domenica 22 luglio 2012

CAMILLERI FRATELLI & Co. dal 1922

Erano da poco passate le 9 quando Rudilain entrò nell'ufficio di Tarcisio Camilleri con in mano la sua brava lettera di raccomandazione.
Lo Chef la lesse, annuì e disse alla sua segretaria:
-Porti il ragazzo da Pazz O Too, che gli trovi un'occupazione adatta a lui.
Rudilain andò buono buono insieme a Pazz O Too negli spogliatoi. Infilò una tuta blu, scarpe di sicurezza rinforzate, calcò in testa un elmetto di alluminio e seguì abbastanza impacciato il capo reparto all'interno di una grande hall piena di macchinari, di operai e di rumori assordanti. 
-Prendi quel carrello, gli gridò Pazz O Too per sovrastare la cagnara; raccogli tutto il materiale che trovi per terra e poi lo porti oltre quel grande portone là in fondo. Scarichi il carrello e torni di corsa qui, perché c'è sempre nuovo materiale che si ammucchia per terra.
Fece una breve pausa.
-Lavoro in questa fonderia da una vita; sono capo reparto da dieci anni e mi basta mezza giornata per giudicare il nuovo personale, per cui datti da fare.
Lo piantò lì in mezzo.
Rudilain prese il carrello e cominciò a trottare, mentre Pazz O Too senza darlo a vedere non si perdeva una sua mossa. Era la prima volta che osservava un down al lavoro.
Dopo un paio d'ore andò dallo Chef.
-Vorrei provare a insegnargli qualcosa di più concreto. Mi sembra sprecato a raccogliere scarti.
Così in poco più di due mesi Rudilain si trovò a lavorare come assistente all'addetto al tornio nella produzione di rondelle micro. Visto poi il suo successo la ditta assunse altri due down, Sergio ed Elisa, con ottimi risultati.
All'inizio della nuova stagione un giornalista del Corriere regionale andò a intervistare Tarcisio Camilleri su quei tre disabili, perché si era sparsa la voce e al giornale arrivavano lettere e mail di lettori che volevano essere informati.
-Sono i miei migliori operai, rispose lo Chef. I primi ad arrivare e gli ultimi ad uscire. Mai un giorno di malattia, mai una stravaganza, e mai un infortunio: il capo reparto li ha informati dettagliatamente su tutti i rischi e loro si tengono lontano dai pericoli, concentrati sul lavoro.
-Eccezionale! Chi l'avrebbe mai detto.
-Amano il loro lavoro, continuò lo Chef; li fa sentire uguali agli altri. Venga a vedere cosa hanno fatto.
Condusse il giornalista nella sala mensa dove ad una parete stava attaccato un calendario.
-Guardi qui: hanno cancellato tutti i sabati e le domeniche, giorni in cui non lavoriamo. Ha capito che roba? Quelli festivi per loro sono giorni tristi perché devono rimanere nel loro istituto.
Ma Rudilain, anche se era un alacre lavoratore, aveva un grande cuore, che da un pezzo stava battendo solo per Elisa. Si decise a dirlo a Sergio, che era suo amico fin dai primi anni di istituto.
-Amo Elisa, ma non sono capace di dirle niente.
Ci pensò Sergio, che non amava la ragazza, ma quando lei gli chiese di baciarla lui lo fece immediatamente.
-La ami anche tu? Gli chiese Rudilain.
-No, ma io sono tuo amico e non volevo scontentare la tua ragazza.
Così formarono un trio perfetto dove ognuno amava gli altri due senza alcuna remora.
Poi venne la gravissima crisi internazionale, il governo tecnico, le enormi tasse, la recessione e tutti gli operai persero il posto, perché la "Camilleri fratelli & Co. dal 1922" chiuse i battenti.
Tutti gli operai, anche Rudilain, Elisa e Sergio.
Scomparvero una sera, dopo l'ultimo giorno di lavoro, dopo avere salutato tutti i colleghi, lo Chef e Pazz O Too.
Non rientrarono all'istituto e nessuno seppe più niente di loro.
Subito cominciò a circolare in paese la leggenda di loro tre che camminavano di giorno e di notte mano nella mano, sfiorando coi piedi nudi l'erba di un prato infinito.

P.S. Idea ispiratami liberamente da un post di Silvia Fumagalli: "L'essenziale è invisibile" del 19 luglio.

13 commenti:

  1. Il cognome lo puoi anche evitare, cocco :)

    Hai azzeccato il punto: dopo un decennio e più di insuccessi scolastici, spesso a un disabile non sembra vero riuscire in qualcosa, avere un ruolo che non sia perdente, sentirsi utile e UGUALE AGLI ALTRI .

    Per lavoro ho contatti con alcune cooperative: la mancanza di commesse di questi ultimi tempi ha mandato in tilt psicologico/psichiatrico gli utenti più fragili, quelli che non hanno vita sociale, quelli per i quali il lavoro funge da collante di personalità: poco tempo fa mi è capitato di "rubare" inavvertitamente il lavoro a uno di essi, che si è messo a piangere!
    Il responsabile mi raccontava che un altro utente, invece, se arriva al mattino e non trova il suo lavoro, dà in escandescenze!

    Purtroppo questa maledetta crisi sta mettendo in ginocchio in primis le fasce più deboli e le istituzioni che se ne occupano!

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    1. Mi è scappato. Sorry:)

      Certo che l'ho azzeccato il punto, ci mancherebbe. Il fatto è che io ho avuto a che fare con un down: veniva in teatro nella Malersaal ad aiutare, a cercare di aiutare. Era imparentato coll'Intendente generale e nessuno gli diceva nulla, purché si tenesse lontano dai pericoli, ma da noi obiettivamente non ce n'erano.
      Gli ero simpaticissimo, forse perché lo guardavo con occhi umani, gli ridevo e gli insegnavo a dare i colori. Quando gli facevi fare qualcosa da solo si impegnava a morte, sudando e sbuffando; faceva il suo compito senza sbavature, e ti veniva a chiedere in continuazione se aveva fatto giusto.
      Alla fine gli dicevo "bravo, sehr gut" e lui saliva di tre gradini e si sentiva UGUALE agli altri.

      Quello che dici a proposito dei posti di lavoro di utenti più fragili -ma esistono ancora oggi utenti non fragili?- lo avevo letto da qualche parte, ma non era una esperienza diretta, piuttosto un articolo di un giornalista di economia.
      La crisi sta colpendo tutti, ma soprattutto i più deboli, quelli che non hanno risorse né economiche tanto meno psicologiche.
      Non so proprio come andrà a finire "sto pasticciaccio brutto" della nazione nostra.

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    1. Grazie. Tu fai fede al tuo nome: arrivi leggero come un soffio e come un soffio senza far rumore te ne vai.
      Bella l'entrata, eccellente l'uscita.:D

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  3. E speriamo siano arrivati lontano, mano nella mano

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  4. struggente questo racconto..nella classe della mia bambina, Giorgia, c'è un bambino down, George, la sua vera difficoltà sta nel fatto che è qui in Italia da poco più di un anno e non conosce molto bene la nostra lingua. Ma il problema più grande lo sai qual'è? La sua maestra di sostegno. Donna insopportabile e scontrosa. La sua fortuna più grande invece sono i suoi compagni di scuola. Un giorno lo hanno fatto giocare con loro a nascondino e siccome non sapeva i numeri e non si nascondeva quando gli toccava a turno lo affiancavano. bravo Vincè, come ar solito...

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    1. Ieri pomeriggio siamo andati coi due nipotini terremoto in un parco giochi. Ad un tratto sono spuntati due giovani genitori con un down piccolissimo. Era bellissimo. Mi guardava perché gli sorridevo in continuazione e lui non mi toglieva gli occhi di dosso.
      Quando se ne sono andati mi ha fatto un gran sorriso e mi ha salutato con la manina. La madre, che lo teneva in braccio, si è fermata, è tornata indietro e mi ha detto:
      "Danke schön".
      Mi sono dovuto girare da un altra parte, Mariagrà, sennò se n'accorgeva che me veniva da piagne.
      Sì, lo so so bravo a scrive, ma puro a diventà triste so bravo.
      Ciao Mariagrà.

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    2. è che semo fatti così porca paletta...puro io me c'è vò poco a lacrimà...enfatti io un po de invidia pe li cinici cè l'ho...ma solo poca poca...

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    3. Nun l'invidià perché nun cianno core, nun cianno anima cianno solo che so boni a fa finta de gnente perché nun je ne frega gnente de nisuno, solo der culo loro.
      Eppoi chi se ne frega se la gente pò pensà che so 'n piagnone: me viè da piagne perché ciò l'animo sensibbile, perché puro si vedo 'n gatto che s'arravoia pe tera e se vomita er fritto me fa pena, pensa tu, perché puro li gatti so criature de Dio.
      Tiette le lacrime tue e freghetene de li cinici der cacchio, Mariagrà.
      Te saluto.

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  5. (Intanto grazie dell'ultimo commento al commento: il ricordare ogni tanto che semo, sto imparando, tutti criature de Dio, non fa male).
    Ecco, questo è un racconto che vorrei sottoporre alla lettura di un certo vescovo, che ho messo in blog un po' di giorni fa, con tanto di video. E che ha suscitato sconcerto (chiamiamolo così) tra chi l'ha letto e poi commentato.
    Questi sono tempi acidi per tutti, tempi che invitano a chiudere occhi e cuore in un "si salvi chi può" sempre più generale. Quella maestra "di sostegno" citata da mgg64 meriterebbe di essere presa a calci in culo (non so come si dica in romanesco, ma rende bene anche in italiano) vita sua natural durante; se proprio vuole essere di sostegno, dovrebbe andare a sostenere un ponte della ferrovia.
    Commozione: è chiaramente una malattia, ma le lacrimelle che ogni tanto ci scappano (qui compreso, tanto per gradire) forse sono l'espulsione di quel pizzico di cattiveria che tutti ci portiamo appresso. Infatti, dopo ci sentiamo meglio, più leggeri.
    Ciao.

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    1. Introduci nel tuo ultimo capoverso un argomento assai intrigante, tanto per usare un modo di dire tanto à la mode, e interessante: l'uso della lacrima.
      È vero, anche a me è capitato di connotare certi aspetti della commozione né più né meno quali lacrime del coccodrillo. Dopo aver espulso insieme alle lacrimucce parte della porzione di cattiveria che è in ognuno di noi ci sentiamo un tantino meglio e respiriamo aria più pulita.
      Anche questo però è un pochetto cattivo nei confronti di chi si commuove spesso, come dire che quelli sono interiormente i più cattivi e i più bisognosi di liberarsi della loro cattiveria.
      Potrebbe essere un argomento interessante per un racconto, o per una dotta disquisizione. Si vedrà.
      Sono un pasticcione e non riesco su due piedi a trovare il post del vescovo di cui parli, e di cui mi sarebbe gradito informarmi. Mi dai il link?
      Grazie.
      A proposito di ringraziamenti: complimenti per come "scrivi" il romanesco. Quanto a parlarlo è difficile, specie se sei un po' più nordico di me. Dovresti metterti un bel boccone di un panino col salame in bocca e provare a parlare. Io dico che funzionerebbe.
      Ciao.

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    2. Sì, e magari trincarci sopra un bichierozzo, ma non quello de li Castelli che notoriamente è annacquato ("ci hai messo l'acqua e nun te pagamo...").
      Quella del vescovo mi sembra strano che ti sia sfuggita, è talmente oscena che è stata ripresa un po' da tutti i giornali. Meno che da Famiglia Cristiana e Avvenire che erano a una battuta di caccia al corvo.
      Vai sul blog 'gattonero', basta cliccare sul nick, se non ricordo male dovrebbe essere il penultimo post pubblicato, e lo riconosci anche per la brevità, inconsueta per me, della presentazione.
      Senza perdere tempo a commentare da me, fai un bell'articolo qui, che me lo voglio godere. Senza panino, che mi andrebbe di traverso.
      Ciao.

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