venerdì 21 maggio 2010

HA VISTO IL MIO GATTO ?

Ecco il vantaggio di avere un appartamento al pian terreno, pensò Adolfo G. chiudendosi la porta dietro le spalle. Cercò di attraversare la calca di gente in attesa dell'ascensore, sorridendo bonariamente un po' a tutti quei poveracci dei piani superiori.
Un bel vantaggio, oltre a quello di avere dentro casa la scala di accesso al garage, che stava proprio sotto lo stanzone che avevano adibito a salotto e sala da pranzo. Quella scala ce l'avevano soltanto loro. L'aveva fatta costruire Adolfo G. un anno dopo aver comperata quella casa, in primavera, quando aveva veduto quello che succedeva d'inverno sulla maledetta rampa esterna di accesso al pianerottolo: ghiaccio da spaccarcisi sopra l'osso del collo e freddo boia. Una manna per Filippo G., suo padre, sempre carico di reumatismi; ma andava malissimo soprattutto per Benedetta G., sua madre, sempre morta di freddo. Suo padre era un pensionato dello stato, ma lei a quei tempi lavorava ancora negli uffici del notaio Colasanti, in piazza dell'Orologio, e aveva bisogno della macchina tutte le mattine alle sette e mezza. Doveva correre a prendergliela lui, che tanto non doveva andare in nessun posto; e poi rimetterla nel garage ogni sera quando lei ritornava. Una bella rottura, niente da aggiungere, e quella scala interna era stata la soluzione del problema.
Uscì dal portone e attraversò la strada dirigendosi alla minuscola tabaccheria di fronte per comprare i quotidiani due pacchetti di Marlboro.
-Brenno, Brenno! Dove ti sei infilato?
L'anziano tabaccaio era fuori dalla porta del negozio.
-Ha visto il mio gatto? -gli chiese appena gli fu vicino- Non lo trovo da ieri.
Avrà incontrato una micia, pensò Adolfo G. e glielo disse.
-È già capitato, ma di notte torna sempre a casa.
Il tabaccaio e sua moglie erano due vecchietti, quel gatto se lo tenevano come un figlio, pensò Adolfo G. e frenò sul nascere la risata di scherno che gli stava venendo su.
-Tornerà, tornerà: non gli è sicuramente successo niente, stia tranquillo.
Ma il vecchietto non sembrava così sicuro. Mentre riponeva in cassa i soldi delle sigarette chiese con un diverso tono di voce.
-Come sta sua madre adesso?
-Sta molto meglio, sta molto meglio, grazie. L'aria di montagna è molto più buona di quella che abbiamo in città e la clinica la conosciamo bene.
-Sta nella stessa clinica dove è ricoverato suo padre, il signor Filippo, non è vero?
-Certo, certo: siamo ottimi clienti ormai da più di un anno e mezzo.
-Speriamo che si rimettano e che tornino presto -aggiunse il tabaccaio- almeno sua madre. Anche per Brenno, sa? Da quando è andata via la signora Benedetta non sta più tranquillo e la cerca sempre. Le è molto affezionato Brenno.
-Anche mia madre a lui -rispose Adolfo G. prontamente.
-Sì, sì. I gatti riconoscono per istinto le persone che gli vogliono bene, e sua madre ama i gatti.
-Stia tranquillo che Brenno presto ritorna -disse Adolfo G. accomiatandosi- appena avrà finito con la sua micia.
Riattraversò la strada, discese la rampa e aprì il garage. Mise in moto il suo fuoristrada BMW X5. Uscì dal garage, che richiuse accuratamente a chiave. Salì la rampa e si avviò al più vicino centro commerciale. Aveva urgenza di acquistare alcune robe.
Quando dopo un'oretta ritornò ridiscese la rampa fermando la BMW di fronte al garage. Lasciò il motore acceso e scese per aprire la porta. Brenno venne giù dalla rampa di gran carriera; gli passò tra le gambe miagolando e si fermò davanti alla saracinesca ancora chiusa.
-È venuto fuori dal suo garage quando ne è uscito lei poco fa -gli gridò il tabaccaio dalla strada- è stato tutto il tempo chiuso lì dentro mentre io lo cercavo dappertutto. Non ha nemmeno mangiato. È corso di nuovo davanti all'ingresso del garage miagolando, come adesso.
Era intanto disceso anche lui ed ora sostava in attesa come il suo gatto.
-Ho sentito un odore strano venire da dentro -disse, tirando su col naso- ci deve essere qualcosa che è andata a male.
-È vero -gli rispose prontamente Adolfo G.- Mia madre aveva comprato due prosciutti cotti, ma io me ne ero dimenticato. Credo che abbiano perduto il vuoto, comunque sono andati a male e puzzano. Volevo portarli via oggi stesso.
-Se vuole darli a me, ci penserò io -si offrì il tabaccaio.
-La ringrazio, ma non occorre; lo farò io più tardi.
Tirò su la saracinesca, ma prima aveva preso in braccio il gatto.
-Si riporti a casa Brenno, non voglio che si perda di nuovo.
Il tabaccaio rimase nel cortile, impalato col gatto in braccio mentre l'altro entrava col fuoristrada.
-Buona giornata a lei -disse Adolfo G. piuttosto bruscamente, tirando giù la saracinesca dall'interno.
Chiuse a chiave e salì la scala entrando in casa.

Per quasi un'ora Adolfo G. non fece altro che misurare l'appartamento in lungo e in largo, passando dalla finestra della camera da letto dei genitori, da dove, attraverso le fessure delle tapparelle quasi completamente abbassate riusciva a vedere la tabaccheria di fronte, alla finestra della sua stanza, che dava sul cortile. Era curioso di vedere cosa avrebbero combinato Brenno e il suo padrone.
Il gatto piantonava ancora la saracinesca chiusa, emettendo strazianti miagolii. Il tabaccaio lo aveva chiamato più di una volta; poi si era fatto portare il cellulare da sua moglie, e adesso stava parlando fitto fitto con qualcuno. Non perdeva mai d'occhio Brenno.
Sta parlando del gatto e di come si comporta, pensò Adolfo G.
Aveva comunque visto abbastanza. La piantò lì: aveva diverse cose da fare.
Un attimo dopo scendeva giù per la scala. Accese la luce interna; aprì il portabagagli della X5 e ne tirò fuori tutto quel che aveva acquistato, deponendolo sui ripiani di uno scaffale; tutto, meno una confezione di sacchi di plastica, che piegò e mise in una tasca.
Aprì poi una cassapanca appoggiata alla parete di fondo: ne estrasse un voluminoso involto di tela e fogli di plastica legato con una robusta corda e lo depose nel portabagagli. Raccolse dalla cassapanca altri tre oggetti impaccati dentro sacchi di plastica, li mise accanto al primo e chiuse il portellone.
Salì di nuovo la scala. Entrò nella cucina e aprì il frigorifero. Tolse un oggetto da dentro il congelatore, che infilò in un sacco di plastica tolto dal pacco che teneva in tasca.
Con quel sacchetto in braccio discese i gradini e tornò nel garage. Depose il sacchetto sul sedile accanto al suo. Spalancò la porta del garage disinteressandosi che Brenno fosse entrato: non avrebbe potuto far niente di male. Mise in moto e uscì fuori senza richiudere la porta del garage, così il gatto ne sarebbe potuto riuscire, una volta finita la sua ispezione.
Fece la rampa e si inserì nel traffico. Non rallentò nemmeno passando davanti al vecchio tabaccaio, che si sbracciava facendogli cenno di fermare. Notò solamente che aveva fatto una faccia strana.

Trovò la tangenziale ovest sorprendentemente libera a quell'ora; la percorse per una decina di chilometri a velocità sostenuta, rallentando solo alla postazione fissa del radar; aveva già beccato una lampata la settimana precedente e non aveva bisogno di una seconda.
Prese la prima provinciale che portava al mare, quella che conosceva meglio perché già tante volte c'era stato. La percorse fino al curvone di fronte alla scogliera di Sant'Agostino. Lì abbandonò la provinciale per lo stradello in terra battuta che portava fino al costone di roccia, un burrone di una cinquantina di metri a picco sul mare, dove d'estate bivaccavano gruppi di giovani sballati che tiravano mattina facendosi canne e suonando le loro chitarre. All'inizio dell'inverno non c'era più nessuno. Come quella sera, appunto.
Avanzò sobbalzando sulle lastre di granito fino a pochi metri dallo strapiombo. Spense il motore e tirò il freno a mano.
Non voleva scendere, non se la sentiva di abbandonare il guscio protettivo della sua auto. Si allungò all'interno, scavalcando il suo sedile. Ribaltò gli schienali posteriori e trasse dal portabagagli l'involucro più grande e meno maneggevole. Dovette contorcersi per issarlo sopra il sedile accanto al suo, dritto secondo la lunghetta.
Nella confusione dei movimenti era caduto sul tappetino il pacco più piccolo, quello che aveva tirato fuori dal frigorifero. Lo raccolse immediatamente e se lo mise in grembo.
Sedette di nuovo tranquillo al posto di guida; abbassò lo schienale di tre tacche e vi si allungò. Fissava l'orizzonte e la strana fusione di colori che vedeva: il blu scurissimo del mare, una striscia di nuvole basse e plumbee appoggiata proprio sulla linea dell'orizzonte, e sopra l'amaranto cupo del cielo con qualche frangia dorata tra nuvola e nuvola.
Ma uno strano torpore si era impossessato di lui: Adolfo G. non individuava forme, non seguiva linee, non vedeva colori, non vedeva nulla perché ciò che i suoi occhi carpivano non arrivava a sollecitare nel suo cervello nessuna reazione. Adolfo G. si era chiuso nella commiserazione di se stesso, come da qualche tempo gli capitava ogni giorno, ogni ora, ogni volta che lasciava i suoi pensieri in libertà.
Cominciò a tirare su col naso prima ancora che gli si inaridisse la gola. Così, come quando era bambino: tirate su col naso, gola che si seccava e poi lacrimoni in abbondanza. Tutto questo non avveniva più automaticamente adesso, perché malgrado la gola gli si stringesse le lacrime non uscivano. Serrò gli occhi come due fessure e mugolò tra le labbra continuando a tirar su col naso finché si accorse che il viso, il collo e il petto gli si erano rigati di lacrime.
Con movimenti convulsi aprì la busta di plastica che aveva in grembo e ciò che ne estrasse se lo strinse al petto singhiozzando forte. Bagnò di lacrime, di muco e di saliva i capelli e le gote esangui di sua madre Benedetta.
Per un po' non successe niente altro. Terminò di lacrimare; tirò ancora un po' su col naso, poi basta; rimase in silenzio, immobile e il tempo si arrestò dentro il fuoristrada.
Finalmente ricominciò pian piano a muoversi: farfugliò delle parole incomprensibili, alzando continuamente il volume, perché aveva bisogno di ascoltare la propria voce, forte e chiara.

"Siamo qui, mamma...siamo qui. Ora non ti lascio più. Te lo avevo promesso...te lo avevo promesso quando è morto il babbo...ho mantenuto la promessa"
Carezzò la testa mozzata sui capelli, sulle guance, sulla fronte, con tenerezza.
"Tutte quelle bugie le hai inventate tu: la salute cattivissima del babbo...la clinica sui monti dove l'aria è eccezionale...le hai inventate tutte tu. Ma dovevamo dirle tutte quelle panzane...erano a fin di bene, mamma...c'era da finire di pagare il mutuo e se si dimezzava la pensione del babbo non ce l'avremmo mai fatta...ce l'avrebbero portata via la nostra bella casa, mamma"
Continuò a carezzarla. Aveva abbassato la voce, quasi sussurrava ormai.
"L'idea di seppellirlo nel garage l'hai avuta tu. Ho lavorato due giorni, ma ce l'abbiamo fatta. Lui era lì sotto, tranquillo, accanto a noi"
Tirò su col naso due volte.
"Io non ti avrei seppellita in nessun altro posto, mamma...ti avrei seppellita accanto a lui e sareste rimasti sempre insieme"
Carezzò la testa di sua madre.
"Mi dispiace tanto, sai, averti dovuto tagliare in tanti pezzi, mi dispiace proprio. L'avevo fatto anche con lui...lo spazio era ristretto...le costruiscono con troppo cemento le case questi delinquenti. Non potevo farvi una buca più larga e più lunga...mi dispiace così tanto...e sono così arrabbiato, mamma, così arrabbiato...perché sarebbe andato tutto liscio se non fosse stato per Brenno..."
Brenno, pensò; è stato la nostra rovina.
"È stata colpa tua: ti avevo detto di non farlo mai entrare in casa quel gatto, ma tu no, te lo saresti anche tenuto se non fosse stato per il tabaccaio, che lo amava come un figlio. Hai visto adesso cosa ha combinato?"
Maledetto gattaccio, pensò.
"È stata tutta colpa tua: perché non mi hai detto che stavi male? Non avrei mai immaginato di trovarti morta dentro il tuo letto l'altra mattina"
Tirò su con forza col naso.
"Che dovevo fare mamma? Mancavano solo otto rate...otto rate del mutuo maledetto, mamma"

Ora gli stava venendo su il magone. Strinse la testa con forza sul petto.
"Adesso che ci penso è stata sempre tutta colpa tua. Perché non ho mai lavorato io? Dillo, dillo! Ma perché tu volevi un figlio studente universitario in casa e lo hai avuto fino all'ultimo...io non sono mai stato il primo della classe e non sarei mai diventato un ingegnere come sognavate tu e il babbo...la matematica buona appena per giocare a scacchi...ecco...ecco, gli scacchi appunto...colpa tua anche lì...pensavi che sarei diventato un grande maestro internazionale, ma io vincevo solo all'inizio nei tornei regionali...non sono mai riuscito a prendere la prima norma...non ci sono mai arrivato...non ho mai vinto un torneo importante...troppe patte...in questi ultimi anni solo patte...solo patte...e tanti abbandoni"
Aveva ricominciato a piangere, sui suoi sogni perduti, sul suo infame destino.
"Mi dispiace di non avercela mai fatta...mi dispiace...ma almeno in casa ti ho sempre aiutato, non è vero? Non ho mai portato una donna...neanche adesso a 54 anni...e poi guidavo bene...voglio dire che guidavo piano quando c'eri tu perché avevi paura...ho sempre avuto riguardo per te e per le tue cose...anche per le tue manie...soprattutto dopo che è venuto a mancare il babbo"

Oramai all'orizzonte sopra la linea scura delle nuvole l'unica luce era un tenue viola che sfumava nel blu più profondo. Non gli fu difficile vedere riflesso negli specchietti retrovisori il roteare delle luci blu di due auto della polizia. Avevano appena lasciato la provinciale e preso la strada sterrata per arrivare fin dove stava lui.
Adolfo G. girò la chiave, premette il pulsante dello starter e ascoltò il rumore del motore per un attimo. Inserì la prima e tolse il freno a mano.
Quando le due macchine si fermarono a qualche decina di metri Adolfo G. premette il pedale del gas a tavoletta.





6 commenti:

  1. Infidi gatti. Pimpa odia i gatti. L'ha sempre detto, che sono una brutta razza. Uno si fa tutti i suoi bei programmini, e arriva un cazzo di gatto a scombinargli i piani.
    Anch'io ho una storiella: una signora passa il sabato mattina a sistemare con passione e sudore un fazzolettino di terra mettendoci le sue amate erbe aromatiche. Il mattino dopo i SOLITI IGNOTI GATTACCI nemmeno tanto ignoti (mezza dozzina del vicino, un paio del cognato) hanno disotterrato la terra, pisciato sull'origano, riempito di cacca le piantine di pomodoro, scambiato il povero basilico per un cuscino.
    Credo che diventerò la peggior serial killer di felini mai esistita.

    P.S. Sicuro di star bene, yaco? Ci sono dei buoni strizza, in cruccolandia?

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  2. Un'altra volta ho accompagnato mia figlia e la allora moglie di mio figlio Alessandro, Susanna, ad un seminario dove si insegnava l'arte di dimagrire in modo facile e indolore, cioè succhiando dei bastoncini dove non so cosa avessero impastato dentro.
    Mangiavi un bastoncino e ti sentivi satollo per un giorno.
    Io ho provato: ne ho mangiato uno. Niente male. Ne ho chiesto un'altro. Buono. Potrei avere una terza prova? Grazie. Eccellente.
    Tutti che si sedevano beati con le pance piene.
    Potrei uscire un attimo? domandina a voce bassa, cosicché tutti hanno pensato: ecco che il vecchietto se la fa addosso.
    Io avevo adocchiato una pizzeria lì nei pressi.
    È stata l'unica volta nella mia vita che mi sono mangiato una quattro formaggi e una prosciutto e funghi una dietro l'altra senza nemmeno berci su una mezza birra.
    Evidentemente a me i seminari fanno l'effetto contrario. Non mi solleticano nemmeno gli strizza o le strizza. Sono anfibio e trasparente nonché idrorepellente.

    PS. Tranquilla, symba! Sto maledettamente bene e conto di farcela per i prossimi 24 anni.

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  3. Racconto magistrale. Se fossi il tuo editor magari ti direi di accorciare il monologo finale, soprattutto la parte sul ruolo del gatto che il lettore intuisce già da solo. Però magistrale davvero, Vincenzo.

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  4. OK! Passato il momento magico di questa giornata faccio le modifiche suggeritemi dal mio editor in pectore.
    Poi vediamo come va.
    Grazie comunque di aver trovato il tempo di leggerlo.

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  5. sei l'unico a cui abbia risposto stanotte sul mio blog, ero troppo felice per commentare, ma tu te lo meritavi troppo!! CAMPIONI DI TUTTO E CONTRO TUTTI! Che meravigliosa sensazione! Ingigantita da tutto quello che abbiamo passato negli anni più bui!!
    Un abbraccio, caro amico!!!

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  6. sono stanca,il racconto è lungo,ho le guance in fiamme per il sole che ho preso lavorando in giardino.Domani,amico mio domani leggo bene e commento,alla mia maniera..per adesso beccati una buona notte e un abbraccio assonnato.ciao
    francesca

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