giovedì 17 marzo 2011

CHE COSA FANNO LE GIOVANI TIGRI ECCETERA

Parte quinta e ultima


I primi due giorni da tigre furono per Marco un vero inferno. Quella mattina i corridoi delle stalle si riempirono di poliziotti e di fotografi. Lampi al magnesio, urla, ordini, bestemmie, estranei che correvano da per tutto. Dopo un po' mandarono gli animali fuori e fecero entrare i felini nelle stanze con le vetrate. La galleria era deserta e piantonata ai due ingressi da poliziotti in uniforme.
"Ci hanno segregato qua dentro perché sanno che uno di noi è l'assassino", pensò Marco. Si accorse che due poliziotti lo stavano osservando con particolare attenzione. "Oddio, sono troppo tranquillo", si disse. "Devo agitarmi come fanno tutti gli altri che stanno andando su e giù come impazziti, ma io non posso muovermi troppo col problema che ho".
La prima cosa che Marco aveva fatto quando aveva capito come doveva muoversi, era stato cercare di vedere se fosse ancora un maschio. Poggiato su un fianco, sollevando una delle zampe posteriori e protendendo il collo verso il punto dove cominciava la coda, come aveva visto fare a Dagmar tante volte, aveva controllato attentamente. Erano, grazie a Dio, ancora lì la sua arma e le sue munizioni, ma adesso doveva fare in modo che nessuno se ne accorgesse, perché non si era ancora mai visto che una tigre potesse cambiare sesso durante la notte.
Non poteva rimanere tutto il tempo ventre a terra; Dio non voglia avessero pensato che era ammalato sarebbe arrivato subito il veterinario, e lui lo aveva già visto un paio di volte al lavoro: gli avrebbe sparato addosso una siringa piena di un potente sonnifero e lui sarebbe crollato nel sonno. Ma cosa avrebbe detto poi Frau Müller? Aveva pertanto deciso di tenere la coda bassa e in mezzo alle natiche, e poi di muoversi sempre tenendo la testa rivolta verso la gente e il sedere al sicuro dalla parte del muro. Facile. Però camminava di lato come una tigre nel circo, per questo i due poliziotti lo stavano tanto a guardare.
"Devo andare su e giù come gli altri, non c'è altro da fare", pensò, "e tenere la coda attaccata al culo. E quando se ne accorgeranno che se la trovino loro una spiegazione".
Intanto teneva le orecchie tese perché i poliziotti parlavano tra loro dell'accaduto e facevano continui commenti, e lui avrebbe avuto modo di sapere su quali dei felini sarebbero caduti i sospetti.
Non dovette aspettare a lungo: caddero sulla tigre, che diamine! Cioè su di lui. I criminalisti avevano trovato immediatamente goccioline di sangue che partivano dal suo cancello e altre dentro la sua stalla. Era stata la prima volta che aveva leccato, maledizione! Dagmar avrebbe certamente fatto molto meglio. Ma quei poliziotti in borghese avevano anche detto che la tigre era stata usata come un fucile: chi aveva aperto e richiuso il cancello della stalla era l'assassino, un guardiano straniero che non si era ripresentato al lavoro dalla mattina del delitto, e che era scomparso lasciando il suo appartamento sottosopra e abbandonando perfino la sua macchina in un parcheggio dello Zoo.
Marco sentì la coda vibrargli e irrigidirglisi tutta. "Mamma mia, sono sistemato!" si disperò. "O resto tigre in questa gabbia a fare su e giù, oppure ritorno uomo e mi mettono in galera. Chi mi crederebbe mai se raccontassi come è andata questa storia?"
Ma più ci pensava più gli appariva chiaro quel che non aveva capito subito: era stato un omicidio, forse per legittima difesa, certamente per gelosia; comunque era stato complice di Dagmar, felicissimo che lei si sgranocchiasse il mago indiano.
"Chissà cosa le sarà successo, poverina; chissà dove sarà scappata", pensò tristemente. A casa sua non l'avevano di sicuro trovata altrimenti qualcuno ne avrebbe parlato.
Dopo averla inutilmente aspettata per giorni e per notti, Marco cominciò ad avvilirsi.
"Sarà morta", pensava; "di fame, sotto un treno".
Tutto era possibile: Dagmar non conosceva niente del mondo, era nata e cresciuta in una gabbia.

Una grigia mattina era ancora più triste e di malavoglia del solito; il percorso dalla stalla alla gabbia gli era sembrato che non finisse mai. Una volta all'aperto aveva appena fatto un mezzo giro guatando ringhioso un gruppetto di stranieri che lo fotografavano, quando sentì il pelo che gli si increspava sulla groppa e gli si gonfiava tutto. I sensi della tigre avevano reagito, ma a causa di cosa Marco non riusciva a capire. Allora sollevò la testa, dilatò le narici e annusò l'aria con forza in tutte le direzioni e finalmente gli arrivò il profumo di lei, un attimo prima di captarne la voce:
"Sono qui", gli comunicò Dagmar da lontano; "sto arrivando".
E subito la vide spuntare da uno dei viottoli laterali: indossava una tuta da guardiano e aveva un rastrello in spalla. Cominciò subito a pulire l'erba intorno al fossato.
"Sei contento?" gli comunicò col pensiero."Mi sono fatta assumere come guardiana. Ho detto a Frau Müller di essere una specialista di tigri. Lei mi ha fatto un sacco di domande ed è rimasta entusiasta delle mie risposte. Mi ha detto che ancora non aveva incontrato nessuno così bene informato sulle abitudini e sulla vita delle tigri, pensa un po' tu!"
Scoppiò a ridere fragorosamente. Più d'uno degli stranieri che fotografavano la guardò stupito.
"Perché hai aspettato tutto questo tempo per venire?" le chiese Marco rabbiosamente.
"Non è stato facile, amore mio; ho dovuto nascondermi".
"Come hai fatto per i documenti?"
"Come mi avevi detto tu: ho chiesto asilo, ma ho conosciuta altra gente che mi ha consigliata meglio. Ho detto di essere curda, sfuggita a un massacro, orfana e sola al mondo, proveniente da un paese che non esiste più".
"E sei stata creduta?"
"Come vedi sono qui. Adesso gli altri mi chiamano Kadriye"
"Hai sentito cosa dicono di me in giro per l'omicidio di Kaleb?"
"Per loro sei tu il colpevole, e ti stanno cercando da per tutto, amore mio; ma tu sei innocente".
"Sono colpevole quanto te".
"Dovevamo farlo per salvarci. Ma non ti troveranno".
"Avresti fatto meglio a dire che non mi troveranno mai più", ringhiò lui di rimando.
"Non posso rimanere più a lungo, amore mio. Qui ho finito. Vengo a trovarti stanotte".
"Hai sempre il mio cartoncino giallo?"
"L'ho fatto sparire. Adesso ho il mio personalizzato".
Glielo mostrò estraendolo a metà dal taschino della camicia, e se ne andò ancheggiando.
"Sta imparando in fretta come si vive in questo mondo", pensò Marco con una punta di gelosia. Ma poi quando alla sera se la trovò nella stalla dimenticò che si era ripromesso di strapazzarla un po' per averlo abbandonato solo per tutto quel tempo. Era troppo felice di leccarla e di annusarla e ronfava come una sega elettrica.
Dagmar si spogliò nuda rapidamente e cominciò a toccarlo e subito cercò di approfittare della sua erezione.
"Per l'amor di Dio, Dagmar! Non ce la puoi fare, è troppo grosso il pene di una tigre"
-Fammici provare, amore mio. Lascia che faccia tutto io, tu non muoverti, gli sussurrò.
Così fecero all'amore, e da quella notte tutte le notti. Marco pensava che la vita era ridiventata bella anche se stava in una gabbia, e il tempo gli sembrava fermo in quella sua vita da tigre, e i giorni tutti uguali.

In uno di quei giorni tutti uguali Marco si accorse che qualcosa di diverso stava succedendo: aveva visto un visitatore che se ne stava immobile da tanto tempo di fronte alla sua gabbia, cercando di incontrare il suo sguardo, lo sguardo di una tigre. Quell'uomo aveva un sorriso strano sulle labbra, e non era certamente l'unica cosa strana che avesse. Vestiva come certi uomini del secolo passato, come Marco aveva già visto in antiche fotografie: un doppio petto grigio scuro rigato, panciotto, cravatta a farfalla, colletto duro e in testa un Borsalino a tese rigide. Si appoggiava a un bastone con una vistosa impugnatura d'argento lavorato e all'occhio destro aveva un monocolo.
"Da dove esce fuori costui?" si chiese Marco.
"Da un posto dove si dà minor valore all'aspetto esteriore che allo spirito", gli rispose lo strano individuo sconosciuto senza muovere le labbra. "A me piace vestire come vestiva mio padre", concluse, e gli sorrise beffardo.
Marco si sentì gelare il sangue.
"Eccone un altro", pensò; "sono rovinato".
"Stai tranquillo: non svelerò il vostro segreto", gli lasciò intendere il signore sconosciuto; "e senza chiedere alcuna contropartita questa volta", aggiunse andandosene.
Aveva detto "vostro", al plurale, quindi sapeva tutto. Ma chi era? E che sarebbe successo adesso?
-Si chiama Mister Saladin, gli rivelò Dagmar quella notte. È un professore pakistano che è sempre vissuto a Londra. Adesso insegna nell'Università di questa città. È un mago anche lui, ma è un mago buono. Ha promesso di aiutarci, però deve prima trovare una soluzione per il tuo problema con la Giustizia.
"Come lo hai conosciuto?"
-Qui dentro. Mi si è avvicinato e mi ha chiamata Dagmar. Ha detto di sapere chi ero e tutto quello che era accaduto. Poi è venuto a osservarti da lontano e questa mattina ti ha parlato.
"Può fare anche lui quelle magie che faceva Kaleb?"
-Mi ha assicurato che può, ma che lo farà soltanto quando sarà sicuro che tutto andrà per il nostro meglio.
Quella notte, dopo che Dagmar se ne fu andata, Marco dormì beatamente come non gli accadeva da tantissimo tempo, immerso nel profumo di lei, e sognò un mondo senza gabbie.
Un paio di mattine dopo si fermò Maria davanti alla sua gabbia; a Marco fece piacere rivederla dopo tanto tempo.
-Fatti coraggio, gli disse Maria pensando di parlare a Dagmar; il tuo bell'italiano è sparito, ma fra un po' tu non sarai più sola: sta arrivando da Londra una bella tigre maschio, siberiana come te. Domani sarà qui.
E se ne andò ridacchiando.
"Cosa significa che fanno venire un maschio?", si chiese Marco agitatissimo. "Cosa diavolo sta succedendo?"
Proprio in quel momento vide il mago pakistano fermo a una trentina di metri da lui. Lo stava osservando e rideva. Anche lui rideva, sembravano tutti contenti quella mattina.
"Mister Saladin, cosa sta succedendo? La prego, mister Saladin, me lo dica".
"Stai tranquillo. Andrà tutto per il vostro meglio" gli rispose il pakistano e se ne andò, malgrado Marco lo supplicasse di restare. Si fermò alcuni passi più in là e iniziò a parlare fitto fitto con Dagmar, come se fosse una vecchia amica. Anche Dagmar rideva, anche lei era contenta.
"Dagmar!" la chiamò Marco, ed emise un potentissimo ruggito.
"Vieni qui, maledizione! Dimmi quello che sta succedendo".
Ma lei lo salutò agitando una mano e continuò a parlare col professore.
"Dagmar, dimmi quello che hai in mente di fare".
"Sta buono, amore mio" gli rispose lei gaiamente. "Andrà tutto bene: il mago ci aiuterà e noi staremo sempre insieme e saremo sempre felici".
Marco tenne il collo eretto e la testa alta per poterla seguire con lo sguardo il più a lungo possibile, mentre lei si allontanava a fianco di mister Saladin. Prima di scomparire dietro l'angolo di una siepe, Dagmar si voltò e gli inviò un bacio con la punta delle dita.




6 commenti:

  1. Adesso posso dire che è bello dall'inizio alla fine: non ci sono cedimenti, l'interesse del lettore è sempre massimo. Bella l'idea del finale aperto. Anche se forse lo è fin troppo, o magari non ho capito bene io: vien quasi da pensare che Dagmar e il mago "buono" vogliano fregare Marco, che potrebbe ritornare uomo quando sarà in compagnia del nuovo maschio di tigre, che se lo sbranerà di gusto... :D

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  2. Intrigante e appassionante l'inizio, dubbio di gusto personale all'arrivo del mago, piacevole quando sono uomo e donna, finale deludente.
    A me i finali aperti non piacciono, sono troppo comodi. E poi si rischia di non capire, come ho fatto io.
    Quindi Dagmar sarà la tigre maschio in arrivo da Londra?
    It's a impossible end.
    Maria non metterà mai due maschi nella stessa gabbia, non si lancerà un tiger-gay esperimento.
    Dovevi fare in modo che nella trasformazione da uomo a tigre Marco cambiasse anche sesso, diventasse tigre femmina,
    così potevano davvero ricongiungersi.
    Promuovo a pieni voti solo la storia d'amore.

    p.s. comunque quando una donna ti invia un bacio con la punta delle dita , occhio, che tigre ci cova.

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  3. *Nik. Nel mio tormentone cerebrale il finale aperto era la cosa migliore. Mi spiego: lasciare al gusto del lettore alcuni dettagli mi è sempre piaciuto. Mi accorgo però che non sono dettagli.
    Nel mio immaginario Marco è destinato a rimanere tigre in quella gabbia; Dagmar si sta cucinando il mago "buono" perché ritrasformi lei in tigre e faccia del maschietto in arrivo quello che vuole, magari un bello sparviero dal volo sovrano.
    Dice infatti a Marco-tigre "Il mago ci aiuterà e noi staremo sempre insieme e saremo sempre felici".
    Nella gabbia, naturalmente.
    Grazie dei complimenti sull'assenza di "cedimenti" e sull' "interesse del lettore sempre al massimo".
    Detto da te era il massimo che potevo augurarmi.

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  4. *Silvia. Innanzi tutto un "bentornata sul mio blog". Mancavi.
    Non è possibile accontentare tutti i gusti, e io sapevo che la storia dei maghi non ti sarebbe piaciuta; ma questa era una favola, anche se velatamente allegorica.
    Sono andato in delirio nel leggere la tua supposizione del tigre-gay party in quella gabbia. Sei unica!
    Ho già spiegato a Nik il mio vecchietto-pensiero sul finale.
    A te voglio solo rimproverare amichevolmente quella annotazione, tipicamente femminile, riguardo il bacio soffiato sulla punta delle dita.
    E a me che sembrava una chiusura così tenera! Si vede che ho perso il ritmo dei tempi dell'amore, si vede.

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  5. Bellissimo racconto dall'inizio alla fine, mi ha appassionato molto. Bel lavoro!!!

    Ciao Enzo. :)

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  6. Lenny- Grazie dei complimenti.
    Bellissime le foto che hai pubblicato oggi sul tuo blog: mi pareva di stare lì, sotto il sole.

    Ciao, bello :)

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