domenica 28 novembre 2010

FREUNDSCHAFT VOM WEB

Hier stinkt es.
C'era puzza di vecchio dentro casa
e ho aperto una finestra.
È entrato il profumo del tuo alito
che non ho mai sentito.

Adesso fluttui qui dentro
amicizia di web, leggera
più leggera
ma non meno vera:
non ti ho mai toccato,
nie angefassen,
non ti ho mai parlato,
nie gesprochen,
non ho mai guardato
dentro ai tuoi occhi,
mai visto
la tua bocca muoversi
mentre che parli con me,
nie gesehen.

Non conta nulla la bellezza qui,
das spielt keine Rolle:
siamo tutti i più belli del mondo
dentro il web.
Non conta l'età qui,
das spielt keine Rolle:
siamo tutti i più giovani del mondo
dentro il web.
Wir sind ehrlicher:
siamo tutti più onesti
e più sinceri
dentro il web.

Aufwiedersehen
Freundschaft vom web.


Scritta stanotte alle quattro, e come poteva essere altrimenti, l'ora dei lupi mannari e dei poeti che non riescono a dormire.

lunedì 22 novembre 2010

HINTER JEDE LANGE EHE STECKT EINE KLUGE FRAU

Una trentina di anni fa raccolsi tutte le mie poesie in un manoscritto, che intitolai "Lettera familiare".
Anche se tutti mi consigliavano di trovare un editore lasciai cadere la cosa, perché non credevo di essere un poeta. Gente, io sono fatto così: prendere o lasciare.
Concludevo quel manoscritto con una poesia dal titolo assai eloquente: "Epilogo", sottotitolata -ad Anna Maria Turolo Iacoponi-
Questa poesia mi è ritornata in mente leggendo su un quotidiano di Cruccolandia la frase con cui do il titolo a questo post, che significa: dietro ogni matrimonio che dura a lungo si nasconde una moglie intelligente.
Ho deciso su due piedi di trascrivere quella poesia di tre decenni fa, aggiungendovi quella che ho scritto questa notte alle quattro.

EPILOGO

Un giorno, spero, arriverò a fermarmi
in questa lunga, estenuante corsa senza traguardo;
e tu sarai già lì, pronta a ricevermi
col tuo sorriso arioso dentro gli occhi.
Arriverò sfinito ed ansimante
un attimo prima di morire, credo.
Dicono che in quel momento
breve ed eterno
la vita ti si ripete davanti agli occhi tutta intera:
senza pietà gli errori e le menzogne,
i tradimenti e i delitti,
forse anche le gioie;
e tu sei la vittima e il boia,
protagonista dell'ultima recita e spettatore attento,
ma non puoi alzarti ed andartene
se il pezzo non ti piace.
Dicono. Non so se è vero; ma comunque
a chi ha saputo accanto a me soffrire
senza negarsi mai,
lascio la poltrona di centro in prima fila.

Non credere di conoscere la storia,
non ti distrarre, c'è molto che non sai.
Anche la strada che facemmo insieme,
e di cui tutto conosci, pietre polvere e sangue,
la nostra immensa parabola infinita
è diversa
se la racconti tu,
forse più sobria,
ma questa volta li racconto io
i miei giorni ed i tuoi,
proprio a mio modo,
come li ho vissuti io,
senza ritegno e pieni di ironie,
insieme a te,
che mai capisti il gusto
della battuta secca e mozzafiato.

"Sei come tutti i romani!
Solo scherzi sai fare! Non sai parlare
una volta seriamente?"

Parlare seriamente non so che voglia dire.
Ridere seriamente, questo so; e piangere;
forse anche morire, fra un po' vedremo.
Per ora ti sia chiaro che io della mia vita
tutto ho regalato, niente rubando,
e niente mi fu dato
se non da te.
Io ho sempre interamente interpretato
solo il mio ruolo:
protagonista o no, il personaggio mio
non l'ho tradito mai.
Non mi piaceva neanche molto, devo dirlo;
ma tutti gli altri che potevo avere,
solo cambiando lato della faccia,
mi piacevano anche meno.
Questo era onesto, questo era sincero;
viveva intensamente
momenti belli e brutti senza scegliere mai,
e niente compromessi o mezzi toni.
Pittore e ancor poeta, padre e marito, fratello e figlio,
tagliato da una creta che era acerba,
su cui non piovve mai,
tale io mi feci
e tale io mi conosco:
dovessi cominciar tutto da capo
non cambierei una virgola,
né un punto.

In particolar modo
gli errori, i peccati, i cattivi pensieri,
vorrei riavere tutti insieme,
perché quella del peccatore protervo non pentito
fu la mia parte più seria,
fu la mia parte più vera:
vivere rifiutando tutti i falsi
catechismi,
e le melense balordaggini di chi
sapeva tutto, e tutto
aveva previsto
e prevedeva.

E soprattutto mi sarebbe caro
tornare indietro per rincontrare te,
quando tu ti lasciasti
scegliere da me
avendomi già scelto.

La gioia di sentire al primo ballo
dopo un attimo
che tu adeguavi il tuo agile passo
al mio goffo da orso,
il braccio destro tuo sulla mia spalla
sinistra, e la tua mano
mi sfiorava il collo,
quasi per caso.
Fu quella volta credo
che io ti dissi:
"penso che diventare vecchio
accanto a te
sia la cosa più bella
che possa capitarmi".
E tu ridevi:
e ti vibrava tutta la schiena e i fianchi
nelle mie braccia, e il ventre
che al mio aderiva,
trasmettendogli l'onda del tuo riso.

Una vita intera abbiamo avuto
di liti e zuffe e amori
senza fine,
e musi lunghi
e silenzi di settimane;
mezzo amanti e mezzo antagonisti,
coniugi forse mai,
procreatori
di molti figli,
sol nel sonno tranquilli.

Io e te, statue antiche
e prosciugate
dal sole;
ognuna nel proprio canneto,
le nostre corone di fiori
e di insetti, parallele
si toccano qua e là.

Come ho già detto, questa notte alle quattro ho scritto di impeto i primi tre versi di una poesia. Il resto è venuto a rimorchio, rapidamente.

AVREI VOLUTO

Avrei voluto che tu fossi
madre a me
e non ai figli miei,
esser la prima
donna della mia vita.

Ti è toccato esser l'ultima,
la definitiva,
quella che mi cammina al fianco,
che mi siede davanti a colazione,
che non mi chiede
più nulla,
perché mi conosce come
mia madre che mi ha messo
al mondo.

Non mi ero accorto,
scusami,
che tu avevi esaudito da tempo
quel mio istintivo desiderio.

(Maximiliansau, 22.11.10)

Tutto in onore di una donna, che mi porta sulla schiena da quasi mezzo secolo.
Prosit, Anna Maria!

domenica 7 novembre 2010

POST POETICO

In questi tempi di morta fede e di empietà trionfante vale rivolgersi alla poesia, che nobilita l'animo e mai lo deprime, come fanno le ricorrenti notizie che ci ruzzolano davanti ai piedi e riguardano il Coso Nostro (scusami Zio Scriba per il furto di immagine, ma mi piace troppo, è troppo forte) e tutti i suoi cortigiani, vil razza dannata.
Per non nominare Avetrana: "habemus monstrum horribile visu, horribile dictu". Finalmente! Lapidate Sabrina! Ops. Non si lapida da noi? Speditela in Iran, che ci pensino loro.
OK, amici: ripuliamoci le scarpe inzaccherate dalla merda quotidiana e recitiamoci poesie.
Io ve ne propongo sei delle mie, tre antiche e tre odierne.
La prima è una poesia vecchia di quasi 40 anni.

UNA NOTTE

Eravamo seduti vicino
il mio grande amico ed io,
sotto un palazzo dalle mura nude
come vetri.
Io non trovo i nostri pensieri,
non le parole
che quella notte dicemmo,
ed era fra noi la tristezza
nelle nostre ombre unite.
Il mio grande amico ed io
poggiavamo ognuno la testa
sulle ginocchia,
come viandanti stanchi.

Poi venne l'ubriaco
con i suoi gesti violenti,
le sue parole scabre.

Brancolò nella via
e noi, muti, lo guardammo.

Scritta in Civitavecchia, tanto tempo fa.

La seconda poesia è vecchia di almeno 30 anni.

CITTÀ NATALE

Città,
tu mi sorgi spontanea senza una nebbia
tra memoria e dolore d'abbandono precoce,
quasi una fuga;

il tempo mi ti fa più fresca,
e forse odore il mare
come allora.

Lasciate lì le chiavi di un portone,
le amicizie, le pietre,
e mia madre.

Inutili, inutili queste ed altre parole:

città
io ti ho.

Scritta molto lontano da Civitavecchia, una notte.

La terza poesia è vecchia di circa 15 anni.

E SI CHIAMAVA GIÀ MIMMO

Perché, mi chiedi, quell'uccellino implume,
incoronato da quattro pennette grige e nere, doveva
cadere dal nido
proprio sul tetto della nostra torrida macchina
in questa torrida estate?
E come avrei potuto sennò tornare
bambino, ai miei sogni leggeri,
alla mia infanzia immatura e infinita?
Allora salvai una gatta mezzo morta
e affamata, vecchia
si e no dieci giorni da un caccia
americano a bassa quota,
che voleva ammazzarci tutti e due,
adesso questa
robetta
che avrà si e no dieci ore.

Quattro giorni di lotta contro
una sentenza di morte
già scritta, e bocconcini di mollica di pane,
e biscotti
sbriciolati nel rosso d'uovo;
e Chicco che tritura un grillo verde
afferrato dopo lungo inseguimento,
e glielo infila nel becco a pezzettini;
e tutti voi con la stessa domanda
ogni mattina: "È vivo?"

Adesso è morto, robetta di venti
grammi, è morto
in mano a me che credeva sua madre:
come un guerriero antico ha spalancato le ali,
ha allungato il collo,
ha volto la testa al cielo, al suo cielo
che non lo avrà,
ed è ricaduto sconfitto
nella mia vecchia mano sudata,
dentro il mio cuore sgomento
di vecchio bambino eterno.

E si chiamava già Mimmo.

Scritta in Cervignano del Friuli, in un torrido giorno di agosto.
Pubblicata sulla rivista letteraria "Inchiostro", Anno 15-Numero 5/6 Dicembre 2009/Maggio 2010. Editore: Il Riccio Editore-Verona.

La quarta poesia è vecchia di pochi giorni

SENTIMENTI

È facile lasciarsi prendere per il collo
dai sentimenti,
basta non fuggire, non voltarsi
da un'altra parte,
aspettare la sera
per farsi raggiungere;
poi si naviga a vista
per quel che puoi vedere quando è buio,
ma anche durante il giorno
se sei tutto preso a guardare
dentro la tua barca
non lo vedi lo scoglio
che ti manda a fondo.

E allora? chiedi tu,
solo mangiare e bere
e escrementi alla fine?

Perché? Che cosa resta dell'amore
trent'anni dopo o quaranta?
E dove sono i figli
e dove l'orchidea che ti ho regalato
per la tua festa il mese scorso?

Scritta a Maximiliansau il 25 ottobre 2010

Anche la quinta poesia è vecchia di pochi giorni

SE MI RIUSCISSE

Se mi riuscisse una volta
di pensarti
prima di prendere sonno
mi piacerebbe, sai?

Andrebbe bene anche a te, perché a letto
mi vengono su solo
pensieri buoni, puliti,
e mi verrebbe da dimenticare
le bestemmie che mi fai dire
ogni giorno, ogni ora,
ogni minuto.

Mi verrebbe da dimenticare
le tue bugie,
le stronzate che ti inventi
quando non vuoi uscire con me,
perché già un altro s'è accaparrato
la serata.

E poi non sentire
quanto ti puzza il fiato
alla mattina,
dopo una notte in bianco.

Scritta a Maximiliansau, il 27 ottobre 2010

L'ultima poesia ha solamente poche ore di vita

CI SONO ANCORA

Ci sono ancora due capelli tuoi
sul mio cuscino;
la traccia del tuo sudore è evaporata
dal lenzuolo strapazzato,
che lambisco appena.

Eri passata velocissima come tutte
le cose belle attraverso di me.
Tuo marito ti abbraccia adesso.
A me l'effimero odore di te
disperso nell'oscurità di questa
camera d'albergo
rimane ancora per un po' sopra la pelle.
Poi sarai niente.

Scritta a Maximiliansau, il 5 novembre 2010

A qualcuno piace caldo, a qualcun altro freddo e c'è chi lo vuole tiepidino.
Spero di non avervi costretto a mollare il mio blog prima di arrivare alla fine.
Se non vi fossero piaciute tiratemi le pietre.