venerdì 23 aprile 2010

QUANDO SCRIVEVO ANCHE POESIE

Mi sia concesso un po' di esibizionismo. Me la sono trovata davanti mentre ero intento a cercare qualcos'altro. Ho deciso di farci un post.
Non ha un titolo.


Dal sole e dall'aria,
da una parete vuota pende
il mio silenzio vecchio.
Le mie mani sono aperte sotto le nuvole, il mio
cuore è largo come una vela carica di vento.
Per un tempo lungo quanto una morte autunnale
ho vissuto vita di fiume, scorrendo tra le mie rive verdi.
Dentro di me s'abbeveravano canneti,
e il vento rendeva liquidi i vetri e i fumi
sulle vie della luna.
Così ogni notte; così ogni giorno.
Per un tempo lungo quanto una morte autunnale
la mia anima-ruscello ha dragato il fondo piatto
del ventre della terra,
senza agitare il suo vento sulle madri in attesa,
limitandosi a scorrere
sui seni d'argilla delle donne in fiore.
Così ogni giorno; così ogni notte.
No, adesso non voglio
adesso non mi lascerò morire all'inizio
della nuova estate sui prati dei formicai.
Adesso butto la mia anima-ricovero alle finestre sospese,
al gruppo di donne in lacrime in calzamaglia nera,
allo sterco dei passeri, ai nuovi pollini che s'annodano ai venti,
ai manifesti murali della mia vita diroccata e priva d'ombra,
e vado tra i vagiti e i rantoli di fiori inesplosi
e di uve acerbe; ma vado.
Qui, nel mio Nord, dove ho trasferito la mia esistenza in fuga,
le vite si susseguono.
Se almeno potessi passare di vita in vita scalciando lontano
scorie di pelle consumata e d'anima. Vedere sempre
divenire più triste il nido del sole, e l'anima del fiume
farsi di latte e di pianto tra terra e terra.
Dominano da lontano luci che piovono dal ventre
ripieno della terra, e in mezzo vi navigano paesi, e l'odor
di cucine nel muschio della notte è concime
di speranze che già soccombono vinte.
Adesso potremmo fermarci un istante,
metterci una mano sul cuore,
porre tutte le nostre domande con ferma insistenza;
e si potrebbe adesso anche morire.
Tanto a noi poco importa credere in qualcosa,
purché la vita si trascini come adesso:
una serpe nutrita ogni giorno con molta cura
da mani piene di crimini.
Per quel che mi riguarda,
da quando io ho disceso la mia scala
ho camminato tra genti barbare che coprono la testa al sole,
che non si segnano al suono di campane: ho bestemmiato
e calpestato le fosse dei miei morti che ancora parlano
e sentono la mia voce.
È stato allora che ho scritto col dito nella polvere:
lasciate pure che di me facciano strade,
e fontane in mezzo alle piazze,
e giardini sotto il sole,
e balconi
umidi di umidi tramonti.

4 commenti:

  1. Preferisco "te ne andrai domani" e "dovevo dirgli qualcosa" e "apri quella finestra": dell'ultima, in particolare, mi piacerebbe sapere chi fosse quella povera donna che volevi buttare dalla finestra ... e se l'hai poi fatto

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  2. Una aborrita madre rompicoglioni; una aborrita moglie rompicoglioni; una aborrita donna generica rompicoglioni (ne trovi quante ne vuoi; nei supermercati ne paghi una e te ne danno due, con rimborso se non sei soddisfatto).
    No, non l'ho fatto. Me ne è mancato il coraggio. Anche i Löwenherz in certi casi sono dei vigliacchi; per questo la genia delle rompicoglioni si riproduce abbondantemente, ad infinitum.

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  3. Va bene, ho capito: tutte le donne sono rompicoglioni. Okay.
    Vedo che il periodo di grazia in cui ti eri messo dalla parte dell'altra metà del cielo è finito.
    Va bene, va bene. Contento tu.

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  4. No, non posso essere contento se vedo che tu fraintendi.
    1-la poesia era uno scherzo.
    2-il mio commento qui sopra, pure.
    Mia madre, povera anima, non me li ha mai rotti; ad AM rompo io ogni momento i cabasisi che non ha; altre donne nella stretta cerchia famigliare e di amiche non ho che me li abbiano rotti.
    Il "periodo di grazia" come amabilmente lo definisci tu ce l'ho da quando ero piccolo.
    Sto dalla parte dell'altra metà del cielo senza tradire la mia parte e senza dimenticare che ci sono uomini e donne che li rompono e se li rompono a vicenda.
    Adesso che te l'ho detto sono contento, prima no.

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