lunedì 6 giugno 2011

STORIA MAI RACCONTATA DEL FALSO PICASSO NON PIÙ RITRO

Quarta tappa


Ci fu un attimo di gelo nella stanza.
-Mi dispiace, signora Samenberg, mormorò Verena; sono veramente addolorata.
-Non c'è nulla per cui debba sentirsi in colpa. Avrei dovuto rivelarle fin dall'inizio della nostra collaborazione chi era mio padre e chi era mia madre.
Esther aveva compreso la confusione della ragazza; si alzò dalla poltrona e le fece una carezza.
-Non deve prendersela, è passato così tanto tempo. Sono stata anche io un po' teatrale come Edith LS Upward; non le è sembrata una sua tipica messa in scena?
-Mi stavo appunto chiedendo se lei stesse facendo il verso a sua madre, oppure avesse voluto mettermi in imbarazzo portandomi sopra un sentiero sbagliato.
-Al contrario. Io volevo metterla sulla strada di una nuova rivelazione, ma ho evidentemente esagerato. È stato un tentativo maldestro.
-Ancora una rivelazione? Finirò per soffocare sotto questa valanga di novità.
-Resista, perché siamo appena alla preistoria.
-Gesù, non mi faccia star male! Mi dica subito tutto.
-OK! Mia madre incominciò a raccogliere i suoi appunti su Auschwitz non subito, ma soltanto nel 1948, due anni dopo aver sposato Allen, il suo generale, e continuò a lavorarci fino al 1950; le occorreva tutto quel tempo perché il materiale in suo possesso era assai abbondante, ma confuso e spesso contraddittorio. Alla fine gli appunti erano tutti ordinati: adesso doveva solo scriverlo il suo libro e pasticciò per due anni, finché una sera si decise, prese il telefono e piangendo mi supplicò di raggiungerla immediatamente a Harrisburg in Pennsylvania. Edith non era capace di scrivere nemmeno una lettera sua figlia e si era incartata in un testo senza capo né coda, che al massimo poteva servire da copione per un mediocre film dell'orrore.
Rifiutai di aiutarla; le proposi invece di scriverglielo io il suo libro, a suo nome però a modo mio, promettendole di rimanere fedele ai suoi ricordi, ma non alle sue sensazioni se queste fossero entrate in conflitto con le mie, riservandomi sempre la libertà di scelta tra i suoi commenti e le mie osservazioni sui fatti.
Naturalmente raccontai anche la sua Auschwitz, ma soprattutto la mia: io raccontai la storia dei tormenti dell'anima ebrea che non riusciva a liberarsi del corpo ebreo. Schermai gli orrori con un velo di nebbia, non li rinnegai certamente, ma li misi tutti intorno sopra un'ideale tribuna a far da spettatori a quell'estrema lotta dell'anima per riscattarsi di tutte le colpe del corpo. Conservai i veri nomi di tutti coloro che laggiù erano vissuti, di quelli che là erano morti e dei sopravvissuti. Mi intenda bene, Verena: tutti i fatti narrati sono veri, ma messi in rilievo in modo da avere lo spazio necessario perché la mia fantasia narrativa potesse trafiggere uomini e fatti come una lama di luce passata attraverso una lente a volte concava a volte convessa, che cioè diffondesse la luce in cerchio oppure la concentrasse su un unico punto bruciando tutto intorno.
Da questa mia fatica uscì "Terra di nessuno", un gigantesco affresco di vite disperate, di morti sofferte, di indicibili dolori rievocati e risentiti sulla carne come nuovi da tutti i lettori che si riconobbero in quei corpi straziati.
Gli editori si azzuffarono per avere il libro e due mesi dopo Edith LS Upward era la scrittrice più famosa degli Stati Uniti. Un anno dopo la riconoscevano in ogni angolo del mondo, che lei cominciò a girare insieme ad Allen per tenere conferenze e talk show televisivi, tutti retribuiti con fiumi di bigliettoni verdi: solo dollari, amici, solo dollari americani, prego.
-Mi perdoni, signora Samenberg, la interruppe Verena; fu sua l'idea di non fare alcun cenno di lei nel libro, oppure fu di sua madre?
-Mia, naturalmente. Fu un piccolo colpo di genio, lo ammetta Verena. Le ho già detto poco fa che mancando la figlia non c'era bisogno di parlare del padre, e quindi di fare il suo nome, un nome che toglieva il sonno a Edith e terrorizzava anche Allen, perché si era unito in matrimonio non con una vedova, né con una divorziata, ma con una donna ancora sposata con un altro. Allen aveva grandi mire politiche: voleva diventare senatore e farsi eleggere Governatore dello Stato della Pennsylvania, poi pensava che forse il buon Dio gli avrebbe mandato ancora qualcosa. Se fosse saltato fuori lo scandalo della bigamia di Edith ne avrebbe avuto la carriera troncata. Io risolsi tutto brillantemente; lui me ne fu sempre grato e mai madre poté di nuovo dormire la notte.
-Ha scritto lei tutti i libri di sua madre?
-Chi altro sennò? Edith era atterrita dal successo di "Terra di nessuno"; era convinta che io non sarei stata più capace di raggiungere quel livello. Quando iniziai il secondo romanzo, "Tutte le strade di Dio",. non potei venire a scrivermelo in santa pace qui a casa mia, ma dovetti rimanere a Harrisburg, e faticare non poco per convincerla a non convocare la stampa per annunciare al mondo che non era lei l'autrice del libro, ma una sua collaboratrice. La ricattai: le dissi chiaro e tondo che se lo avesse fatto il mondo avrebbe conosciuto anche il resto della verità, la faccenda della figlia e del padre per intenderci. Gli editori però la subissavano di continue richieste, e mia madre mi fece allora giurare in cambio della sua omertà che io avrei continuato a scrivere sotto il suo nome tutti i libri e i racconti che aveva in mente, di cui possedeva già centinaia di schede e una cassa piena di documentazioni e testimonianze.
-Anche il secondo libro fu un best seller, mi pare.
-Ancor più del primo. Oramai ero lanciata, non avevo più dubbi, ma solo certezze: sapevo di poter narrare tutto quel che volevo proprio come volevo, così scrissi il primo romanzo veramente tutto mio. Mia madre intendeva opporsi a un libro quasi di fantasia, pensava che se avessi avuto una caduta di stile le avrei rovinato l'immagine, e chissà di cosa ancora avesse paura; ma io mi portavo quella storia nel cuore già dal tempo del campo. "Il pane di marmo" dei tre romanzi di Auschwitz è l'unico del tutto inventato, secondo me il più bello.
-Adesso capisco cosa intendessero dire le sue due amiche ieri, quando parlavano dell'amicizia della bambina di Edith col piccolo sordomuto vestito da nazista: nei primi due romanzi lei parla di questo bambino in divisa come di un giovanissimo demone, che provava amore solo per il suo cane; nel terzo, che lei dice del tutto inventato, gli fa morire il cane fin dall'inizio e il sordomuto pian piano si riscatta fino a salvare la vita di una giovane ebrea incinta, che riuscirà a fuggire portando dentro di sé una creatura di cui ignora lei stessa il padre, uno dei tanti ufficiali nazisti che l'avevano posseduta.
-Che cosa ha capito, Verena?
-Che lei ha usato questo stratagemma perché non poteva raccontare che il piccolo sordomuto aveva salvato sua madre e la figlia in incognito, cioè lei. Adesso mi pare una bella trovata.
-Ho pensato a Omero, a Ulisse che esce dalla caverna di Polifemo abbracciato alla pancia di una pecora: io mi nascondo dentro quella di mia madre. Niente di originale, come vede. Inoltre Ulisse aveva dichiarato al ciclope di chiamarsi Nessuno, così quando scappa nessuno scappa, proprio come me che non esisto in tre libri diversi, ma alla fine mi salvo senza nemmeno rivelare se in quel ventre in fuga ci sia un maschietto o una femminuccia.
-C'è ancora qualcosa che credo di aver capito.
-Sentiamo.
-È facile associare lo sconosciuto nazista inseminatore del ventre di sua madre al collaborazionista che doveva a tutti i costi rimanere ignoto; ma questo lo si può considerare un accorgimento letterario, un vezzo d'autore. Quello che io adesso ho capito è che lei in questo suo terzo romanzo ha redento sua madre: in quella fuga col pancione io ci vedo la nemesi di una donna che ha rinnegato suo marito e forse perfino la sua religione, ma ecco arrivare alla fine la sua catarsi attraverso il concepimento di una creatura innocente. Bella l'idea di coinvolgere il piccolo mostro sanguinario in uniforme nell'espiazione e nella purificazione che conclude tutto il ciclo di Auschwitz. Sono convinta che se tutti gli ebrei avessero guardato all'Olocausto con occhi come i suoi non sarebbero state generate tutte le tragedie che poi ne nacquero.
Nessuna replica, una prova per Verena di aver colpito nel segno: la signora Samenberg avrebbe potuto sicuramente trovare qualcosa per replicare, ma era evidente che preferiva tacere perché l'argomento cadesse.
Che Esther le stesse rivelando solo quella parte della verità che a lei faceva comodo era ormai più che un sospetto. Tuttavia Verena non arrivava a capire perché proprio a lei l'andasse a raccontare. Che cosa aveva in mente? Era come se avesse immaginato una nuova storia e stesse costruendone la trama lasciando che i personaggi si muovessero liberamente, un po' a casaccio seguendo un metodo moderno, caro ai giovani autori. Era forse stavolta il romanzo postumo di Edith LS Upward? E qual'era il ruolo delle due vecchiette Martina e Adele? Verena ricordò improvvisamente che Esther le aveva fatte scomparire nell'ultimo capitolo di "Terra di nessuno" appena varcati i cancelli spalancati del campo di Auschwitz. Era curiosissima di sapere quando e dove le avrebbe fatte ritornare a galla, ma non riteneva che Esther avrebbe mai risposto ad una domanda troppo diretta, così prese quella curva molto larga.
-Come è stato possibile che Martina e Adele non l'abbiano riconosciuta quando vi siete rincontrate?
-Erano passati più di trenta anni; loro ricordavano una bambina esile e gracile e si trovarono di fronte una donna forte e bene in carne. Ci incontrammo durante la Buchmesse di Francoforte. Le due brave ragazze devono essersi confuse.
-C'era la presentazione di un libro di Edith?
-No: ero lì per il mio primo testo teologico, una pizza barbosa di seicento pagine.
-Scommetto che lei le riconobbe subito.
-Non le avevo mai perdute di vista. Cosa vuole, Verena: siamo usciti vivi così in pochi da Auschwitz che mi sarebbe stato possibile tenere a mente indirizzo e numero telefonico di ciascuno. Ma segui solamente loro due, perché erano di Roma come me e tornarono subito a casa.
-Perché non le ha mai confidato quel che ha detto a me oggi?
-Perché non voglio di nuovo far sanguinare le loro piaghe; certe ferite non si rimarginano mai.
Verena raccolse a quel punto tutto il suo coraggio e andò all'attacco.
-Cosa c'entro io? Perché viene a svelare adesso i suoi segreti proprio a me?
Esther Samenberg sospirò e diede un'occhiata all'orologio che aveva al polso.
-Non c'è sufficiente tempo oggi; fra un'ora ho un appuntamento nella clinica del mio medico curante per un check-up e devo cominciare a prepararmi. Noi due ci rivediamo domattina, allora penso di poter rispondere alle sue domande.

10 commenti:

  1. As usually,
    alla fine dell'altra puntata non avevo capito: pensavo che Mister Samenberg fosse stato suo marito, non suo padre. Va beh.

    A un certo punto parli di espiazione e purificazione : cosa intendi?
    Perchè le atrocità commesse nella "civile" europa POCHISSIMI ANNI FA non potranno mai essere espiate, secondo me: nemmeno dovesse passare l'eternità.

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  2. Esther Samenberg è nubile, cara la mia commentatrice cocciuta, nel senso "de coccio"; mi sembrava piuttosto chiaro, ma va beh.
    Sta riferendosi ai contenuti di un romanzo, dove si cerca di trovare una espiazione.
    Chiaro quanto affermi, sottoscrivo. È anche il mio pensiero sovrano.
    Strano però che tu non abbia bene letto là dove parla di "anima ebrea che non riesce a liberarsi del corpo (ebreo sottinteso)" e dove parla di "estrema lotta dell'anima per riscattarsi di tutte le colpe del corpo". E poi la frase "se tutti gli ebrei avessero guardato all'Olocausto con occhi come i suoi non sarebbero state generate tutte le tragedie che poi ne nacquero".
    È naturalmente il mio punto di vista, ma è un severo giudizio sulla politica di Israele. Trovo strano che tu non abbia trovato niente da ridire.

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  3. Certo che ho letto della lotta tra anima e corpo ebreo, pensando: che vor dì? Ma quanto difficile scrive questo? ;)
    Riguardo la politica di Israele, so solo quello che ho letto sui libri di Grossman e di Oz, facendomi l'idea che lo stato di Israele si comporti come un ragazzo vittima di bullismo che diventa a sua volta carnefice appena trova qualcuno più debole, che pure non c'entra niente.
    Gli ebrei -che non sono necessariamente israeliani- mi incuriosiscono per le loro strane tradizioni e riti religiosi.
    Gli ortodossi, invece, mi sembrano pazzi scatenati, oltre che bruttissimi. Guarda solo la storia di quel povero cane!

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  4. Perfetto Silvia, centrato!
    "un ragazzo vittima di bullismo, che diventa a sua volta carnefice appena trova qualcuno più debole, che pure non c'entra niente" è favolosa.
    Hai solo dimenticato che quel ragazzaccio sventola come bandiera una cambiale in bianco intestata a "Olocausto"; e che dietro le sue spalle -che lo protegge e lo aizza- c'è un omaccione grosso grosso, il più grosso e bullo in circolazione- che copre tutte le magagne del ragazzaccio e mostra i denti a chi vorrebbe giustamente frenarlo. Sembra disarmato il bullaccio, ma ha le tasche piene di missili e di caramelle, da dare poi agli orfani dei morti ammazzati dai suoi missili.
    Penso che tu possa essere d'accordo.

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  5. Finalmente la piattaforma Blogger mi permette di mettermi in pari con questo tuo imponente e assai significativo lavoro, che a ogni interruzione rinnova la curiosità per quanto segue.
    Il precisino rompiballe che sono si permette solo una minuscola (e opinabile) bacchettatina: per l'uso di "maschietto" e "femminuccia" al posto di maschio e femmina, una cosa che personalmente mi fa più o meno l'effetto del famoso stridore di gesso sulla lavagna... :)
    A presto, caro amico!

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  6. Ringrazio la piattaforma Blogger che mi ridà il piacere di riaverti nel mio blog, Nik.
    Non sei precisino e pedante, ma un attento osservatore, le cui osservazioni -sempre col tuo stile pacato e mai arrogante- sono da me assai gradite.
    Non sapevo di evocare scolastici stridori di gesso su lavagna, ma non l'ho provocato apposta. Il fatto è che tu sei lombardo io romano e a Roma si usa dire "maschietto e femminuccia" anche se si tratta di novantenni. A me personalmente piace "Uomo - Donna", ma è una questione di sottigliezze, va benissimo anche mascio e femmina.
    Alla prossima, carissimo.

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  7. Mi godo queste bellissime letture senza continuamente commentare e rompere i coglioni come questa Silvia che, a quanto pare, non è nuova in questo trituramento di cazzo, sia qui che altrove. Personalmente penso solo a una cosa: Silvia leggi e non commentare più, hai solo da imparare in tutto e per tutto dal signor Iacoponi. Taci, fallo per il tuo e soprattutto nostro bene. Sei irritante!!!

    Racconto stupendo. Ciao. Antonio.

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  8. Antonio, o chiunque tu sia.
    Tutti coloro che mettono il naso, leggono e commentano ciò che io scrivo sono i benvenuti nel mio blog, a patto che non insultino gli altri co-commentatori. Tu lo hai fatto e -se mi permetti- in modo incivile.
    Silvia è amica mia, oltre che essere una sottile e pertinente commentatrice di ciò che io scrivo, e non soltanto su codesto blog, quindi è mia gradita ospite.
    Il consiglio che tu, così beceramente le rivolgi, spetta a te di diritto: leggi, anonimo Antonio, e non commentare più, ce così solamente sai esprimerti.

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  9. OT: gli anonimi idioti non risparmiano nessuno.

    Ciao Enzo. :)

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  10. Grazie della tua solidarietà, Lenny, di cui non dubitavo.
    Ciao fratellino. :))

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