venerdì 9 aprile 2010

ASSULIMMIA E IL RESTO seconda parte

Furono il destino e la sua voce a rovinargli la vita e condurlo alla fine.
Fumava molto e cantava sempre Amleto Iacoponi, con gli amici, nelle feste, la sera dopo aver mangiato -casa mia era un teatro, venivano sempre altri amici ed amiche canterini- ogni sera una serata, uno spettacolino, come adesso alla TV, ma senza pubblicità a rompere. Papà cantava di tutto, dalle canzonette in voga, a quelle napoletane molto più impegnative, ai pezzi d'opera.
Finché un brutto giorno, anzi una brutta mattina, papà si svegliò afono. Provò a parlare e sentì la bocca piena di sangue: aveva una faringite acuta e le corde vocali rosse come il fuoco. Una brutta martellata su un dito per lui non poter cantare. Fu costretto a parlare a bassa voce per qualche settimana, ma la faringite piano piano diventò cronica, per cui poteva cantare solo in falsetto, solo alcune arie "morbide", come appunto "una furtiva lacrima", che oramai insieme al "lamento di Federico" costituivano tutto il suo repertorio. DESTINO, numero CINQUE. Sì, perché anche queste cantatine continuarono lentamente a ledere le sue corde vocali giorno dopo giorno.
In più, per una specie di contrappasso, arrivò a fumare quasi 50 sigarette al giorno. Certi conti si pagano alla fine e si pagano salati.
Una brutta mattina, un'altra e la più brutta, mio padre fece un colpo di tosse e si ritrovò immediatamente la bocca piena di sangue. Si pulì con un fazzoletto -non esistevano ancora i Tempo- e nascose il fazzoletto in una tasca di vecchi pantaloni, invece di portarselo dietro e farlo poi sparire. Mia madre -il segugio della famiglia- aveva visto tutto purtroppo, e appena lui fu uscito corse a controllare e trovò il fazzoletto sporco di sangue "vivo". DESTINO, numero SEI.
Non pensò alle corde vocali, ma immediatamente -chissà poi perché- pensò alla TBC, e iniziò la sua personale "campagna di salvataggio del marito in pericolo". Se si fosse fatta gli affari suoi mio padre sarebbe campato "benissimo e in perfetta salute" almeno altri 30 anni; ma lei si mosse per ogni dove, si dimenò, si impegnò con tutte le sue forze e tanto fece che mio padre fu ricoverato al Policlinico Universitario di Roma in osservazione. Ai raggi Roentgen erano apparse strane macchie ramificate, che apparivano ogni volta diverse, più estese. I medici scrissero sul loro referto "sospetto Ca.", sospetto cancro e stabilirono di operarlo immediatamente.
Non era cancro, ma qualcosa andò storto quella mattina e furono costretti a togliergli tre quarti del polmone destro. Da quel momento era iniziato, senza che noi lo sapessimo, il Calvario di mio padre: un continuo entrare e uscire da ospedali vari, che si concluse 15 anni dopo alle 21,30 dell'ultima domenica di agosto.
Ci avevo parlato quella mattina al telefono -lui era a Civitavecchia, io a Treviso- era in forma smagliante e chiacchierò quasi sempre lui. Quella notte lo sognai. Non sapevo che fosse già morto, avevo staccato il telefono perché non si svegliasse mio figlio che aveva poco più di due mesi. Mi disse in sogno di non correre in auto e di frenare. "Frena quando devi, frena". Non lo avevo mai sognato prima e non lo avrei più sognato dopo.
Al mattino arrivò il telegramma.
Due anni dopo in una città vicino Francoforte, alle due di notte, mentre volevo attraversare in piena velocità un incrocio a semaforo spento, sentii dentro la mia testa la voce di mio padre.
Una sola parola, un imperativo gridato con la sua voce stentorea: "FRENA!".
Io ho inchiodato.
In quel momento dalla mia destra lungo la strada che incrociava un altro pazzo a bordo di una grossa Mercedes a fari spenti attraversò l'incrocio a 1000 all'ora. DESTINO, numero SETTE, riguardava me, questa volta.
Così, con la sua voce, Amleto Iacoponi aveva di nuovo salvato vite: quella di suo figlio, e quella di suo nipote Federico, che non era ancora stato concepito.
Per questo io credo nel destino, ed in altre cose ancora.

2 commenti:

  1. Tuo padre ti ha salvato la vita, dall'aldilà. E' così.
    Pensa a quella povera della mia nonna materna: morì a 31 anni, nel 1939. Ma non ha ancora avuto un attimo di requie, da allora. Da 71 anni veglia sulla vita del suo primogenito, mio padre. Questo figlio scavezzacollo che ha sfidato la morte enne volte.
    Anche adesso che ha 80 anni, non un organo funzionante, un equilibrio molto precario, il muscolo di una coscia lesionato da motosega, l'altra gamba ulcerata, il cuore ballerino, bhè questo testone, se non lo vedi in cortile, basta che alzi gli occhi e te lo trovi sul ciliegio, o in piedi alla scala appoggiata ai kiwi. E' lui che sale, col suo libero arbitrio del menga, ma è sua mamma che lo fa scendere, con la forza del destino, o forse solo con la forza dell'amore di una mamma alla quale il destino bastardo ha negato di poter fare la mamma.

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  2. L'ultima tua frase meriterebbe un libro.
    Sì, un atroce destino le ha impedito di fare la mamma e adesso si rifà cogli interessi. Non ti devi preoccupare: tua nonna ha il suo bambino, che non si è potuto godere. Non lo sai che noi "vecchietti" un po' svitati torniamo ad essere bambini? A me AM me lo ripete ogni cavolata che combino. Io le rispondo che non sono tornato bambino, solo non sono ancora cresciuto. Vi prometto che da grande sarò buono, non mi ficcherò più di due dita contemporaneamente nel naso e non dirò più tante parolacce, solo la metà e non nei giorni di festa, almeno alla mattina, ché poi, si sa, durante la giornata capita sempre qualche stronzo ops! qualche sciocco a rovinare il clima.
    Tientelo caro quel tuo papà, mezzo scassato, ma ancora funzionante nel cuore e nel cervello.

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