domenica 20 febbraio 2011

CHE COSA PENSANO LE GIOVANI TIGRI DEI LORO GUARDIANI GIOVANI E BELLI?

Prima parte.

La lettera gliela portò la vicina verso l'ora di pranzo.
-L'hanno messa per sbaglio nella mia cassetta postale. Chissà che altro pasticcio avrà combinato, aggiunse prima di andarsene dando un'occhiata al mittente.
Lui se la rigirò fra le mani per un paio di minuti: veniva dalla Amministrazione comunale di Karlsruhe e dentro poteva esserci una specie di sentenza. Quando si decise ad aprirla ne stracciò la busta con un gesto violento.
Gli veniva comunicato che era stato assunto come operaio generico per la manutenzione dello Zoo comunale. Che si presentasse il prossimo lunedì mattina alle sette al dirigente dell'Ufficio del personale dello Zoo. Fine.
Begli amici che ho, pensò. Ma non poteva prendersela con Filippo, perché aveva mantenuto la parola. Lo aveva convinto a firmare una richiesta di lavoro al Comune, promettendogli che ci avrebbe pensato lui a farla camminare.
"Vedrai che ti sistemo io; dal sindaco agli assessori sono tutti clienti fissi nel mio ristorante".
Così lui aveva cominciato a vedersi dentro un ufficio al caldo in giacca e cravatta, mentre una collega in minigonna carina e sorridente gli portava un caffè.
-Mi chiamo Marco Vittori, disse al dirigente il lunedì mattina, e ho la maturità classica.
-Qui non le servirà, gli rispose l'uomo che aveva una faccia da cavallo. Cerchi Frau Müller al piano di sopra; è lei il suo capo.
Il suo capo quindi era una donna, e aveva una faccia da topo. Forse si diventa così qui dentro dopo un po' di tempo, pensò Marco. Speriamo non mi venga una testa da babbuino.
-Lei è a disposizione per qualsiasi lavoro: le capiterà di dover tagliare l'erba dei prati, riparare l'intonaco di un muro, verniciare una porta, ma la sua mansione principale sarà quella di pulire e lavare le gabbie dei Felidi, dei felini per intenderci, aggiunse vedendogli fare una faccia strana; pulirà le gabbie dei felini quando gli animali sono nelle stalle, e pulirà le stalle quando gli animali sono nelle gabbie. Non abbia paura, le porte e i cancelli sono manovrati automaticamente dall'esterno e non è mai capitato nessun incidente.
Lo condusse a vedere di cosa stesse parlando, cioè le stalle, chiuse al pubblico, dove gli animali pernottavano, e la serie di stanzoni corrispondenti alle gabbie esterne, che avevano tutti una larga parete costituita da una vetrata a prova d'urto. Tutte le vetrate davano su una galleria semi ovale dove sostava il pubblico quando c'era cattivo tempo.
-Gli animali sporcano quotidianamente, ma non amano stare nello sporco, spiegò Frau Müller con voce monotona; poi c'è da considerare la puzza, quindi la pulizia deve essere fatta due volte al giorno, mattino e pomeriggio. Per la prima settimana la lascerò insieme a una operaia già esperta che le insegnerà tutto quel che deve sapere.

Si chiamava Maria e non era né bella né brutta, ma assolutamente comune come il suo nome. Studiava zoologia all'Università. Non parlava molto, anzi pochissimo; diceva soltanto le cose essenziali e andava bene così perché il suo alito era cattivo. Aveva una faccia qualsiasi, ma non rassomigliava al muso di nessun animale, e questo rincuorò non poco Marco.
-Prima devi spalare il grosso, poi portare via tutto quello che resta attaccato per terra col getto d'acqua bollente. Non soltanto gli escrementi ma anche i resti del cibo e la paglia troppo vecchia e bagnata. I nostri ospiti sono molto viziati, concluse e sembrava una malignità.
Quel primo giorno Maria si trascinò dietro il suo apprendista e lavorò apposta a tutto vapore senza fare nemmeno una pausa per fargli sentire subito il tono della musica. Cominciarono dalle stalle, che durante le ore di visita erano vuote, spalando e lavando senza sosta. Verso la fine della giornata Marco aveva le ossa a pezzi e i muscoli duri come pietre. Il pubblico stava ormai sfollando verso le uscite e loro due si incamminarono per un ultimo giro di controllo.
Passarono dal recinto degli elefanti a quello dei bufali; dall'acquario coi coccodrilli alla vasca con le foche e i pinguini; girarono tutto intorno alla grande uccelliera; salirono fino alla fossa degli orsi polari, per poi andare a controllare tutte le stazioni delle scimmie, e infine discesero nella galleria sotterranea dove passarono in rivista le vetrate dei felini, una pantera nera, due leopardi, un leone adulto ben pasciuto e sdraiato tranquillamente su un fianco e due leonesse molto giovani e molto irrequiete.
Maria si fermò davanti all'ultima vetrata.
-Stai sempre molto attento all'inquilina di questa stanza, curala in modo particolare se vuoi tenerti cara Frau Müller.
Marco allungò il collo per quanto poteva scrutando in ogni angolo di quell'ultima stanza.
-Ma è vuota.
-Arriva sempre per ultima. Non lo sai che la primadonna si fa sempre attendere?
Entrò in quel momento con andatura regale. Marco aveva visto alla TV un paio di animali simili a lei: sembrava una tigre, ma era quasi bianca.
-Ti presento Dagmar, la nostra zarina, gli disse Maria.
-Che animale è?
-È una stupenda tigre siberiana di tre anni, nata nello Zoo di Berlino. Frau Müller ha sputato sangue per portarla qui da noi: si tratta dell'unico esemplare nato in Germania, e queste in cattività non si riproducono mai.
-Una cosa rara, insomma.
-Si capisce! Frau Müller la adora. Guardala: bella, capricciosa e intelligente. Non ti pare che capisca quello che stiamo dicendo?
Dagmar era giunta davanti al cristallo e si era seduta sulle zampe posteriori come fanno i gatti; guardava Marco con la testa leggermente piegata da un lato.
-Le sei piaciuto, guarda solamente te.
-Starà pensando a quanto sarebbe bello sgranocchiarmi.
La tigre sbadigliò.
-Sta ridendo, esclamò Marco. Come cavolo ha fatto a capire la mia battuta?
-Macché, sta sbadigliando.
-A me è sembrata una risata.
-Sei matto? Per essere intelligente lo è, ma non fino a questo punto; e poi le tigri non ridono, nessun animale ride.
-Sai dirmi perché, zoologa?
-Perché non hanno la muscolatura adatta. Ma quando sono contenti te lo fanno capire. Questa per esempio ronfa come una gattina.
Prima di uscire dalla galleria Marco si voltò a guardare cosa facesse Dagmar. Era rimasta seduta e allungava il collo fino a toccare il vetro con la testa per poterlo ancora vedere. Sbadigliò di nuovo e a lui questa volta sembrò che gli avesse veramente sorriso, ma se lo tenne per sé altrimenti Maria lo avrebbe preso per stupido.

Per tutto il resto della settimana Marco non rivide Dagmar. Non gli capitò mai di attraversare i giardini di fronte alle gabbie all'aperto né di entrare nella galleria sotterranea, perché era prossimo l'arrivo di alcune scimmie giapponesi e bisognava ristrutturare un vecchio recinto da tempo disabitato, rifare una tettoia e dragare il fondale di un laghetto sporchissimo. Gli rimaneva appena il tempo per respirare con Maria che lo tirava di qua e di là coma fa una locomotiva.
Gli era sembrato però di sentire che alcuni colleghi si lamentassero di quanto fosse diventato irrequieto uno dei felini, ma non aveva afferrato a quale alludessero. Il sabato sera negli spogliatoi, mentre si cambiavano d'abito, sentì uno dei guardiani più anziani dire che sarebbe stato meglio se quella tigre fosse rimasta a Berlino.
-È sempre stata lunatica, ma da un po' di tempo è nervosa e arrogante: ruggisce, soffia e sbuffa, tanto che passare vicino alla sua gabbia ti viene la pelle d'oca. Chissà che le è preso.
-Può darsi che stia diventando matta, disse un altro; ho sentito dire che a volte succede con animali così delicati.
-Io dico invece che ci vorrebbe un bel maschio per calmarla, aggiunse un terzo.
S'erano fatti una gran risata e sembrava finita lì. Marco però quella notte dormì male. Non riusciva a non pensare a quella tigre bianca, nervosa e sbuffante.
Il lunedì mattina, indossò la tuta da lavoro, afferrò un badile e si recò alle stalle, sapendo che quelle dei felini erano già vuote. Spalò e innaffiò più velocemente che poté, poi disse ai colleghi che andava a rinfrescare le stanze della galleria.
-Sta già piovigginando, e di sicuro il tempo peggiorerà. Fra non molto faranno rientrare i felini, meglio che mi affretti.
Le stanze erano vuote, lo sapeva bene. Occorreva l'autorizzazione di Frau Müller per farvi entrare gli animali, ma a lui era venuto l'impulso di arrivare il più vicino possibile a quella tigre.
Digitò sul computer la chiusura ermetica dei cancelletti che separavano ogni stanza dalla gabbia esterna corrispondente, come gli aveva insegnato Maria, poi premette contemporaneamente il tasto di controllo e F4 facendo scattare la serratura del portoncino blindato della stanza di Dagmar. Gli avevano raccomandato di non entrare mai in una di quella stanze senza che un collega fosse vicino al computer, ma lui si stava infischiando di tutti i dispositivi di sicurezza. Eppure non era un cuor di leone, tutt'altro. Non amava il rischio, per questo non aveva voluto imparare a nuotare e non aveva mai guidato una moto; non andava nemmeno in bicicletta, e adesso era entrato nella stanza di una tigre siberiana di tre anni, lunga due metri senza contare la coda. Ma era come in trance.
-Dove sei? mormorò
Inspirò forte con le narici allargate, rumorosamente, e gliene arrivò l'odore un attimo prima di vederla. Era emersa silenziosa dal nulla e adesso stava immobile a meno di quattro metri da lui, dietro il cancelletto, coi sensi tesi. Marco percepì l'enorme tensione dell'animale, simile alla sua.
"Scappa!" si gridò dentro in un rigurgito di lucidità, ma quando si mosse non schizzò fuori dal portoncino blindato, si avvicinò invece lentamente al cancelletto. Adesso era a meno di tre metri, molto meno di tre metri. La tigre si alzò sulle zampe posteriori poggiando quelle davanti sulle sbarre trasversali del cancelletto: accostò il muso vicinissimo alle sbarre verticali come se volesse provare a passarci attraverso, però la sua testa era troppo grossa e le sbarre troppo vicine l'una all'altra. Ma non desistette, e tenne il muso fermo tra due sbarre come se aspettasse che lui le si avvicinasse.
E Marco fece un passo. Se la tigre adesso avesse allungato una zampa lo avrebbe colpito, afferrato, dilaniato.
"Vattene!" si urlò dentro ancora una volta; ma di nuovo fece un passo in avanti. Adesso le vedeva gli enormi occhi gialli (sono curiosi quegli occhi, sono felici quegli occhi) e i baffi finissimi e folti ai lati della bocca (fauci! sono fauci quelle, gran dio!).
Marco aveva il cuore in gola, ma non era paura. Vide l'enorme torace dell'animale espandersi e nel mezzo i folti peli alzarsi e abbassarsi veloci.
-Quello è il tuo cuore, disse; batte veloce quanto il mio; il tuo cuore batte insieme al mio.
Annusò di nuovo con forza e inspirò il profumo di lei, il profumo di una tigre.
"Tutti gli animali puzzano, ma lei profuma" pensò.
Era a non più di mezzo metro e poteva toccarla, aveva un grande desiderio di toccarla, un enorme bisogno di toccarla. Alzò un braccio e avvicinò la sua mano al muso della bestia. Gli sembrò che i lunghissimi baffi vibrassero e che gli occhi gialli si socchiudessero per un paio di millimetri. Rimase fermo con la mano a qualche centimetro dal muso di Dagmar per un secondo e per l'eternità.
Di colpo si girò e volò fuori dalla porta blindata. La chiuse con forza sbattendola, digitò freneticamente sui tasti del computer, e appena sentì lo scatto della serratura si lasciò scivolare a terra in un bagno di sudore.

6 commenti:

  1. Bello ed avvincente. Bravo. Attendo la seconda puntata nei prossimi giorni.

    Mi permetto solo di puntualizzare che non è vero che in cattività non si riproducono mai, anzi... Fuori dal loro habitat naturale, vivono 500 di questi magnifici esemplari sparsi per tutto il mondo.

    Ciao Enzo. :)

    RispondiElimina
  2. Grazie dei complimenti.
    Si sente che lavori in Svizzera: sei di una pignoleria!
    Hai ragione, ma a me veniva bene scrivere una bugia per far intendere che quella tigre fosse una gran cosa, rara assai.

    Ciao Lenny :)

    RispondiElimina
  3. Davvero bello: si ride per le facce da cavallo e da topo, ci si indigna per la stronza che definisce viziati i prigionieri dello zoo, ci si interessa alle varie attività di pulizia e manutenzione, ci si emoziona per l'uomo al cospetto della tigre siberiana forse innamorata...

    RispondiElimina
  4. @Enzo:

    Non voleva essere un rimprovero, hehehehehe. Te l'ho fatto notare perché sei assai pignolo pure tu e non capivo il perché... visto che sicuramente conosci bene la materia.

    Ciao caro. :)

    RispondiElimina
  5. Lenny, ho già risposto. Comunque la battuta sulla tua pignoleria era appunto...una battuta amichevole.

    Ciau :)

    RispondiElimina
  6. Nik- Questo racconto è uno spasso che mi sono preso qualche tempo fa. Mi è piaciuto alla fine, rileggendolo, perché ci ho trovato significati che non vi avevo volutamente infilato dentro, ma che erano venuti spontanei.
    Tu che sei scrittore mi capirai al volo.
    Penso che sia capitato anche a te scoprire, rileggendo, cose che avevi scritto senza forse nemmeno pensarci.

    RispondiElimina