lunedì 6 agosto 2012

LA PIÙ BELLA È GIULIA




Giulia è la sorella di mia madre. Giulia è una donna bellissima e anche mia madre è una donna bellissima, perché Giulia è la sorella gemella di mia madre e sono uguali come due gocce d’acqua. Pochi hanno mai capito quale fosse l’una quale l’altra perché assolutamente identiche. Con qualche piccolissima differenza, però. Per esempio: mia madre è alta, slanciata e sinuosa; anche Giulia è alta, slanciata e sinuosa. Mia madre è bionda ed ha occhi azzurri trasparenti come albe sul mare; Giulia è bionda e ha gli occhi azzurri trasparenti come albe sul mare. Mia madre è intelligentissima e colta; Giulia è intelligentissima e colta. Mia madre è riflessiva e scaltra; Giulia anche. Mia madre ha piantato il primo marito, il padre di mio fratello, e adesso va alla grande col secondo, mio padre. Giulia non si è mai sposata, ma ha piantato tutti i suoi amanti. Mia madre è saggia e parsimoniosa; Giulia è matta e spendacciona. Mia madre gode di un’ottima salute; Giulia sta morendo.
Giace da due settimane in un letto ultramoderno dell’Ospedale dei tumori più rinomato del paese. Malata terminale agli sgoccioli: ma lei è sempre bella, anzi sempre più bella, come se invece di starle a fare l’allestimento per il funerale, la stessero mantenendo in forma per andare a nozze.
A mio fratello di primo letto di nostra madre Leonardo è balenata in mente un’idea:
“Non è che queste due stanno facendo i giochetti, che ci hanno raccontato facevano ai tempi della scuola e dei loro fidanzati?”
“Pensi che si alternino dentro quel letto?”
“E chi lo sa? Possono fare tutto quelle lì.”
Intanto Giulia è sempre bellissima e fresca, non sembra proprio una moribonda.

Da un paio di giorni mio padre ha trovato su internet una notizia che ci ha costernati. Da allora siamo preoccupatissimi. Sembra che i gemelli monozigoti abbiano lo stesso decorso di vita, la stessa tratta, la stessa durata. Quando uno dei due sta male anche l’altro soffre, e se uno dei due muore l’altro lo segue rapidamente, dopo una malattia breve e fulminante. Sembra, non c’è alcuna certezza scientifica, ma un fortissimo dubbio.
In tutti i modi è già successo quando mia madre ha avuto un premolare cariato sul lato sinistro della mandibola. Giulia aveva dolori fortissimi sull’altro lato, ma non aveva carie, soltanto dolori. Appena il dentista ebbe finito di otturare il dente di mia madre cessarono di colpo i dolori che Giulia aveva in bocca.
Il conto torna e in casa nostra non si vive più. Nessuno di noi ha parlato chiaramente con Magda, nostra madre, la gemella di Giulia apparentemente in salute, ma tutti ne stiamo osservando ogni movimento, trattenendo il fiato ad ogni suo colpo di tosse.

Questa mattina Giulia sembra stare molto meglio. Ha voluto leggere un giornale, senza occhiali come sempre. Ha letto però solo i titoli mentre mia madre faceva un salto a casa, dove aveva dimenticato chissà che. Nessuno se ne è accorto: dimentica tante cose lei, ogni giorno.
Giulia ha ripiegato il giornale, lo ha riposto sul comodino, si è girata su di un fianco e dopo un po’ ci siamo accorti che non respirava più. Era morta così, tranquillamente come non era mai vissuta.
Passato il primo momento di sgomento siamo scattati tutti fuori dalla stanza come se avessimo ricevuto una scarica elettrica, chi verso le scale chi verso l’ascensore. Parola d’ordine: fermate Magda prima che arrivi alla stanza di sua sorella e la trovi morta, bella e stecchita dentro il letto.
I minuti volano via, ma mia madre non arriva. Passata quasi un’ora qualcuno prova a chiamarla sul cell, non ricordo chi nella confusione che si era creata; ma non c’è risposta. Allora mio padre prova col telefono di casa.
Al quarto squillo lei risponde.
-Che cosa stai facendo ancora a casa? –le chiede mio padre.
-Sto qui con Giulia.
Neanche il tempo di sentire il seguito: siamo già tutti nelle nostre macchine diretti a casa.
Entro per primo, dopo essermi mangiato gli scalini delle due rampe a quattro a quattro.
Lei siede regalmente sulla sua poltrona preferita di alcantara beige al centro del salotto. Ha tirato accanto alla sua l’altra poltrona, di pelle nera, dove mio padre di solito dorme beato davanti alla TV accesa. Ma non c’è la TV accesa e non c’è mio padre a dormire sulla poltrona: c’è invece una gatta tigrata, bellissima, che prima nessuno aveva mai visto. Sdraiata sul fianco destro, mentre mia madre di tanto in tanto allunga una mano a carezzarle il pelo, la gatta emette quel tipico suono, quel ronfare ritmico, che rivela una profonda beatitudine. È beata e soddisfatta, con gli occhi chiusi a metà.
Ma da dove è uscita fuori, mi chiedo e sono certo che se lo stanno chiedendo tutti.
-Come fai a sopportare ‘sta gatta vicino a te, tu che soffri d’asma e sei allergica ai peli?
La domanda la fa mio padre perché riesce per primo ad aprire bocca. Noi siamo inchiodati dalla visione.
Mamma non sopporta i gatti, penso io e pensa Leonardo. Mamma non è mai andata a casa di Giulia per via delle sue quattro gatte, una bianca e tre nere, perché le sarebbe venuto un colpo sul pianerottolo, prima ancora di mettere un piede in quell’appartamento.
“Hai addosso la puzza dei tuoi gatti”. Quante volte glielo avevamo sentito dire? E adesso accarezza la groppa di quella bestia.
Giulia adorava i gatti, era di natura felina anche lei; teneva le sue quattro micie come fossero figlie. Le avevamo portate all’ospizio municipale per animali, pagando salate parcelle mensili, quando Giulia era entrata in ospedale. A nessuno di noi era passato per la testa di abbandonare quelle bestie al loro destino, sapendo quanto lei le amasse.
Ma questa gatta tigrata non l’avevamo mai vista. Giulia prediligeva i bianchi e i neri.
Forse mia madre ce la legge in faccia la domanda.
-Questa è Giulia –ci dice.
Nemmeno una parola di più. Così ci lascia nel dubbio: avrà voluto significare “questa è una gatta e io l’ho chiamata Giulia”, abbastanza semplice, forse un po’ troppo semplice temiamo, oppure “questa qui è Giulia, mia sorella, da adesso in poi”?

Mio padre ci prende per un braccio e ci porta via, in un’altra stanza.
-Dovrò trovare il modo di dirle che sua sorella è morta, perché non precipiti nella disperazione. Voi intanto fate come se niente fosse successo.
-Ho paura che lei pensi che quella bestia sia sua sorella –gli dico.
-È la mia stessa paura –aggiunge Leonardo.
-Non lo ha detto e non lo credo proprio –taglia corto nostro padre –voleva sicuramente dire che quella era la sua gatta e che si chiamava Giulia.
-Non ti sembra strano che l’abbia chiamata così? –gli chiedo.
-Hai dimenticato che nomi aveva dato Giulia alle sue gatte? Maria Antonietta, Ludovica, Concetta e Rosalba; tutti nomi di donna.
E poiché ci legge in faccia l’incertezza e il dubbio, chiude il discorso:
-Gente! Noi dobbiamo far finta che sia così come vi ho detto e non che sia diventata matta all’improvviso.
Allora facciamo finta e vediamo come va a finire questa storia.

Intanto io mi do da fare per organizzare i funerali, e affrontare tutta la parte burocratica. Una montagna di carte e moduli da riempire e da firmare. Falsificando la firma di mia madre, perché lei è la parente più stretta e toccherebbe a lei sottoscrivere ogni documento; ma mia madre non deve sapere quanto è successo, almeno ancora per un po’.
Al funerale mia madre non c’è, ma nessuno se ne meraviglia. Mio padre è un mostro della mistificazione: ha messo in circolazione bugie così ben calibrate che tutti, piuttosto che per la defunta, spendono lacrime per la sopravvissuta, sola e triste in una stanza buia, ricurva su sé stessa e sulla perdita incolmabile che l’ha colpita.
Ai funerali escono fuori tutti i vecchietti, come i funghi dopo la pioggia.
-State molto vicini a vostra madre, poveretta –raccomanda a me e a mio fratello una donnetta rugosa, che non conoscevo, ma che dopo parla a lungo con mio padre.
-Dia un bacio alla sua mamma –mi sussurra un bassotto panciuto molto in là cogli anni.

Dopo la tumulazione tutti a casa a salutare la mamma.
-Mi raccomando, fate finta di niente –ci catechizza nostro padre sul pianerottolo, prima di infilare la chiave dentro la serratura –e soprattutto non mostratevi meravigliati di niente.
Appena entrati colpisce il volume della musica, molto alto, troppo, considerando le abitudini della mamma. Musica latino americana, un samba credo.
Non è la TV come pensavo, ma un CD. In mezzo alla stanza mia madre in calzamaglia rossa mima una ballerina brasiliana, o balla come una. Ad ogni modo si dimena a tempo, e lo fa con garbo. Accanto a lei, in piedi sulla poltrona di pelle nera, la gatta Giulia accompagna il ritmo con sinuosi scatti della sua coda, tenuta distesa verso l’alto, da destra a sinistra e ritorno, nonché alzando ed abbassando sul posto le zampe posteriori, come chi segna il passo o piuttosto tenta di tenere il ritmo della musica in una discoteca affollatissima. Insomma la gatta Giulia balla, e questo è un fatto.
Restiamo lì imbambolati, senza sapere che fare. Per nostra madre non esistiamo, adesso conta solo la danza e la sua gatta.
Retrocediamo a marcia indietro, passetto dopo passetto, tirati per la giacca da nostro padre.
-Non lo raccontate nemmeno alle vostre mogli –ci supplica –non capirebbero e la giudicherebbero male.
Io non l’ho mai raccontato e sono certo che nemmeno Leonardo lo abbia fatto.
Dopo quella volta non sono più passato da casa loro. Mio fratello ha osato farlo ancora un paio di volte. Alla sera mi telefonava per dirmi che la situazione non era migliorata, anzi secondo lui andava sempre peggio.
-Cosa intende fare papà? –gli chiesi una sera.
-Niente, non farà niente. Penso che abbia paura di perderla affrontandola con la verità.
-Ancora non le ha detto che Giulia è morta?
-Temo che se va avanti così non glielo dirà mai.
Per fortuna si sbagliava.
Una sera sul tardi mio padre mi telefona per dirmi che passa a prendermi con la sua macchina. È arrivato il momento, penso. Vorrà chiedermi l’ultimo parere prima di affrontare mia madre.
Questa volta mi sbagliavo io.
Scendo subito quando lo sento suonare da sotto casa. C’è Leonardo accanto a lui.

Parte subito sparato senza nemmeno rispondere al mio saluto. Sceglie una piazza grande in periferia, semideserta a quell’ora. Spegne il motore e resta immobile fissando il buio fuori. Non si sente un fiato dentro l’auto.
-Vostra madre vive solamente per quella gatta; –dice alla fine con un filo di voce –non esce più di casa e si chiude per ore e ore dentro la sua…la nostra camera da letto insieme a Giulia.
-Che fanno tutto il tempo? –chiede Leonardo.
-Parlano. Cioè, lei parla e Giulia miagola.
-Beh! Mi sembra normale, visto che è una gatta –mi riesce a dire, ma ho un groppo in gola.
-Non mi capite: Giulia ci conversa, anzi le fa i suoi ragionamenti e lei la sta a sentire e le risponde. Vostra madre si comporta con quella gatta come con sua sorella quando era viva. Anche allora si chiudevano in camera per delle ore e guai ad entrare dentro, mi cacciavano fuori come un intruso.
-Non ti sei mai ribellato? –chiedo.
-È sempre andata avanti così: erano gemelle, erano in simbiosi costante. Quando mamma aveva un problema chiamava Giulia e lei arrivava. Non ci ho mai trovato niente di strano.
-Ma adesso con la sua gatta forse recita quella vecchia parte –dice Leonardo.
-Il fatto è che io non so più se quella gatta è solamente una gatta –risponde papà con un sospiro.
Mi sembra che qualcuno mi stia prendendo a cazzotti sullo stomaco. Bisogna uscir fuori da questo vicolo cieco.
-Hai mai trovato il coraggio di dirle che Giulia è morta? –gli chiedo.
-Credete davvero che lei non lo abbia saputo per prima?
Adesso ci scruta in volto, me e mio fratello.
-Lo ha sentito –continua –lo ha sentito ancora prima che morisse. Ha sentito dentro di sé che la sua metà naturale stava abbandonandola. Ha preso la scusa di essersi dimenticata qualcosa e se ne è andata a casa: e là ha sentito sua sorella morire dentro di sé.
-Io glielo avrei comunque detto –insisto –anche per vedere la sua reazione.
-L’ho fatto –risponde papà con un gran sospiro –in un momento di rabbia gliel’ho sbattuto in faccia. Le ho detto per convincerla che l’avrei portata a vedere la tomba di sua sorella.
-E lei che ti ha risposto?
-Nemmeno una parola. È andata a sedere sulla sua poltrona. La gatta le è immediatamente saltata in grembo e vostra madre le ha sussurrato qualcosa in un orecchio. Poi si sono girate a guardarmi e vostra madre è scoppiata in una risata. Mi è sembrato che anche la gatta mi ridesse in faccia.
-Ma questa maledetta gatta da dove è saltata fuori? –chiede Leonardo, che sta quasi per piangere, come quando era un bambino.
-Sarà di qualche vicino di casa –provo a dire –hai chiesto in giro?
-Nessuno si è perso una gatta.
-Non può essere comparsa dal nulla! –esclamo alzando la voce –Prova a domandare in giro, maledizione.
-Da dove sia sbucata quella gatta non mi interessa proprio: il problema è che vostra madre è convinta che si tratti della reincarnazione di Giulia, per questo le ha dato subito ‘sto nome. Mi sbalordisce piuttosto che non le provochi alcuna allergia. Quando sentiva puzza di gatto starnutiva per mezza giornata e le lacrimavano gli occhi per ore e ore. Con Giulia non le succede. Non è straordinario?
Io e Leonardo ci guardiamo. Sì, è straordinario che non subisca danni, ma ancor più sensazione mi provoca questo suo amore improvviso per una micia: mia madre, fino alla morte di sua sorella, avrebbe sterminato tutti i gatti del mondo col lanciafiamme.

Mio padre deglutisce a fatica, guardando ostentatamente fuori. Quando riprende a parlare si sente che ha il pianto in gola: sta tirando fuori il rospo più grosso.
-Mi ha sbattuto fuori dalla camera –mormora.
-Cosa? –chiediamo io e Leonardo insieme –quale camera?
-Fuori dal letto –tira su col naso –da tre giorni dormo sul divano del mio studio.
-E lei dorme con Giulia, vuoi scommettere? –chiedo così per chiedere, ma ormai è chiaro.
-Dorme con Giulia.
Fa una lunga pausa. Nessuno di noi osa aprire bocca.
-Finché sto in casa non escono più dalla stanza.
-Che cosa fanno lì dentro, dormono? –chiede Leonardo.
Mio padre risponde dopo una pausa che dura un’eternità.
-Miagolano.
-Che hai detto?
Salto su come se avessi il fuoco sotto il sedere, mentre Leonardo tiene la bocca spalancata.
-Vostra madre miagola con Giulia.
Incomincia a piangere senza ritegno.
Io e Leonardo ci guardiamo con gli occhi sbarrati. Dopo un po’ trovo la forza di dire la cosa enorme, la cosa brutta che penso, mentre Leonardo gli tiene le mani nelle sue.
-È partita, papà: dobbiamo farla visitare da uno psichiatra.
-No! –sbotta –Non lascerò che Magda finisca in una clinica psichiatrica. Guai a te se lo ridici, guai a voi se lo pensate.
Adesso che cosa dire? Che cosa fare? Solo sguardi tra me e Leonardo, e il silenzio in quell’abitacolo è scandito dalle tirate su col naso che fa nostro padre.
-Come pensi di andare avanti? –chiede Leonardo, che ha ritrovato il coraggio prima di me.
-Come sto andando avanti adesso.
-Non farai niente?
-Assolutamente niente. Aspetterò che le passi.
-E se non le passa? –chiedo io.
-Le passerà prima o poi. Deve passarle.
Adesso ho solo un’ultima domanda da fargli.
-Perché ci hai portato qui stasera? Perché ci hai raccontato queste cose?
-Perché siete i suoi figli e dovevate sapere.
Rimette in moto il motore e mi riporta a casa, senza più dire una parola.

Passano tre mesi. Vivo, lavoro, scherzo, guardo la TV, faccio all’amore con mia moglie ma il pensiero è sempre rivolto all’appartamento dove mia madre vive con Giulia e coabita con mio padre, il mio pensiero è sempre a cosa succede in quelle quattro stanze.
Non sono più entrato in quella casa perché non me la sento di vedere mia madre dialogare con una gatta, miagolando insieme a lei.
Che lo faccia è sicuro, me lo ha confermato Leonardo, che in quella casa è stato più di una volta. Non gli è riuscito mai di vedere nostra madre perché se ne resta chiusa in camera, ma da dietro la porta l’ha sentita miagolare con Giulia.
Questa mattina Leonardo è piombato nel mio ufficio con la faccia tesa dei momenti brutti.
-Vieni con me –mi fa.
Mi afferra per un braccio e incomincia a correre giù per le scale trascinandomi dietro. In macchina finalmente mi molla l’ultima:
-Mi ha telefonato papà. Sta succedendo qualcosa.
-Cosa?
-Sembra che Giulia stia male; forse sta morendo, ma non ci ho capito più di tanto.
-Dio mio, non l’avrà mica avvelenata lui?
Ma Leonardo non mi risponde.
Mio padre ci aspetta sul pianerottolo, davanti alla porta dell’ascensore, ma noi arriviamo di corsa dalle scale.
-La gatta non si muove quasi più –ci dice guidandoci verso il salotto.
-Lascia stare la gatta –gli dico –cosa fa la mamma adesso?
Ma lui non risponde. Si è fermato davanti al tappeto grande. Giulia sta lì, quasi immobile, allungata come se stesse stiracchiandosi, ma rimane così e sembra che qualcuno la tiri per le zampe e gliele tenga ferme. I gatti non restano in quella posizione più a lungo di qualche secondo. Mi chino e la tocco sulla pancia: è calda, ma non reagisce al tatto. Penso che potrei comprimerle il torace e la pancia senza che lei faccia nulla.
-È fuori conoscenza? –mi chiede Leonardo.
-Penso proprio di sí.
Mi rialzo e guardo mio padre negli occhi.
-Sei stato tu?
-Non avrei mai fatto una porcata a Giulia; non sono un vigliacco.
-Lei come l’ha presa? –gli chiedo indicandogli la stanza da letto.
-Da quando Giulia sta così vostra madre si è infilata sotto le coperte. Non parla più e ho dovuto avvicinarmi alla sua bocca con un orecchio per sentire il suo respiro.
Entro dentro la stanza. Mamma ha la testa coperta dal lenzuolo. Glielo abbasso un po’ sul viso.
-Sono io, mamma. Come ti senti?
Non si muove di un millimetro.
-Come ti senti? Rispondimi!
Le tocco la fronte: è gelata. Il polso è debolissimo, sembra che batta al rallentatore.
-Leonardo chiama un’ambulanza, un medico di servizio, il nostro dottore. Fa in fretta: dobbiamo portarla all’ospedale.
-Sta così male? –chiede Leonardo con un fil di voce.
-Per me è grave, non l’ho mai vista così. Sembra un collasso.
Leonardo smanetta freneticamente sul cellulare e sento che parla con qualcuno: gli dà l’indirizzo.
-Guardate Giulia –grida mio padre dal salotto.
Giulia è stecchita: le dita della zampe allargate e tese, il collo e la schiena formano un arco perfetto con la coda distesa, la bocca semiaperta in una smorfia di sofferenza. È ancora tiepida, ma mi sembra già dura.
La schiena mi si gela di colpo. Torno nella camera di corsa, giusto in tempo per cogliere l’ultimo respiro di mia madre. Muore qualche attimo dopo la sua gatta, senza un gemito, senza un addio.
-Che succede qui dentro? –bisbiglia mio fratello con la voce rotta dietro di me.
-Mamma se ne è andata, per sempre.
Esco fuori da quella stanza maledetta e vado a sedermi per terra nel salotto. Dalla porta aperta mi arrivano i singhiozzi di mio padre e di mio fratello, abbracciati accanto al letto.

A un anno esatto dalla morte vado al cimitero con due rose bianche, una per Magda l’altra per Giulia.
Pronuncio una breve preghiera per quelle due donne che sono state così importanti per me. Un pensierino anche per la gatta, che abbiamo voluto mettere nella bara di mia madre.
Devo affrettarmi. È già buio e fra qualche minuto chiuderanno i cancelli. Mentre percorro il vialetto dirimpetto alle due tombe affiancate sento un fruscio. Mi giro: seduta su una delle due tombe c’è una gatta tigrata. Mi ricorda subito Giulia; anche questa è molto bella e grande come era lei. Torno indietro di due passi e mi accorgo che c’è un’altra gatta tigrata, identica alla prima, sdraiata sull’altra tomba.
Ho la fronte imperlata di sudore freddo e mi tremano le mani.
Provo a chiamarle sottovoce:
-Giulia…Magda…
Non oso muovermi di lì. Il tempo si è fermato. Quanto dura? Non lo so.
Poi le due gatte si alzano e si allontanano strofinandosi l’una all’altra ed emettendo corti miagolii di intesa. Quando sono una diecina di metri distanti da me si girano e mi guardano.
Un attimo dopo sono scomparse, ma prima che spariscano io odo chiaro e forte una risata di donna, anzi di due donne.
Non l’ho sognato, giuro.
Corro da Leonardo. Mi fermo sotto casa sua. Lo citofono e gli dico di scendere subito.
Gli racconto quello che è successo.
-Le ho viste anche io quelle due gatte un paio di sere fà –mi interrompe –Ho creduto di sognare e non l’ho raccontato a nessuno per non farmi prendere per pazzo; ma se le hai viste anche tu vuol dire che quelle due gatte esistono davvero.
-Potrebbe essere un caso, una coincidenza –dico per darmi coraggio.
-Lo credi davvero? E sempre su quelle due tombe, due gatte uguali come gemelle?
Rimaniamo a guardarci in silenzio. Nessuno ha il coraggio di continuare.
-Pensi che siano loro? –mi chiede alla fine Leonardo.
-Non voglio pensare a niente. Sono successe tante cose strane dopo che è morta zia Giulia, che tutto può essere possibile.
-Io invece credo che quelle due gatte…
Ma non ha il coraggio di concludere.
-Non diciamo niente a papà –gli raccomando –lui non si è ancora ripreso dalla botta.
-Hai ragione, non diciamogli niente.
Ci guardiamo. Oramai ci siamo sintonizzati.
-S’è fatto tardi. Buona notte, Leonà!
-Buona notte, Vincè!



14 commenti:

  1. Puoi metterci tutto il romanesco di Roma intera, stavolta non riuscirai a farmi sorridere.
    Torno a leggere Topolino, perlomeno "dopo" so che è solo un fumetto e mi metto l'animo in pace.
    Ciao.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non ti piacciono i racconti a metà tra la realtà e il sogno? A me sì, ma non pretendo di imporre la mia volontà a nessuno.
      Io il romanesco lo uso in particolari casi, tipo quando scrivo con un/a romano/a; tipo quando faccio un burlesque, ma non quando scrivo un mio racconto, lì uso l'italiano perché per me scrivere è una cosa maledettamente seria.
      Topolino lo leggo anche io, ma non solo quello, anche Corto Maltese, anche i Peanuts di Schulz, e ho sempre l'animo in pace.
      Torna ad accovacciarti sulla poltrona più comoda, non è successo niente.
      Ciao.

      Elimina
    2. Non fraintendere: mi è piaciuto troppo, veramente troppo. Il mio accenno al romanesco voleva essere un "alt" al tuo eventuale, non improbabile, tentativo di indurmi al sorriso, che non volevo rovinasse la magia del racconto. Quando una cosa, in questo caso uno scritto, mi piacciono, mi ci trovo coinvolto, quasi fisicamente. Ero in ospedale, a casa, in piazza... e non c'ero come gatto. E' un vizio rimasto da quand'ero bambino, quando leggevo sotto le coperte, rubando un raggio di luce azzurrina quelle bianche venivano spente. Leggere in solitudine porta a questi scompensi, la fantasia non ha più freni (e porta, ad esempio, a immaginare una tenera poetica Giovanna inchiappettata su un treno in transito; non è dissacrazione, è solo vedere il rovescio della medaglia, il lato cosiddetto B che l'Autore dell'opera non aveva potuto vedere, perso negli occhi blu della fanciulla).
      Qui, purtroppo, non mi posso sbizzarrire, i pensieri, le parole, i sentimenti risultano troppo ben articolati, lo spazio alla fantasia è tarpato; resta solo la commozione, quella che odio poiché agevola le rughe sulle gote, scavate da un salmastro in scorrimento.
      Basta, ho detto che non voglio commentare, e io ho solo una parola (ogni tanto due, ma non di più).
      Ciao, Vincé, che i gatti siano con te.

      Elimina
    3. Avevo proprio frainteso, non solo per ottusità mia, ma anche per oscurità tua. Non avevo capito che tu volevi porre un "alt" al mio tentativo di indurti al sorriso.
      A volte ci si incarta con le parole e a me è successo.
      Quello che mi fa piacere notare, lo dico con il tipico egoismo dello scrittore, è vedere che leggendo quel che scrivo la fantasia ti si involi e ti porti anche a scollacciate idee...vedi Giovanna inchiappettata...ma in fondo è questo che io voglio, anche quando espongo un quadro. Là voglio che la fantasia si libri e svolazzi tranquillamente, vedendo forme che non ho nemmeno immaginato.
      Fantastico e appagante.
      Equivoco chiarito e mi fa piacere avere incontrato una persona come te. Lo dico senza preamboli e falsi scopi.
      Che i gatti siano con noi.
      Ciao Micione.

      Elimina
  2. mamma mia...l'ho dovuto rileggere due volte, tanto mi era piaciuto. Ti rapisce, ti tiene incollato allo schermo e...e..bo non ho parole se non: bello, bello, bello. Capisco anche il gatto "nostro" si è sentito chiamato in causa...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ripeto quanto detto a Gattonero: mi piacciono le storie che stanno in bilico tra realtà e sogno. Senza mettere in mezzo Calderon de la Barca, per me non c'è un limite preciso tra questa vita e una che non saprei se definire irreale o fantastica.
      Che ti sia così piaciuto mi rallegra, vuol dire che sei anche tu una donna che ama rappresentarsi una vita diversa dal solito alzati, lavora, mangia, bevi e vai a dormire.
      Che il gatto "nostro" si sia sentito chiamato in causa mi è apparso evidente dal tono del suo commento: è come se gli avessi lisciato il pelo al contrario...:))
      Ma nel racconto si parlava di gatte e per di più tigrate e non di un gatto nero.
      Ma forse tutto preso e indaffarato com'è a controllare ospiti sgraditi che gli lasciano cartacce davanti alla porta, ha perso il filo del discorso.:)))
      Ciao Mariagrà e scusa l'italiano per questa volta:DD

      Elimina
    2. Nzù nzù nzù, dicono qui, e significa "no no no": hai toppato alla grande, e il mio commento al tuo commento lo dimostra. Lo avevo postato prima di questo tuo, ma evidentemente a casa tua comandi tu, compresi gli orari di postaggio.
      Potrei fare copi-incolla (se fossi certo di non fare sparire tutto con la mia abilità casinara), ma te lo risparmio. Come al gioco dell'oca, torna indietro di tre caselle e leggi, biscredente ('mis' sarebbe limitativo).
      P.S.: quei bastardi non mi possono distrarre dai miei piaceri; nella mia mente c'è un cantuccio per l'odio e una piazza d'armi per le cose belle; o anche brutte basta che mi piacciano.
      Ciao.

      Elimina
    3. Non posso che confermare quanto detto prima. Ho toppato, ma tu mi hai dato una mano. Ma è comunque colpa mia. Mi rallegro di non essere esploso come sarebbe successo tanti anni fa, o meglio alcuni anni fa. Segno che sto finalmente maturando, o che tengo alla tua firma e ai tuoi interventi. Facciamo 50 e 50, ok?
      Non so come sia andata. Certo se l'avessi letta prima non avrei scritto dopo quel che ho scritto, lapallissiano.
      Non fare casini, che già ne faccio tanti io col copia e incolla...:))
      Mi compiaccio che tu abbia relegato gli zozzoni in un cantuccio della tua mente. Non meriterebbero nemmeno quello, ma te li devi comunque ricordare sennò come te li inchiappetti?
      A proposito: ho fatto leggere a mia moglie i tuoi proclami scritti e affissi sulle porte.
      Ci si è fatta due risate, dopo che me le ero fatte io. Ti spiego.
      Nostro figlio Federico ha comperato, col mutuo, un appartamento nel centro di Karlsruhe, a piano terra.
      Alcuni trogloditi abitano ai piani superiori. Mi vergogno a dire che sono "nostrani", nel senso che provengono dalla penisola, anche se molto più giù di me. Io ho conosciuto, frequentato e fatto amicizia con fior di galantuomini del profondo Sud, tanto per chiarire, ma questi sono un po' simili ai tuoi zozzoni.
      Il loro cane ha orinato sopra e dentro le scarpe dei bambini, che qui in Germany vengono lasciate fuori della porta -usanza stupida ma mio figlio si è nu poche tedeschizzate, paisà-; insomma ste scarpe puzzavano di piscio di cane. Mio figlio ha stampato manifesti applicandoli a tutti i cantoni in due lingue, italiano e tedesco. "Casa nostra non è un orinatoio comunale"... et similia.
      La proprietaria della bestia pisciante si è adontata ed è andata a suonare alla porta di mio figlio.
      "Il cane nostro è ben educato. Forse furono (sic!) li figli vostri a pisciarsi addosso".
      E Federico perse la pazienza.
      "Fuori dai coglioni, zoccola e non venire mai più qui davanti!"
      Ma la zoccola tornò, accompagnata dal marito, che è un fesso al cubo, e che voleva solo dire qualcosa, ma Federico, che si chiama Iacoponi e si fa fumare in fretta quei cosi che fanno rima col cognome, ha preso letteralmente per le chiappe la sposa del fesso al cubo e la scaraventata in alto verso la sua scala.
      Cosa avresti fatto tu al posto del marito, anche se non più giovincello? Cosa avrei fatto io alla mia età? A costo di farmi ammazzare da un bestione di due metri e due senza scarpe avrei almeno tentato di dargli una capocciata alla Zidane. E lo avresti fatto anche tu, come ogni uomo con le palle.
      Invece il fesso al cubo ha raccolto sua moglie e se l'è riportata a casa.
      Che stragrossa figura di merda!
      Per questo Anna Maria ed io ridevamo come matti stamattina.
      "Fatti dare l'indirizzo che gli mandiamo Federico"
      ha detto lei.
      Ma non credo che ci sarà bisogno dell'intervento del nostro superman.
      Ma facciamoci due risate sopra.
      Ciao, amico mio. Buona notte.

      Elimina
  3. l'indirizzo ti do il mio che con il fatto che qui da me veniva chiamato il "bronx" ci sono ancora dei pezzi di m...ho la bambina che gioca sotto casa tutti i giorni e più volte è venuta su piangendo per i dispetti dei figli del boss del quartiere...a mio figlio ho sempre cercato di non metterlo in mezzo che ho paura de sti stronzi, ma ieri il figlio più grande (10 anni) del cretino ha detto a mia figlia una cosa troppo pesante per i miei gusti..."tu devi annà a batte sulla salaria...ciucciame questo...) so scesa de sotto che parevo na bestia...non gli ho messo le mani addosso che è scappato, ma te giuro la rabbia ancora nun me sbolle..co quella faccia de caxxo della madre che pensa solo a fasse le unghie e lamentasse de quanto è stanca sta stronza..io non lo so come finisce ma tu a tu fijo chiedegle se un giretto pe roma glie va de fallo...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A Mariagrà, se un po troppo fori mano pe lui, ma potesse venì io. Me la cavo abbastanza bene margrado l'anni mia.
      Io te capisco a te, si stai ner "bronxe" ma dimme npò, nun stai mica ar Tufello? Na vorta, a li tempi mia, se chiamava accussì. Io ciavevo na casa a Monte Scaro, in Viale Jonio, mo stavemo mica troppo lontani dar Tufello e lì c'era la mejo gioventù de Roma zozza. Na matina ho trovato la machina mia, na Citroenne Pallas 21 nova nova, tutta ammaccata de carci, de zampate e la donnetta che lavorava drento ar casotto de li giornali m'ariccontò com'era ita.
      "So stati queli fii de na mignotta der Tufello, uno lo chiameno Riccetto".
      Io me so montato su la citroenne e so ito a un bar che conoscevo. A la cassa c'era n'omo che conoscevo.
      Iò messo le chiavi de la machina sur banco e iò detto:
      "Me serve pe mezzoggiorno messa a posto".
      Lui m'arispose che annava bene, ma voleva er nome.
      "Er Riccetto" iarisposi.
      Me fecero ritrovà la machina co li pezzi novi tutta a posto. Ma quella era n'antra Roma, n'antro Tufello e io a quello iavevo fatto un parde piaceri.
      Mo nun ce conosco più nisuno.
      Ma se te posso da na mano te dico che tu ar pischello je devi dà du carci zampata nde le coste, che lì fa male, e se poi ariva er padre je dichi come è ita co la tu fia. Si invece viè la madre la pii pe li capelli, e questo nun te lo devo da inzegnà io.
      Ciao Mariagrà, famme sapé.

      Elimina
  4. no no che Tufello. Io sto a Monterotondo scalo. Ma a parere mio se so spostati de quertiere sti nfami...te l'ho detto c'ho paura de mette in mezzo mi fjo che poi fanno i dispetti de notte...so conigli no cristiani, e ce fanno diventà puro li fij ...ma tanto ndo vanno?io a zampate nun ce pjo nessuno ma se me capita vicino la bella de notte na tirata de capelli nun gliela levo t'assicuro

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Monterotonno Scalo! Capirai, stai su la Salaria e che voi deppiù. Solo quelli de la Magliana stanno peggio de te. Io ce venivo a venne nde le farmacie prodotti de banco e Hatù a Mentana, a Settebagni, a Palombara Sabina, pensa un po'. Erano l'anni 66-67-68, tu ciavevi un par d'anni.
      Quanto tempo è passato, me pare ieri.
      Mo ho capito perché er fio de na zoccola ha detto alla fiarella tua che la mannoa ndò la manna, ma perché state su la Salaria er dominnio de le battone.
      Ma guarda tu quanti fii de na mignotta ce stanno ar monno!
      Strappeje la cotenna a la bella de notte, appena che te se para davanti, nun aspettà che fiata, stennela e montece sopra co li piedi scarzi.
      Ciao Mariagrà, statte bona e passa na bella serata.
      A la prossima vorta.

      Elimina
  5. Complimenti Vincenzo questo racconto è stupendo!cari saluti!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Lucietta 1 verrò a trovarti appena mi rimetto in corsa.

      Elimina