martedì 17 luglio 2012

PER COLPA DI UN FIORE

Amleto aveva diciannove anni quando scoppiò
la Grande Guerra, ma lui non ci pensava;
se ne andava in giro con la sua macchina 
fotografica a soffietto tutto il tempo libero, 
scattando foto al mare, ai fiori, ai tramonti, che
in bianco e in nero venivano più misteriosi.
E intanto cantava con la sua
bella voce da tenore di grazia.

Maria aveva quindici anni e le piaceva
quel ragazzo sempre allegro con gli occhi
che ridevano felici, così si mise sul balcone
mentre che lui passava e si lasciò
fare una foto. Il giorno dopo aspettò sempre
sul balcone che lui passasse di nuovo.
"L'hai sviluppata la foto?". "Domani te la porto;
è molto bella, ma devi venire giù a prenderla".
Così, con la scusa della foto, si toccarono con le punte
delle dita e da quel giorno, nel tempo libero
di lui e quando la madre di lei non era
in casa, se ne andavano a spasso mano
nella mano, e lui le cantava canzoni
e brani di operetta. Nemmeno un bacio,
nemmeno una carezza, solo dita intrecciate. 

Poi Amleto fu trasformato in fante e partì
con un treno pieno di ragazzi che puzzavano
di naftalina per via delle divise ancora nuove
e di sudore per via della paura. 
Maria gli portò un fiore e mentre andava
gli passò una mano su una guancia, leggermente
come una piuma; nemmeno un bacio,
solo una lacrima sulle gote rosse di lei,
sulla barba mal rasata di lui.

La guerra finì e Amleto ritornò con uno sgarro
in una coscia, per colpa di una scheggia di mortaio.
Maria se n'era andata. "È diventata baronessa
e vive in un castello assai lontano da qui".
A lui restò quel fiore, che lei gli aveva donato
tre anni prima e che non buttò mai.

Un giorno la incontrò di nuovo: era una donna
e aveva un figlio piccolo. Aveva piantato
il barone nel suo castello ed era diventata una moglie
separata, una preda impossibile per gli altri
ma non per lui, che teneva il suo fiore.
Per colpa di quel fiore lei ritornò a passeggiare
insieme a lui, che le cantava le canzoni 
nuove e non sapeva ancora che avrebbe passato
con Maria tutta la vita insieme. Per colpa di quel fiore
sono nato io in una notte fredda di febbraio.

L'ultima volta che li ho visti insieme, due
vecchietti sotto braccio, lui teneva a tracolla la sua Leika 
a soffietto, che gli avevano regalato a Berlino.
Passeggiavano al sole tenendosi stretti ma non
pel freddo, e lui cantava a lei in falsetto le canzoni
nuove che avevano appena trasmesso a San Remo.

8 commenti:

  1. quando ero piccola piccola ho assistito ai festeggiamenti per l'anniversario di nozze di una coppia che abitava vicino a noi. Festeggiavano 65 anni di matrimonio e lei aveva il vestito che portava 65 anni prima, un costume del paese loro, nelle Marche. Mi hai fatto tornare in mente quell'evento che ho vissuto più di 40 anni fa..ancora oggi li ricordo mano nella mane e le fascine sulla testa di lei, i tuoi genitori si sono amati tutta la vita e secondo me non c'è regalo più bello per un figlio. Io ho perso mio marito tre anni fa, aveva 52 anni, ora sono serena, ho un compagno. Ma per i miei figli avrei voluto che assistessero alla nostra ultima volta insieme mano nella mano. Cerca di capire Vincè, non è che io non amo il mio compagno, anzi, ma lo dico per loro... ok basta tristezza. bel post.

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  2. Ti capisco, Mariagrà, e capisco i tuoi figli, che non lo sanno, ma sono stati privati di una tenerezza immensa: vedere i propri genitori così vicini e "come prima", dopo una vita passata fianco a fianco. Come se dice a Roma, io nun ho mai sentito a mi padre dije a mi madre tirete più là o lei a lui, sarvognuno. Una volta li ho sentiti ragionare: si erano promessi di morire insieme, pensa tu, e lei insisteva: "moro primma io, così nun soffro" e lui a lei "no primma io così t'aspetto e te fo strada". Carinelli! Poi è morto lui e lei s'è pianta l'anima sua, ma ha aspettato altri 18 anni per seguirlo.
    Dimenticanze di donna...
    Mi fa piacere averti rievocato certi ricordi, in fondo la poesia è anche questo, un mezzo dolce per ricordare, per riflettere a volte, per soffrire di meno...
    Ciao Mariagrà.

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  3. E' dolcissima questa poesia,veramente, a cominciare dal titolo.
    Sapere poi che è una storia vera, la tua storia vera, la rende davvero un fiore prezioso.
    Ciao Vincenzo, un abbraccio grande.
    Teresa

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    1. Il titolo sono le parole che ripeteva mia madre nel bene e nel male: cioè quando rievocava con la voce sommessa quei ricordi, e papà se ne era andato già da qualche anno, oppure quando, ancor giovane, trovava le sue ragioni per portare il muso al suo uomo per mezza giornata, non di più, il tempo che occorreva a lui per starsene alla larga ed evitare il temporale...
      È una storia vera: la storia della mia infanzia e della mia maturità. I nostri genitori sono tutto per noi; purtroppo te ne rendi conto quando non ci sono più.
      Ricambio l'abbraccio, Teresa.

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  4. Una bella storia d'amore, romantica come riescono ad esserlo solo le storie d'altri tempi ... o forse è solo una mia idea ...

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    1. Romantica come riescono solo le storie vere, Silvia, raccontate con amore.
      Mi sorge un dubbio: è forse "solo una tua idea" che siano le storie romantiche unicamente di altri tempi, o pensi che si tratti di una mia invenzione?
      Annusala bene allora, ascoltane il ritmo: trasuda malinconia.
      È una storia vera, miscredente.

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  5. L'ho intuito, e l'ho pure scritto altrove: se Vincenzo scrive in italiano è una cosa seria. Questo racconto, infatti, è una cosa seria; che sia vero o meno poco importa, mi ha commosso. Vado con calma a leggere i precedenti post. Ti ho trovato come arguto e ironico commentatore, e qui ti ritrovo fior di scrittore.
    (Sulla mia commozione non mettere la mano sul fuoco: io mi commuovo anche leggendo Topolino, vedi un po' tu che valore può avere).
    Ciao, a presto.

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    1. Ben arrivato gattonero. Avevo intuito che saresti venuto a vedere cosa cavolo combinavo a casa mia. Mi fa piacere che tu ti sia commosso, ma il fatto che tu lo faccia a volta anche leggendo Eta Beta dimostra non che tu sei un superficiale, tutt'altro: dimostra che sei molto sensibile, dotato cioè di quella sensibilità di cui le donne pretendono il copyright. Questo a mio avviso è il più bel complimento che un uomo possa ricevere, che cioè qualcuno gli dica "ti commuovi come una donna".
      Io mi commuovo per poco. Se sono solo arrivo addirittura a piangere (qualche lacrima, ma basta); se c'è un estraneo singulto dentro di me, silenziosamente.
      Effetto dell'educazione maschilista della mia generazione di fil di ferro.
      Visto che ce l'ho fatta ad esprimermi solo in italiano?
      Ci si rincontra, ciao.

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