Le tapparelle le tenevano tutte abbassate e le finestre socchiuse da tre giorni, da quando il vecchio si era aggravato. Lo avevano trasferito con tutto il letto di degenza in quella stanza da solo. La stanza dei moribondi, pensavano tutti, ma non lo diceva nessuno per rispetto di quella ragazza dalla faccia tirata e sgomenta, che non si muoveva da lì dentro nemmeno per andare a mangiare un boccone.
Veniva ogni mattina alle sette e se ne andava tutte le sere alle dieci.
Suor Carmela le portava ogni tanto un caffè con qualche biscotto, e una tazza di brodo nel pomeriggio. Lei lo lasciava raffreddare, poi ne sorbiva lentamente due o tre sorsi.
Si chiamava Agata; aveva 22 anni; era la figlia dell'uomo che stava per morire, la sua unica figlia.
Portava il nome della nave mercantile che suo padre aveva comandato per quasi quaranta anni in giro per tutti i mari, ormeggiato in quasi tutti i porti: un vecchio Liberty della marina militare americana, un cargo che aveva trasportato in Europa truppe e cannoni per la seconda guerra mondiale.
A guerra finita gli americani li avevano venduti tutti a buon prezzo per disfarsene. Gli scafi erano stati tutti ribattezzati perché non portavano un nome, bensì una sigla. Al padre di Agata era toccato lo LX 411, ribattezzato "Agata", appunto. Il suo primo comando. Aveva soltanto 27 anni ed era pieno di entusiasmo.
Dopo venti anni a Santo Domingo aveva conosciuto Rosaria Fernandez, trenta anni più giovane di lui. Rosaria voleva abbandonare la miseria e il Comandante l'aveva fatta imbarcare come clandestina sull'Agata, tenendosela nella sua cabina.
Sei mesi dopo, quando erano sbarcati a Napoli, Rosaria Fernandez aveva un pancione bello rotondo. Qualche settimana dopo era nata Agata, napoletana e con la pelle leggermente più scura degli altri bambini.
Il Comandante tornava a fare scalo a Napoli tre e anche quattro volte all'anno. Mangiava e dormiva a casa di Rosaria Fernandez e stava tutto il tempo insieme con Agata. Poi un giorno la prese con sé sulla nave e la portò in giro per il mondo per un anno o forse due.
Quando tornarono nella bella casa di Napoli Rosaria Fernandez se ne era andata via per sempre e non la videro più.
Il Comandante lasciò Agata figlia in un collegio e continuò a solcare mari con Agata nave. Fino a quando andò in pensione, sei anni prima di quei giorni.
Poi l'infermità galoppante e il ricovero nella clinica specializzata.
Si riduce tutto a una storia di poche righe, pensava Agata osservando il torpore in cui era caduto suo padre.
Il vecchio Comandante non vedeva quasi più nulla attraverso le palpebre semichiuse. Non udiva quasi più nulla. Non parlava più.
Sentì un'infermiera avvicinarsi, tastargli il polso, le vene del collo.
-Portate qui quel gattino -sentì che qualcuno diceva- quello che abbiamo trovato stamattina, venuto non si sa da dove.
"Un gattino? -riuscì a pensare il Comandante- Dove?"
-Lui adora i gatti -riprese a dire qualcuno- ne ha sempre avuti. Chissà che non lo aiuti a riprendersi.
Il Comandante intuì che era entrata un'altra persona. Gli poggiò qualcosa sul letto, qualcosa che si muoveva, che emanava calore.
Aprì un po' di più le palpebre e vide il gattino, che si avvicinava al suo viso.
"Mi riconosci?" gli chiese il gattino.
"No. Chi sei?" gli rispose il Comandante.
"Sono Picci."
"Picci è morto, tanto tempo fa."
"Sono tornato; sono Picci. Guardami, non la vedi la stella tra i miei occhi?"
Una stellina bianca, caudata, come una cometa.
"È vero! -esclamò il Comandante- Sono contento che tu sia qui, perché volevo dirti quanto mi è dispiaciuto aver causato la tua morte. Tutto per colpa mia. Colpa di una manovra sbagliata."
"Non hai sbagliato niente -rispose Picci- Nella tempesta non c'era altro da fare che arenare la nave. Hai salvato la tua nave, il tuo equipaggio e il carico. Sei un grande marinaio tu, Comandante."
Il vecchio Comandante voleva accarezzare il gattino, il suo Picci ritornato in vita, ma gli mancavano le forze.
"Che si fa adesso?" chiese il Comandante al suo gatto.
"Si va via insieme da qui. Io conosco la strada."
Il Comandante si sentì rassicurato.
Suor Carmela vide il gattino acciambellarsi accanto al cuore del moribondo. Diede un'occhiata al monitor a fianco del letto. Le due linee blu sussultarono brevemente, poi si udì un sibilo prolungato, e le due linee blu non ebbero più sussulti.
La suora abbracciò forte Agata, che singhiozzava sommessamente.
Mi hai fatto venire in mente quella notizia non tanto vecchia: un gatto ospite di una casa di cura per anziani, mi pare negli USA, che "capiva" l'avvicinarsi della morte e si metteva accanto al moribondo, fecendogli compagnia nelle ultime ore.
RispondiEliminaChissà se gli animali hanno davvero capacità che noi nemmeno sospettiamo!
Per quel che mi riguarda e anche per sdrammatizzare un pò, devo ricordarmi di scrivere da qualche parte che NON VOGLIO STARE IN UN RSA DOVE CI SIA UN GATTO (nemmeno un cane) (nemmeno un topo) (nemmeno i pidocchi) Sai, quel carino di mio figlio a volte mi dice che si prenderà la casa e mi metterà in un ospizio. Va bene, gli rispondo, ma che sia di lusso, perchè sono schizzinosa.
Ridiamo, iaco, quando non abbiamo voglia di piangere, ci stai?
Non conoscevo la storia -leggi molto più di me e sei sempre bene informata- ma credo che gli animali abbiano sensori a noi preclusi. Meglio così, almeno qualcosa ancora potrà sorprenderci visto che oramai, nell'era internet, tutti sanno tutto.
RispondiEliminaFossi in te invece lo vorrei un micetto o un cagnolino -almeno un criceto, dai- in quella futura futuribile RSA. Fanno tanta tenerezza quando sono piccoli e si affezionano morbosamente.
Non gli credere a F.: se ti vuole bene, come penso, non ti metterà mai in un ospizio. Però dipenderà dalla sua sposa. Purtroppo è così che va la vita per noi maschietti: finiamo sempre col fare quello che vogliono le nostre dolci consorti -a volte c'è anche troppo zucchero- quindi prega che la sua futura sposa si affezioni a te.
Io rido sempre, tu no? Anche quando mi verrebbe voglia di piangere. Per questo ci sono persone a me vicine che rimangono spiazzate dal mio atteggiamento...anche dopo tanti anni.
Fraintendono il senso delle mie risate, vedi un po' tu.
Moderazione anche nel ridere, mai sganasciarsi, Simba. Comunque ci sto a ridere, stai tranquilla, ci sto. È sempre meglio e fa bene alla salute.
Herr Iacoponi si veste di moderato. non ti ci vedo proprio. come, mai sganasciarsi? è così bello invece! solo la parola mi ha fatto ridere. hai presente quando ridi tanto che hai i crampi alla pancia e preghi chi ti sta facendo ridere di smetterla, per pietà, che non ce la fai più? Io poi quando inizio a ridere non la smetto più, come i bambini.
RispondiEliminanon capita spesso, ma le poche volte che succede quei crampi alla pancia sono un dolore toccasana.
Sei come mio padre, tu? Lui ride quando ci sarebbe da piangere e piange quando ci sarebbe da ridere. Ride per sdrammatizzare e piange perchè si commuove.
Non mi ritengo una "donna informata sui fatti", il fatto è che certe notizie mi scivolano via subito e altre mi colpiscono. bye.