Quaranta anni fa esatti, sul far della notte, partivo da Treviso per Francoforte. Doveva essere un viaggio di lavoro per un'attività della durata di qualche mese.
Sono passati 480 mesi ed io sono ancora in terra tedesca, dove ho messo piede verso le sette e mezza del mattino del 24 maggio.
Venti anni dopo, nel 1991, scrissi la poesia che vi propongo adesso, con un pizzico di nostalgia.
Non sa ancora di giugno
quest'aria che respiro acida e molle
come primo latte di donna;
sa di fieno,
di vite recisa,
sa di frumento marcio, sa di terra
esausta che ha partorito da poco
la sua ultima creatura.
È una nottata
triste:
nebbia fitta e a tratti vento, teso e basso.
La Fiat va piano:
il guidatore è stanco, non conosce la strada.
Se adesso hai voglia di controllare
vedi la nebbia
ferma come un muro
intonacato,
tirato giù tra cielo e terra.
Attraverso il finestrino aperto
assaporo e inghiotto le mutevoli essenze
di questa terra che non è la mia.
Qui non ti senti
sulla punta
della lingua il crudo
zampillo della salsedine,
ma il grasso acido
distillato dai prati
incurvati dalla nebbia.
Non ti spacca la faccia
il libeccio,
duro come un coltello;
mareggiante,
malandrino e carogna,
che ti mitraglia a raffiche, ti brucia,
ti molla e di nuovo ti assale
quando non ci pensi più.
Il vento qui è musone:
compatto e lento
t'investe appena di lato,
ti si avvolge intorno,
e tu diventi
tutt'uno col vento, e allora
è come niente.
Per me,
creatura nata tra scogli marini,
dove la notte è tiepida anche d'inverno,
il vento è un elemento
del mio sangue
dentro le vene;
corpo e spirito di vento
hanno diviso a spicchi la mia vita
di stagione in stagione.
Che questo mi mancherà
ora già so.
La macchina va sempre più lentamente.
Il guidatore è stanco,
stanco di eterna fatica
della sua intera razza.
Lui poi che viene da Bisceglie
ha quasi il doppio della nostra strada
dietro la schiena.
Nessuno degli altri quattro uomini
nell'auto si offre al cambio
di guida.
Passeggeri esausti, viandanti muti,
masticano il fiele amaro
di una stanchezza sconfinata,
accumulata in secoli di fatiche sprecate,
mal pagate,
disconosciute.
"Hai letto Francoforte sui cartelli?",
mi chiede all'improvviso.
"No, forse abbiamo sbagliato."
"Quelle luci che sono?"
"Stoccarda, credo. Di sicuro non so.
Prima ho letto un cartello:
stava scritto -Stoccarda 29 Km-.
Dovrebbe essere questa."
"Ma Stoccarda dov'è?
Prima o dopo Francoforte?"
"Io penso prima. Tu però
al prossimo distributore di benzina
fermati. È meglio chiedere
che camminare alla cieca."
"Ma è così piccola 'sta Francoforte
che non la mettono
nemmeno sui cartelli!"
Era la prima conversazione
dopo sei ore.
L'ultima volta al Caffè italiano
al Passo del Brennero.
M'aveva chiesto da dove venivo;
se ero sposato;
se avevo già un lavoro lassù.
Neanche come mi chiamavo
m'aveva chiesto.
No. Non avevo un lavoro, ma solo
un indirizzo con un nome:
un amico di un amico
doveva abitare
a Neu Isenburg, Lindenstraße mi pare.
Non avevo un lavoro, né casa, né famiglia
ormai più. I volti della mia donna
e dei miei figli già fatti trasparenti,
e sabbia dentro il cuore
non più sangue.
La notte sembra non aver mai fine;
attraverso la nebbia adesso filtra
qualche luce giallo-arancione.
S'è fermato: è sceso; sta chiedendo qualcosa.
Molto gesticolano lui e il suo
interlocutore,
come mulini olandesi.
Ritorna; si riparte.
"Che ti ha detto?"
"Non ho capito granché. Una sola
parola però è chiara: geradeaus."
"E che vuol dire?"
"Sempre avanti."
Così, geradeaus! Ormai che importa,
questa notte non potrei mai dormire.
Voglio vedere che farò domani con le 1500
lire che ho in saccoccia. Tanto
la mia vita è stata
finora una roulette, e la pallina
sempre al posto sbagliato.
Mi distendo; provo a rilassarmi,
a rileggere nella memoria per capire
il perché sono nato perdente, se è vero che è così;
sennò cos'è che c'è di guasto,
di insanabile;
e l'idea che ho di me
mi scivola dal cervello alla gola,
e poi giù, giù fino agli intestini,
e poi di nuovo su;
e più cerco di trattenerla
più si rende
impalpabile.
"Bevi questo, è vino buono."
Mi caccia in mano un bottiglione scuro
mezzo vuoto. Come un martello
nello stomaco, come il crollo
di un muro sul selciato.
Ride. Mi vede dalla faccia
che non riesco a ingozzare
il suo vinaccio schifoso.
"Se hai fame, mangia queste,
e poi vedrai che pure il vino è buono."
Olive nere secche.
Umide e piene di croste,
scivolano nella gola
come vermi.
In questo momento
sono cibo da re,
e il vino adesso ha un corpo
di donna con forti fianchi larghi
e cosce grosse e solide;
ha l'anima di un vecchio contadino:
svelle radici antiche
di una quercia.
Mi si è scaldato tutto lo stomaco
ad un tratto,
e la testa mi gira forse un po',
e certo devo aver anche dormito,
perché tutto mi è sembrato
più rapido l'ultimo tratto,
e forse anche lui
pigiava un po' più forte sul pedale
del gas.
Ci fermammo alle prime case
di un paese. Non era Neu Isenburg,
ma lui, che aveva letto, disse
che era un poco più in là.
Tanto valeva dormire un po'
e presentarsi freschi alla mattina.
Ci lasciammo a Neu Isenburg, alla
Lindenstraße, dove m'aveva portato.
"Passa di sera all'Eis Cafè Venezia,
sennò al Tivoli: c'è anche un biliardino.
Lì vanno tutti gli italiani."
Lì vanno tutti gli italiani."
Non l'ho più incontrato.
Nelle cento contrade dove la vita
qui mi ha trascinato,
ogni tanto, all'inizio, mi pareva
di riconoscerlo.
Adesso non ne ricordo più nemmeno
il colore dei capelli.
Fumava sigari puzzolenti,
e le sue olive nere
le potevi inghiottire solamente
bevendo quel suo vino grasso
come petrolio greggio.
E quel sapore amaro nel palato
m'è rimasto di lui,
testimone
di quella lunga notte
passata insieme.
Bellissima, profuma di nostalgia ma di quella buona.
RispondiEliminaAnche se la conoscevo già mi ha fatto piacere rileggerla.
Ricordi quando ho assorbito la tua terra
esausta che ha partorito da poco
la sua ultima creatura , mettendola in un mio post?
E tu mi hai messo la pulce nell'orecchio e io non l'ho sentita? (la pulce)
(che oca!)
OT: Enzo, ho risposto alla domanda che hai fatto da me a proposito dell'account e ho dirottato il tutto sulla mia chat dove anche li ti ho lasciato un messaggio. Ci si legge in chat.
RispondiEliminaCiao. :)
Meravigliosa, semplicemente meravigliosa. Soprattutto la prima parte, che potrebbe benissimo essere il testo di una canzone-poesia di Paolo Conte.
RispondiEliminaEmigrare dev'essere proprio cosa dura e amara, eppure, più mi volgo attorno a guardare cos'è l'Italia e più invidio chi se n'è andato via e via rimane.
Lenny, ho seguito il tuo consiglio ed ora vediamo che mi combina, o meglio cosa combino io.
RispondiEliminaGrazie LeNny, come vedi sono stato un buon allievo, grazie al maestro. Ciau:)))
RispondiEliminaBello l'accostamento a Paolo Conte, che amo tantissimo; mi piace proprio.
RispondiEliminaNon so chi abbia da invidiare chi, Nik.
So che quando sei lontano dalla tua terra la vedi tanto bella e colorata, più di chi ha la fortuna di restarci.
Io almeno sono venuto in mezzo a un popolo civilissimo.
Silvia, ricordavo che avevi scritto un post dopo aver letto la mia poesia. Vuoi per favore dirmene la data, che lo rileggo volentieri?
RispondiEliminaScusa, ma a quale pulce alludi?
Sai, sono un vecchietto, dimenticarello...
Pant, pant.. peggio di una caccia alla volpe! comunque eccoli qui, li ho beccati:
RispondiEliminafestina lente e
la grigna è bianca di neve.
In entrambi i casi ho assorbito i tuoi versi, e in un caso non me ne sono accorta nemmeno dopo che me l'hai detto, (ecco la pulce) andandoli addirittura a cercarli su google per capire chi fosse l'autore.
My god! E pensare che a quei tempi non ero ancora una vecchietta!!
È bellissimo andare a rileggere post e commenti vecchi di un anno, te li rivedi nuovi nuovi davanti, come quando incontri dopo tanto tempo un vecchio amico d'infanzia: lui ti riporta il mondo di prima, di quando si stava bene, come tutti sono soliti dire.
RispondiEliminaA me è capitato lo stesso, poco fa quando ho riletto quello che avevamo scritto un anno fa. Non è poi tanto un anno, ma nel Web forse è un annoluce.
Carinissima la tua ricerca su Google per trovare l'autore della poesia. Me l'ero proprio dimenticata questa, e mi sono fatto una bella risata.
Ho notato una cosa: avevo molto più tempo di adesso ed ero molto, ma molto, elevato nei discorsi anche in normali commenti.
Che stia rimbambendo in grande fretta?
Questa fa il pari con la tua battuta finale, ma non è detta apposta per quella; mi viene su sto dubbio, vedi un po' tu.
E' la cosa che meno mi piace del mondo blog, questo rischio "usa e getta" dei post.
RispondiEliminaSi arriva su un blog, si legge l'ultimo post, che magari è venuto uno schifo, e certamente si perdono dei gioiellini nascosti.
Ho visto una bella cosa, in alcuni blog: sotto l'ultimo post c'è la rubrica: ti potrebbero anche interessare , con l'icona di alcuni poveri post vecchi e abbandonati, che con questo sistema tornano in società.
... Comunque grazie d'aver utilizzato l'aggettivo carinissima al posto di storditissima :))
Io ogni tanto -quando ho più tempo- schizzetto qua e là un po' indietro per rileggermi cose vecchissime del mio, oppure del tuo o di quelle di Nik, che sono poi i blog che seguo di più, se permetti.
RispondiEliminaCi trovo cose molto belle che mi hanno fatto capire che il mondo dei blogger NON è il mondo dei perditempo e delle teste di minchia.
È bello notarlo e farlo notare agli amici.
Ciao.:))