martedì 14 giugno 2011

STORIA MAI RACCONTATA DEL FALSO PICASSO NON PIÙ RITROVATO

Quinta tappa


FILENAME Una delle due ragazze.

Una delle due ragazze stava seduta sulla spalliera del ponte. Guardava fisso davanti a sé come se pensasse intensamente, ma non vedeva e non pensava a nulla, era come addormentata a occhi aperti. Al contrario l'altra ragazza andava continuamente su e giù lungo il breve ponte, su e giù su e giù, dalla parte opposta a quella dove la prima se ne stava seduta. Un paio di volte era discesa sulla riva del torrente, si era tolti gli scarponi e le calze e aveva passeggiato a piedi nudi nelle acque gelide. Era in continuo movimento in contrapposizione alla statuaria immobilità della compagna, ma non era affatto nervosa: una questione di temperamenti diversi, se ne era già accorta altre volte, addirittura opposti; strano in due gemelle identiche come due gocce d'acqua, aveva spesso pensato.
Un centinaio di metri distante dal ponte un gruppetto di uomini, tre per l'esattezza, dall'aspetto vigoroso sedevano lungo l'argine del torrente intorno a un fuoco di sterpi. Un quarto uomo, a piedi nudi e pantaloni rimboccati fino alle ginocchia, tentava di usare come fiocina una pertica finemente appuntita. Lo scarsissimo pesce riusciva comunque a evitare con destrezza gli incerti lanci del pescatore.
Dovevano trovarsi in quel posto da molto tempo, nessuno parlava, sembravano tutti assai annoiati.
Si voltarono insieme di scatto verso la parte alta della strada, là dove scendeva piuttosto rapidamente dalla collina, quando il rumore si fece udire più distintamente. Il cigolio di ruote sull'asfalto aumentava di intensità dietro la curva a gomito: un carro abbastanza leggero veniva trascinato o spinto.
Trattenuto lungo la discesa piuttosto, e non era un carro, ma una carrozzina da bambini piena di indumenti, cappotti o coperte, importava veramente poco cosa fossero, ma da mezzo gli indumenti, e questo era quello che importava, spuntava la testa ricciuta di un ragazzo, il corpo completamente sommerso dalle stoffe. Cappotti, ecco cosa erano, e stivali di cuoio; cappotti, stivali e un bambino riccioluto.
L'inesperto pescatore gettò via l'improvvisata fiocina, indossò le sue calzature e ritornò sul ponte; i tre uomini spensero velocemente il fuoco e si avvicinarono alla carrozzina. Ognuno indossò un cappotto, anche le ragazze. Non ci furono convenevoli, né scambi di saluti come se ognuno conoscesse a memoria il copione. L'ultimo arrivato ricominciò a spingere la carrozzella cigolante, dove il bambino si era adesso sdraiato completamente; gli altri lo seguirono in ordine sparso, ultime le due ragazze che procedevano tenendosi per mano.
Camminarono per tutto il resto della giornata. All'imbrunire raggiunsero una periferia. Arrivato al cartello che indicava il nome del paese uno degli uomini cavò di tasca un libretto foderato di carta rossa e ne sfogliò le pagine, poi si voltò verso quello che spingeva la carrozzella e fece segno di no con la testa. Entrarono allora tutti insieme chiacchierando allegramente come un qualsiasi gruppo di turisti. Presero alloggio in una locanda e prima di andare a dormire fecero un'abbondante mangiata.
Il giorno dopo si rimisero in cammino di buon ora, dopo aver indossato ciascuno un paio di stivali. Percorsero una strada provinciale, poi una scorciatoia attraverso un bosco. Quando incontrarono un nuovo paese l'uomo ritirò fuori il libretto foderato di rosso, lesse tra le pagine e recitò: "Triplice omicidio con saccheggio". Subito abbandonarono la strada principale e girarono intorno al paese passando per viottoli attraverso i campi, finché le ultime case non furono più visibili. Allora risalirono sulla strada fino alla fermata degli autobus di linea.
Salirono sul primo che passò, dopo un'attesa di un paio d'ore. Era malridotto e sverniciato, ma comodo e soprattutto era vuoto. Dopo più di un'ora di viaggio l'uomo che spingeva la carrozzella si alzò e spostò il suo veicolo fino a ridosso del guidatore.
"Che paese viene adesso?", gli chiese. "Monte Meceri", gli rispose il guidatore. "Noi scendiamo. Ci lasci fuori dal paese". Tornò al suo posto e lasciò la carrozzella e il bambino alle spalle del guidatore. Si voltò a guardare il bambino.
"Sei carino, sei proprio un bel bambino: come ti chiami?"
Lo guardava fisso senza rispondere.
"Non ce l'hai la lingua?"
Il bambino continuava a fissarlo.
"È straniero? Non capisce la lingua?", chiese a una delle donne, quella che stava in prima fila accanto all'uscita.
"Non è straniero, è sordomuto", gli rispose.
Che peccato, pensò, così un bel bambino, ma non replicò nulla alla donna.
Il bambino sollevò un lembo della coperta che aveva sulle gambe e gli mostrò uno stivale nero lucidissimo con gli speroni dorati.
Che razza di madre ha questo bamboccio, pensò il guidatore; lo lascia dentro la carrozzina calzato e vestito. Si volse a guardare in viso il bambino e gli sorrise. Lui rimase serissimo: con una mano spostò il ciuffo di capelli che gli cadevano sempre sull'occhio destro, come se volesse guardare meglio il guidatore.
Quando di nuovo si volse col suo migliore sorriso lo guardò in faccia e rabbrividì: il sorriso scomparve, si rigirò di colpo e da quel momento concentrò apparentemente tutta la sua attenzione sulla strada che gli veniva incontro. Quando i suoi passeggeri fuori dalle mura di cinta di Monte Meceri furono tutti discesi tirò un sospirone di sollievo e ripartì più veloce che poté.
"Tu controlla", ingiunse l'uomo che spingeva la carrozzella a quello che aveva il libretto dalla fodera rossa. Lo sfogliò lentamente, poi lesse una pagina intera.
"Qui avevamo un contratto, disse alla fine; qualcuno arrivò prima di noi e ammazzò il nostro contratto, una donna. Lo fece male, sangue da per tutto, uno schifo. Lui si incazzò di brutto, disse indicando con un cenno del capo l'uomo che spingeva la carrozzella, e sterminò un'intera famiglia che abitava la casa di fronte a quella del contratto".
"Passiamo per i campi", disse l'uomo che spingeva la carrozzella e si avviò in testa al gruppo.
Pernottarono nell'area di sosta di una pompa di benzina chiusa di notte. Avevano tolto la corrente al distributore automatico di bevande, ma le latrine e i locali per le docce erano a disposizione e ben illuminati, e si sarebbero anche potuti adattare lì dentro se avesse incominciato a piovere. L'indomani mattina poco dopo l'alba, ma molto prima che gli inservienti del distributore di carburante arrivassero, scesero verso la vallata e trovarono subito i binari dove la notte avevano sentito passare i treni. Marciarono in direzione Nord lungo i binari per tutto il giorno, e a tarda sera videro in lontananza le luci di una stazione.
Nottata all'addiaccio in un piazzale semi deserto, e alle prime luci del giorno un caffè bollente nel bar della stazione e poi via col primo treno che andava nella direzione giusta.
I pochi viaggiatori infreddoliti avevano altro da fare che rivolgere la parola a gente vestita a mezzo tra vagabondi e turisti con quasi nulla in tasca. Meglio non dare confidenza a sconosciuti, pensarono; sicuramente si trattava di extra comunitari penetrati illegalmente nei territori.
Arrivarono a destinazione nel pomeriggio inoltrato. Nessuno aveva fatto da tempo un pasto caldo e sistemarono la pendenza nel ristorante della stazione.
"Qui non abbiamo un contratto, disse l'uomo che per tutto il tempo si era occupato della carrozzina col bambino dentro; nessuno ci paga, siamo dei professionisti in vacanza e ognuno è libero di tirarsi indietro, se vuole. Il conto da saldare è però abbastanza vecchio perché qualcuno possa ancora ricordarsi di noi, e questo va tenuto nel suo conto. D'altra parte non potremmo rimandare la cosa a un nostro prossimo passaggio tra cinque, dieci o quindici anni e sperare di trovare ancora in vita coloro che allora agirono, e anche questo va tenuto nel dovuto conto. Se trovassimo solo dei morti saremmo arrivati maledettamente in ritardo".
Spinse avanti a sé la carrozzella rumorosamente per alcuni metri, poi rallentò e tese le orecchie senza voltarsi. Sentì il consueto scalpiccio dietro le spalle e capì che tutti lo stavano seguendo.
L'edificio era al centro della City, alla fine di un viale alberato, tigli dall'odore. Sembrava un ospedale, o per meglio dire, di solito negli ospedali ci sono certi ingressi con ampie vetrate luminosissime, sormontati da una tettoia di rame a forma di semi cupola e niente scalinate, ma una larga e corta strada a forma di U rovesciata, che sale fino al portone principale e dall'altra parte ridiscende; e di solito negli ospedali l'intonaco dei muri esterni è sempre color paglierino chiaro, quasi candido. Sì, proprio una facciata da ospedale o da gendarmeria, oppure l'ingresso di un casinò di lusso. E invece appena entrati si pensava di stare in una galleria d'arte in allestimento, dove l'indomani si sarebbero potuti trovare appesi alle enormi pareti bianche i capolavori dei maestri più illustri. Poi una volta imboccato un ampio corridoio dall'altissimo soffitto stuccato si arrivava in un'enorme sala ovale dove confluivano altri corridoi, quattro o sei, non si poteva calcolare subito.
Dal centro del pavimento partiva una scalinata a forma di esse fino al piano rialzato e di lì si snodavano ballatoi lungo entrambi i lati dei corridoi, come in certi grandi magazzini russi a Mosca o a San Pietroburgo: ogni sei metri un agile arco in modo da potersi sedere sulla balaustra e poggiarsi morbidamente alla colonnina con nonchalance che è proprio chic, tanto è vero che ogni colonnina era occupata di qua e di là dai soliti perditempo. Come in ogni grande città doveva esserci anche lì una bella schiera di personaggi che non avevano niente da fare, che sembravano essersi dati convegno tutti là dentro, accuratamente vestiti con una gran voglia di chiacchierare: parlavano tutti infatti, e tutti insieme. Nessuno sembrava ascoltare e forse quella era la regola del gioco, chiacchierare per non sentire.
Nessuno di quei vocianti si diede cura del gruppetto di vagabondi polverosi e unti da poco entrati, che procedevano con estrema lentezza guardando in ogni lato, come in cerca di un tavolo libero, o di una panca dove poggiare le natiche, o di un angolo appartato dove sbracarsi un po'. Lo trovarono alla fine l'angolino adatto e sedettero in cerchio intorno a un tavolo. Nessun cameriere si avvicinò a quegli avventori indesiderati né loro lo chiamarono, intenti come erano ad osservare quella gioventù incurante dei problemi del prossimo e dell'avvicinarsi della fine del mondo.
L'uomo che fino allora aveva spinto la carrozzella sollevò le gambe del bambino e da sotto il suo sedere estrasse una vecchia borsa di pelle. Si avviò tranquillamente alla toilette per uomini. Tornò dopo una manciata di minuti senza la borsa di pelle: tutto lasciava pensare che l'avesse dimenticata nella toilette.
L'uomo afferrò il manubrio della carrozzella e la spinse davanti a sé avviandosi verso l'uscita. Il suo gruppo lo seguì in silenzio. Nessuno si accorse che quei vagabondi se ne stavano andando.
Erano arrivati oltre la metà del viale alberato, tigli dall'odore, e già potevano vedere la grande tettoia grigia della stazione centrale, quando un immenso boato scosse le fondamenta della città.
Continuarono a procedere con calma verso la stazione come se nulla avessero sentito. Soltanto il bambino effettuò una piccola variazione: sollevò la coperta che lo copriva, tirò in alto le ginocchia e appoggiò i piedi sui bordi laterali della carrozzella in modo che tutta quella gente che adesso usciva di casa e da ogni dove e si precipitava verso il centro della City, da dove si sollevava una colonna di densissimo fumo scuro, potesse vedere i suoi stivali neri lucidissimi e gli speroni dorati.


Quinta pausa

8 commenti:

  1. Questi viandanti e la carrozzella col bambino mi hanno fatto pensare alle scene apocalittiche di La strada, il romanzo di McCarthy. (Ovviamente è da considerare un complimento...)
    Ciao mon ami!

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  2. Reduce dal racconto del Loffante approdo al mio post e trovo te.
    Certo che è un complimento, vuoi mettere, e te ne ringrazio, ma nel mio racconto questo gruppo di vagabondi apparenti trova spazio solo in alcuni file, che appaiono qua e là.
    Mi rendo conto che possano anche dare fastidio, perché rompono il ritmo della narrazione, ma alla fine se ne scoprirà il motivo e la valenza.
    Questo racconto mi è costato più fatica a ricomporlo dopo averlo scritto, che a scriverlo.
    Non è un racconto a tesi, ma certo che ho cominciato a pensarlo la settimana successiva all'11 settembre, quando sorgevano dal fumo e dalla polvere di cemento e acciaio tutti gli interrogativi.

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  3. Enzo, spero che con il documentario che ho postato da me, alcuni interrogativi non siano più tanto interrogativi. :)

    Ho visto che hai appena pubblicato la nuova puntata... Domani è mia, ora sono cotto. :)

    Notte carissimo.

    Ciau. :)))

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  4. Il documentario era una cosa seria a proposito di una seria tragedia universale.
    Ti siamo tutti grati, noi benpensanti, di avercelo fatto conoscere.
    Il mio racconto è un documento letterario di pura fantasia, che non vuole minimamente scalfire la corteccia di una porcata globale, ma solo dare una ventata di fantasia il più possibile pulita, e contemporaneamente solo letteraria.
    Noi scrittorelli ci divertiamo pure delle volte a prenderci in giro da soli.
    Grazie di avermi dedicato il tuo tempo sottraendolo al sonno.
    Ciau. :)))

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  5. Scrittorelli? Alla faccia... Non direi!!!

    Grazie a te e lo Zione per le vostre grandissime opere che molto spesso mi accompagnano prima di una bella e guadagnata dormita. :D

    Vado a godermi la prossima puntata.

    Ciau amico mio! :)

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  6. Mi dispiace solo di avere smorzato il PC troppo presto ieri sera; avrei voluto augurare una buona lettura e una buona dormita a un fratellino garbato come te.
    Adesso posso solo augurarti buona giornata.
    Ciau. :)))

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  7. Contraccambio grande Enzo. :)

    Oggi qui da noi è festa ed ho sconfinato... Sono a Ponte Tresa, mi godo il sole qui in terrazza al bar/ristorante dove la prima volta ho conosciuto lo Zione. :D

    A presto amici. :)

    Ciau.

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  8. Enzo, eccoti una fotografia con tanto di dedica:

    http://www.twitter.com/SfrenzyChannel/status/83903432666267649

    :D :D :D

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