venerdì 1 aprile 2011

LUDOVICO FELTRINELLI

Parte seconda

I primi minuti dopo l'abbandono Ludovico li passò all'inferno. Troppo inaspettate, troppo brucianti e cattive le parole di Nelly per placare il trambusto che gli avevano provocato nel cuore. Ma subito dopo cominciò a pensare a Susanna come al porto sicuro dove rifugiarsi in quella tempesta. Susanna, la povera ragazza che lui aveva lasciato a casa a soffrire nel suo inappagabile desiderio di maternità, per correre dietro a una donna sicuramente viziata che si aspettava che lui le saltasse addosso. Non le aveva detto proprio lei che il pivot le metteva quelle sue manacce grandi come badili strette sul culo per tenerla ben ferma durante la sua incursione quotidiana? Aveva pensato che Nelly ne soffrisse terribilmente, e se ne lamentasse con lui come per dirgli "bada a non farti venire in mente una cosa del genere, amico mio"; e invece adesso veniva a scoprire che glielo aveva detto per provocarlo, per eccitarlo, quella strega. Perché una donna per bene sposa un pivot di due metri e cinque, con tanta brava bente sul metro e ottanta che lavora come tutti i cristiani? Per poi andare a dire al primo che incontra "odio il Basket"? Oppure tutte le altre sciocchezze che gli aveva raccontato, tipo "si soffia il naso senza fazzoletto e non si fa mai la barba prima della partita perché porta male, e poi mi irrita la pelle da per tutto, anche in mezzo alle cosce"? Ecco, ecco! Gli aveva detto proprio così, en passant, con indifferenza ché quasi nemmeno ci aveva fatto caso.
Che somaro sono stato! Pensò. Che razza di somaro: quello era un chiarissimo invito. Era lì davanti a me che mi diceva "pigliami, pigliami, che aspetti cretino"! E io che la consideravo una santa e avevo paura di rovinare il magnifico rapporto che avevo con lei. "Prendimi, prendimi, pezzo di imbecille"! E come un imbecille mi sono fatto scaricare, mentre lei adesso se ne va sculettando a caccia del prossimo.
La ferita bruciava e sanguinava orribilmente, per questo ancora più acuto si faceva il rimorso di avere mollato chiusa nel buio in una camera da letto con il mal di testa la sua giovanissima e fedele sposa, che non gli chiedeva mai niente.
Salì in macchina e avviò il motore. Non vedeva l'ora di tornarsene a casa accanto a Susanna per consolarla un po'. D'altra parte non poteva andare a lavorare e presentarsi ai clienti in quelle condizioni d'animo. Avrebbe detto a Susanna che ritornava a casa un giorno prima perché aveva avuto problemi con la macchina; ma lei non gli avrebbe di sicuro chiesto nulla e sarebbe stata ben felice di riabbracciarlo.
Mentre usciva da Vicenza e imboccava forte velocità la statale 53 per Castelfranco Veneto incominciava a piovere, e alle prime case di Treviso veniva giù acqua a dirotto. Imboccò il grande viale alberato, dove aveva affittato la sua villetta, che quasi non vedeva la strada malgrado i tergicristallo lavorassero al massimo. Prima della curva che immetteva nel vialetto di casa sua aprì a metà il finestrino e azionò il telecomando perché si alzasse la saracinesca del garage: non aveva intenzione di bagnarsi nemmeno un po'. Ma il garage era occupato.
Che cosa ci faceva una macchina estranea parcheggiata nel suo garage?
Aguzzò lo sguardo per leggere la targa, ma da dove si trovava poteva distinguere solamente le due lettere della provincia: VE. Non conosceva nessuno che guidava un'Alfa 166 rossa targata Venezia. Sentì una stilettata dentro il cuore, senza capirne il perché, senza volerne analizzare il motivo.
L'istinto gli suggerì di azionare nuovamente il telecomando e richiudere il garage. Parcheggiò la macchina lungo il lato opposto della strada a una cinquantina di metri da casa sua e iniziò ad attendere, attendere un evento che non aveva il coraggio di immaginare. Aspettò a lungo. Era sopraggiunta ormai la sera. Rabbrividì un paio di volte; cacciò le mani nelle tasche, accavallò le gambe e si strinse nella giacca. Aveva smesso di piovere.
Si accese e di nuovo si spense un paio di volte la luce nella camera matrimoniale e nel bagno. Poi al piano di sotto qualcuno usò la cucina, piuttosto a lungo. Erano quasi le dieci, lui sedeva ormai da ore intirizzito dentro la macchina, quando la luce esterna si accese e la porta si aprì.
Sul pianerottolo uscì Susanna stringendosi addosso una delle sue vestaglie insieme a un uomo molto alto, che Ludovico non aveva mai visto. Lei gli gettò le braccia al collo e si strinse a lui. Si baciarono a lungo una, due volte. Poi lui le diede una leggera sculacciata, aprì il garage, mise in moto l'Alfa e la fece uscire dal vialetto. Aprì il finestrino e si baciarono un'ultima volta. L'uomo fece effettuare alla macchina un arco a marcia indietro e passò accanto a Ludovico voltandosi ancora a salutare Susanna. Un attimo dopo era sparito. Lei rientrò con calma e spense la luce dell'ingresso. Dopo qualche minuto tutte le luci della casa si spensero una dopo l'altra.

Ludovico allungò la mano destra verso il cruscotto: cercò la chiave di avviamento, la girò con calma e partì lentamente nella direzione opposta a quella che aveva preso l'Alfa Romeo.
Aveva ricominciato a piovere forte. Dopo un po' che guidava a casaccio gli venne da ridere. Aveva letto da qualche parte, in un libro forse, che quando succedevano queste cose, quando un fulmine a ciel sereno ti si inabissava dentro, la testa ti esplodeva in un tumulto di pensieri, di ricordi, di veleni; che mille aghi feroci ti si infilavano dentro la pelle e vi ci sprofondavano impietosamente, e di nuovo altri mille e di nuovo altri, all'infinito. Invece niente! Per quel che lo riguardava non era vero. Niente punture profonde di spine, niente morsi di serpenti velenosi, niente cerchi di ferro incandescente stretti intorno alle meningi; ma soprattutto testa vuota, tabula rasa, altro che tumulto di pensieri.
In un certo modo era però vero. Gli ripassava davanti agli occhi l'immagine della donna in vestaglia che si stringeva allo sconosciuto, spingendo lascivamente il proprio ventre contro quello dell'uomo; ma non provava niente, nessuna sensazione: né disgusto, né rabbia, né pietà di se stesso, né odio e forse nemmeno curiosità. Come se vedesse scorrere sul video del proprio televisore la scena di un film, vecchio, nuovo, già visto ma che importa? Brutto di sicuro, comunque, da far sparire subito con l'indifferente pressione di un dito sul pulsante di selezione del telecomando. Pronti: via! E cosa resta? Un programma di pubblicità. Rise forte. Forse quei due sotto il portico della sua villetta avevano girato un film pubblicitario di un dentifricio: "ecco qui, signore e signori, dopo una giornata di stravizi e di scopate indecenti, alito ancora freschissimo a prova di bacio lingua in bocca", e i due alla fine avevano sorriso beati a sessantaquattro denti dentro l'obiettivo.
Ma una delle due bocche era quella di Susanna, e sua era la pancia che oscenamente teneva incollata all'inguine dell'ignoto seduttore di Venezia.
Seduttore? Ma lui da quanto tempo cercava di sedurre sua moglie senza successo? Perché Susanna non si era mai avvinghiata a lui come a quel tipo? Perché? Perché? Perché? E quando aveva conosciuto il veneziano? E dove? E da quanto tempo durava la tresca? E perché lui non aveva fatto niente, Dio santo? Perché non aveva tentato di far niente, ma era rimasto nascosto nella sua macchina al buio sotto il tiro di un fucile di precisione e aveva aspettato l'esecuzione finale? Ma perché, Cristo?
"Perché sono un vigliacco, un verme!" si gridò, "e adesso scappo via dalla tragedia e mi illudo di ingannare il destino, di scansarlo da me, di rimandarlo indietro. Pezzo di idiota, ma dove scappi! Il tuo destino è davanti a te, e la tragedia è qui, insieme a te in questa macchina, dentro di te da quando sei nato"
Bloccò la macchina premendo il pedale del freno con forza e facendola sbandare sull'asfalto viscido e bagnato.
"Torna indietro e ammazzala! Torna indietro, vigliacco!"
Urlava, ma sapeva che voleva solo sfogarsi, e che forse mai più avrebbe trovato il coraggio di guardare in faccia Susanna.
Appoggiò la testa sullo sterzo respirando velocemente. Si augurò di poter piangere, di trovare la forza di piangere, perché se avesse pianto gli avrebbe fatto un gran bene. C'era gente capace di piangere per niente, ma lui non c'era mai riuscito. Non aveva pianto al funerale del padre, ma aveva quattro anni, troppo piccolo per capire, dissero. Nemmeno a quello di sua madre, però, e aveva ormai quindici anni. C'erano rimaste malissimo le sue sorelle, che non gli avevano rivolto la parola per giorni.
Continuò a compiangersi e a ricordare episodi tristi della sua vita per commuoversi un po' e spremere fuori una lacrima. Tutto inutile. Poteva continuare per tutta la notte a leccarsi le piaghe della sua vita, ma gli sarebbe rimasto solo amaro in bocca. Era da tempo immemorabile un fatalista e lasciava le disgrazie arrivare, certo che prima o poi si sarebbero allontanate, fatte da parte, per far posto alle nuove in arrivo.

Il motore si era spento e Ludovico lo ravviò. Prima di ingranare la marcia e ripartire abbassò il finestrino per orientarsi e capire dove si trovava. Attraverso la pioggia battente riconobbe la vegetazione, il colore e la forma delle prime case di Montebelluna, di cui si vedevano le luci più in alto. In un primo momento pensò di girare e tornare verso Treviso, ma l'idea di riavvicinarsi a casa sua, al luogo del delitto, gli fece venire il voltastomaco. Inserì la prima e tirò dritto.
Non incontrò un'anima per le vie della cittadina con quel tempo da lupi. Procedendo a velocità moderata attraversò il centro tutto illuminato come a Natale e imboccò la strada per Caerano San Marco. Tutte quelle luci gli esplodevano dolorosamente dentro i globi oculari, così appena ebbe le ultime case di Montebelluna alle spalle, diede gas con forza immergendosi nel buio.
La luce dei fari provocava lividi riflessi sull'asfalto fradicio d'acqua e i fendinebbia, che Ludovico aveva accortamente accesi, non miglioravano molto la visibilità. I tergicristallo, pur lanciati al massimo, non ce la facevano a spazzar via l'acqua che arrivava a ondate, come violente secchiate sul vetro anteriore. Se fosse stato più calmo avrebbe deciso sicuramente di fermarsi e di aspettare che cessasse il diluvio, ma un demone si era impossessato di Ludovico e gli fece pigiare il pedale dell'acceleratore più a fondo che poté.
Non vide in tempo l'inizio di una curva a sinistra e si trovò con l'auto inclinata sul fianco destro, il muso rivolto verso l'alto, il retrotreno derapante obliquamente lungo la tangente. Ludovico diede gas aggrappandosi disperatamente allo sterzo, mentre la luce dei fari afferrava lembi dei muri, degli alberi, dei sassi e di tutti gli oggetti indistinguibili che gli capitavano davanti in quella corsa a zig-zag oltre il fondo stradale.
Gli si parò di fronte un ostacolo scuro, un tronco d'albero mozzato o qualcosa del genere. Il cozzo fu durissimo, come uno schianto, e il parabrezza si riempì di schizzi di fango. Poi di colpo le ruote fecero di nuovo presa sull'asfalto tutte e quattro. Appena fu di nuovo sulla strada Ludovico piantò una robusta frenata. L'auto si era fermata proprio nel mezzo della carreggiata: la spostò sul lato destro e spense il motore. Scese e un attimo dopo era zuppo, ma doveva verificare il danno che si era prodotto sull'avantreno. Un bel bozzo, niente da dire, ma poteva a suo giudizio tirare avanti. Ma contro cosa diavolo aveva sbattuto? Aguzzò lo sguardo, ma era troppo buio per distinguere qualcosa. Rientrò nella macchina, mise in moto, effettuò la conversione e ritornò lentamente verso la curva. Aveva accesso i fari lunghi e aperto il finestrino; entrava acqua nella macchina ma non gliene importava più niente, adesso che era fradicio come un pulcino. Ritrovò subito il punto dove era rientrato sulla strada quasi alla fine della curva, emergendo dai campi come un trattore; e come un trattore aveva sparso sull'asfalto quintali di terriccio, di fango e di sassi. Qualche metro prima era avvenuto l'impatto, se lo ricordava bene; ma lì non c'erano alberi mozzati né interi, e nemmeno muri. Non c'era proprio niente in quella curva.
Qualche metro più in là si vedeva qualche cosa per terra. Manovrò con la macchina spostandosi contromano e protendendone il muso fuori dal fondo stradale: era una vecchia bicicletta contorta. Solo una bici? Tutto quel casino per una vecchia bici? Poteva star lì da mesi, era quasi un ferro vecchio, un catorcio abbandonato e inutile; da queste parti buttano la roba vecchia ai lati delle strade.
Per mettersi la coscienza a posto accese il faro lungo dei fendinebbia. Manovrò col volante un po' a destra e un po' a sinistra inserendo alternativamente la prima e la retromarcia. Niente, non c'era niente da vedere, a meno ché...
A una distanza di una ventina di metri disteso a terra vide un sacco scuro, o un telone di quelli che usano i contadini per coprire a volte certe colture. Non si muoveva. Era un fagotto lugubre: somigliava a una sagoma, ma era certamente un sacco. Pensò che non poteva andarsene con quel dubbio. Tirò il freno a mano, lasciò la leva del cambio a folle e scese dalla macchina.
Già ai primi passi sprofondò con le scarpe dentro la melma, ma quella sera non doveva badare alle apparenze. Arrivato a un metro dall'oggetto ne valutò la lunghezza e la forma: più lungo di un sacco normale e più sottile, sembrava un'incerata, o piuttosto una mantella parapioggia nera o blu scuro. Qualcuno l'aveva abbandonata lì, come quella bicicletta scassata. Si girò per tornare indietro e nel fango perse l'equilibrio. Barcollò, fece un mezzo passo indietro e con un piede finì sopra quella vecchia mantella abbandonata: sentì sotto di sé qualcosa di morbido e di ricurvo e un brivido gli percorse la schiena. La mantella sotto il suo peso si era contratta e ritirata per una decina di centimetri a una delle estremità. Sbucò dal buio qualcosa di chiaro, anzi di pallido, come un ramo spezzato o un fiore calpestato appena colto.
Con gli occhi sbarrati Ludovico riconobbe i contorni di una mano molto piccola, una manina. Si accosciò e sollevò la mantella: sotto giaceva il corpo di un bambino di sette o otto anni, lordo di sangue dappertutto. Fissava il vuoto con gli occhi sgranati, ed era morto.
E allora pianse Ludovico: questa volta pianse dolorosissime lacrime fredde, perché ogni delitto può commettere l'uomo, anche uccidere il padre e la madre, ma non ammazzare il cucciolo dell'uomo. Ma a nulla valeva disperarsi ormai: il ragazzo era morto. Inutile imprecare alla malasorte, sua sempiterna accompagnatrice, che in quella notte buona per i licantropi gli aveva messo in quella stramaledetta curva un bambino così piccolo e solo. Non serviva ormai a niente: il ragazzo era morto.



10 commenti:

  1. Miseria!
    Della serie: se sei maschio, non metterti MAI alla guida dopo essere stato piantato o cornificato.
    Fai una corsetta, prendi a pugni il sacco, fai un bagno nel lago ghiacciato, ma lascia stare i motori.
    Ho l'idea, forse sbagliata, che mentre la donna reagisce alla delusione amorosa autocommiserandosi o punendosi in qualche modo, l'uomo tenda a reagire scaricando la rabbia verso gli altri, in primis verso la donna che l'ha tradito.
    Questo tipo mi stava più simpatico nella prima puntata, quando era perdente, ma perdeva da solo.
    Ciao!

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  2. Per una volta Silvia ha scritto un commento che potrebbe somigliare moltissimo al mio... Aggiungo solo, ma lo sai già, che il racconto è scritto assai bene, e che la parte finale mi ha fatto tornare in mente le emozioni provate, tanti anni fa, leggendo il tremendo, struggente, bellissimo raconto di Stig Dagerman "Uccidere un bambino", contenuto nel bel libro "Il viaggiatore" (edizioni Iperborea)

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  3. *Silvia- Te lo avevo detto che non ti sarebbe tanto piaciuto il seguito.
    Posso opinare? Dici che ti piaceva di più quando perdeva da solo. Non è che ti piacesse il perdente che non reagisce, piuttosto di quello che reagisce a modo suo, cioè sbagliato, ma comunque reagisce?
    Ludovico F. è il classico minchione che si fa sfuggire l'occasione Nelly per incapacità di fare piuttosto che chiacchierare; che non si accorge della tresca di Susanna, e che quando se ne rende conto non ha il coraggio di affrontare la situazione; che preferisce fuggire nella notte piuttosto che prendere per il collo sua moglie; che guida a tavoletta senza nemmeno vedere bene nel diluvio.
    Un vero casino, quello che combina.
    È solamente un racconto, ma ho conosciuto individui così imbelli, che preferivano tacere pur di avere un pasto caldo sul desco due volte al giorno.
    Nelle tre puntate che verranno Ludovico ti piacerà sempre di meno, vedrai.
    A me invece Ludovico 2.0 piace.
    Comunque grazie: quello zero sui commenti faceva male al cuore.

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  4. *Nik- Grazie per l'informazione. Cercherò quel libro e lo leggerò.
    L'osservazione di Silvia, che tu condividi, è reale e penetrante: le donne sconfitte in amore si autocommiserano, si flagellano, si prendono anche colpe che non sono loro -"è colpa mia, ho sbagliato io"- sono in questo assai masochiste, e soffrono forse il doppio di noi, per una ferita nella carne e nell'anima.
    Noi ci sentiamo feriti nell'orgoglio e reagiamo con la tipica espressione "sta puttana, sta troia". È tutta colpa sua, perché le donne sono tutte puttane, tutte meno nostra madre.
    È allora che parte la reazione, UNA reazione, n'import pas quelle, purché sia rivolta verso qualcun altro, possibilmente non in grado di contrastarci, cioè uno più debole di noi, magari il gatto di casa scaraventato fuori dalla porta con una pedata sul culo.

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  5. Mi intriga questo discorso dei perdenti.
    Forse è deformazione professionale, ma a me piacciono davvero i perdenti, i tipi un pò alla W.A., per intenderci.
    Uno che chiacchiera invece che arpionare non è un minchione, o perlomeno prima lasciami valutare COME chiacchiera.
    Se lo fa come W.A., tanto per ribadire, anche se balbetta o si rende ridicolo, mi piace assai più del tipo mascherato da "Uomo Che Non Deve Chiedere MAAIII!!!!"

    ... Poi dalle voci che mi sono giunte ho idea che stasera anche tu hai fatto il tifo per i perdenti, come me. :)))

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  6. Che serata di merda...

    Ciao ragazzi. :D

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  7. *Silvia- I perdenti sono una razza privilegiata: conoscono il Dolore e conoscono la Speranza, e conoscono la Fede.
    I vincenti sono truculenti e presuntuosi; guardano tutti dall'alto in basso; si considerano inossidabili e unici depositari delle verità universali.
    Dopo 19 anni di merda noi perdenti consacrati e santificati abbiamo avuto 5 anni di gloria, culminati lo scorso anno in una serie di trionfi.
    Martedì sera, mentre l'Inter scriveva la pagina più tragicomica della sua storia- io risentendomi PERDENTE ho rigustato il sapore amaro del DOLORE e ho ritrovato la SPERANZA.
    Forse così ti intrigherò di più -almeno spero- e ti piacerò di più.
    No, non sono un minchione, e nemmeno Ludovico Feltrinelli lo è.
    Ciao e grazie...
    tu sai perché.

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  8. *Lenny- Che tu dopo la nostra comune serata di merda abbia sentito il bisogno di venir a leggere il secondo pezzo di Ludovico mi fa tenerezza. Dovevi avere l'anima appesa ai coglioni come me, come tutti i fratellini nerazzurri.
    Lecchiamoci le piaghe senza darlo a vedere a quei sacripanti dei nostri schifosissimi cugini, ai quali -se interrogato- ricorderai, ti prego, la coppa persa nel secondo tempo contro il Livelpool di Benitez, dopo essere stati 3-0 nel primo.
    Certe piaghe restano.

    PS. stanotte ho fatto un sogno profetico: lo dico piano piano, solo a te e a Nik il guerriero.
    A Gelsenkirchen ce ne faranno ancora quattro, ma noi ne faremo SETTE!!!!!!!!!!!
    Se Leonardo la smette di fare il Leonardo e telefona a Mou è fatta.
    Primo dentro Nagatomo e avanti Zanetti; secondo scambio di posizione tra Cambiasso -di nuovo vertice basso del quadrilatero- er Thiago portato accanto a Snejider.
    Quei due davanti e inserimenti dal di dietro dei cursori nel centro della loro difesa lentissima e Maicon mandato oltre la metà campo a calci in culo e Nagatomo lasciato fare il Nagatomo.
    Ne prendiamo forse 4, ma ne facciamo minimo sette.
    Credimi: qui tutti i crucchi che ho incontrato si stropicciavano gli occhi: la domanda ricorrente "Quanti anni era che lo Schalke non faceva 5 gol?" Seconda domanda:
    "Chi ha mai visto Edu fare due gol in una sola partita?"
    Hai capito?
    Ciao, ciao, ciao
    comincia a scommetere.:)))))

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  9. Enzo, purtroppo i sogni non si avverano mai.
    Ma mai dire mai!!! :)

    Te lo ripeto anche qui: se dovessimo vincere 4 a 0 e quindi passare il turno, vengo a trovarti in Germania a piedi. PREPARATI amico mio!!!

    Ciao. :)

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  10. LeNny*- E io qui te lo ripeto: ti verrei incontro a piedi fino a Basel.

    Ciao. :)

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