venerdì 8 aprile 2011

LUDOVICO FELTRINELLI

Terza parte


Ludovico non voleva più compiangersi, doveva farla finita con questa storia della sfiga: lui aveva qualcosa di corrotto, di ingovernabile, di malsano dentro di sé, qualcosa che gli distruggeva la vita giorno dopo giorno. Il ragazzo era morto e la distruzione della sua vita si era completata; anzi no, non ancora: mancava l'atto conclusivo, il gesto che avrebbe posto fine al logorio, allo strazio e a i suoi piagnistei.
Ma era un vile e non voleva soffrire. Il dolore fisico lo atterriva, quindi doveva trovare alla svelta un modo indolore di uccidersi, e che non la tirasse troppo per le lunghe.
Di costituirsi alla Polizia non gli passò nemmeno per la mente. Di scappare non se ne parlava neanche: troppe complicazioni per sfuggire agli inquirenti, troppe le tracce e gli indizi sicuramente lasciati del suo passaggio. Via allora di lì, prima che qualcuno arrivando e vedendolo potesse in qualche modo sottrarlo al suo disegno liberatorio.
Pattinò sul fango schizzandosi di mota fin sotto il mento e tornò sulla strada.
Prima di entrare nella macchina gettò un ultimo sguardo angosciato a quella mantella distesa in mezzo al campo: nascondeva un tragico segreto, ma a Ludovico bastava chiudere gli occhi per rivedere il corpo massacrato del bambino. Rimise l'auto in strada e ripartì imballando il motore.
Attraversò Caerano San Marco buia e deserta e proseguì sulla provinciale in direzione di Bassano del Grappa. Arrivato all'incrocio di Asolo svoltò a sinistra prendendo per Riese. Scollinò frenando e subito si infilò in un viottolo sulla sua sinistra, poco più di una carreggiata che finiva in una radura circondata da giovani alberi.
Era arrivato fin lì istintivamente, senza pensare: ci veniva con Nelly all'inizio, prima di scegliere per i loro incontri un comodo e caldo locale nel centro storico di Vicenza.
Il cerchio si è chiuso, pensò; qui è cominciato e qui tutto finisce. Ma come? Si può desiderare di togliersi la vita, ma è così difficile progettarlo. E poi sarà ancora più difficile realizzare il progetto.
Uscì dalla macchina. Scendeva una pioggerellina fine fine, insistente; era freddissima, ma se la sentiva scorrere dalla testa al collo, sulla pelle delle mani e del viso senza rabbrividire, come se il suo corpo non avesse più calore ma fosse già preda del gelo della morte.
Camminò tranquillo fino al centro della radura, chiuse gli occhi e alzò le braccia al cielo. Chiese a Dio Padre un miracolo: farlo morire senza che lui dovesse preoccuparsi del come. Si sentiva vile e debole, debolissimo; tanto debole che quasi non aveva più peso, così debole da librarsi nell'aria. Riaprì gli occhi e vide che stava sfiorando coi piedi i rami più alti degli alberi.
Impaurito abbassò subito le braccia tentando di tornare al suolo, ma cambiò solo posizione: si ritrovò supino, adagiato sul fiato del mondo.
Sono diventato pazzo, pensò.
Provò a muoversi lateralmente e si capovolse; di nuovo fece una mossa e come risultato ottenne una nuova capriola. Non riusciva a scendere di un millimetro dall'altezza cui si trovava, tra due alberi a una decina di metri da terra, continuando a girare su se stesso come se si avvitasse sul proprio asse. Aprì allora di nuovo le braccia e cominciò ad innalzarsi; le allargò come due vele e spiccò il volo.
-Sto sognando, sono pazzo oppure sono morto, si disse a voce alta.
Ma stava volando, cosa gli importava del resto? Volava sui suoi peccati e le sue paure, sui livori, sui rancori e i pentimenti, lontano da tutti i suoi errori, dalle tentazioni, dalle provocazioni. Ritrovata l'attonita e inconsapevole beatitudine del feto nell'utero materno, si abbandonava alla sensazione della protezione assoluta; adesso che aveva il cielo sopra e sotto di sé e tutto intorno si lasciava cullare dentro questo nuovo liquido amniotico al riparo da ogni guasto.
Volando pensava, e gli veniva fatto di pensare che nulla doveva pensare, ma esprimere. E come? In accordi sonori, in versi, magari in rime baciate? Quindi parlando. A voce alta, sottovoce, come?
Aveva sempre saputo parlare poco, però, e le parole gli pareva che sparissero un attimo prima di averle pronunciate. Sapeva scrivere, anche se non tanto bene: le frasi gli venivano fuori contorte, inviluppate come matasse, anzi no, come grovigli di rovi che ruzzolavano via col vento; parole che almeno poteva correggere, limare un po'.
Tutto considerato preferiva farne a meno, perché scrivere per lui era sempre stato un modo di dimenticare non dimenticando: mettere cioè le parole e le frasi una accanto alle altre per poi abbandonarle sul foglio e non pensarci più. E forse questo si combinava con la sua ultima esperienza: doveva ascoltare il suono dei suoi pensieri e poi via, scordarsene. In fondo era ciò che faceva da sempre, e quello poteva essere il senso della sua vita.

Da dove adesso si trovava poteva afferrare le nuvole. Guardò in basso e la radura gli apparve più piccola di un francobollo. Vide che girava lentamente sotto di lui e capì che si stava avvitando in circolo innalzandosi.
Come in una spirale, pensò; mi trovo dentro una spirale e mi innalzo come quegli aerei mono ala privi di motore.
Ma gli alianti sfruttano le correnti di aria calda, che sono ascendenti. Quindi lui adesso era entrato in una di queste correnti e avrebbe dovuto sentir caldo, molto caldo. Ma per quanta attenzione ci mettesse non provava nessuna sensazione di caldo, né di freddo: volava e non sentiva l'aria colpirgli il viso, scompigliargli i capelli e nemmeno agitargli i lembi della giacca. Come stare dentro un ascensore di quelli nuovi, che non danno scossoni.
Si infilò tra le nuvole e subito le attraversò emergendo in una limpida notte piena di stelle, con le nuvole ai suoi piedi imbiancate dalla luna piena.
Proprio allora si accorse di non essere il solo a svolazzare beatamente: ce n'erano tanti altri, da soli, in coppia, in gruppi di sei o sette che a piedi uniti e tenendosi per mano formavano come mobili corolle di fiori in ascesa; altri invece dondolavano velocemente e sembrava scendessero di nuovo verso le nuvole.
Hanno finito l'esercitazione e se ne tornano a casa, pensò Ludovico; fra poco toccherà anche a me, ma quanto sarebbe bello se questo volare non finisse mai.
Traguardando di sbieco la fase discendente di quei suoi colleghi apparentemente già paghi, drizzò la testa verso l'alto giacché lui appagato non si sentiva affatto, anzi intendeva porre tra i suoi piedi e la terra la distanza maggiore che poteva.
Sentì come uno scoppio, uno schianto soffocato. La sua velocità di elevazione aumentò e si accorse che sopra la sua testa si era spalancato un vortice. Un mulinello impetuoso lo risucchiava verso l'alto mentre tutti gli altri compagni di volo si erano arrestati per osservare quello che gli stava capitando, ma nessuno faceva l'atto di aiutarlo.
Ludovico lottò contro quella forza che lo trascinava: chiuse le braccia, provò a capovolgersi, ma invece di precipitare verso il suolo come sperava continuò a salire, facendo salti e capriole senza un appiglio dove aggrapparsi.
-Ascolta il cielo!
Il bambino che gli era accorso al fianco gli gridava qualcosa tenendo le mani a imbuto ai lati della bocca per farsi sentire in quel frastuono. Doveva già averlo incontrato da qualche parte prima di allora, così mingherlino e diafano, innocente. Ma cosa gli stava gridando?
-Ascolta il cielo, non lo contrastare -gli raccomandava il bambino-, assecondalo il cielo in ciò che lui vuole da te. Non devi lottare contro il cielo: tu non devi vincerlo, devi diventare tutt'uno col cielo.
Era rimasto indietro, immobile in mezzo al vortice, mentre Ludovico si allontanava da lui a velocità vertiginosa, avvitandosi in cerchi sempre più stretti.
Non aveva capito il significato dell'avvertimento del bambino, ma gli conveniva non contrastare quella forza; per questo aprì di nuovo le braccia e in un attimo si trovò lontanissimo da quel posto, dalla radura, dalle nuvole bianche di luce lunare, dalle genti volanti e dal bambino misterioso. Lontanissimo e immobile, a braccia spalancate e piedi uniti, mentre tutto intorno a lui si muoveva.


4 commenti:

  1. Come Dante, solo che fa la strada inversa, il furbetto.
    Non va bene, deve prima espiare il suo delitto, deve prima scendere agli inferi.
    Stamattina ero al fiume e osservavo un falco di palude a caccia. Bellissimo: si abbassava piano, senza darlo a vedere, in ampi cerchi concentrici, e poi virando -prima da una parte e poi dall'altra- mostrava il bianco-marrone della pancia, come se il cielo fosse una passerella e lui si fosse accorto di essere osservato.
    Affascinata da tanta bellezza mi è venuto in mente il tuo personaggio che si era messo a volare, e ho pensato che solo gli uccelli possono volare con eleganza, ogni altro essere umano o artificiale appare ridicolo o assurdo, contro-natura.
    Spero che sia morto o stia sognando.

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  2. *Silvia- Vola come un uccello, nuota come un pesce. Quante volte lo abbiamo detto? Nessuno può volare con l'eleganza di chi è nato per il cielo. Ludovico non è elegante -non lo faccio essere elegante io, madame- egli sta immobile e tutto intorno a lui si muove.
    "Spero che sia morto o stia sognando": acqueruggiola con focherello giù in fondo.
    Comunque con te meglio di quanto temessi: me lo paragoni addirittura a Dante...

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  3. Chissà perché, qualcosa mi spinge a pensare questo volo miracoloso come una metafora dello scrivere: scrivendo trovi la consolazione, scrivendo puoi afferrare le nuvole!

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  4. *Nik- Tutti noi "sacrittori" veri afferriamo le nuvole e ci consoliamo con questo gesto, che è puro altruismo, di tutti i mali e di tutte le ambasce che affliggono noi, i nostri amici e anche i nostri nemici.
    Tu sai meglio di me che quando scrivi -a volte, non sempre, ma sempre più spesso- vivi come rapito da un sogno che ti inghiotte e ti inserisce nei suoi simboli.
    Il giorno dopo, o alcune ore dopo oppure un mese dopo a seconda delle abitudini, rileggendo trovi il valore dei simboli e capisci dove sei andato a parare.
    Cioè capisci se hai scritto fesserie o cose nobili e sicure.
    Bada che sto parlando di "sacrittori" veri, che sappiano giudicare obiettivamente innanzitutto ciò che loro stessi scrivono.
    Io sono molto critico con i miei scritti, e penso lo sia anche tu, considerata la tua intelligenza.
    Per questo ti è scappata sta perla del "sacrittore", perché anelavi al risultato e non alla forma.
    Ciao.

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