Seconda tappa
-Beva ancora un po' di caffè insieme a me.
-Per carità! La ringrazio, ma non potrei proprio: sono a stomaco vuoto.
-Perché non lo ha detto subito? Vuole un'omelette al prosciutto?
-Non deve disturbarsi, signora Samenberg.
-Non si può lavorare a pancia vuota, tagliò corto Esther Samenberg; non si può far niente a pancia vuota, nemmeno chiacchierare. Venga di là in cucina, ne preparerò una anche per me.
-Preferirei di no; non mangio mai niente di mattina.
-Non mi dirà che sta facendo una nuova dieta? Benedetta ragazza, vuole diventare un grissino? Alla sua età un po' di ciccia addosso le sta bene.
-Ho trentacinque anni, signora Samenberg, non sono più di primo pelo.
-Faccia come me, che compirò settantacinque anni tra due settimane: mangi, beva e si diverta e vedrà che il tempo le correrà via più lentamente e meglio.
-Beata lei, signora Samenberg.
-A proposito: darò una piccola festa per il mio compleanno e ci tengo che lei vi prenda parte; ci saranno solo un paio di mie vecchie amiche e vorrei non mancasse lei, che è la sola collaboratrice rimastami.
Verena Mutig accettò naturalmente l'omelette perché aveva una fame boia, e accettò l'invito, anche se a collo torto perché già aveva esperienza di quelle serate lagnose in casa Samenberg; ma non poteva dire di no alla sua unica fonte di guadagno con la rata del mutuo della casa che scadeva ogni 15 del mese.
Doveva in effetti a Esther un po' tutto, la casa la macchina e il cospicuo conto in banca, per averle suggerito le trame dei suoi due romanzi storici a carattere religioso che avevano venduto abbastanza bene. Inoltre doveva riconoscere che il congruo assegno mensile era piuttosto esagerato per qualche ricerca nelle varie biblioteche europee e il successivo lavoro di raccolta al computer, abbastanza semplice, tutto sommato. Il fatto era che Esther scriveva ancora tutto a penna, odiava ciò che era moderno e riteneva che lavorare al computer fosse opera di qualificata ingegneria, per cui considerava poco più che una elemosina il notevole emolumento che alla fine di ogni mese elargiva a Verena. Il sodalizio, soddisfacente dal lato economico per entrambe come s'è detto, era ancora più appagante sul piano culturale per Verena, che aveva tutto da imparare da quella che era da tutti considerata la teologa di avanguardia della religione ebraica.
Senza contare l'immensa mole di nozioni che accumulava sul mondo medioevale, che era il terreno dove ambientava le storie per i suoi romanzi. Esther si era poi lasciata sfuggire una mezza promessa per quanto riguardava la trama di una grande saga sulle lotte intestine al sorgere del mondo dell'Islam, che dati i tempi correnti sarebbe diventato materiale ambito da qualsiasi editore. "Si sveneranno per farle firmare un contratto in esclusiva, le aveva detto; ma lei spari sempre il doppio di quanto le offriranno; è il mio metodo e non mi ci sono mai trovata male".
Ce n'era quindi a sufficienza per farle sopportare e digerire una serata noiosa. Che passò invece più rapida e interessante di come avesse previsto.
Adele Pini e Martina Strom erano due vecchiette garrule e arzille, ricche di buon umore, ed erano anche due eccellenti forchette: spazzolarono infatti tutto quel che la signora Samenberg aveva fatto preparare da un Party-service carissimo ma di ottima qualità. Ce ne sarebbe stato da sbafare per dieci, ma a metà della serata erano appena avanzate le briciole per i due canarini della padrona di casa. Considerando che Verena si era tenuta leggerina come suo solito, se ne deduceva che le tre vecchiette si erano rimpinzate come maialini, pappandosi anche la sua parte.
Anche quella festa servì di lezione alla giovane scrittrice: non vista prendeva nota sopra un minuscolo quadernetto scegliendo le frasi più salaci, i pettegolezzi più spinti, lei che non sapeva ancora che le vecchie signore potessero essere così sboccate; ma fu stupita, quando a casa andò a rileggere i suoi appunti, dalla varietà degli argomenti trattati: amore e odio, vita e morte, divinità e demoni, scurrilità e filosofia esistenziale e chi più ne aveva più ne metteva. Dalle sue notizie Verena si accorse di quello che le era sfuggito dal vivo: la signora Samenberg le appariva adesso come la direttrice di un'orchestra, quella che dava il là, la battuta iniziale dei temi che poi le altre due portavano avanti, sviscerandoli, vivisezionandoli. Gli argomenti girarono intorno a se stessi come in una spirale per tutta la serata, fino a convergere ognuno, come se fosse una logica conseguenza, nell'Olocausto. Per essere precisi, conversero tutti su Auschwitz.
Adele e Martina ne erano uscite ancora bambine per quel che si riferiva all'anagrafe, ma vecchie decrepite per quanto riguardava le loro gracili membra, portando fuori da quell'orrendo campo di morte ciò che restava delle loro anime sprofondate nel nulla, ancor più piagate e annientate del corpo.
Quel che a Verena non era molto chiaro era perché mai Esther avesse inscenato e diretto quel melodramma, giacché le appariva non casuale l'invito alle due vecchie dame, e anche la sua presenza in casa quella sera era voluta. Era stato dunque a suo beneficio tutto quel teatrino? E perché proprio lei? Si ripromise di chiedere chiarimenti alla signora Samenberg l'indomani mattina. Rovistò ancora tra i suoi appunti e ne tirò fuori uno stralcio di conversazione che volle mettere per esteso.
Accese il suo PC, cliccò START; nel menù subito apparso fece clic su PROGRAMMI, nel sotto menù aperto fece clic su MICROSOFT WORD e iniziò a scrivere sul documento vuoto che era comparso.
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FILENAME: Adele e Martina.
ADELE-In che anno è successo?
MARTINA-Vediamo un po': io facevo la terza classe, per cui doveva essere il 1940: Sì, era l'anno in cui è scoppiata la guerra e tutti erano contenti.
A-E questa signora te la ricordi così bene? Sei sicura che fosse lei?
M-Certo che me la ricordo! Come fosse adesso. Era così bella ed elegante, sempre in un cappotto di pelliccia lungo fino alle caviglie, oppure con una stola di volpe argentata sulle spalle. Sempre così sorridente e umile: si fermava a parlare con tutti, era così affabile, una vera signora.
A-E la figlia te la ricordi? Com'era?
M-Quella te la raccomando! Tutto l'esatto contrario di sua madre. Arrogante e presuntuosa, una col naso per l'insù.Se ne stava sempre appartata, perché nessuno la voleva avere vicino, e lei non voleva avere vicino nessuno.
A-Era in classe con te?
M-No, era più giovane di me e andava in prima classe; sempre in pompa magna, appena finivano le lezioni si sfilava il grembiule...
A-Era blu anche il vostro?
M-No, era nero col colletto inamidato e il fiocco bianco.
A-E lei se lo sfilava?
M-Sì; ogni volta quella smorfiosa si sfilava il grembiule per farci vedere i suoi vestiti sempre nuovi e ben stirati; mai una piega lei, mai una macchia, mai una rapa nelle calze.
A-Dentro il campo portava gli occhiali
M-Li portava anche a scuola, due lenti grandi così; era miope.
A-Nel campo era molto dimessa, cercava quasi di passare inosservata.
M-Penso che la cosa peggiore per lei fosse starsene tutto il tempo con addosso lo stesso vestito che aveva quando era arrivata, che ogni giorno diventava sempre più sporco e strapazzato. E poi non sopportava la promiscuità con tanti altri straccioni puzzolenti come lei.
A-Cioè con noi.
M-Cioè con tutti. Per quella smorfiosa antipatica deve essere stato un inferno.
A-Come si chiamava?
M-Non l'ho mai saputo.
ESTHER-Sapete se si salvò?
A-Non credo che ce l'abbia fatta.
M-Io invece penso di sì. Gli ultimi tempi stava sempre insieme con quel bambino tedesco vestito da SS.
A-Quel sordomuto con la benda sull'occhio destro?
M-Proprio quello. Indisponente e antipatico come la sua amichetta; alto parecchio per la sua età, biondo con bellissimi occhi azzurri, cioè con un bellissimo occhio azzurro. Quell'altro non ho mai saputo se fosse malato o se addirittura gli mancasse.
ESTHER-Me ne hanno parlato anche altri superstiti: uno delle SS era un bambino, il figlio di qualcuno di loro, suppongo; era sordomuto, con un occhio bendato e vestiva sempre un'uniforme nuova fiammante.
A-Doveva averne una decina. Si dava così tante arie quel bamboccio.
M-Era l'unico ad andare d'accordo con quella bambina, per questo io credo che l'abbia aiutata a scappare.
A-Se ce l'avesse fatta sarebbe ricomparsa prima o poi, mentre invece se n'è persa ogni traccia.
M-Se è per questo non c'è traccia di lei nemmeno sui registri del campo: nelle liste degli arrivi e nell'elenco generale dei bambini il suo nome manca.
A-Quale nome vuoi trovare se non sappiamo come si chiamava?
M-Il nome di sua madre. Il cognome era Levi Strauss, e con quel cognome c'era solamente lei tra le donne e una trentina di uomini, ma nessun bambino.
A-È molto strano, non trovate? Eppure è esistita, io l'ho conosciuta al campo, e conoscevo sua madre.
M-La conoscevano tutti, era l'interprete perché parlava sei lingue.
A-E tutti sapevano che quella bambina miope era sua figlia.
M-È vero, era noto a tutti. È veramente molto strano che non se ne sia saputo più niente.
ESTHER-La cosa più strana di tutte è che la madre nei suoi romanzi non abbia mai parlato di questa sua figlia, non ne abbia mai fatto il nome, come se non fosse mai esistita.
A-Forse perché sapeva che era morta e voleva lasciarla in pace.
M-Che discorsi sciocchi fai tu a volte, Adele! Che significa volerla lasciare in pace? Ha scritto tre romanzi su quell'inferno, e il primo "Terra di nessuno" è un resoconto quasi giornaliero della sua vita lì dentro, e della nostra. Mi spieghi perché non avrebbe dovuto parlare della sua unica figlia?
A-Per rispetto della sua creatura morta; perché le dava troppo dolore ricordarla in quella situazione...oh, insomma! Io non lo so perché, ma lei non ne ha parlato né in quello né negli altri due romanzi.
M-Vuol dire che un motivo deve averlo avuto, che ne pensi Esther?
ESTHER-Sicuramente, però è lo stesso assai strano, soprattutto perché Edith in tutti e tre i suoi romanzi parla diffusamente del ragazzino sordomuto in uniforme.
A-È vero, ne parla così a lungo.
M-Doveva conoscerlo bene quel bastardo: lei col suo lavoro di interprete se ne stava quasi tutto il tempo negli uffici del comando al calduccio, dova abitava quel moccioso pestifero.
ESTHER-Era per via della traduzione di migliaia di documenti che doveva stare negli uffici. Lo ha scritto.
M-Sì, questo lo ha scritto. Quello che non ha scritto è se ci fosse ancora qualcosa sotto.
A-Perché? Tu pensi che lei...
M-Io non penso proprio niente. Io ho visto quello che tutte abbiamo visto: le più belle e in salute se le pigliavano gli ufficiali delle SS, e Edith era bellissima e godeva di eccellente salute, visto che mangiava sempre alla mensa degli ufficiali, che non dormiva con noi nelle baracche e che non faceva mai servizi all'aperto sotto la pioggia e al freddo.
A-Anche se fosse vero non lo avrebbe mai scritto. Cosa vuoi? Non era mica obbligata a scrivere certe cose: ognuno di noi era disposto a far tutto pur di sopravvivere.
M-Sicuro, e lei lo ha fatto; per questo è uscita viva da là dentro, e per questo sono sicura che sia riuscita a salvare anche la figlia.
A-Ma allora perché non parlarne, non dirlo chiaro e tondo? Una madre fa di tutto per salvare sua figlia.
M-Se ha taciuto un motivo doveva averlo. Forse ci sono cose sotto che nessuno sospetta, compromessi, azioni indegne, chi lo sa.
A-Ma tutti l'avrebbero perdonata se avesse confessato di essersi dovuta prostituire alle SS per salvare se stessa e la bambina, non credete?
M-Questo sicuramente, ma non se avesse tradito qualcuno.
A-Addirittura! Io non ci credo.
ESTHER-Comunque adesso è morta e riposi in pace.
M-Adesso? Sono dieci anni. Hai letto il trafiletto su "Il Messaggero" l'altro ieri per l'anniversario della sua morte? Un vero elogio post mortem: lei fece. lei scrisse, lei visse, lei disse eccetera eccetera. Ma che bello! La verità è che Edith LS Upward fece una vita bellissima, anche a Auschwitz, perché non andò mai a faticare nel gelo insieme alle altre; perché salvò la pellaccia e perché una volta liberata fu accolta a braccia aperte dal suo secondo marito, un generale americano che se la portò in Pennsylvania. E in Pennsylvania visse il lungo resto della sua vita, circondata da amore e da premure, pubblicando libri tradotti poi in tutte le lingue, che le diedero gloria letteraria e quattrini, tanti tanti quattrini; e in Pennsylvania soavemente morì, e in Pennsylvania adesso riposa. Amen.
A-A volte sei tanto cattiva, Martina. Sì, sei cattiva: quella poveretta deve avere molto sofferto anche lei, soprattutto quando è morta sua figlia.
M-Se è morta, ma io non ne sono persuasa.
NOTA BENE: Esther Samenberg non è mai intervenuta direttamente in questa disputa, ma ha lasciato le sue amiche sfogarsi senza perdersi nemmeno una battuta. Sembrava però dispiaciuta di qualcosa. Cosa? Conosceva Edith LS Upward? Oppure era soltanto a disagio per non essere mai stata deportata ed avere salvato, come lei stessa dice, le chiappe?
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Verena rilesse dall'inizio tutto quel che aveva trascritto. Dopo aver salvato il documento su un dischetto nuovo, accese la stampatrice e cliccò il comando STAMPA. Mise in ordine i fogli ottenuti e li raccolse in un classificatore.
Si fece una camomilla e andò a letto. Era stata una giornata interessante, ma faticosa e voleva essere fresca per l'indomani mattina. Aveva un paio di cose da chiedere alla signora Samenberg.
Seconda pausa.
Simpatiche 'ste due vecchiette, quasi come Colui che le ha create. :))
RispondiEliminaSilvia: modestamente io di vecchiette mi intendo.:))
RispondiEliminaRipassa tra un decennio e ti rendo la più simpatica tra le simpatiche. Ci stai?
Questa Verena che fa da stenografa alla festa mi somiglia molto, con la differenza che io registro tutto nella mia memoria... :-)
RispondiEliminaDavvero Nik? Allora fai quello che faccio io!
RispondiEliminaQuando vado ad una festa, soprattutto quando è una festa noiosa -la maggior parte lo sono- io mi diverto a registrare espressioni, parole, stronzate dei convenuti.
Ho un'eccellente memoria.
Sai che me l'ero immaginato che anche tu lo facessi. Ci ho azzeccato, ma non dirmi come, perché non lo so. Forse intuito a pelle.
Ho preferito fare prendere appunti a Verena, perché è un tipetto piuttosto pignolo e puntiglioso.