mi ha preso alla gola.
Una di quelle cose che non dimentichi più.
Fa da contraltare a quella terrificante del secondo aereo che arriva di volata dalla destra del teleschermo e si infila nella Torre Sud.
Ecco l'amore ed ecco l'odio.
Quale dura più a lungo?

giovedì 21 gennaio 2010

Seguire i consigli degli amici prodest

Ornella ha ragione: un blog deve promuovere commenti. Se ne deduce che debba sollecitare emozioni; quindi non può essere un bollettino meteorologico, né una puntatona di Porta a Porta con Alba Parietti a mostrar le coscione.
Devo tenerlo sempre presente oggi che riparlerò del mio libro, anzi, solamente dei due personaggi maschili, Terenzio Mauteri ed il narratore della storia, di cui, con un vezzo d'autore, non si conosce il nome. Terenzio lo chiama più di una volta "bello" e lo farò pure io, per economizzare spazio.
Bello è colui che narra le cose sue e quelle di Terenzio, quel che capita a Christine, a Marò, a Ima; insomma tiene insieme le fila del racconto. Bello non sono io, ma ha molto di me; accidenti della mia vita entrano nel racconto della sua vita; ha i miei pensieri, esprime spesso le mie opinioni.
Voglio subito chiarire un concetto. Questo libro non è autobiografico, non racconta la storia della mia vita, delle mie sventure e dei miei successi. Eppure se qualcuno mi chiedesse: "Iacoponi, questo tuo libro è autobiografico?", io gli risponderei "Ni".
Ogni autore è autobiografico. Non posso ambientare una storia in Finlandia, dove non sono mai stato; non posso costruire un personaggio senza dargli una base reale, togliendo a persone vere che ho conosciute, perché altrimenti il lettore si accorgerebbe che il personaggio è vuoto, fittizio. Coi personaggi maschili ti salvi sempre, perché sai come reagiresti tu in certe situazioni. Coi personaggi femminili è più delicato e complesso, perché delle tante donne che hai frequentato conosci l'aspetto esteriore dei loro atti, quello che loro hanno lasciato vedere a te uomo, ma non sai quali sentimenti fremevano dentro di loro. Come puoi descrivere il turbamento che avviene in una donna quando sente nascere l'amore dentro di sé non essendo donna? Come puoi immaginare e mettere su carta il tormento di una donna tradita, abbandonata? È un problema che tutti gli scrittori risolvono facendosi aiutare da collaboratrici. Fondamentale è che il personaggio sia credibile. Con questo si chiude il circolo e la divagazione.
Bello combatte e perde sempre con le sue donne: perde con la madre Ima, che lo disprezza ma si deve accontentare di un figlio un po' imbelle per non essere stata capace di produrre niente di meglio; perde con sua moglie Christine, coinvolgendola nelle sue angosce; perde con la sua quasi amante Angela perché mai riesce a decidere cosa voglia fare. Insomma perde sempre.
Come Terenzio, che è il suo alter ego e che perde con Marò. l'unica donna che veramente abbia contato nella sua vita. Le donne invece vincono sempre, anche quando muoiono.
È così strano che io descriva un mondo di uomini perdenti e di donne vincenti? No, perché sono realista e questa è la vita, ammettiamolo, maschietti; a meno che non vogliamo contraffare una vigorosa trombata per una vittoria.
Proprio questa mattina ho terminato di leggere il romanzo d'esordio di un collega di scuderia, Alberto Soana. Tre personaggi, due uomini ed una donna. La donna, Vanessa, è un'arrampicatrice sociale che sa sfruttare il sex-appeal magistralmente, senza contaminare i propri sentimenti. Claudio, un povero Cristo, intelligente quanto confusionario, che confonde una tenzone erotica con una battaglia intellettuale. Ludovico è invece un poveraccio innamorato come un bambino di Vanessa, che non lo scarica perché legata a suo padre.
Finisce in tragedia, ma Vanessa sbaraglia i maschietti su tutta la linea.
Io ho la mia età, Alberto non ha ancora 39 anni.
Voglio dire che non è per via che il ricordo di lotte senza fine ormai sbiadisce e rende i miei personaggi maschili dei perdenti; forse è la sensazione che due uomini intelligenti, che sanno guardare attentamente il mondo, hanno della realtà quotidiana. Forse questa realtà appare loro come una cappa plumbea sopra i tetti dei maschi.
Tornando a "Martedì", Bello e Terenzio si ritireranno soli sopra un isolotto del Mediterraneo in attesa della fine. Ma io il romanzo lo faccio terminare molto prima, mentre Bello si affretta per andare ad imbucare una lettera a suo figlio.
Un atto di amore paterno, un pensiero generoso, una riabilitazione, forse. Almeno nel mio immaginario, nella mia volontà di autore.

mercoledì 20 gennaio 2010

Blogghisti e romanzieri

Sto seguendo i blog di due miei amici, dei quali sono diventato sostenitore, ed ho cacciato il naso in altri blog di passaggio. Ho riletto quello che ho scritto ieri e, soprattutto, quello che avevo scritto prima di andare in vacanza, nello scorso luglio. Ne ho tratto la conclusione che io non so scrivere un blog. Infatti i miei amici sono bravissimi a fissare con poche immagini un pensiero, un concetto; ognuno con le sue arti e alla sua maniera, ma entrambi con una immediatezza di linguaggio da far invidia a chi, come me, del linguaggio ritiene di essere padrone per descrivere qualsiasi situazione comica o drammatica in un romanzo, oppure in un racconto.
Se ricordo bene ho iniziato questo blog con l'intento di ragguagliare alcuni lettori di "Martedì", che scrivevano alla redazione della mia casa editrice chiedendo spiegazioni e cose su quel libro ed i suoi personaggi. Di queste cose avevo parlato finora, e credo che continuerò a farlo, almeno per illustrare i due personaggi principali; ne sono debitore con i lettori del mio libro, ai quali lo avevo promesso fin da luglio dello scorso anno. Poi parlerò anche di altri romanzi, che finora ho scritto e che darò alla stampa quanto prima.
Ma adesso mi intriga forte anche questo scambio di affinità con persone che sento molto vicine a me. Commentando i loro post mi sembra di tener loro una mano sul cuore, e sento la loro sul mio.
È una sensazione bellissima che non avevo mai provato.
Un conto è avere amici, uomini e donne, seduti intorno al tuo tavolo sulla veranda e chiacchierare di tutto e di tutti, ridendoci su e magari incazzandocisi sopra, come nelle belle tradizioni delle italiche genti: li vedi, li puoi toccare, puoi vedere se i loro sguardi si incupiscono, se sono pronti al riso, oppure se stanno prendendo una sedia per sbattertela in testa. Un conto invece è parlare sommessamente, a volte sproloquiare, qualche volta offendere, vero Enrico? Vero Ornella? Talvolta dalla parte dell'offeso, spesso dalla parte dell'aggressore, avendo davanti soltanto una tastiera scoppiettante ed uno schermo di 17 pollici.
E dopo rimanere col cuore in gola fino alla mattina successiva, per poi andare cautamente a cercare le risposte ai tuoi commenti, alle tue boiate insomma, temendo che qualcuno ti abbia sbattuto la porta in faccia. E tirare un sospirone di sollievo quando intravedi lo spiraglio che ti è stato lasciato aperto. Questo è di tutti il momento più bello, almeno per me, neofita in questo gioco, che ancora non riesco a dominare, quello di internet intendo dire. Mio figlio si è meravigliato che io riesca a rimaner connesso. Chissà cosa avrà voluto dire.
Ho promesso ai miei amici, blogghisti o soltanto commentatori, di fare un'eccezione alla mia regola e di rileggere quello che ho scritto prima di pubblicare un post. L'ho promesso soprattutto a me stesso e credo che il clima generale ne guadagnerà.
Ma non lo faremo diventare monotono: il perbenismo volutamente mieloso mi dà sui nervi. Ogni tanto un bel vaffa ci può scappare, perché come si dice a Roma "quanno ce vo, ce vo".
Domani farò un commentino sui due personaggi di "Martedì". Stasera stonerebbe.
Ho riletto tutto: può andare. Imprimatur.

martedì 19 gennaio 2010

VOGLIA DI RICOMINCIARE

Di solito quando arrivo all'ultimo capitolo di un romanzo, oppure alle battute conclusive di un racconto mi prende una gran voglia di finire: un prurito mi attraversa la schiena, si impossessa delle mie braccia e si allunga fino ai polpastrelli delle dita. È nervosismo certo, oramai lo riconosco prima che abbia inizio; ma non mi era ancora capitato di aver voglia di ricominciare, perché di solito quando attacco un racconto o un libro tiro avanti senza smettere mai fino all'ultima parola.
Avevo salutato i presunti lettori del mio blog a luglio, prima di partire per le vacanze, proponendomi di ricominciare subito al ritorno per parlare dei personaggi maschili di "Martedì". Ma non pensavo che succedessero tutte le cose che si sono susseguite in così poco tempo.
La zia Carmen, quasi una sorella maggiore per Annamaria, si è improvvisamente aggravata ed ha passato quasi tutta l'estate in un ospedale di Udine. Sarebbe dovuta tornare a casa all'inizio di settembre, ma ci hanno sconsigliato di lasciarla sola nel suo grande appartamento. Noi avevamo pensato ad una badante anche per la notte, visto che quella di giorno non poteva proprio rimanere, ma la zia ha preferito andare nella casa di riposo. Inutile contraddirla, e poi quella era veramente la soluzione migliore.
Nel frattempo a me era caduta una bella tegola in testa. Durante una notte un bastardo ha dato fuoco a quattro macchine, una era la mia. Una Marea 2000, che in cinque anni di servizio non mi aveva mai dato grattacapi. Mi ci ero affezionato a quella macchina, come ci si affeziona ad un amico che non ti tradisce mai. Guido da cinquant'anni e mai avevo avuto un'auto così mite: mai una volta dal meccanico, mai un disturbo, una tosse cattiva, un mal di pancia. Consumava relativamente poco per la sua potenza e l'olio potevi anche scordartelo, ché lei non ti presentava mai il conto. E quel figlio di padre ignoto scorrazza per la città con una bomboletta spray con chissà quale schifezza infiammabile dentro: vede una bella macchina rossa con targa tedesca, evvai!
Per fortuna che sono socio dell'ADAC, l'Automobil Club tedesco, che non ti molla nemmeno nel Sahara; per fortuna che le Compagnie assicurative germaniche contemplano anche l'incendio doloso appiccato da terzi ed il vandalismo nelle loro polizze auto, altrimenti rimanevo col sederino scoperto.
È stata comunque una gran rottura di scatole, con denunce ai carabinieri, Fax e controfax, che hanno definitivamente mandato le mie vacanze a donne di facili costumi.
Quando sono ritornato a casa ho dovuto mettermi a cercare un'altra macchina. Sono stato fortunato: ho acquistrato un Opel Meriva seminuova, ottima in città. Per i grandi viaggi si vedrà; c'è ancora molto tempo.
Poi però sono stato preso dalla rielaborazione di un testo, scritto alla fine del 2008, che volevo assolutamente spedire ad un editore. Non pensavo mi costasse tanto tempo, ma non si può fare tutto bene ed in fretta, quindi mi sono dato tempo. Intanto cominciavo a sentire uno strano prurito che si impossessava della mia schiena. L'ho battezzato "voglia di ricominciare" ed ho aspettato il momento per farlo. È finalmente arrivato.
Adesso voglio parlare di amicizia via web.
Non credevo fosse possibile stabilire un rapporto umano con persone che non hai mai visto, che non vedi, di cui non senti la voce, che non puoi guardare negli occhi; in particolar modo per me, che do enorme importanza alla sensazione visiva, tattile, olfattiva che si ha quando si sta in presenza di un'altra persona. Non lo credevo fino a poco tempo fa: poi chattando ho conosciuto Cristina, una donna adorabile cui voglio bene come ad una figlia.
Pensavo bastasse, invece ho conosciuto Silvia (porta il nome di un mio grande amore, ma lei non lo sa). Silvia è come tipo quasi all'opposto di Cristina: è meno docile, forse più aggressiva, mai colpi sotto la cintura però; sa quello che vuole e scrive molto molto bene. Anche lei, come Cristina, non ha tante sicurezze, anzi ha molte insicurezze: Cristina le ammette, per lo meno con me via web; a Silvia da fastidio ammetterle e cerca di camuffarle riescendoci abbastanza bene. In compenso ha un enorme grinta ed un grande concetto di se stessa.
Ha tentato, o sta tentando, di giocare con me come il gatto col topo, ma si è scelta un vecchio topaccio avvezzo a mille battaglie.
Non le voglio bene come ad una figlia, anche se la mia primogenita Monica è solamente due anni più giovane di lei. Come istintivamente ho sentito un sentimento paterno per Cristina, ho capito che avrei preferito essere trenta anni più giovane ed avere incontrata Silvia allora: sarebbe stata una grande zuffa ma forse ne sarebbe uscita una grande storia.
Tornando alla realtà, cercheremo di collaborare, se lei vorrà.
Tramite Silvia ho conosciuto Ornella. Ornella è una donna cocciuta nelle sue idee, che crede perfette e inossidabili; morde e tira calci, qualche volta offende e spara colpi sotto la cintura senza porsi problemi.
Una peste? No: una testarda presuntuosa, forse, ma ha un grande pregio, la sincerità. Attacca a testa bassa sempre in difesa degli altri, anche non richiesta, e colpisce di tacco e di punta. È sarda ed ignora che io conosco benissimo i sardi: amici fino alla morte, se amici. Nemici fino alla morte, se nemici. Ornella pensa che se non fossimo nel web, ma di fronte fisicamente, mi caverebbe gli occhi, io penso invece che dopo esserci guardati in faccia, scoppieremmo in una risata.
Comunque le voglio bene, ma che non lo sappia, non so se capirebbe. Le voglio bene perché riesce ad animare le mie giornate, e poi perché io non odio nessuno e rispetto tutti.
Recentemente ho conosciuto Enrico, una degnissima persona, che avevo sottovalutato. Non ci avevo proprio colto. Ha una forte personalità ed un forte autocontrollo, che non sono riuscito a scalfire nemmeno con le subdole insinuazioni con cui inizialmente l'ho attaccato. Perché? Vallo a capire. A volte mi comporto come un cavallo allo stato brado, un ippopotamo in un negozio di porcellane di Capodimonte. Non è mia, era di mia mamma, che mi conosceva bene.
Spero che Enrico abbia già dimenticato; mi gratificherebbe la sua amicizia. Io gli ho offerto la mia.
Non lo faccio spesso.
Ho lasciato Cristina per ultima.
Cristina non è debole, tuttaltro, ha un carattere fortissimo, ma non lo apprezza come dovrebbe. Si sente un pulcino ed invece potrebbe dare dei punti anche a me. Ha sofferto ed ha preso il mondo un pochettino in uggia. Mi fa piacere pensare che io l'abbia un po' aiutata a riprendere coraggio e fiducia. Anche lei scrive bene, non da donna. Scusate, ma noi maschietti siamo soliti usare questa espressione, certamente impropria ma non dissacratoria, quando incontriamo una donna che scrive bene bene. "Scrive come un uomo" significa senza sviolinature e piagnistei. Ma forse è un'espressione che andrebbe cancellata, dato che le donne hanno ampiamente dimostrato di essere in gesamt alla pari con gli uomini, ed in molti campi assai superiori.
Credo di essermi preso la rivincita per tutto il tempo che ho dovuto fare pausa.
Questa sera andrò a letto con la pancia piena e dormirò come un bebè.