domenica 8 luglio 2012

ENNESIMA PAUSA DI POESIA

Per non perdere il vizio e per ricordare a me stesso che devo andarci piano coi trattati pseudo filosofici, tanto alla fine ognuno continua a pensarla a modo suo, e questo è in fondo in fondo tutto il bello del mondo.
Fatta la rima, entrato in sintonia con l'argomento poetico del giorno.
Alcune sono antiche, un paio di anni, altre nuove nuove.



LA  VECCHIA  FARFALLA  DI  IERI


Questa mattina già presto
ricomincia
a girare intorno al pioppo
la vecchia farfalla di ieri
che oggi
non vive più, è solo un sogno.

Tu guardi e guardi
e non capisci un corno.
Con la bocca
mezza piena di un panino,
la marmellata
che ti sporca il mento,
con la mano
scacci una mosca che
non c'è.
Ripeti come
in una cantilena da bambina:
"Questa notte era bello,
questa notte era
proprio tanto bello,
questa notte hai fatto all'amore con me".

"Vedi se ce la fai
a passarmi quel barattolo
di miele,
e quella fetta di pane,
e piantala di cantare
che sennò non riesco
a leggermi il giornale".

Se quelle nuvole nere
arrivano qua sopra
ci toccherà scappare,  pensi tu.
"Spicciati e bevi il tuo caffè
ché fra un po' piove", dico io.

Ricominci a cantare
la strofetta d'amore
che t'inventi
ogni giorno.

Bevo il caffè, mi alzo.
"Faccio un paio di telefonate
e poi chissà,
se ti va andiamo via in macchina".
"Wohin?"
"Irgendwohin. Fa lo stesso".

Rientro in casa;
mi pulisco le scarpe strofinandomele
sui pantaloni,
all'altezza dei polpacci;
prendo il telefono,
apro la mia agenda e cerco un numero;
lo faccio,
e mentre aspetto che qualcuno
risponda
guardo quello che fai.
Ha cominciato a piovere sulla veranda,
ma tu non te ne accorgi:
sei tutta intenta a seguire
i voli
della farfalla di ieri
che oggi non
c'è più.



IL  MIO  SILENZIO  VECCHIO


Appeso a una parete vuota pende
il mio silenzio vecchio.
Ora che sono solo
le mie mani stanno aperte sotto le nuvole, il mio
cuore è largo come una vela scarica
in attesa di vento,
sconcerto e disperazione
restano attaccati
ai manifesti murali della mia vita
diroccata e priva d'ombra.
Ora che sono solo
io vado tra fiori inesplosi
e uve acerbe;
ma vado.



RICERCA  DI  SPAZIO


Vento.

Silenzio
di altura priva d'erba.

Solitudine,
ricerca di spazio,
di felicità.

Il gatto
che vidi agonizzava nel suo
vuoto.

Il gatto
agonizzava
sotto lo scalino:
vicino,
uno straccio unto
di petrolio.

Io mi fermai
a guardarlo.



TRISTEZZA


Tristezza è
voglia di uccidere cani non randagi.

Dolore è
distillare gocce dal fumo di una sigaretta.

Accovacciato
mi racconto la fine del tempo.



QUANTE  ANIME  HA  UN  UOMO


Quante anime ha un uomo?
Quante ne ho io? Quella del tempo
passato, che mi divora, mi ruba
il tempo presente e futuro,
e io evaporo all'infinito
senza ritorno.

5 commenti:

  1. Voto "il mio silenzio vecchio".
    ma credo che tu abbia scritto une invece di uve :)

    Quante anime ha un uomo?
    Mamma mia, io direi che già con una sola abbia il suo bel daffare, che ne dici?
    Io piuttosto mi chiederei: quanti uomini hanno l'anima?
    Pechè concordo con Cocciante, c'è anche chi non ce l'ha!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bel voto, e naturalmente era "uve":)
      Io con la mia ho un gran bel daffare, come dici tu.
      Però ci sono tante anime dentro ognuno di noi, che a volte non riusciamo a contarle e tante volte nemmeno a vederle e a prenderne cognizione.
      L'anima dei momenti felici credo sia ben diversa da quella dei momenti tristi, e poi l'anima dei cretini non credo che sia come la nostra., ma anche noi abbiamo a volte il momento del cretino, per cui...non saprei.
      Pienamente d'accordo con Cocciante: quella specie di femmina fatale non aveva proprio anima.
      Ma ci sono anche bruttone sen'anima...:))

      Elimina
  2. Anch'io preferisco il Il mio silenzio vecchio.

    Ciao. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Penso di preferirla anch'io, in fondo.
      È la quarta parte, l'ultima, di una poesia più complessa, intitolata "Lettera famigliare", in cui mi rivolgo a mio fratello, a mia madre e a mio padre, lasciando me per ultimo con questa considerazione sul mio stato di uomo rimasto solo nello "sconcerto e disperazione". Sul mio cammino i fiori non sbocciano, le uve non maturano ma io insisto e vado avanti imperterrito.
      Ciao:)

      Elimina
  3. Eccomi, non mi aspettavi e invece sono qui. Ciancio alle bande (con la speranza che Silvia non mi tiri le orecchie) e vado sul post.
    Senza votare ("votare" una poesia su altre mi fa drizzare il pelo; ciascuna, anche quella che sembra la più misera, se partorita ha una sua ragion d'essere, e chi l'ha fatto deve aver voluto dire qualcosa, che a chi legge magari sfugge), quella che mi colpisce di più è "La vecchia farfalla di ieri".
    Ti spiego, brevemente non so quanto, quello che mi spinge a dare questa preferenza. Partendo da una considerazione, forse sballata, ma non priva di fondamento. Credo.
    Torno al parto della poesia: il poeta, nell'adagiare la sua poesia nella culla (che può essere qualunque vettore egli scelga per 'mostrarla' agli altri, declamata, scritta su carta, postata, o posteggiata, in un blog), la vede giustamente come una sua creatura, e la vede, sempre giustamente, come la più bella del creato.
    Al di là del vetro del nido ci sono i lettori, quelli che per l'occasione diventano parenti amici conoscenti: che "leggono" questa creatura e ciascuno la vede a modo suo, quasi cambiandole i connotati. "Indossandola" per come la interpreta.
    (A questo punto le avrai talmente a terra che le avrai gettate nel cestino; se così è, recuperale e sospendi la lettura. Meglio per te e, forse, anche per me).
    Da più di un anno e mezzo sono "costretto" a frequentare una struttura in cui le farfalle di ieri, morte, continuano a essere presenti e a volare, con persone che tentano di prenderle, annaspando nell'aria, nel vuoto. E io che non le vedo, le "devo" vedere, e anch'io annaspando nell'aria, in un vuoto pieno d'amarezza, le vado a catturare.
    Non è un pioppo ma una grande quercia, sai quella grande generosa quercia del Pascoli, e le sue capinere sono persone vive, protette dalla sua ombra, che hanno perso il tesoro prezioso dei ricordi.
    Si sentono cantilene, brevi canzonette storpiate, in un ripetersi ossessivo.
    Le nuvole nere: non c'è stato verso di scappare, in un attimo si sono trasformate in tempesta, che una volta placata non ha lasciato morte, ma solo distruzione, devastante, con più niente da ricostruire.
    "Andiamo", dicono.
    "Dove?".
    "A casa".
    E' il ritornello di ogni giorno, non c'è l'alternativa del "fa lo stesso", e non c'è nessuna alternativa.
    Prima o poi ricomincerà a piovere, ma sarà la classica pioggia sul bagnato, ché, diluite in un'acqua che scende dal cielo, in terra ci sono già le lacrime, quotidiane, giorno dopo giorno rinnovate.
    Questa è la mia "lettura" della tua poesia; sicuramente non corrisponde a quello che era il tuo pensiero nel partorirla, ma io mi trovo al di là del vetro, e così l'ho interpretata.
    (Vedi, la deprecata commozione di cui abbiamo parlato altrove, è in continuo allenamento; dovrei cercare un bravo idraulico che mi cambi le guarnizioni, ma non riesco a trovarlo. Continuerò a cacciare le farfalle e a far da controcanto alle cantilene e alle canzonette, fino a quando calerà il sipario).
    Ciao.

    RispondiElimina