Da pagina 53 del Word di "RIMASTI A SUAREZ"
Cominciava fortemente a dubitare che quell'intruglio di sentimenti che nutriva per le due donne fosse amore. Da un po' di tempo l'amore coniugale e l'amor paterno equivalevano nella sua mente a concetti un po' confusi, a curiosi sillogismi popolari: il padre ama i figli, il marito ama la moglie; tu sei padre quindi ami tua figlia, sei marito quindi ami tua moglie. Così deve essere e basta.
Somigliavano un po' agli argomenti che usava sua nonna, la cattolicissima madre di sua madre, quando lo trascinava in chiesa per il catechismo.
"Tu non sei un maomettano miscredente, un giaurre moro, sei un veneziano bianco: i veneziani sono cristiani, vanno in chiesa a pregare Dio e lo amano, e tu quindi vieni in chiesa a pregare Dio onnipotente".
Così doveva essere insomma. Importava solo conservare le buone e sante tradizioni: rispettare gli anziani, amare e proteggere la sposa, amare e proteggere i figli. E quando si inizia ad amare i figli? Da quando li si concepisce, certamente, vuoi mettere che cosa significa un concepimento consapevole? Ma se lui con Elena era sempre stato attento a non metterla incinta usando tutti i metodi che conosceva, Ogino Knaus, temperatura basale, coitus interruptus e acrobazie del genere!
Non aveva amato Sofia fin dal concepimento, questo era un fatto, e nemmeno da quando aveva saputo che Elena era gravida, e neanche da quando gliel'avevano messa in braccio, appena un paio d'ore dopo che era nata, perché anzi quella volta c'era rimasto proprio male e aveva anche provato rabbia. C'era rimasto male a tenere in braccio quello sgorbietto rosso e pelato che somigliava tutto a sua suocera; rabbia l'aveva provata per via del cognome che portava scritto su un braccialetto di plastica e che era Manin, il cognome da ragazza di Elena e non il suo.
"Chi cerca scusi?"
"Mia figlia, è nata un'ora fa circa"
"Com'è il cognome?"
"Malavasi"
L'infermiera che legge su ogni strisciolina di plastica che hanno al braccio le sei o sette creaturine distese su un banco, l'infermiera che torna indietro scuotendo la testa.
"Malavasi non c'è"
"Ma cosa dice! Ho visto mia moglie due minuti fa e il pancione non c'è più, mia figlia deve essere qui"
"Ma come si chiamava sua moglie da ragazza?"
"Manin, ma che c'entra questo?"
"Qui noi chiediamo solo il nome da ragazza"
L'infermiera che riprende a cercare, l'infermiera che torna con un fagotto.
"Ecco Manin"
Ah, questa poi!
Forse più tardi, passati un paio di anni, quando Sofia era diventata una cosetta graziosa, capace di pensare e di fare garbati discorsetti che lo mettevano di buon umore, può darsi pure che quella volta avesse incominciato ad amarla. Eppure non ne era sicuro. Ai bambini si vuole sempre bene, fanno tutti un po' pena e un po' rabbia, sono divertenti e noiosi con le loro domande.
"Mi vuoi bene, papà? Sì. Quanto? Tanto. Tanto quanto, fammi vedere. Tanto così", allargando le braccia e rendendola felice e tranquilla fino al prossimo assalto.
E poi l'orgoglio di maschio appagato nel vederla fiorire e diventare donna, e poi l'ansia di non vederla ancora rientrare a casa a tarda sera, e poi il dispetto di capire di non essere più l'unico uomo della sua vita, tutte sensazioni reali che aveva sentito sulla pelle e forse anche sotto la pelle, ma l'amor paterno dove se ne stava acquattato? Non poteva essere tutto lì, in quelle scorie di vita di tutti i giorni che a malapena gli procuravano fastidio o gioia, in quei fatterelli banali, che una volta passate un paio d'ore non ricordava più. Lui aveva sempre pensato che l'amor paterno fosse un sentimento in grado di cambiare l'esistenza di un uomo, come dicevano tutti; a lui però non aveva cambiato un bel niente.
Non era una questione di pelle, non era una questione di anima, ma una fredda realtà: hai una figlia da mantenere e la mantieni. Accettato. Ti darà più noie che piaceri. Accettato. Un giorno se ne andrà con un altro. Accettato. Forse è proprio questo l'amor paterno: accettare tutto quello che viene, senza fiatare, perché tua figlia non ha colpa di niente, al mondo l'hai messa tu con un atto di egoismo e di piacere incosciente.
Per quel che riguardava l'amore coniugale Jacopo aveva idee un poco più chiare. Era in grado di stabilire almeno quando era incominciato, molto tempo prima del matrimonio, una sera a casa di amici. Elena, con indosso un vestitino attillato qua e là, trasparente qua e là, se ne stava seduta in un modo in cui le gambe accavallate non lasciavano vedere niente, ma facevano intuire tutto. Allora era iniziata la sua eccitazione e il desiderio di entrare in quel corpo che lei offriva e rifiutava ogni momento; entrarci comunque, da qualunque parte gli fosse stato possibile.
La prima volta che erano rimasti soli nella sua macchina, con Elena che tirava fuori le unghie per tenerlo a bada, le aveva lacerato gonna, sottoveste e mutande senza nemmeno pronunciare una parola. Aveva desistito solo quando lei si era messa a urlare. L'aveva lasciata alla prima fermata d'autobus e se ne era andato sicuro che lei non lo avrebbe più guardato in faccia.
Invece due giorni dopo aveva bussato alla porta della sua officina. Indossava un paio di pantaloni azzurri molto attillati e una giacca di panno blu scuro su un golfino bianco. Jacopo aveva preparato un caffè e tirato fuori un pacco di biscotti. Lei ne aveva sbocconcellato uno e dato due sorsate al suo caffè. Si era messa a girare in silenzio sbirciando in ogni angolo della sua officina-atelier. Si era fermata davanti a un banco dove c'era dell'argilla grigia appena iniziata a lavorare. Se ne era dimenticato. Era andato subito a coprire il suo lavoro incominciato con un panno umido perché non seccasse diventando inutilizzabile.
-Dove sono le tue sculture finite? Aveva chiesto Elena.
-Non sono uno scultore, l'argilla mi serve per fare i modellini di orologi che sto costruendo.
-A casa di Roberto ho visto una testa di satiro in terra cotta smaltata. Mi ha detto che l'hai fatta tu.
-Sono cosette che faccio per me e per gli amici, niente di speciale.
-Mi ha fatto anche vedere due mani giunte in preghiera di legno, bellissime.
-Lavoro il legno da mane a sera per gli orologi ad acqua. Mi piace toccare il legno, è il materiale che sento di più, e lo intaglio volentieri, ma senza pretese artistiche.
-Perché non provi a farmi un busto con quella? Disse, indicando l'argilla che aveva appena coperta.
-Solo se te lo fai fare nuda.
-Mi devo spogliare per un busto? Aveva chiesto lei con un sorrisetto sarcastico sulle labbra.
-Ti faccio distesa, per intero.
-E dove mi sdraio, per terra?
-Su questo letto.
Aveva tirato una tenda e messo in mostra un lettino che teneva sempre pronto per schiacciare un buon pisolino quando era stanco, oppure per quando faceva troppo tardi alla sera per tornarsene a casa. Per fortuna le lenzuola le aveva appena cambiate, come pure la federa del cuscino, e la coperta era nuova.
L'aveva lasciata lì in piedi apparentemente assai perplessa, ed era andato nella stanza dei materiali a prendere due sacchi di argilla color ocra da dieci chili l'uno, sicuro che non si sarebbe mai spogliata. Quando era ritornato Elena si era già tolta le scarpe, la giacca, i pantaloni e il golfino e stava sfilandosi la calzamaglia nera. Si tolse anche il reggiseno, ma non le mutande, rimanendo in piedi a guardarlo mentre proteggeva il seno con le braccia.
-Distenditi sul lettino a pancia in giù.
Appena lei fu distesa le andò accanto e le sfilò le mutande con delicatezza.
-Lascia il braccio destro abbandonato fino a toccare con la mano il pavimento, ecco, così va bene. Adesso guardami e non ti muovere.
Jacopo aveva rapidamente rotto i contenitori di plastica, riversato sopra un piano metallico di lavoro l'argilla e iniziato subito a impastarla e tagliarla dandole una forma grossolana. Immediatamente dopo aveva con le mani, aiutandosi con una spatola, modellato un corpo disteso a bocca sotto.
Si pulì le mani e prese da un armadio una coperta di lana coprendo la modella, perché gli era sembrato che avesse i brividi. Teneva una stufa ad olio accesa, ma poteva darsi le fosse venuto freddo a starsene nuda e immobile tutto quel tempo. Bevve una tazza di caffè e si avvicinò al lettino. Elena lo guardava in silenzio.
Le vide come un lampo negli occhi, forse di ironia o di curiosità, ma poteva anche essersi eccitata a starsene nuda sotto una morbida coperta di lana mentre lui la guardava. Non perse tempo a chiederselo. Si spogliò velocissimo e si infilò sotto la coperta accanto e lei. La donna si voltò su un fianco, e di colpo il calore che il corpo di lei emanava gli avvolse i lombi. Sollevò la coperta e le cercò il pube con gli occhi, annusando voracemente a narici spalancate l'odore di femmina eccitata che ne saliva. Elena lo aveva afferrato al bacino e tentava di infilargli una coscia sotto il corpo attirandolo su di lei.
Provò il desiderio selvaggio di aprirla tutta dalla vagina alla gola, e di infilarglisi dentro tutto intero, con le braccia allungate in avanti come in un tuffo marino, e distendersi tra i polmoni e i reni, accanto al cuore, al fegato, agli intestini, al fascio di nervi di arterie e di vene, crogiolandosi in quel calore che lo rivestiva tutto come una guaina. Chiuse gli occhi e la possedette penetrandone tutti i pori, liquefacendosi dentro di lei negli attimi dell'orgasmo.
Sì, quello fu amore senza ombra di dubbio. Fu amore prima e dopo averla sposata, prima e dopo che Sofia venisse al mondo, fintantoché si unì a lei con la stessa disperazione della prima volta, con il medesimo istinto violento di volerle lacerare la pelle e la carne dei muscoli, e penetrarla attraverso i capelli e il cranio, attraverso gli occhi e la gola, attraverso le vertebre e l'ano, attraverso i capezzoli e l'ombelico, ma sempre entrandovi per intero con le braccia protese in avanti e le palme delle mani aperte, scivolando in quel magma morbido e odoroso fino a giacerci dentro sfinito.
ehi..ma ormai ti sei dato ai romanzi??
RispondiEliminacome stai?
Perbacco Sabby! Era una vita che non ci si sentiva. Bentornata. Ho dato un'occhiata al tuo blog. Mi sembra che ci sia qualcosa di nuovo, a parte l'impaginazione, diciamo così.
RispondiEliminaPer esempio un tuo grande sostenitore non si firma più "Cavaliere errante", ma col suo nome. Bravo!
Dici che "ormai" mi sono dato ai romanzi. Ma sono loro che si danno a me venendo a trovarmi di notte, e che mi costringono a rivelarli a tutti.
In verità io scrivo "ormai" da una vita e qualche cosetta ho pubblicato già.
Verrò a renderti la visita quanto prima.
Ciao.
Molto interessante e onesta, la riflessione sull'amore paterno. Divertentissimo e amaro lo "sgorbietto rosso e pelato che somigliava tutto a sua suocera"... :)
RispondiEliminaDi grande verità e alto livello emotivo anche quel saper rendere il desiderio di possesso e penetrazione totale, dalla vagina alla testa e attraverso ogni singolo poro...
Decisamente un buon assaggio di scrittura.
Ormai ti sei dato alla letteratura erotica? :))
RispondiEliminaA me questo Iacopo ispira disprezzo.
Un uomo che pensa che l'amor paterno sia quel qualcosa che potrà cambiargli la vita, confondendo un figlio con una vincita al totocalcio.
Un uomo che si infastidisce di non trovare l'etichetta made in iacopo sul braccialetto della neonata.
Un uomo che non ritiene la figlia un essere unico e speciale, ma una bambola scelta a casaccio nel mucchio dei marmocchi.
PUAH!
Questo tuo Iacopo arido nell' amore filiale deve esserlo per forza anche nell'amore coniugale, perchè l'amore è un sentimento universale, o ce l'hai per tutti o non ce l'hai per nessuno.
Quello che lui ritiene essere amore senza ombra di dubbio a me sembra solo desiderio di possesso. Pur descritto da una buona penna come la tua, non mi incanta.
(Il divano dell'atelier era a scopo pennichella?! Sììììì .... Come quello di Vermeer, nell'orecchino di perla)
Nik: l'amore paterno è un concetto molto vago, non un dogma. Ognuno lo declina come crede, e qualche volta ci si accorge in età avanzata di avere completamente mancato il bersaglio.
RispondiEliminaAltro è il desiderio di possesso, quando è legato ad un forte sentimento. Ma chi è in grado di sapere quanto sia forte quel sentimento e -soprattutto- quanto sia durevole?
Bisogna fare affidamento alla casinistica della vita.
Silvia: devi aver mangiato in quel di Fiera di Primiero un timballo di lucertole vive, che adesso ti stanno ancora correndo un gran premio nelle budella.
RispondiEliminaQuesto Jacopo Malavasi è solamente il protagonista di una parte del romanzo che da tempo ho scritto, ma ancora non ho inviato a nessun editore perché avevo "Francoforte" da piazzare.
È un costruttore di orologi ad acqua, molto pignolo e particolare. Forse un poco arido con i suoi intimi famigliari. Tutto OK!
Però faccio un distinguo quando tu definisci l'amore "un sentimento universale", che "o ce l'hai per tutti o non ce l'hai per nessuno".
Hitler adorava il suo cane lupo.
Stalin aveva un amore paterno verso Svetlana, che rasentava il possesso.
Gheddafi andava pazzo per la sua nipotina.
L'amore c'è quando c'è; non si può estendere a tutto e a tutti.
Nec tecum nec sine te vivere possum.
Mi sembra calzi bene in questo caso.
Che vuol dire???
RispondiEliminaCi sono perfino degli assassini, che dicono di aver ucciso la loro donna per amore , e non credo ci sia qualche pazzo disposto a riconoscere questo tipo di amore !
Così è per Hitler, che adorava il suo cane, appunto: IL. SUO. CANE. Probabilmente lo adorava così tanto perchè possedeva quella bella dote canina dello stare zitto.
Si fosse messo a parlare, hey adolf stai all'occhio che il gioco è bello quando dura poco ... BUM, gli avrebbe fatto saltare il cervello.
I dittatori sanguinari, i serial killer, i pazzi furiosi possono provare amore verso un altro essere umano? Sì, ma in modo distorto: come ossessione, come possesso, come rivincita, come vendetta, come morbosità. Tutte cose che con l'amore non c'entrano niente, se non a dare l' illusione di normalità.
Buona notte!
Chi uccide per amore uccide per bisogno di possesso: sei mia e non sarai di nessun altro. L'amore universale, di cui tu dicevi,è altruistico -quasi un'utopia quindi- ma esiste, perché in ognuno di noi c'è il bisogno "di dare" e quindi di darsi agli altri, magari un bisognino piccolo piccolo, ma c'è.
RispondiEliminaEsempio: Hitler e il suo cane. Buona quella del cane parlante; ma tu non sai che certa gente -almeno qui in Germany- diventa pazza per un animaletto. Quello è l'istintivo bisogno di dare senza chiedere nulla in cambio. Mamma mia siamo al "Dolce stil novo", infatti è roba da poeti.
Comunque mi compiaccio che tu abbia digerito il timballo di lucertole vive.
:)))
Anch'io i compiaccio, le rare volte che mi dai ragione, anche se lo fai MOLTO di traverso. :))
RispondiEliminaQuando hai ragione, quando il tuo pensiero collima col mio lo sento e lo ritrasmetto. Che vuol dire MOLTO di traverso, "obtorto collo"? Ti sbagli, io chiedo volentieri scusa quando sbaglio e mi compiaccio quando trovo che altri -uomini o donne non fa importanza-sono sulla stessa mia lunghezza d'onda.
RispondiEliminaE non lo trovo affatto nobile da parte mia, bensì civile e normale, stavo per scrivere banale. Ma tutto quel che non va fuori le righe in questo schifo di mondo è banale.
Mi ha fatto immensamente piacere che dormi di nuovo bene senza problemi di digestione, ecco. :)))
da me non si firma proprio, dal momento che non frequenta più il mio blog, da tempo ormai...
RispondiEliminariguardo alla scrttura a me auita tanto, mi libera!!
È vero Sabby, e mi scuso per l'abbaglio. Avevo creduto che questo tuo nuovo, assiduo frequentatore fosse qual Cavaliere errante, col quale mi sono azzuffato a parole un paio di volte.
RispondiEliminaSono andato indietro a controllare il linguaggio del cavaliere. Il nuovo ne ha "solo" l'assiduità, fortunatamente non l'untuosità.
Complimenti a te per il miglioramento dei tuoi lettori.