giovedì 24 febbraio 2011

CHE COSA PENSANO LE GIOVANI TIGRI....

Seconda parte

Nessuno si era accorto di quell'incontro ravvicinato, di quel tète-à-tète tra un uomo e una tigre, ma dopo un paio di giorni appariva chiaro e tutti gli inservienti dello Zoo che c'era qualcosa di strano nel comportamento di Dagmar.
-Che cosa hai fatto a quella tigre? Gli chiedevano. Ringhia furiosamente tendendo il collo finché non ti vede spuntare, allora diventa mite come un agnellino.
-Non so che dirvi, si schermiva Marco; fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno che esistessero le tigri in Siberia.
-Sta di fatto che lei quando tu arrivi si fissa su di te e non si perde una mossa che fai e una parola che dici.
-Forse le piace la mia voce, provava a scusarsi Marco sempre più in difficoltà.
-Prova a cantarle qualcosa allora, può darsi che ti applauda.
E finiva in sghignazzate ogni volta.
-È innamorata di te, non lo hai capito? Gli disse Maria una mattina mentre insieme pulivano le stalle.
-Quando mai! Esclamò Marco -ma rivide i lunghi baffi di Dagmar che vibravano e i suoi enormi occhi gialli che si socchiudevano-; non ho mai sentito dire che un animale così grosso si innamori, e per giunta di un uomo.
-Invece succede. Ho letto di un elefante in India che si era innamorato di una ragazza e la seguiva sempre. Quando lei fu investita da un'auto e uccisa, l'elefante non volle più mangiare e morì dopo un po', non di fame ma di dolore.
-Storie come questa me le raccontavano quando ero un bambino, Maria. Non sono vere.
-Ma non vedi che ti fa le fusa come una gatta? Non senti come ronfa, rrronn, rrronn, rrronn? Ti dico che Dagmar si è innamorata di te.
Marco cercò di non pensare a quel che Maria gli aveva detto, ma quella notte quasi non riuscì a prendere sonno, e quando infine morto di stanchezza crollò, sognò di passeggiare in una grande vallata fiorita con Dagmar che gli trottava a fianco felice.

Il giorno dopo lo aggregarono a un'altra squadra perché occorreva sostituire alcuni filtri difettosi nella vasca delle foche. Finì che dovettero sostituire anche un paio di tubi e se ne andò quasi tutta la giornata, ma non proprio tutta.
-Oggi nessuno si è potuto occupare di Dagmar, gli raccontò Maria, perché era furibonda.
-Che aveva?
-Era preoccupatissima perché tu non arrivavi. L'avresti dovuta vedere come annusava l'aria in tutte le direzioni per sentire il tuo odore, ma voi lavoravate all'interno. Avrà temuto che te n'eri andato per sempre; pensa che non ha nemmeno mangiato.
-Adesso dov'è?
-Lasciala perdere e incomincia a pulire la sua stalla, poi digita il programma sul computer e faccela entrare. Chiudi l'ingresso e pulisci la sua stanza in galleria.
-E la gabbia?
-Non te ne occupare, tanto col buio non vedresti niente. Mi raccomando di verificare sempre sul quadro di controllo che siano chiusi i cancelli della stalla e della gabbia prima di entrare nella stanza della galleria. Guarda che sarai solo, quindi controlla almeno due volte.
-Starò attentissimo, fidati di me.
Pulì la stalla più velocemente che poté; cambiò la paglia, infilò nella mangiatoia i pezzi di carne che avevano già preparato i colleghi e mise acqua fresca e pulita nel contenitore.
Uscì dalla stalla, ne chiuse il grosso cancello dietro di sé e digitò il comando di apertura del cancelletto del corridoio che collegava la stalla alla gabbia esterna. Dagmar entrò nella stalla come un bolide e andò a fermarsi dietro al cancello guardando Marco come lui non le aveva mai visto fare prima. Lo sguardo della tigre esprimeva ansia e sgomento, era quasi umano. Mugolò qualcosa indistintamente, soffiò col naso indispettita, mugolò di nuovo. Lo sguardo le si incupì, sembrava stesse per arrabbiarsi con lui.
-Non è stata colpa mia, ho dovuto lavorare in un altro posto, ma adesso qui dentro ti ho pulito tutto e là ho messo la tua cena. Avrai fame visto che non hai pranzato.
Dagmar si era seduta sulle zampe posteriori; sembrava non avere più né paura né rabbia.
-Fallo per me, Dagmar, vai a mangiare.
Ma l'animale non si mosse.
-OK! Adesso vado a pulire di là, poi ripasso di qui a salutarti.
La tigre emise un leggero mugolio.
-No, non mi avvicino questa volta; non mi lascio coinvolgere.
Lei mugolò di nuovo , come una preghiera, come un invito.
Marco si allontanò di un paio di passi e raccolse i suoi attrezzi senza voltarsi.
-È un vero peccato che tu sia una tigre, le disse; se tu fossi una bella ragazza questa sera ti porterei a ballare.
"Magari!" Gli rispose una voce.
-Chi ha parlato? Chiese Marco gridando.
Si era immobilizzato al centro del corridoio con il badile e la ramazza a spallarm, scrutando in ogni direzione; ma le stalle erano ampie e c'erano decine di possibili nascondigli
-C'è qualcuno? Ripeté.
La voce gli si era incrinata, non certamente per la paura, ma era indispettito con se stesso che uno degli inservienti lo avesse sentito parlare con la tigre.
Lei non si era mossa da dietro il cancello della sua stalla.
-Chi c'è qui dentro? Le chiese sottovoce. Puoi annusarlo?
Dagmar non lasciò vibrare un solo muscolo.
Diventerò lo zimbello di tutti, pensò; adesso mi metto a chiedere informazioni agli animali.
Scrutò ancora una volta gli angoli lontani e bui, poi si allontanò rapidamente dimenticandosi di controllare sul computer la chiusura dei cancelletti. Raggiunta la galleria digitò l'apertura della porta blindata della stanza della tigre e vi entrò deciso. Altrettanto decisamente Dagmar abbandonò la stalla, attraversò il corridoio e la gabbia superando gli sbarramenti lasciati aperti e arrivò al cancelletto solo accostato che immetteva nella sua stanza con la vetrina. Lo spinse col muso ed entrò.
Marco era accucciato col viso rivolto alla vetrata nell'atto di raschiare dello sporco solidificato dal pavimento. Non udì alcun rumore, ma sentì il profumo di lei penetrargli intensamente nelle narici, il profumo della tigre che tanto bene conosceva. Alzò il viso verso il cristallo e ce la vide riflessa, immensa, accanto a lui, accanto al suo fianco sinistro. Il sangue gli si fermò nelle vene, e l'urlo che immaginò di lanciare gli uscì come un misero sibilo abortito dalla gola strozzata. Sentì lungo il fianco il calore del corpo della tigre: si era appoggiata a lui ed effettuava un lento dondolio in avanti e in dietro, in avanti e in dietro. Contemporaneamente proruppe dalla bestia un sonoro rronn, rrronn, rrronn.
Marco ne avvertiva il suono vicinissimo alla sua testa, mentre i muscoli del poderoso torace di Dagmar gli trasmettevano sulla spalla sinistra le vibrazioni del suo cuore. Espirò fino in fondo tutta l'aria che aveva trattenuta nei polmoni e sentì una violenta vampata di calore salirgli al volto. Non era in grado di pensare, il respiro gli si era fatto cortissimo e non riusciva a staccare gli occhi dall'immagine che vedeva riflessa.
L'animale annusò il suo terrore e gli diede un leggero colpo con la testa per rincuorarlo. L'effetto fu disastroso: Marco pensò che fosse arrivata la fine e che la belva fosse prossima a sbranarlo; sentì mancargli il respiro e svenne.

Quando avvertì qualcosa di tiepido sul collo capì di essere tornato in vita e di stare disteso per terra, ma tenne gli occhi chiusi; sentiva fortissimo il profumo di Dagmar accanto a lui, sopra di lui, dappertutto.
"Non avere paura di me, amore mio".
Udì di nuovo quella voce, mite, delicata, che gli aveva parlato nella stalla. Aprì gli occhi: c'era soltanto la tigre accanto a lui che gli leccava il collo e il petto dove la camicia si apriva, con gli enormi occhi gialli chiusi a metà. Provò a sollevarsi sui gomiti. Lei lo costrinse a rimanere sdraiato poggiandogli delicatamente il muso sul petto, lo sfiorò appena.
"Resta disteso per terra, devi riprendere le tue forze".
La bestia non aveva mosso la bocca, era evidente che qualcun altro era entrato in quella stanza e parlava: una donna, ma dove stava? Cercò di guardare oltre il corpo della tigre dentro la stanza: si girò verso la vetrata e vide riflessi soltanto lui e la grande fiera allungati l'uno vicino all'altra.
-Ma chi sta parlando? Quasi gridò.
"Nessuno. Siamo soltanto tu e io qui dentro".
-E allora questa voce che sento da dove viene?
"Non lo so. Io penso solo di dirti cose belle e tu le capisci, le senti; è proprio così che succede, io comunico così con tutti gli altri animali".
Marco si tirò su di scatto.
-Cos'è questa, magia?
"Non lo so".
-E tu chi sei?
"Non so nemmeno questo. Voi mi chiamate Dagmar, ma non importa chi io sia. Tu sei importante, tu sei il mio amore".
Marco sedette per terra poggiando la schiena sulla vetrata. Dagmar gli si avvicinò immediatamente e gli posò la testa sul grembo.
-Fammi capire, Dagmar: tu puoi comunicare con me col pensiero come fai con gli altri animali?
"Si".
-E io sento il tuo pensiero come una voce?
"Questo non lo so, sei tu che lo dici".
-E io capisco tutto quello che dici, cioè che pensi?
"Lo capisci, no?"
-Addirittura nella mia lingua?
"Non so cosa vuoi dire. Io voglio comunicare con te, penso qualcosa e tu capisci. Cosa c'è di strano? Lo faccio tutti i giorni con i leopardi e le leonesse qui vicino".
-Ah, certo! Non c'è niente di strano, che stupido che sono. E tu capisci tutto quello che io ti dico?
"Perfettamente".
-E quello che dicono gli altri lo capisci?
"No, capisco solo quello che mi dici tu".
-Neanche quello che dice Frau Müller?
"Neanche quello".
-Mi stai prendendo in giro.
"No, non posso farlo: io ti amo".
-Vuoi farmi credere che non comunichi con altri uomini?
"Solo con te. Gli altri non mi sentirebbero e non potrebbero capire".
-E io perché ti sento? Perché ti capisco?
"Questo non lo so, ma fin dal primo istante io ho capito quello che dicevi e ho saputo in quel momento che potevo comunicare con te".
Marco si alzò in piedi e anche Dagmar si eresse sedendo sulle zampe posteriori.
E adesso che si fa? Si chiese Marco dentro di sé.
"Rimaniamo sempre insieme" , gli rispose Dagmar.
-Capisci anche il mio pensiero?
"Benissimo; mi arriva come fosse la tua voce".
-Fantastico.
"Sì, fantastico".
-Riesci anche a ridere?
"Che vuol dire?"
-Ridere.
"Cosa è?"
Marco si sentì molto puerile, tanto da vergognarsene.
-Ah, ah, ah! Così.
"Ah, ah, ah! Così -gli rispose Dagmar- Ma che cosa vuol dire?"
-Si fa quando si è contenti, ma non è importante; tu continua pure col tuo rrronn, rrronn.
"Non lo faccio apposta, viene su da solo quando tutto è bello e io sono felice. Quando tu ti avvicini mi viene su subito".
-Ora però dobbiamo fare un patto io e te.
"Un'alleanza?"
-Sì, diciamo un'alleanza.
"Ma noi stiamo già insieme".
-Proprio di questo volevo parlarti: noi non possiamo stare insieme.
"Certo che possiamo. Chiudi la porta, non facciamo entrare più nessuno".
-Ma che dici?
"Non vuoi stare insieme con me?"
-Dagmar, guardati bene intorno: vedi uomini nelle gabbie insieme agli altri animali?
"No, ma non capisco perché".
-Perché è pericoloso.
"Vuoi dire che io sono in pericolo?"
-Tu no: io sono in pericolo. Tu potresti assalirmi e uccidermi; voglio dire che normalmente lo altre tigri lo fanno.
Oh Dio, pensò Marco, non le avrò mica dato l'idea?
Ma Dagmar gli si avvicinò, gli poggiò il muso sul petto affettuosamente e gli leccò la camicia.
"Io non ti farò mai del male, mai mai mai. Non lo hai ancora capito?"
-OK, io l'ho capito, ma gli altri?
"Gli altri non sono importanti. Lasciali fuori, chiudi la porta".
-Non è possibile. Gli altri vedendomi qui dentro insieme a te penserebbero che tu mi tieni prigioniero e che mi stai per fare del male, tanto male. Allora cercherebbero di liberarmi e potrebbero anche ferirti o ucciderti.
"Uccidermi? E perché?"
-Per salvare me.
"Ma tu puoi spiegare a tutti come stanno le cose e loro non mi uccideranno".
-E come glielo spiego? Gli dico: "signori, io e Dagmar siamo amanti e vogliamo rimanere sempre insieme". Così?
"Sì, digli così".
-Dagmar, loro non sentono il tuo pensiero come me e non comunicano con te. Penserebbero che sono matto e mi porterebbero in manicomio, così non potremmo più vederci.
"Oh no, questo proprio no!"
-Allora facciamo il patto io e te, l'alleanza come dici tu.
La tigre sbuffò un paio di volte, poi si distese ai piedi di Marco.
"Dimmi cosa devo fare".
-Devi fare la tigre nella gabbia.
"Cosa vuol dire fare la tigre nella gabbia?"
-Devi stare tranquilla come eri prima che io arrivassi in questo Zoo.
"Non mi piace tanto; non mi fido".
-Fa come ti dico e tutto andrà bene. È importante che nessuno si accorga che io e te comunichiamo.
"Non devono sapere che siamo amanti?"
-No, altrimenti mi cacciano via, oppure trasferiscono te in un'altra città.
"Ma se faccio come dici mi starai sempre vicino?"
-Tutto il tempo che potrò.
"Verrai da me quando io ti chiamerò?"
-Verrò da te.
"Entrerai qui dentro per starmi accanto?"
-Qui no, è troppo esposto. Verrò nella tua stalla di sera, dopo aver finito il mio lavoro.
"Ogni sera?"
-Ogni sera.
"Promesso?"
-Promesso.
Riuscì finalmente a convincerla a ritornare nella sua stalla prima che qualcuno dei guardiani di notte venisse a vedere perché le luci nella galleria a quell'ora erano ancora accese. Dagmar lo salutò con due o tre colpi del muso sui fianchi.
Marco rientrò velocemente nella galleria, sbarrò ermeticamente la porta blindata e si avviò verso la stalla, dove Dagmar già lo aspettava dietro il cancello.
"Puoi restare qui ancora per un po'?"
-No, è troppo tardi, le rispose Marco digitando sul computer la chiusura di tutti i passaggi.
-Dovrei essere fuori da un bel pezzo, ma domattina alle sette sarò di nuovo qui. Adesso mangia la tua cena altrimenti penseranno che sei malata.




4 commenti:

  1. Be', amico mio, stavolta quasi mi dispiace di essere venuto a leggere così tardi (sarà per il mio vecchio vizio di far durare le cose belle?) ma davanti alla genialità di questo racconto, davvero non so commentare con altre parole che con questo sincero aggettivo: geniale!

    (geniale per il racconto in sé, ma anche per le infinite chiavi di lettura e simbolismi che possiede!)

    Buona domenica!

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  2. Eh sì, lo so: ho un amico scrittore bravo e raffinato, soprattutto intelligente.
    Ma in fondo riconoscere genialità da parte tua non è poi tanto difficile, visto che io ne trovo a iosa nei tuoi racconti. Ti basta fare dei confronti; insomma sei avvantaggiato rispetto agli altri.
    Ciao bello, buon fine febbraio!

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  3. Semplicemente fantastico, il miglior racconto che abbia letto sul tuo Blog da quando ti conosco (con tutto il rispetto per i tuoi altri scritti). Bravo Enzo, fila via liscio che nemmeno te ne accorgi e quando sono arrivato in fondo mi è dispiaciuto della fine di questa seconda puntata.

    A presto. :)

    LeNny.

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  4. Manderò a te e agli altri la terza puntata a stretto giro di posta.
    Ciao fratellino, ciau ciau ciau:))

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